Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Da
Nordic_Roma (appunto personale: quasi un quadro dei tempi di Steinbeck)
Street News Service
Sono Rom e provengono dal medesimo povero villaggio in Romania. Ora sono a
Copenhagen suonando l'armonica per i passanti. Catalin Tudorache e Puiu Toader
fanno quello che possono per racimolare abbastanza soldi per le loro famiglie a
casa - By Simon Ankjaergaard
Come per molti altri Rom, la vita in Romania è sempre stata una lotta per
Catalin e Puiu. Uno stipendio medio non basta a sostenere una famiglia. In
quanto Rom, sei automaticamente al livello più basso nella gerarchia sociale. La
scelta tra un lavoro instabile per 3 o 4 sterline all'ora o il più basso assegno
sociale di circa 1,70 sterline, sono ben lontani da coprire le spese per cibo,
vestiti, gas ed elettricità. Non bastano neanche a pagare l'istruzione, cruciale
ai bambini rom per rompere la spirale negativa e costruire una vita migliore per
loro stessi.
Sei anni fa, Catalin e Puiu decisero di lasciare la povera casa nel
villaggio di Mârgineanu, 50 km. a nord-est di Bucarest, per tentare la fortuna
fuori dalla Romania. Con gli ultimi soldi comprarono un biglietto d'autobus,
destinazione Copenhagen.
Da allora, hanno viaggiato avanti e indietro tra la capitale danese e
Bucarest. Tre o quattro mesi in Danimarca, un mese in Romania. E non sono i
soli. L'autobus del ritorno è sempre pieno di Rom poveri. Qualcuno ha racimolato
solo i soldi per il biglietto. Altri hanno contratto debiti con usurai locali
con l'ordine di non mostrarsi in Romania fin quando non avranno guadagnato
abbastanza da cancellare il proprio debito.
Pagamenti illegali
"Per sei anni, abbiamo vissuto in questo modo, ma non è diventato più facile.
Ogni giorno è ancora una lotta", dice il trentenne Catalin, che ha lasciato in
Romania una moglie ed un figlio di tre anni.
Pone la sua armonica in grembo e si accende una sigaretta. Nella luce fioca
sotto il ponte della stazione Noerrebrola gente è come un flusso uniforme.
Inspira e sorride a più gente che può. Servizio Clienti. Forse gli getteranno
una o due monete nella giacca stesa a terra la prossima volta che passeranno.
Oggi ha guadagnato 55 corone (£6.20). Più in là in Frederikssundvej, dove il
quarantatreenne Puiu lascia che i brani di "Somewhere Over the Rainbow"
soddisfino i clienti del supermercato, il reddito della giornata è di 30 corone
(£3.40).
"Il nostro reddito dipende dal clima e dalla stagione", dice Puiu. "Quando
piove, guadagniamo quasi niente, perché la gente è troppo occupata a cercare di
evitare la pioggia." Suonare l'armonica è l'occupazione principale dei due
amici, che però sono più contenti quando ottengono qualche lavoro occasionale.
"Ci pagano illegalmente, così non posso dire per chi lavoro. Significherebbe
non lavorare più per lui," dice Puiu, che deve racimolare i soldi per sua moglie
e tre bambini. "Talvolta sono altri Rumeni che ci raccomandano. Altre volte,
sono i capi del commercio che ci trovano per strada e chiedono se vogliamo
aiutarli. A volte Danesi, altre volte stranieri", dice.
In quel momento, d'improvviso Puiu smette di parlare e si sbraccia
entusiasticamente verso un uomo in tuta da jogging all'altro lato della strada.
"E' l'Arabo", dice con un gran sorriso.
"E' mio amico. Ha assunto sia Catalin che me diverse volte. Abbiamo costruito
un muro per lui ed anche altre cose. A volte ci paga bene, perché sa che il
denaro va alle nostre famiglie. E mi ha dato questa. Gratis." Puiu indica
l'armonica.
L'Arabo zigzaga lungo la strada e stringe calorosamente la mano di Puiu. Puiu
lo interroga sulle prospettive di lavoro. L'uomo scruta pensieroso e sembra non
promettere troppo. Alla fine si stringe nelle spalle. "Forse. Ho il vostro
numero di cellulare, Puiu. Ti chiamerò."
"E' mio amico," ripete Puiu e lo segue con gli occhi mentre l'altro si
immerge nuovamente nella via trafficata. "E' per lui che possiamo prendere
l'autobus per Copenhagen e per tornare."
Oltre a lavorare come muratori, Catalin e Puiu hanno montato controsoffitti
in cartongesso e fatto lavori di pulizia. Il pagamento avviene sempre in
contanti. Non dispongono di conti bancari e i loro principali non intendono
informare le autorità fiscali. I salari variano da poche centinaia di corone a
qualche migliaia, dipende dalla quantità di lavoro. Sanno perfettamente di
essere scelti per un lavoro soltanto perché sono a buon mercato. Ma non importa:
anche uno stipendio ben al di sotto del minimo salariale danese può fare
meraviglie per le famiglie a Mârgineanu.
Puiu ripone l'armonica, accende un'altra sigaretta e ingoia una pillola per
l'ulcera. Agita lo sporco tubetto delle pillole. "Mi costano 500 corone (£56.20) al
mese. Devo prendere sei pillole al giorno. L'ulcera è peggio dei miei calcoli
renali," dice. Scuote le spalle e si avvia verso il rifugio di Catalin. Sono due
km. e mezzo di strada. Il biglietto dell'autobus è troppo caro.
Senza tetto
Catalin accoglie Puiu con un sorriso. Conosce la routine. Il lavoro ora, come
ogni giorno, è di immaginare dove andranno a passare la notte. La notte scorsa
hanno dormito da un amico rumeno, ma stanotte non c'è spazio. Sono tornati a
Copenhagen in 50 dal villaggio, e così hanno iniziato a telefonare e cercare di
trovare un tetto sopra la testa prima che scenda l'oscurità. Spesso la risposta
è negativa -come oggi. Altri sono arrivati prima di loro.
Puiu e Catalin restano insieme. Tendono a rimanere isolati dal resto della
popolazione rom il più possibile. Non vogliono unirsi al grande gruppo di Rom
che si accomodano nei campi o nelle fabbriche abbandonate. Hanno paura di finire
negli arresti di massa, come quello di Copenhagen lo scorso luglio, quando la
polizia ha sgomberato un campo e una fabbrica. 23 Rom sono stati deportati.
Invece si spostano verso l'area di Amager - in metropolitana, ma senza
biglietto. Risalgono e camminano in un parchetto. Qui è dove dormono se non
hanno la fortuna di trovare sistemazione da amici. Hanno scelto un boschetto,
nascosto lontano dalle panchine piene di graffiti e dai sentieri. Con le teste
appoggiate sulle loro piccole borse sportive, parlano tra loro con calma finché
non sono interrotti dalla vibrazione del cellulare di Catalin. Al telefono c'è
sua moglie. Ha bisogno urgente di soldi. Catalin deve deluderla. Ha soltanto 400
corone (£45), così ci vorrà molto tempo prima che possa tornare a casa. Ma Puiu
dovrà aspettare anche di più. Tira fuori 80 corone (£9) dalla tasca. Sono tutti
i suoi averi.
"Non possiamo tornare a casa finché non abbiamo almeno 2.000 corone (£225) in
contanti per la famiglia," dice Catalin con un sospiro. "Durante un buon mese,
possiamo guadagnare fino a 2.500 corone (£280), ma dobbiamo togliere 1.000
corone (£110) per cibo e sigarette. E dobbiamo considerare che il biglietto del
bus per il ritorno costa 1.000 corone."
Spesso ci vogliono tre o quattro mesi perché i due abbiano abbastanza soldi
per tornare a casa dalle loro famiglie. E dopo, occorre un altro mese per
guadagnare denaro per un nuovo viaggio in autobus sino a Copenhagen. Di solito
cercano di trovare lavoro come manovali, ma spesso i posti di lavoro sono presi
da manodopera a basso costo proveniente da paesi ancora più a est.
La soluzione finale è di affidarsi agli strozzini. E con loro, parte la
spirale del debito. "Ho avuto diverse volte in prestito i soldi del biglietto
del bus," dice Catalin. "Quel debito dev'essere pagato ed è per questo che devo
guadagnare di più quando sono in Danimarca. E poi ci vuole più tempo prima che
possa rivedere mio figlio e mia moglie," sospira.
Sente di trascurare la sua famiglia con le sue lunghe assenze, ma Puiu non è
d'accordo. Può darsi che il loro cuore appartenga a Mârgineanu, ma è la
necessità che li ha spinti in Danimarca. Puiu pone la domanda retorica:
"Cos'altro dovremmo fare? Non possiamo guadagnare abbastanza in Romania da
provvedere alle nostre famiglie e pagare l'istruzione dei figli. Non è
negligenza. E' una necessità."
Schiocca l'indice destro nel palmo della mano per sottolineare l'argomento.
"Se ne avessi la possibilità, certo che starei in Romania. Ma è impossibile.
Fintanto che la Romania rimarrà povera, viaggeremo verso i paesi più ricchi per
far soldi. E' così semplice."
Originally published by Hus Forbi, Denmark. ©
www.streetnewsservice.org
Dopo la nostra conferenza stampa di ieri, abbiamo letto i commenti che il
vicesindaco De Corato ha dedicato alla denuncia che in quell'occasione abbiamo
presentato. Notiamo per prima cosa che non c'è un punto, nelle sue
dichiarazioni, che smentisca le fattispecie sollevate nella denuncia, ossia
– lo ripetiamo – l'abuso d'ufficio (anche con l'utilizzo di ingenti soldi
pubblici solo per gli sgomberi senza progetti di accompagnamento ed
integrazione), i danneggiamenti a beni di proprietà (con l'intervento delle
ruspe e la distruzione di ogni bene), l'interruzione di pubblico servizio (nello
specifico, l'interruzione della frequenza scolastica).
Il vicesindaco dichiara che è sempre stata osservata la
correttezza delle procedure; lo smentiamo, sulla scorta anche dei più recenti
sgomberi. Lo dimostrano:
- le procedure ultimative: sgombero intimato solo a voce con rudezza e
intimidazione all'alba o a tardo pomeriggio, nell'incombere dell'imbrunire,
senza preavviso, in presenza di maltempo con pioggia o neve;
- l'assenza dei funzionari dei servizi sociali, negli ultimi episodi, malgrado
il fatto che appunto i ripetuti censimenti e controlli effettuati sul microcampo
Cavriana-Forlanini avessero rilevato la presenza di minori anche di pochi mesi;
- continuiamo a pensare che quella della frattura del nucleo familiare (madri
e bambini da una parte e padri per strada) non sia la soluzione; in una
Milano che celebra in questi giorni, in un apposito evento, la sacralità della
famiglia, suonano stonati questi interventi che dal legame familiare
prescindono.
Rifiutiamo con forza la designazione del nostro gruppo come facente parte
di "associazioni pseudobuoniste" che "non hanno di meglio da fare" che indulgere
al "can can mediatico".
Noi qualcosa di meglio lo abbiamo da fare, e sta nel nostro impegno
quotidiano di cittadini e cittadine, nell'affiancamento a queste storie
difficili ma ricche, nel tentativo arduo di forzare gli ostacoli che si
oppongono a una piena socializzazione di questi soggetti, nell'esigere diritti e
prestazioni pari a ogni altro cittadino di questa città (scuola, servizi,
salute, casa), nella ricostituzione paziente di un ambiente vitale dopo che ogni
effetto personale è stato regolarmente degradato a "spazzatura". Non c'è nulla
di spettacolare in tutto ciò; si tratta invece di un laboratorio di cittadinanza
sociale, che dovrebbe stare a cuore alle autorità.
Il "can can mediatico", invece, imperversa ai danni di queste fasce di
popolazione come su altre (i migranti, ma non solo), identificate come "capri
espiatori" di una crisi e di una sua gestione politica in senso autoritario.
Non siamo affezionati al fatto che, come afferma il vicesindaco, chi vive in
questo come in altri campi scorrazzi "tra amianto, topi e quintali di rifiuti";
a parte il fatto che questo richiama lo stato di tante aree dimesse, lasciate a
marcire in attesa d'interventi speculativi, non possiamo accettare che le
autorità pensino che chi ci vive abbia piacere di condurre la sua esistenza in
questi ambienti.
Il vicesindaco sa bene - avendolo ascoltato di persona dalla viva voce di due
donne abitanti di questo campo, in un'assemblea in piazza Ovidio, dell'aprile
del 2009, che hanno preso la parola e non sono rimaste nascoste - quanto sia
avvilente per un essere umano e il suo ambito di affetti vivere in non-luoghi
degradati; quelle due donne ebbero il coraggio di venirlo a dire davanti a una
platea che le ascoltò muta e attenta, e che si sentì dire che la "sicurezza"
di cui tanto si ciancia parte per prima cosa dalla dignità del proprio vivere e
lavorare in una società e in un ambiente non ostile, se non solidale.
Insostenibile è poi l'affermazione secondo cui agli insediamenti di nomadi
si correlino immediatamente e immancabilmente "la criminalità predatoria e il
degrado"; in due anni di affiancamento continuo non abbiamo mai avuto segnali
anche lontani di criminalità, né sono dimostrabili in nessun modo. In queste
affermazioni categoriche risuona un pregiudizio razzista che è quello che
abbiamo ravvisato in molti comportamenti posti in essere dai decisori politici
di questa città e che abbiamo esposto nella nostra denuncia.
Milano, 10 novembre 2010
Gruppo Sostegno Forlanini e genitori di Rubattino firmatari della
denuncia
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