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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 28/02/2013 @ 10:07:03, in Italia, visitato 2779 volte)

6 marzo 2013, ore 18.00 presso Libreria Popolare, via Tadino 18, Milano

Presentazione di SULLA PELLE DEI ROM

Ne parliamo con:

  • Carlo Stasolla (autore del libro SULLA PELLE DEI ROM)
  • Corrado Mandreoli (coordinatore Tavolo Rom di Milano)

Modera:

  • Fabrizio Casavola (redazione di MAHALLA)

Negli ultimi anni la "questione Rom" è stata agitata con particolare cinismo per raccogliere un facile consenso elettorale. Nel libro "Sulla pelle dei rom" un'approfondita analisi delle politiche promosse da amministrazioni di ogni colore, culminate in un colossale fallimento sociale ed economico... continua a leggere la prefazione di Ulderico Daniele

Organizzano:

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Di Barbara Breyhan (del 28/02/2013 @ 09:06:29, in Kumpanija, visitato 1760 volte)

Kissaqani.com

"Abbiamo deciso di donare gli organi, così la nostra Natalia rivivrà in altri bambini". Questa la decisione dei genitori della piccola Natalia, la bimba rom di 14 mesi caduta nel Tevere giovedì 21 febbraio e morta al Policlinico Gemelli di Roma sabato 23 febbraio. La piccola stava giocando sulla sponda del Tevere sotto Ponte Testaccio, dove viveva con i genitori in una baracca di fortuna. É scivolata nel fiume, il padre l'aveva subito salvata e portata in ospedale, ma le sue condizioni erano apparse da subito gravissime per problemi cardiaci legati all'ipotermia. I giovani genitori hanno deciso di donare gli organi. Ora però non hanno i soldi per il funerale e per riportare il corpo in Romania. Nessun sostegno dal Comune. L'Associazione 21 Luglio ha lanciato una raccolta fondi per aiutarli.

Questo l'appello dell'Associazione 21 luglio:

Sabato 23 febbraio è morta presso il Policlinico Gemelli di Roma, Natalia, la bimba rom di 14 mesi caduta giovedì 21 febbraio nel Tevere, mentre giocava sulle sponde dove la sua famiglia vive in una baracca di fortuna sotto Ponte Testaccio. I giovani genitori rom rumeni, colpiti da questa tragedia, hanno espresso il desiderio che il sacrificio della loro bimba servisse a salvare altre piccole vite, dando il consenso alla donazione degli organi della figlia. A distanza di giorni la famiglia, che ancora vive nella baracca lungo il fiume, non ha ricevuto alcuna assistenza dal Comune di Roma ed è in attesa di espletare le pratiche per il funerale di Natalia che verrà celebrato in Romania. Il giorno dopo la morte di Natalia le forze dell'ordine hanno preavvisato la coppia dell'imminente sgombero dell'area. La loro povera baracca verrà distrutta. L'Associazione 21 luglio ha deciso di offrire al nucleo assistenza legale. Per sostenere i giovani genitori nelle spese per il funerale e per il rimpatrio della figlia l'Associazione 21 Luglio ha lanciato una sottoscrizione. É possibile aderire alla sottoscrizione tramite Bonifico bancario presso Bancoposta Codice IBAN: IT48 J076 0103 2000 0000 3589 968 o attraverso il Bollettino postale al conto n. 3589968 intestato ad Associazione 21 luglio. Sul sito dell'Associazione 21 luglio è possibile fare un versamento attraverso la carta di credito. Ogni versamento dovrà avere come causale: Per Natalia.

A Roma il tasso di mortalità infantile dei bambini rom è del 24 per mille contro il 9 per mille dei minori non rom, come evidenziato nel libro "Roma Underground. Libro bianco sulla condizione dell'infanzia rom a Roma", presentato proprio il 19 febbraio scorso a Roma dall'Associazione 21 Luglio. La ricerca ha analizzato le conseguenze delle politiche capitoline degli ultimi tre anni, ovvero quelle realizzate in seno al Piano Nomadi, sull'esistenza dei minori che vivono a Roma in emergenza abitativa.

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Di Marylise Veillon (del 27/02/2013 @ 09:05:25, in musica e parole, visitato 1759 volte)

L'Express Israel Galvan: "danzare l'impossibile", il genocidio dei gitani - Par AFP, publié le 13/02/2013 à 09:52

PARIGI - Il sivigliano Israel Galvan danza dal 12 al 20 febbraio al "Théatre de la Ville" di Parigi "L'impossibile da danzare": il genocidio tzigane da parte dei nazisti, con il suo nuovo spettacolo "Le Réel, Lo Real, The Real".

Dimenticatevi del flamenco tradizionale, delle balze e degli "olé": il flamenco di Galvan è aspro, senza concessioni.

E' a torso nudo, dove si disegnano le costole, danzando sulla scena quasi vuota. Un piano stonato, dal quale verrà fuori il filo spinato dei campi di concentramento, dei binari cigolanti: ecco, la scenografia è montata. Lo spettatore trattiene il fiato: si soffre con lui.

Quando una ballerina irrompe, è vestita come una rom, come in segno di solidarietà con le persecuzioni di oggi.

Silhouette longilinea vestita di una calzamaglia nera, c'è un uomo dolcissimo, agli antipodi del solito ballerino brillante, il quale si esprime tramite interviste, attento alle domande, esitante nell'agganciare delle parole ai movimenti del corpo.

Cascato piccolino nel flamenco - i suoi genitori sono ballerini e suo padre insegnante in una scuola di flamenco a Siviglia - traccia rapidamente il proprio cammino, rischiando di sconvolgere i puristi.

"Hanno il loro posto, è importante conservare la tradizione" afferma Galvan, "ma il flamenco è in costante evoluzione, e mi sento molto libero".

Libero di scegliere un tema scottante come il genocidio dei gitani, e di introdurvi "anche della gioia", perché conviene celebrare tanto la loro sopravvivenza quanto la loro sofferenza.

Il genocidio era presente già nella sua infanzia, "se ne parlava molto a casa, per motivi religiosi", dice Galvan. I suoi genitori appartengono ai Testimoni di Geova, perseguitati e deportati dai nazisti a motivo dei loro legami internazionali e della loro opposizione al potere e alla guerra.

Sua madre è tzigana: il genocidio fa doppiamente parte della storia familiare. Però, Israel Galvan si è ispirato anche da documentari, libri, canzoni ("Hitler in my heart" del gruppo Antony and the Johnsons) per la sua creazione. Dice che come sempre, lo spettacolo risponde a "un'esigenza".

Con una dozzina di creazioni in 15 anni, Israel Galvan si è forgiato la reputazione di un ballerino profondamente innovatore nell'ambito molto codificato del flamenco. Applaudito a Parigi e nel nord-europeo da molto tempo, ha visto il suo lavoro riconosciuto per la prima volta a dicembre, dal Teatro Real di Madrid, che ha prodotto "Il Réel". 

Questo "ballerino delle solitudini", secondo il titolo di un libro che gli è stato consacrato dal filosofo e storico dell'arte francese Georges Didi Huberman (2006), è stato per la prima volta - per "Il Réel"- affiancato da due virtuose ballerine, Belén Maya e Isabel Bayon. Una decina di cantanti e musicisti fanno molto più che accompagnarlo, essendo la vera spina dorsale dello spettacolo.

Tra i suoi progetti, un duo con il ballerino britannico originario del Bangladesh Akram Khan, la cui danza è ispirata dal kathak, un'arte tradizionale indiana vicina al flamenco.

Israel Galvan vorrebbe anche "esplorare il suo lato femminile". Osserva che "Nel flamenco, l'uomo deve danzare da ++macho++ e la donna, in modo femminile". A lui piacerebbe "cambiare un po'". Butta là sorridendo: "Ho sempre danzato da uomo, è un po' stancante".

Una trasgressione fedele al suo percorso, che spiega però, senza alcuna aggressività. La violenza, la morte, onnipresenti nei suoi spettacoli, li conserva per la scena. In città, è un uomo timido, che parla dei suoi figli, tra cui c'è una bambina che danza già "il balletto".


Le Parisien Israel Galvan danza per i rom di Ris-Orangis Publié le 15.02.2013, 21h24

Nel bel mezzo di un accampamento di Rom a Ris-Orangis, la nuova stella del flamenco Israel Galvan, batte i tacchi con passione. Habitué delle grandi sale prestigiose d'Europa, è venuto qui per "confrontarsi con la realtà".

I rom dell'accampamento, autentica bidonville a 20 km al sud-est di Parigi, hanno terminato la costruzione della scena venerdì mattina, in modo da potere accogliere il ballerino, attualmente presente sulla locandina del Théatre de la Ville di Parigi.

All'inizio della serata, la silhouette longilinea d'Israel Galvan, pantalone colore arancio e piumino marrone, appare nel campo, atteso da circa 70 persone, abitanti del bidonville e membri di alcune associazioni di sostegno. I bambini, appena usciti dalla scuola o dal liceo dove alcuni di loro sono scolarizzati, si spazientiscono in mezzo al fango e alle capanne, costruite lungo la strada N7.

Petto all'infuori, accompagnato da due "cantaores" (cantanti di flamenco) esegue alcuni passi di danza per alcuni minuti, picchiando il suolo in modo rude e virile, come un torero atletico.

Ma è soprattutto felice d'invitare gli rom a ballare in mezzo alla piccola scena, fatta di travi di legno e decorata di ghirlande, che danno al posto delle arie di parco di divertimenti.

Una donna, la gonna nera della quale sfiora il pavimento, esita, poi finalmente si lancia nel cerchio sotto lo sguardo benevolo d'Israel Galvan.
Durante la serata, gli rom tirano fuori i propri strumenti: violini, fisarmoniche e tamburelli colpiti con l'aiuto di bottiglie di plastica.

"E' buono per i bambini, per noi, per la musica", dice Jorge, il quale abita nell'accampamento da circa otto mesi. "Apporta gioia!"

"Altro tipo di energia"

Figlio di una gitana, Israel Galvan percepisce qui una familiarità con ciò che conosce.

"Quando guardo la gente, vedo certi volti che potrebbero essere quello di mia nonna", dice sorridendo, all'AFP.

Aggiunge: "Ciò che mi colpisce, è che nonostante le difficoltà che incontrano queste popolazioni, riescono a fare venire fuori una gran gioia nel loro modo di vivere".
Nel suo spettacolo battezzato "Le réel" (il reale), egli evoca senza concessioni, la sorte tragica – e abbondantemente occultata – che fu riservata agli tzigani durante la Seconda Guerra Mondiale, perseguitati e sterminati dagli nazisti.

"Per creare il mio spettacolo, mi sono ispirato a libri e foto antiche di zigani. Ma venire qui, è la situazione la più reale alla quale mi sono trovato confrontato" spiega colui che, durante questi ultimi anni, si è tagliato una reputazione di ballerino profondamente avanguardista e novatore.

Considera: "Non ho mai ballato in questo genere di luoghi prima, ma è importante per un ballerino, venire a respirare un altro tipo di energia, diverso da quello dei teatri".

L'incontro, con l'iniziativa della rivista culturale "Mouvement" e dell'associazione "Perou" che viene in aiuto ai rom, non si ferma qui. Durante quattro sere, Israel Galvan invita dodici abitanti del bidonville a venire per assistere al suo spettacolo al Théatre de la Ville, che continuerà fino al 20 febbraio.

Dice che è importante che vengano a vedere lo spettacolo, in quanto questo parla della loro storia.

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Di Barbara Breyhan (del 27/02/2013 @ 09:02:14, in Italia, visitato 1486 volte)

Città Nuova 23-02-2013 a cura di Antonio Cecchine

Intervista a due operatori sanitari di un'Asl romana che opera nei campi nomadi. Il pregiudizio, l'amicizia, le cose da cambiare

Dopo la denuncia e la proposta lanciata dal presidente dell'associazione 21 luglio a proposito dei campi rom nella Capitale, cominciamo un viaggio nella vita quotidiana di un medico pediatra (Riccardo) e di una infermiera (Stefania) chiamati ogni giorno ad intervenire dentro un contesto sociale poco conosciuto e che genera incomprensioni e pregiudizi. Per motivi di riservatezza i nomi sono di fantasia.

E' un mondo, quello dei rom, che sembra da sempre "fuori posto". Al massimo gente da tollerare...
Riccardo: "È l'approccio peggiore! È come dichiararsi sconfitti in partenza. E poi non dimentichiamo che "fuori posto" ci sono stati messi. Gli zingari hanno una storia antica di persecuzioni e deportazioni feroci. Pensate ai tempi del nazismo. Ma anche recentemente (vedi rom della Bosnia) molti sono dovuti fuggire dalla loro terra per salvare la pelle: persone che avrebbero diritto allo status di rifugiati. Comunque sia, è vero che i rom hanno una loro originalità, e si infilano in genere tra gli spazi di degrado urbano delle nostre periferie. È un universo parallelo, alternativo, nomade: il them romanò, in effetti abbastanza allergico alle strutture".

Ma allora come riuscite a dare continuita' al vostro lavoro, vista questa condizione nomade?
Riccardo: "Forse è utile partire da un po' di storia. La realtà dei rom, dei sinti e dei camminanti è complessa e antica. Nell'area romana la presenza zingara risale al XVI secolo, nel rione Monti c'è ancora la lunga via degli Zingari a confermarlo. Dietro alla parola "nomade" o zingaro o rom in realtà c'è un universo complesso. Il nomadismo stesso –anche se in realtà i rom sono ormai una realtà quasi del tutto stanziale, in Italia – non va pensato come una cosa strana, appartiene alla storia dell'umanità. Un tempo eravamo tutti dei nomadi. Nell'anima il popolo rom continua a vivere così, giorno per giorno, senza preoccuparsi del futuro. Di fatto, vive nei campi, ma la stanzialità è, in genere, gestita male. Il campo è spesso sinonimo di ghetto".

Considerando la loro diffidenza per le strutture, non deve essere semplice "inquadrare le situazioni sanitarie", come vi muovete?
Riccardo: "L'esperienza di questa equipe partita nel 2006 è stata quella di partire dai loro bisogni di salute senza imporre schemi rigidi. Anche se è chiaro che la prima cosa che salta alla vista è la necessità di curare. Di prevenire. Ma abbiamo capito che per riuscire era importante partire dalle loro richieste e soprattutto costruire appunto rapporti di fiducia".

Quindi accettano la vostra offerta di cure?
Stefania: "Dopo anni di lavoro, ormai direi di sì. Certo, c'è ancora un grande percorso da fare, anche come integrazione sanitaria, ma sta andando bene. Prendete il campo della Cesarina. Dopo 7 anni di presenza continua e rispettosa della loro identità e diversità cultuale, le risposte arrivano. Il tasso di vaccinazioni dei rom bosniaci è intorno al 90 per cento, cosa impensabile anni fa. L'affluenza negli ambulatori dedicati a Stp ed Eni (acronimo dei codici sanitari per Stranieri temporaneamente presenti o Europei non iscritti) con richiesta di visite ginecologiche e pediatriche e specialistiche è aumentata".

Che patologie sono riscontrabili in campo pediatrico?
Riccardo: "Fare il medico nei Campi per visitare i bambini rom è un po' come compiere un balzo spazio-temporale. All'indietro. Si ritrovano patologie antiche come la Tbc, o altre ancora presenti tra noi, ma più diffuse".

E riuscite a curarle?
Riccardo: "Si tamponano le urgenze come si farebbe per qualunque altro bambino. E si lavora sulla prevenzione, vedi vaccinazioni a tappeto. Ma il vero nodo starebbe nel migliorare le condizioni sociali, igieniche e alimentari. Nel poter fare un'educazione sanitaria continua. Tutte cose che hanno fatto miracoli per i bambini italiani, dal dopoguerra in poi. La nostra esperienza ci fa dire che l'unica è partire dalle donne, vero fulcro della famiglia rom, per arrivare ai bambini, che sono –per loro come per noi- il futuro".

Come va con la scuola nei campi?
Riccardo: "Finché i bambini nei campi vivranno in condizioni sub-umane, è pura utopia pensare la continuità scolastica. Sapete che al campo della Cesarina, dove sono stati investiti centinaia di migliaia di euro, adesso non c'è più nemmeno l'acqua, visto che l'attuale gestione pare l'abbia tolta? Anche l'unica fontanella del Comune non c'è più. E la gente va a comprare le bottiglie di acqua minerale non solo per fare da mangiare, ma anche per lavarsi e lavare i bambini... Condizioni fatiscenti e potenzialmente a rischio epidemia".

Resta prevalente,quindi, l'aspetto sanitario?
Riccardo: "Proprio così! E' chiaro che anche per un sanitario che si impegni a "diagnosticare e prescrivere", insomma curare, è frustrante se mancano i presupposti fondamentali della salute, come l'igiene. Come l'accesso all'acqua, vero diritto fondamentale. Ed è per questo che anche noi non possiamo starcene zitti".

E come sono i bambini rom?
Stefania: "Sono vispi, acuti, maturano molto presto. Interessati a tutto, hanno uno sviluppo cognitivo accelerato, con autonomia e intraprendenza incredibili. Sulla breve distanza avrebbero da dare molti punti ai nostri bambini, cresciuti nella bambagia".

Riccardo: "Quando li vedi giocare o danzare ti accorgi di tutto un patrimonio che potrebbe essere valorizzato. Ed esistono moltissime esperienze positive a riguardo nate dal volontariato, che fa un lavoro preziosissimo nei Campi. Purtroppo sono talenti che vengono bruciati in fretta perché qui l'infanzia è breve, si diventa presto adulti".

Stefania: "Ci dovremmo chiedere: come sfruttare questo patrimonio umano che abbiamo? Domanda che una società civile dovrebbe farsi non solo per i bambini rom, ma per tutti i bambini stranieri nati in Italia, e che ancora non hanno diritto di cittadinanza. Con i rom sarebbero utili offerte di tipo sportivo, o teatrale, o musicale. E avremmo risultati eccellenti".

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Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:02:37, in Kumpanija, visitato 1796 volte)

Nella foto: foto e oggetti di Rita Prigmore
CORRIERE IMMIGRAZIONE Nel racconto di Alessandra Ballerini, la testimonianza di Rita Prigmore, sinta sopravvissuta all'olocausto - 24 febbraio 2013

Sono a Palazzo Ducale. In ritardo, come sempre. La sala è già piena. Di ogni tipo di persone. L'immancabile Genova "bene", rappresentanti attuali e passati delle istituzioni, ma anche studenti o comunque giovani. Un'età media incredibilmente bassa per essere a Genova. Anche molti stranieri in sala: per lo più sudamericani e africani. E poi ci sono loro: "gli zingari". In realtà li distingui solo dopo un po'. E solo se già li conosci. Sono tutti raccolti a vedere ed ascoltare Rita Prigmore, una delle ultime donne "zingare" sopravvissute all'Olocausto - e alle sperimentazioni mediche dei nazisti sui bambini, invitata dalla Comunità di Sant'Egidio.

Sono in ritardo, ma in tempo per ascoltare Andrea Chiappori mentre spiega alla platea che il genocidio inizia sempre con teorie e pregiudizi ed uccide le persone non per quello che fanno ma per quello che sono. Queste parole mi suonano familiari. Sono le stesse utilizzate da noi giuristi per eccepire l'incostituzionalità delle norme sull'immigrazione che puniscono come reato la clandestinità e infliggono la pena della prigionia nei Cie per 18 mesi per gli stranieri irregolari, colpevoli, appunto, di essere (stranieri) e non di fare.

Rita parla, ferma e appassionata. Ricorda le leggi razziali tedesche che per debellare la "personalità antisociale" dei rom, si inventano il sistema crudele e insulso della prevenzione delle malattie ereditarie tramite la loro sterilizzazione e gli esperimenti sui neonati, in particolare sui gemelli. La neonata Rita viene strappata dal ventre materno insieme alla gemella che perirà dopo poche settimane di "esperimenti". Rita subirà interventi alla testa e agli occhi per tutto il suo primo anno di vita da parte degli "scienziati della razza", convinti di poter creare una specie eletta e monotona con occhi azzurri e capelli biondi. Rita non si compiace, come a volte fanno le vittime, della sua sofferenza. Racconta con dolorosa memoria la storia della sua famiglia e della sua "gente" perché vuole lasciare un messaggio: "voi che potete costruire il vostro paese, guardate gli altri senza pregiudizio, riconoscete in loro sempre un essere umano. Ogni essere umano è l'immagine di Dio, per questo nessuno può condannare un'altra persona".

E detto da lei, che di condannare i suoi aguzzini ne avrebbe ben donde, questo monito fa una certa impressione. Le persecuzioni razziali sono state sempre avallate da leggi la cui emanazione è stata (ed è) possibile perché è stato creato ad arte il consenso sociale. "Ma se ancora oggi è possibile considerare intere categorie di esseri umani come non persone allora la storia non è salvifica. Basta guardare la rabbia, il disprezzo e la paura che ancora ci appartengono e stanno dentro la nostra cultura".

Lo so. È una frase di un pessimismo estremo. Non è mia ma di Luca Borzani, presidente della fondazione Palazzo Ducale. E l'autorità dell'autore la rende ancora più indigesta. "La storia non salva se non porta ad una responsabilità individuale" ed infatti, in questa platea così "mista", quando ci scambiamo gli sguardi durante il racconto di Rita, vergogna è il sentimento che ci unisce. Vorremmo salire sul palco e chiederle scusa. Perché da esseri umani ci si vergogna del male che siamo in grado generare.

Anche Ariel Dello Strologo (Presidente del Centro Culturale Primo Levi) ritiene che non bastino la storia né la cultura per non ricompiere gli errori del passato. Oltre alla storia e alla cultura servirebbe una costante e cosciente responsabilità individuale e collettiva per ogni nostra scelta, anche la più banale e quotidiana. E lo dice fiero nel ricordo di quella prima volta in cui si celebrò il 27 gennaio a Genova dodici anni fa e lo si fece ricordando lo sterminio dei rom e sinti.

Chiude l'incontro Pino Petruzzelli che i rom li conosce, li narra e li ama e che in poche ma precise parole ricorda le nefandezze compiute dagli scienziati e dai medici nazisti. Nel 1936 in Germania, nel centro per l'igiene e la razza, nasce la teoria della "pericolosità degli zingari" causata dal "gene dell'istinto al nomadismo". Nel 1935 iniziavano le ricerche per rendere potabile l'acqua del mare ed il capo della polizia criminale decide di utilizzare come cavie i rom (chiamati ariani decaduti) geneticamente più simili ai tedeschi, sottoponendoli a dementi esperimenti di inutile crudeltà. Al processo di Norimberga i medici mentono e si giustificano esaltando i risultati (inesistenti) degli esperimenti. Alcuni di questi medici, nonostante si siano macchiati di tali imperdonabili crimini, hanno continuato a svolgere la loro attività, sono stati promossi e agevolati nella carriera universitaria. E a me viene in mente il medico e l'infermiera condannati per le torture di Bolzaneto durante il G8 del luglio 2001, che ancora esercitano indisturbati la professione in strutture pubbliche.

E poi penso alle parole. Alla loro manomissione (come direbbe Carofiglio). Lo sterminio, il genocidio vengono artatamente trasformati, nella propaganda razzista, in ricerche per migliorare la "razza". Gli "zingari" seppure cittadini tedeschi (o italiani) vengono rappresentati come un problema sociale. Ieri come oggi. Penso ai continui ed odierni sgomberi dei campi rom, ai fogli di via notificati a cittadini comunitari privi di stabile reddito e perciò considerati automaticamente minacciosi per l'ordine pubblico.

Concetti insidiosi come "personalità antisociale" o "predisposizione a commettere reati" sono utilizzati da sempre, senza alcun criterio, per discriminare intere fasce di popolazione. Oggi, a chi chiede la cittadinanza italiana dopo decenni di regolare residenza nel nostro Paese, viene eccepita la "contiguità a movimenti aventi scopi incompatibili con la sicurezza dello stato". Formula ambigua e discriminante visto che viene utilizzata per negare la cittadinanza a persone immuni da qualsiasi problema penale ma "colpevoli" di non essere di religione cattolica.

Oggi si deportano in Libia o si respingono in alto mare naufraghi richiedenti asilo. Si sono chiusi i lager e si sono aperti i Cie. Si vota in Parlamento, in nome della sicurezza, una norma di legge (poi fortunatamente dichiarata incostituzionale) che sancisce il divieto di matrimonio per gli stranieri irregolari (i non ariani dei giorni nostri) ed un'altra (poi mitigata da una circolare) che impedisce agli irregolari di ottenere atti dello stato civile (compresi certificati di morte e di nascita) con la conseguenza sciagurata per i genitori irregolari di non poter riconoscere i propri figli e dunque di rischiare di vederli dati in adozione a famiglie italiane.

La portata evidentemente nefasta ed abnorme di questa norma, votata dal nostro Parlamento all'interno del cosiddetto "pacchetto sicurezza" (a proposito di mistificazione delle parole!) nell'agosto del 2009, è stata successivamente contenuta grazie ad una circolare ministeriale emessa in risposta alle proteste di giuristi, assistenti sociali e della società civile cosciente e informata. Altre norme, come il divieto di accesso alle cure mediche e all'istruzione scolastica per gli stranieri irregolari, seppure già scritte, non hanno fortunatamente visto la luce solo in seguito all'accesa protesta di medici e insegnanti.

Penso al susseguirsi negli ultimi anni di insensati decreti governativi per fronteggiare un'inesistente "emergenza nomadi" (parliamo in realtà in tutta Italia attualmente di circa 60 mila persone, per metà cittadini italiani ed in massima parte minori) come fosse una "calamità naturale", legittimando sgomberi ed espulsioni.

Forse ha ragione Borzani: la storia non ci salva. Ma le storie e i testimoni narranti possono comunque aiutarci a comprendere, ricordare e scegliere.

"L'importante è un'altra cosa - diceva Basaglia -, è sapere ciò che si può fare. È quello che ho già detto mille volte: noi, nella nostra debolezza, in questa minoranza che siamo, non possiamo vincere. È il potere che vince sempre; noi possiamo al massimo convincere. Nel momento in cui convinciamo, noi vinciamo, cioè determiniamo una situazione di trasformazione difficile da recuperare".

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Di Fabrizio (del 26/02/2013 @ 09:00:40, in scuola, visitato 1666 volte)

Disegnatore di moda aiuta il progetto Romsky' Mentor
Prague, 9.2.2013 20:32, (ROMEA) Jana Baudyshovà, translated by Gwendolyn Albert

2013: Il progetto Romsky' Mentor si svolge nel centro comunitario di Pràdelna a Praga 5 per il secondo anno di fila

Il centro comunitario di Pràdelna in via Holechkova a Praga 5 sta ospitando il Romsky' Mentor per il secondo anno di fila. Il processo d'integrazione porta lo stesso nome ed ancora una volta ha la collaborazione di successo del disegnatore di moda Pavel Berky.

Si gela, ma la "casetta", come i bambini chiamano il centro, è pieno di giovani voci. Poco prima delle 15.00 Pavel arriva col "suo" gruppo. Lo schermo cinematografico nella piacevole penombra dell'attico, è riempito da sfumature colorate anni '60: vestiti a fiori, capelli lunghi, pantaloni a zampa d'elefante, segni della pace e il sorriso di Janis Joplin.

"Wow!" mi dico, guardando un gruppo di adolescenti che ascoltano attentamente le storie dei loro nonni quando erano giovani. Non hanno paura di fare domande se qualcosa li interessa e così il flusso della conversazione rotola su droga, guerre, religione, amore libero, ed anche il lato scuro dello stile di vita hippy.

Poi, la moda diventa la star dello show, ed inizia un vortice di misurare, accorciare, cucire, selezionare i tessuti e intrecciare nastri nei capelli. Quasi dimentico che sono lì col compito di scrivere sul progetto Romsky' Mentor.

Raggiungere una cosa e capirne un'altra
Il progetto internazionale si svolge contemporaneamente con successo in Bulgaria, Ungheria, Macedonia e Slovacchia. E' stato portato in Repubblica Ceca dall'Open Society Foundations (OSF) e sin dal 2011 viene sviluppato da ROMEA.  "Lo scopo principale è contribuire verso l'integrazione dei bambini svantaggiati, attuando attività ricreative nel campo delle arti e della cultura nelle scuole," dice la coordinatrice Iva Hlavàchkovà.

Uno dei punti di contatto tra il progetto e il mondo esterno è un artista romanì di successo: un professionista che regolarmente si incontra con un gruppo di bambini e, assieme ad un pedagogo, ha preparato un programma per loro, in base alla sua attenzione professionale. Come parte del programma, i bambini quindi familiarizzano con un'attività specifica e coi suoi contesti più ampi,  ma soprattutto creano e inventano loro stessi.

Oltre a sviluppare competenze, però, i bambini imparano a lavorare in gruppo e ottenere competenze sociali. Il modello positivo incarnato da una figura romanì di successo, li motiv a sviluppare le loro idee sul futuro e di sforzarsi in un percorso di carriera di successo.

Il progetto è aperto a tutti i bambini e, last but not least, contribuisce ai bambini romanì o no ad imparare la cultura altrui. Il progetto fa crescere la tolleranza e facilita l'integrazione scolastica.

Rivive la moda di tutto il secolo scorso
L'anno scorso il progetto Romsky' Mentor si è focalizzato sullo spirito tradizionale del vestire romanì, l'estetica dei suoi colori, il tipo di materiali adoperati, storia romanì, cultura e moda indiana. Quest'anno Pavel, assieme al suo collega mentore, l'insegnante Lenka Jiroudkovà, ha deciso di dedicare la sessione ad un viaggio attraverso la storia della moda nel XX secolo.

Nell'accogliente attico della "casetta", grazie agli sforzi comuni, vediamo una serie di fotografie di eleganti ragazze in attillati cappotti scuri, ombrelli che ruotano dietro le schiene, come si fosse appena usciti dagli anni '40 o '50. Vediamo punk hard-core con creste, hip-hopper con i pantaloni cascanti e dark lady gotiche con cappotti che arrivano sino a terra, più neri del nero.

Col passare del pomeriggio, il centro comunitario si muta in una versione da camera di Woodstock. Prevale tra i presenti un'atmosfera confortevole e amichevole, mentre ci si diverte creando, godendo l'amicizia, condividendo obiettivi comuni. Non ho dubitato per un momento - dopo tutto, di essere tra i figli dei fiori.

Potete trovare qualcosa di più sul progetto Romsky' Mentor sul sito di ROMEA o su Facebook. IL progetto è totalmente finanziato da Open Society Foundation, come parte del Programma Arti e Cultura di Budapest, e d anche parte del Decennio Inclusione dei Rom.

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Di Fabrizio (del 25/02/2013 @ 09:03:03, in sport, visitato 2026 volte)

immagine da gazzetta.it

Qualche giorno fa, leggevo su un sito che più serio ed affidabile non si potrebbe (Agenzia Parlamentare del 21 febbraio), questo titolo: TORINO: RICCA-SCIRETTI (LNP), UNICO MODO PER SUPERARE I CAMPI ROM E' FARLI SPARIRE

Il contesto è dato da un intervento del sindaco di Torino, volto a rilanciare la strategia cittadina su Rom e Sinti. Intervento che, a parte i plausi per il coraggio dimostrato a parlarne nel pieno della campagna elettorale, ha (ovviamente) anche risvegliato le voci di chi è contrario: da una sommaria lettura di altri siti web mi pare che i punti più criticati sono i ritardi rispetto agli impegni già presi tempo fa, oltre alla solita domanda "Con quali soldi??"

Dibattiti simili stanno fiorendo un po' in tutte le città, e anche le modalità si somigliano. Dell'opinione del capogruppo leghista, mi interessa la parte finale: FARLI SPARIRE. Mi chiedevo (linguaggio a parte) in cosa si differenziassero le sue parole dall'altro mantra che viene ripetuto dall'opposto schieramento: IL SUPERAMENTO DEI CAMPI. I campi (parlo per esperienza personale) so come sono fatti: un insieme di strutture dall'aria provvisoria ma che spesso durano decenni, abitati da gente abbastanza strana. Li si SUPERA, come si supera un semaforo, un'indicazione stradale ecc. andando oltre, oppure li si supera perché li si ignora. Come qualsiasi cosa materiale, farli SPARIRE è impossibile: puoi usare la ruspa ma il campo, beffardo, si ricrea qualche centinaio di metri più in là.

Così, magari per puro divertimento, entro in una storia trattata già tante volte e da diversi punti di vista.

  • La questione dei Rom e' un problema complesso da governare... dice il sindaco torinese.
  • Il tema dei rom è molto complesso e va affrontato nella maniera opposta... risponde l'opposizione.

Consolante, direi. Altro tema che accomuna i due interventi è l'inciviltà che regna in questi campi, che secondo l'esponente leghista è dovuta ai Rom stessi, che non vogliono (lo si intuisce dal pensierino finale) andare a lavorare, accendere un mutuo o pagare un affitto. Inciviltà che c'è anche per il sindaco, ma non si capisce di chi sia la colpa (dei Rom, del comune, della società malvagia?).

Come lettore, sono già disorientato da questo politichese, mi sembra di nuotare nella marmellata. Per il momento:

    PIERO FASSINO: 0 - FABRIZIO RICCA: 1

Sulla complessità, in effetti, l'opposizione tenta di fare pressing su tempo e soldi già passati. Ma, chiede il solito lettore, voi opposizione cos'avete fatto? E qua, ci sta un clamoroso autogol, perché disorientato dal termine, il capogruppo e la sua squadra rilanciano vecchie parole d'ordine che con la parola complessità fanno a cazzotti: far scomparire tutti i campi nomadi, rimpatriare gli zingari tramite i centri di identificazione ed espulsione e trasformare gli spazi attualmente occupati abusivamente in aree di transito, da usare come sosta temporanea previo pagamento dell'occupazione del suolo pubblico.

    PIERO FASSINO: 1 - FABRIZIO RICCA: 1

Può sembrarvi generoso il punto a Fassino (che di suo ci ha messo poco), ma parliamo di complessità e di saper governare (non di noccioline del Piemonte!):

  • quanti "zingari" finirebbero nei CIE? Per quanto tempo? Rimpatriati quando?
  • domanda ingenua: i CIE funzionano? A cosa servono?
  • campi sosta a pagamento? Chi mi da la garanzia che i sostanti possano pagare? Se non hanno soldi e continuano a vagare, cosa cambia rispetto a oggi?

Lasciamo perdere (ahi che guaio la complessità!) che ci sono "zingari" italiani, stranieri comunitari, stranieri extracomunitari. Lasciamo anche perdere che i CIE altro non sono che posti dove i diritti sono meno rispettati che nelle prigioni (non sto facendo il solito estremista, sto leggendo Wikipedia). La domanda, piatta-piatta, è: sinora i CIE hanno influito sull'afflusso di migranti irregolari (o di migranti che hanno perso i titoli legali di restare in Italia), oppure questi arrivi sono proseguiti (aumentati addirittura)?

Il più grande deterrente all'arrivo di migranti (regolari o meno), non sono i CIE, non sono neanche i nipotini di Borghezio. Gli arrivi in Italia stanno diminuendo, per il solo motivo che qua non ci sono più soldi, e visto che i migranti (tra cui i Rom) non sono stupidi, se possono cercano altre mete. Quanti tra loro continuano il gioco eterno di rimpatrio-ritorno, sono quelli che sono stati espulsi nonostante avessero qua una famiglia, un lavoro, qualsiasi interesse, che fosse o meno riconosciuto dalla legge. Insomma, sto dicendo, finché non risolveremo il problema NOSTRO della crisi, è fuorviante prendersela con i Rom. A meno che, non si voglia iniziare da loro per prendersela in futuro con gli altri stranieri (FALLO DA AMMONIZIONE).

Il fallo da ammonizione suscita (al solito) vivaci contestazioni dalla panchina. Volendo (anche se non capisco come) si potrebbe rimpatriare TUTTI GLI ZINGARI, italiani o meno, in India da dove sono arrivati qualche vagonata di secoli fa. Ricca, ad esempio, è un cognome diffuso nell'imperiese ma che è originario della Sicilia, non è che in caso di secessione nordista (sempre di fantapolitica si parla), sarebbe rimpatriato anche il capogruppo leghista?

    PER DIRLA CHIARA: se volevate chiudere le frontiere (o crearne di nuove), ne avete avuto tutto il tempo. Non ne siete stati capaci (meglio così, ma resti tra noi...)? Come succede in qualsiasi paese civile (e anche in quelli incivili), fatevene una ragione. E date tempo e risorse a chi è arrivato qui QUANDO ERAVATE ANCHE VOI AL GOVERNO, per sistemarsi e organizzarsi, perché adesso il problema è questo e l'avete creato voi.

A parte ciò, sinora FAR SPARIRE un campo ha significato solo spostarlo di poco, un po' come nascondere la polvere sotto il tappeto. I rimpatri, sono un gioco simile, soltanto giocato su grande scala: i Rom vengono "deportati" in paesi che non li vogliono, e che faranno di tutto a spingerli ad emigrare nuovamente, Un eterno ping-pong. Sono quegli stessi paesi dove da un lato investiamo per ridurre i costi della manodopera nostrana (ahi la crisi!), e dove rimandiamo gente disinteressandoci di cosa succede loro dopo. E così, ritornano.

Dimenticavo, a proposito dell'autogol di prima: il capogruppo Lega Nord provi a spiegare cosa deve fare un Rom per andare a lavorare, accendere un mutuo o pagare un affitto, visto che, anche se fosse italiano, gli viene risposto PRIMA NOI.

FINE PRIMO TEMPO

SUPERAMENTO: sentite com'è un termine più civile ed elegante? Fassino e tutta la sua squadra giocano sicuramente un calcio più signorile, ma "semanticamente" mi sfugge la differenza. E' un difetto molto italiano: ad un certo punto qualcuno scopre una parola fortunata, che altri riempiono di una serie di concetti tutti da dimostrare e valutare, dimenticando vincoli molto pratici come soldi e tempi... e talvolta persino l'avversario!

Si è partiti il giugno scorso con il piano del ministro Riccardi. Da allora, e non solo a Torino, ho letto un susseguirsi di buone intenzioni, con pochissimi fatti. Perché, se la politica del "chiudere e mandare via" ha i suoi costi (nonostante le semplificazioni leghiste), che vengono ripagati solo in chiave ideologica (avremo comunque nuovi arrivi e ritorni: l'inefficacia del risultato crea nuovi bersagli), anche per superare i campi occorrono fondi e investimenti. Che, guarda caso, non si trovano, sono bloccati, qualcuno li ha usati per altro... C'è addirittura chi non si è posto il problema!

Il discorso, se ascoltiamo anche la controparte che si oppone, è: LI VOGLIAMO O NO? Perché se non li vogliamo questi "zingari", allora a cosa serve investire in casa, lavoro, sanità ecc? Magari salterà fuori qualche spicciolo che farà gola a qualcuno, e si inizierà timidamente a fare qualcosa, per bloccarsi alla prima difficoltà. E, se non li vogliamo, cosa ne facciamo? ATTENTI, se non sappiamo che farne di questi zingaracci, c'è l'altra squadra pronta a segnare in contropiede.

Il secondo ragionamento è: chi è il soggetto che attua il SUPERAMENTO? Per essere chiari: chi gioca nella formazione di capitan Fassino? Al momento, posso solo intuirlo: mediatori culturali (mi sa che sono i soliti), associazionismo dal bel nome (mi sa che sono i soliti), imprese e cooperative che qualche lavoretto - anche in tempo di crisi - lo chiedono (mi sa... ops, l'ho già detto). Schierata sul campo di gioco, vedo la stessa formazione che sino a qualche anno fa sui campi ci ha marciato alla grande (grandi insuccessi, intendo). Come sempre in panchina Rom e Sinti.

No, non parlo di qualche Rom e Sinto autoproclamatosi rappresentante di tutta la galassia, parlo di quella massa che in quelle COSE SCHIFOSE CHE VORREMMO (forse) SUPERARE ci vive, che lo voglia oppure no. Vedete, se superiamo i campi con le stesse precondizioni con cui li abbiamo ideati, cioè limitandoci a sentire gli autoproclamati ESPERTI e consorterie, non saremo (ancora!) in grado di superare la marginalità creata da questi campi. Perché chi ci vive o chi lo lascia, viene trattato come un bravo giocatore, anche indispensabile, ma da tenere in panchina.

Inoltre i campi, che piacciano o no, ci sono ancora. Ma il messaggio che le tutte le amministrazioni (destra e sinistra) si sono trasmesse sottotraccia è che non ci sono più i soldi per il loro mantenimento (manutenzione elettrica e idraulica, sgombero delle fogne, supporto sanitario e scolastico), Così il paradosso è che mentre si parla (si parla, ricordatelo: non che nei fatti sia cambiato nulla) del loro superamento, anche il campo, anche quello regolare, diventa sempre più invivibile, difficile e oneroso da gestire. Chi vi abita, che sino a qualche anno fa aveva speranza e capacità per alzarsi dalla panchina, in questa situazione ha sempre più problemi, URGENTI QUOTIDIANI BASILARI, e di giocare non ci pensa, perché TUTTO GLI SEMBRA LONTANO E ASTRATTO.

    UNA PARTITA GIOCATA SENZA DI LUI.

Qui termina la telecronaca. 1-1, secondo me. Se avessi dimenticato qualche bel momento di gioco, fatemelo sapere. GRAZIE, PER IL MOMENTO E' TUTTO DAL VOSTRO SANDRO CIOTTI.

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Di Fabrizio (del 24/02/2013 @ 09:01:48, in musica e parole, visitato 1477 volte)

CONSERVATORIO DI MILANO-SALA VERDI: Via Conservatorio, 12 Milano
Domenica 3 marzo 2013. h. 16.30

Nella splendida cornice della Sala Verdi del Conservatorio di Milano, Claudio Bisio, insieme a un ensemble urbano-sinfonico-multiculturale e ai colori di bellissimi acquarelli, ci racconta le avventure di Pierino, di un bruco e di come, insieme, diventano farfalla contro la prepotenza e contro ogni forma di pregiudizio e di solitudine.

Una prima esecuzione, un evento unico, organizzato in collaborazione con il Conservatorio di Milano e i cui proventi saranno devoluti alla ONLUS Soleterre, organizzazione umanitaria che da 10 anni si occupa di diritti umani, con una particolare attenzione a bambini e ragazzi.

Pierino e il bruco è una storia contro il bullismo che valorizza la ricchezza della diversità, in tutte le sue forme. Una storia per grandi e piccini. Una storia in cui, chi ha trascorso del tempo guardando le nuvole, non può non ritrovare anche se stesso nelle vicende del nostro protagonista.

L'autore delle musiche è Stefano Corradi, il cui percorso artistico va dalla musica classica al jazz con un grande amore per la "musica del mondo". Questa varietà è il frutto di intense collaborazioni con diversi gruppi multiculturali come la StageOrchestra di Moni Ovadia, l'Orchestra di Via Padova e la Bantu Band, collaborazioni di cui ha voluto portare testimonianza nello spettacolo di Pierino e il bruco coinvolgendone alcuni musicisti.

Sul palcoscenico ci saranno quindi artisti di diverse provenienze, sia culturali che geografiche. I grandi solisti jazz Tino Tracanna, Giovanni Falzone e Bebo Ferra affiancati dal fisarmonicista rom Albert Mihai, dagli studenti del Conservatorio fino al percussionista ivoriano Pegas Ekamba, formeranno un'orchestra di circa 30 musicisti che accompagneranno Pierino in un viaggio variegato ed emozionante, dove sono i piccoli gesti a costruire le singole esistenze e salvare il mondo.

La storia è stata scritta da Laura Rossi, la cui esperienza attinge al mondo del teatro e dei ragazzi. E' passata per il Piccolo Teatro di Milano, frequentando l"Officina degli scrittori" e il Masterclass diretto da Luca Ronconi, per il teatro Franco Parenti e la StageOrchestra di Moni Ovadia come assistente alla regia. Ha condotto per diversi anni laboratori teatrali per studenti delle scuole medie e superiori. E' autrice del libro "L'identità e la maschera", un confronto tra le figure femminili in Ibsen e Pirandello.

I "colori" delle musiche sono anche i colori delle scenografie, realizzati da Jacopo Ziliotto, illustratore, visualizer, autore di fumetti, creativo.

Apertura porte h. 15,30
Inizio spettacolo h.16,30

Biglietto: 15,00 euro intero; 10,00 euro ridotto per ragazzi fino a 16 anni.
Prevendite, dal 12/2/2013 on-line su: VivaTicket

CONSERVATORIO DI MILANO-SALA VERDI: Via Conservatorio, 12 Milano
Per Informazioni e prenotazioni:
lun-ven h 13,00 – 14,00 / sabato 10,00-13,00 - tel 3343149628
E-mail : info@lagrandejatte.it

www.pierinoeilbruco.it
www.soleterre.org/it/

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Di Sucar Drom (del 23/02/2013 @ 09:04:43, in Italia, visitato 1328 volte)

U Velto (foto da La Gazzetta di Mantova)

Respingo le accuse strumentali dell'assessore provinciale Elena Magri e la invito a leggersi le relazioni inviate annualmente. Per l'annualità 2012 è stato chiesto all'associazione Sucar Drom di prolungare l'annualità 2012 fino al mese di febbraio 2013, noi eravamo contrari perchè tale scelta ci ha esposto finanziariamente in maniera evidente per mantenere i servizi richiesti dai territori. Nel mese di marzo sarà inviata la rendicontazione. Inoltre, sottolineo che non è mai giunta all'associazione, dall'Assessore Elena Magri, nessuna richiesta di spiegare come è condotta la mediazione culturale. Ricordo però all'assessore che la stessa Provincia di Mantova ha pubblicato il libro “la mediazione culturale: una scelta, un diritto” dove è spiegato come l'associazione conduce la mediazione culturale.

Ritengo scorretto spostare l'attenzione pubblica su qualcosa di inesistente per coprire la propria ostilità all'unica proposta seria e concreta su come offrire un habitat diverso da un ghetto a famiglie mantovane.

L'assessore Elena Magri non è riuscita a formulare in due anni una proposta: ne per la chiusura del cosiddetto “campo nomadi”, ne per implementare la scolarizzazione, ne per tutelare le culture sinte e rom e neppure per aiutare le famiglie sul tema fondamentale del lavoro. Dopo un primo incontro con le donne sinte l'assessore è sparita, ma può incontrare le mantovane e i mantovani appartenenti alle minoranze linguistiche sinte e rom, quando vuole. Certo, c'è almeno da convocare le persone e quindi un piccolo sforzo è da fare; come quello di mandare una comunicazione ufficiale della avvenuta stipula di un protocollo d'intesa agli Uffici competenti ed è ridicolo pensare che l'Ente Provincia di Mantova non sia in grado di mandare una semplice comunicazione. Io penso che non l'abbia voluto fare.

Al contrario l'unica proposta che ho sentito dall'Assessore Magri è quella di non chiudere il cosiddetto “campo nomadi”. Proposta fatta al Tavolo “Men Sinti” alla presenza di tutti i partner che si sono guardati negli occhi stupiti e scioccati perchè eravamo in procinto di firmare il protocollo d'intesa con l'obiettivo di smantellare l'area di viale Learco Guerra. Ogni commento è superfluo.

L'assessore Elena Magri spieghi ai mantovani, in particolare ai sinti, cosa intende fare sui temi della scuola, dell'abitare, del lavoro, della cultura, ma lasci all'associazione Sucar Drom il diritto di indire manifestazioni dove e come lo ritiene opportuno nel rispetto della legge. Io non ricatto nessuno e quindi respingo al mittente tale accusa. L'associazione Sucar Drom ha fatto in questi anni decine di manifestazioni per mettere in evidenza le mancanze di Assessori di tutti i colori politici, ma per l'assessore Elena Magri il dissenso verso le sue mancanze sono da bollare come ricatti. La stessa identica tesi ideologica delle frange più xenofobe mantovane.

L'associazione Sucar Drom non svolge solo attività di mediazione culturale, ma svolge anche un ruolo politico. Questo ruolo lo rivendico con forza e decisione perchè è chiaro a tutti che senza tale ruolo la situazione a Mantova non sarebbe diversa da quella di altre città lombarde. E' chiaro che anche dentro alla sinistra i bisogni espressi dai cittadini italiani, appartenenti alle minoranze sinte e rom, non sono bisogni legittimi. Gli stereotipi e i pregiudizi che pervadono la società italiana non vedono le persone che si professano di sinistra immuni. A peggiorare le cose c'è un'idea che le questioni debbano essere affrontate sull'onda delle emozioni e poi abbandonate al loro destino. Il lavoro quotidiano di condivisione e di cammino anche nei momenti più difficili è un concetto che non appartiene a molti perchè è più semplice fare il solito progettino dove le questioni sono affrontate in maniera superficiale. Io le affronto in tutta la loro complessità con passione e serietà e non solo un pomeriggio alla settimana per un paio di mesi. Se non fosse così l'associazione che ho formato, insieme a tanti altri mantovani appartenenti alla minoranza sinta, non avrebbe la credibilità che invece ha a Mantova e non solo.

di Carlo Berini, vice presidente dell'associazione Sucar Drom

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Di Sucar Drom (del 23/02/2013 @ 09:00:38, in Europa, visitato 1308 volte)
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