Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 31/01/2012 @ 09:32:46, in musica e parole, visitato 3214 volte)

per principianti e di perfezionamento
La nuova sede dei CORSI DI FISARMONICA del maestro Jovica Jovic
"SUONI SONORI", via Curtatone 12, Milano (MM3 Porta Romana/Crocetta)

Il metodo di apprendimento è "a orecchio", l'insegnamento consiste in un approccio diretto allo strumento, che non prevede la lettura dello spartito, né il solfeggio: la conoscenza dei bottoni e l'apprendimento delle melodie avvengono gradualmente e direttamente sullo strumento. Questo percorso permette di godere fin dai primi passi del magnifico suono della fisa. Gli elementi armonici e ritmici vengono acquisiti man mano che la pratica avanza, raggiungendo traguardi sempre più ambiziosi e soddisfacenti.

Per informazioni scrivete QUI, e ci metteremo in contatto con voi!

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Di Fabrizio (del 31/01/2012 @ 09:05:39, in lavoro, visitato 1548 volte)

Da Bulgarian_Roma

FOCUS Information Agency (Picture: FOCUS News Agency)

Sofia, 23/01/2012 - Il 23% della forza lavoro è di origine rom, secondo i dati della Banca Mondiale. Siamo fortemente convinti che sia economicamente intelligente investire nell'istruzione e inclusione dei Rom, ha detto Philippe le Houérou, vice presidente della Banca Mondiale per Europa ed Asia Centrale, durante una conferenza a Sofia sull'integrazione rom, è quanto riporta FOCUS News Agency.

Si è congratulato con il governo bulgaro per la sua strategia nazionale. L'ha descritta come un segnale di impegno molto forte.

L'ambasciatore danese Kaare Janson ha detto che la questione dell'integrazione rom è importante tanto per la Bulgaria che per l'Europa.

La Bulgari potrebbe essere un esempio con i suoi cambiamenti, ha detto l'ambasciatore, aggiungendo che molti paesi non hanno ancora elaborato strumenti per l'integrazione dei Rom.

Veselina YORDANOVA


Da Bulgarian_Rom

Radio Bulgaria C'è discriminazione nel mercato del lavoro bulgaro? Author: Milka Dimitrova

Sono tutti Bulgari in cerca di un lavoro, con pari opportunità? Una ricerca dell'Open Society Institute risponde alla domanda, in qualità di partner di Eguaglianza come un Passo del Progetto di Progresso. Gli altri partecipanti all'iniziativa sono il ministero del lavoro e delle politiche sociali e la commissione per la protezione contro le discriminazioni.

18/01/2012 - Il sondaggio è stato condotto su un campione di 1.200 persone in tutto il paese. Sono poi state intervistate altri 400 di altre etnie e 400 portatori di disabilità, dice la direttrice di programma Maria Metodieva. La ricerca si occupa di atteggiamento e opportunità di carriera, in base a 5 criteri: età, disabilità fisiche, etnia, religione e preferenze sessuali.

"Le conclusioni del sondaggio sono le seguenti: l'esistenza di disabilità fisiche è la ragione principale di limitate opportunità di carriera, seguite da età ed etnia. Circa 2/3 dei Rom ed il 28% delle persone con disabilità dicono di essere stati respinti in quanto candidati ad un impiego. I giovani, tra i 18 ed i 23 anni ed i Bulgari, tra i 46 e 60 anni, sono il gruppo più colpito nel mercato del lavoro. Un intervistato su quattro di questo gruppo ha ammesso di aver sperimentato personalmente un'attitudine negativa da parte della società o dei datori di lavoro, proprio a causa dell'età. Ci sono cioè delle differenze sociali nel mercato del lavoro e questo è abbastanza normale."

Ai giovani spesso vengono offerti lavori senza contratto formale, continua Maria Metodieva. Lo conferma circa il 37,5 degli intervistati. Anche chi ha più di 45 anni, o è in procinto di andare in pensione, ha difficoltà nel trovare un lavoro. Oltre il 36% dice che le donne hanno più difficoltà degli uomini nell'ottenere determinate posizioni. Anche l'etnia gioca un ruolo nei negoziati di lavoro. Circa il 60% dei Rom dice di essere stati rifiutati come candidati per un lavoro, a causa della loro etnia. Quanti hanno contratti di lavoro sono soprattutto i bulgari, seguiti dai turchi di Bulgaria, mentre appena il 54% dei Rom può "usufruire" di contratti simili.

Tuttavia, il sondaggio mostra che l'istruzione è il principale discrimine. Migliore è l'istruzione, maggiore il livello di impiego, sicurezza sociale e stipendio.

"La nostra ricerca mostra che il livello d'impiego di chi ha un livello d'istruzione basso o primario, è di appena il 16%. Solo il 23% di chi ha un'istruzione basica ha un impiego. Contemporaneamente lavora quasi il 70% di chi ha una laurea. Quindi, le politiche per la riduzione delle differenze sociali nell'assunzione, dovrebbero essere finalizzate ad un investimento per un'istruzione migliore, sulle base delle esigenze delle imprese e delle compagnie private."

Anche una sessualità non tradizionale influenza il processo della ricerca di un lavoro. Oltre il 40% degli intervistati pensa che un orientamento sessuale non tradizionale sia un ostacolo nella competizione dentro il mercato lavorale, in quanto i datori di lavoro non si fidano di questi candidati. Alla domanda "Quale persona non assumereste mai?" il 32% risponde "un Rom", oltre il 25% non assumerebbe omosessuali, quasi il 18% rifiuterebbe le donne in gravidanza e l'11% non prenderebbe persone con disabilità.

English version: Zhivko Stanchev

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Di Fabrizio (del 30/01/2012 @ 09:21:21, in Kumpanija, visitato 2801 volte)

Non è una bella parola in lingua romanì: significa divoramento, smembramento; e qualcuno preferisce la parola "Samudaripen", genocidio, senza dubbio più oggettiva, ma anche meno carica di significati simbolici.

Se la prima si intende come una specie di stupro collettivo, la seconda credo che sia posteriore ai fatti narrati: insomma le elites intellettuali romanì hanno dovuto adattare-inventare un termine per descrivere qualcosa che i Rom e i Sinti "normali" non erano in grado di concepire, come somma di violenza e di cui neanche comprendevano la ragione.

Non sono in grado di fare statistiche approfondite, ma almeno in Italia quasi ogni famiglia ha avuto un parente internato o ucciso e per molti anni non se ne fece cenno: da una parte per le reticenze e l'ignoranza della storiografia ufficiale, dall'altro per la vergogna (molto privata) con cui le famiglie conservavano quella memoria.

Furono i Sinti tedeschi che verso la metà degli anni '70 iniziarono a far luce su un sistema di annientamento fisico e morale, organizzato in maniera scientifica e massiva.

Però non basta che una notizia sia conosciuta, non basta parlarne (magari per una settimana), perché resti qualcosa anche il resto dell'anno. Ma stavolta non intendo tornare sulle ragioni storico-politiche di un dopoguerra che non passa, visto che è un argomento che qui viene trattato sino alla nausea.

Torno al divoramento e a tutti i simboli connessi. Al vuoto che è rimasto dopo e all'incapacità dei nostri sistemi democratici di costruire una società inclusiva. Un vuoto che da una parte è stato riempito di vergogna e pudore, dall'altra la società maggioritaria (quella degli inclusi) ha imparato a convivere con i propri buchi neri della memoria.

Abbiamo anche noi la nostra vergogna: quella di scoprire il filo che lega la storia di 70 anni fa, con gli sgomberi e i piccoli e grandi razzismi quotidiani. Come in tempo di guerra, c'è chi vede le discriminazioni attuali e preferisce il silenzio, perché nonostante la nostra presunta evoluzione da allora, abbiamo sempre paura di essere additati come irriconoscenti a questo sistema che non ci ha permesso di evolvere, ma al limite di arricchirci. E nel contempo, ci consente di avere un capro espiatorio su cui sfogare i nostri corto circuiti.

Il vuoto, nuovamente, crea e si nutre del DIVERSO. E la paura fa chiudere gli occhi. L'importante è non doverlo ammettere, perché la nostra sicurezza potrebbe collassare come un castello di carte.

Succede allora che la marea di notizie che ci circondano, la scoperta che il Porrajmos è effettivamente avvenuto (nel nostro caso), perde la sua oggettività, e le notizie diventano come pedine di una partita a scacchi. Senza la conoscenza dell'ALTRO, il Porrajmos viene ridotto ad una disputa, dove pari sono chi lo ricorda e chi lo nega.

Non mi sorprende che allora ci sia qualcuno che in questo mercato delle notizie, dove gira di tutto a grande velocità e in centinaia di piazze mediatiche, per [noia, insicurezza, voyerismo ecc.] alzi ancora di più la voce, credendosi dissacratorio ed abbassandosi a fare l'ultra negazionista: il troll della situazione o il Borghezio in brufoli e pantaloni corti.

Anche lui è figlio del divoramento, deve riempire il suo vuoto, inventandosi una propria superiorità. Sognandosi una guerra personale da cui poter uscire vincitore.

Per lui, ho rubato queste considerazioni finali:

La guerra che verrà
non è la prima. Prima
ci sono state altre guerre.
Alla fine dell’ultima
c’erano vincitori e vinti.
Fra i vinti la povera gente
faceva la fame. Fra i vincitori
faceva la fame la povera gente
egualmente.
Bertold Brecht

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Di Fabrizio (del 30/01/2012 @ 09:09:33, in casa, visitato 1565 volte)

Da Roma_Francais

france3.fr Val-de Marne: una casa per i Rom - Par Christian MEYZE/AFP

La città di Orly ed il dipartimento Val-de-Marne provano a sedentarizzare i Rom

Integrare e sedentarizzare invece di espellere: il dipartimento Val-de-Marne finanzia a Orly case prefabbricate per 17 famiglie rom, su un terreno prestato dalla città.

65 Rom sono stati selezionati tra i 150 abitanti delle bidonville insalubri di Orly e Villeneuve-le-Roi, secondo un criterio di anzianità. Nel contempo le famiglie si sono impegnate a scolarizzare i loro bambini, 34 in tutto, e dovranno mostrare la volontà d'inserirsi rapidamente.  I Rom coinvolti dovranno trovare un lavoro entro 3 anni ed ottenere la loro autonomia.

I padiglioni, cubi in legno di 50 mq, sono stati installati manualmente dalle stesse famiglie rom, chi più e chi meno direttamente coinvolte.

A cantiere terminato, l'associazione che gestisce il progetto, Habitat et Soins, può dedicarsi alla fase "integrazione": ottenimento del titolo di soggiorno e del permesso di lavoro, corsi di francese, formazione professionale per adulti, accompagnamento all'impiego, un'altra sfida!

Ma in una città che conta il 60% di alloggi sociali, c'è chi s'è irritato per il cosiddetto "regalo" fatto ai Rom: 1,4 milioni di euro per la costruzione e 400.000 euro annuali per l'accompagnamento sociale.

La maggior parte dei costi sono a carico del Consiglio Generale, oltre ad una sovvenzione della regione Ile-de-France (PS) ed una richiesta a livello europeo. Un impegno pesante per il dipartimento, che ora si dice aperto alle iniziative della collettività.

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Di Fabrizio (del 29/01/2012 @ 08:58:06, in musica e parole, visitato 2539 volte)

Segnalazione di Alberto Maria Melis

...I Rom caramizari erano produttori di mattoni, oggi rincorrono la sopravvivenza tra i cassonetti delle nostre città...
Forzatamente apolidi, rincorrono il loro sogno: una casa in Romania. "Tutto quello che trovo nei secchioni lo lavo, lo sistemo e poi lo vendo. In Italia ci andrei solo in vacanza se qui avessi un lavoro" afferma la sedicenne Nicoletta, commerciante da due anni e madre da uno...
Un'etnografia che è il coronamento della fanciullesca curiosità dell'autrice, oltre che della sua carriera universitaria. Partendo insieme ad una famiglia tzigana dal campo nomadi di via della Magliana (Roma), è arrivata a Tintareni, piccolo villaggio rurale della Romania meridionale. Ha vissuto a Judetul Gorj, la via degli zingari, presso casa di Felicia. Molteplici le tematiche che il suo viaggio ha sollevato: le migrazioni, il complesso e transnazionale sistema economico, il matrimonio e tante usanze e tradizioni che tenacemente dimostrano la creatività e la resistenza del locale nel globale.



Mirinda Ashley Karshan.
Nata a Utica (New York) il 5 ottobre 1986, si è laureata nel 2010 in Sociologia (indirizzo antropologico). Da sempre appassionata di cultura tzigana, attualmente studia e lavora a Roma.

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Di Fabrizio (del 28/01/2012 @ 09:49:07, in Europa, visitato 2139 volte)

Da Roma_Benelux

L'IEEI ha tentato, non senza difficoltà, di suscitare un dialogo tra esperti e pubblico del Lussemburgo sulla questione delle politiche europee e dei Rom
Migrazioni ed asilo - Diritti fondamentali, lotta contro le discriminazioni - Giustizia, libertà, sicurezza ed immigrazione

04-10-2011 - L'Institut d'Etudes Européennes et Internationales du Luxembourg (IEEI) ha organizzato lunedì 3 e martedì 4 ottobre 2011, in cooperazione col professore Jean-Pierre Liégeois, consulente del Consiglio d'Europa, una riunione internazionale su "Le politiche europee ed i Rom - dal fallimento al possibile adeguamento, una valutazione critica di contenuti, logiche e finalità delle politiche messe in campo per i Rom a livello europeo".

L'idea era di partire dal periodo attuale, contrassegnato da un contesto più difficile che mai per i Rom, "ma anche per l'indecisione degli stati e delle organizzazioni internazionali, che porta a politiche incerte e spesso inadeguate," come dice l'IEEI. Inoltre, l'IEEI ha constatato che "i Rom si trovano al cuore delle questioni geopolitiche odierne, sia per il posto che occupano che come minoranza transnazionale," e che ciò "rende il loro esempio paradigmatico" trattandosi di "un buon rilevamento dei funzionamenti e disfunzionamenti istituzionali" in un periodo di grandi cambiamenti.

Una tavola rotonda destinata ad un vasto pubblico ha avuto luogo la sera del 4 ottobre nella Salle Tavenas dell'Università del Lussemburgo, con interventi dei relatori: Thomas Acton, Andras Biro, Claude Cahn, Angéla Kóczé, ed il professor Liégeois nei panni di moderatore. Il grande pubblico era assente, al suo posto, attenti funzionari ed esperti hanno seguito la discussione con interesse.

Thomas Acton, lo storico

Lo storico britannico Thomas Acton ha sostenuto che non si può comprendere i Rom se non cerchiamo di capire la loro storia, particolarmente "ciò che è successo nel XVI secolo". O, come ha poi constatato, la storia dei Rom è stata soprattutto l'opera dei "gagé", cioè dei non-Rom. Il razzismo scientifico e l'antropologia sociale hanno dominato la storiografia fino agli anni '60, al punto che i nazisti tedeschi cheavevano partecipato allo sterminio dei Rom durante la II guerra mondiale, hanno ancora trovato in quegli anni delle riviste scientifiche britanniche per pubblicare i loro articoli sul "gene zigano".

Le cose hanno iniziato a cambiare dagli anni '80, quando si è cominciato a capire con quale movimento migratorio i Rom sono arrivati in Occidente provenendo dall'India, "un approccio non razzista, ma nemmeno antirazzista" secondo Thomas Acton. La sua teoria è che sarebbero venuti tra il VII e l'VIII secolo al seguito delle armate mercenarie verso l'Anatolia, che a quel tempo faceva parte dell'impero bizantino, armate in cui la lingua del comando era il romanes, simile alle lingue dell'India settentrionale.

Per Thomas Acton, i Rom avrebbero subito l'esclusione razziale in Anatolia, ed i primi stereotipi sugli "zigani" sono nati a Costantinopoli. La sconfitta dell'Armenia nel 1375 sotto la spinta dei mamelucchi avrebbe portato a dei genocidi e sarebbe stato il primo fattore della migrazione dei Rom verso Occidente. In Europa, il XVI secolo sarebbe stato fatale per i Rom, a causa della fine della legittimità religiosa degli stati e la formazione degli stati-nazione, che per Thomas Acton "si definiscono tramite il genocidio delle minoranze".

In tutta Europa, i Rom hanno avuto una posizione di sopravvissuti senza parola, di status mal definito, spesso esclusi quando non asserviti. Con l'industrializzazione, arriva il genocidio della II guerra mondiale che ha decimato la popolazione rom in Europa, un genocidio che non è, secondo Thomas Acton, unico dei nazisti tedeschi, ma di tutti gli Europei che in anticipo ne erano stati complici. Infine, il dopoguerra vede "la fine di un quietismo dei Rom", e l'emergere di movimenti antirazzisti in Europa, anche una politica a favore dei Rom inizia a prendere forma.

Claude Cahn, l'avvocato

Claude Cahn ha affrontato la questione di come la Corte europea dei diritti dell'uomo (CEDU) presso il Consiglio d'Europa a Strasburgo ha trattato i casi legati ai Rom. "Ha iniziato ad occuparsi dei Rom soltanto una decina d'anni fa," afferma. E questo è legato "all'allargamento del Consiglio d'Europa verso l'Europa orientale". Inizialmente, le questioni legate ai problemi che i "viaggianti" delle isole britanniche incontravano con le autorità del Regno Unito "hanno confuso" la CEDU, che secondo Cahn tendeva ad assimilare i casi legati ai Rom a delle "complicazioni sociali".

Ma dal 2004, emerge una nuova giurisprudenza sui temi di proprietà, di espulsione, di maltrattamenti e persino di omicidi nei luoghi di detenzione. Casi simili riguardano il Regno Unito, la Bulgaria, l'Armenia, la Russia, l'Italia ed il Belgio. La discriminazione contro i Rom non emerge che dopo il 2004 nella giurisprudenza della CEDU, all'inizio grazie ad una minoranza di giudici. Come conseguenza, la giurisprudenza ha iniziato a "non progettare più l'immagine di un'Europa senza tensioni",  pensa Cahn. Sono state giudicate la Grecia, la Croazia, la Repubblica Ceca, e la Spagna su una questione non menzionata da Cahn, della pensione di reversibilità non riconosciuta ad una vedova sposata con rito tradizionale gitano. Un altro caso è il processo intentato dalle minoranze ebraiche e rom di Bosnia Erzegovina, perché solo Bosniaci, Croati o Serbi potevano accedere alla presidenza di questo paese multietnico.

Angéla Kóczé, la sociologa

La sociologa Angéla Kóczé ha provocato immediatamente dubbi e sorprese nel pubblico, con la sua affermazione che non ci sono Rom in Lussemburgo, quando dal 2010 migliaia di persone provenienti dalla minoranza rom in Serbia e Montenegro hanno fatto domanda d'asilo in Lussemburgo, mettendo il paese in una difficile situazione.

Per lei, "il movimento eugenetico", è così che lei qualifica il genocidio dei Rom, "della II guerra mondiale ha radici profonde nella società". Attualmente, i Rom soffrono di "discriminazioni intersezionali" - genere, classe sociale, etnia, che si mostrano nell'accesso all'istruzione, all'impiego, all'alloggio ed alla sanità. Le donne sono particolarmente colpite. Ad esempio, in Ungheria, le donne rom hanno un tasso di analfabetismo 8 volte superiore a quello delle donne della società maggioritaria. Devono lasciare la scuola troppo presto a causa dei matrimoni precoci, solo il 3% di loro vanno alle superiori, contro l'84% delle altre ungheresi.

Eppure, pensa Angéla Kóczé, le donne hanno un ruolo cruciale nella famiglia ed un grande potenziale dentro la loro comunità, da quando lo stato socialista è caduto nel 1989. Ciò che le blocca sono i pregiudizi nei loro confronti - indovine e cartomanti, donne fortemente sessualizzate - propri del'"immaginario europeo".

Andras Biro, il giornalista

Andras Biro, in quanto giornalista, ha affrontato con le sue parole la questione "più in maniera informativa che analitica". Secondeo lui i Rom costituiscono un'importante minoranza ad altissima crescita demografica. Il socialismo ha influito tra il 1945 e il 1989 sulla loro vita quotidiana, perché quel regime secondo lui aveva bisogno della loro mano d'opera manuale e "sono stati obbligati ad entrare nel settore produttivo". Quindi hanno trovato impiego il 60% degli uomini e il 40% delle donne. Questo fu "uno choc culturale" per coloro che prima della guerra erano nei "servizi". Andras Biro ha sottolineato il fatto che erano trattati come tutti gli altri cittadini e hanno potuto beneficiare di reddito, servizi sociali ed accesso all'istruzione. "Questa acculturazione alla società maggioritaria è qualcosa di unico nella storia," crede Biro.

Ma con la caduta del socialismo e l'arrivo dell'economia di mercato, "i Rom sono stati licenziati e marginalizzati". Questi li ha spessi resi nostalgici dei tempi del socialismo, che per loro era più sicuro. Non è intervenuto alcun cambiamento positivo, l'esclusione s'è amplificata e secondo lui le cose sono peggiorate ancora col governo di Viktor Orban e la proliferazione delle milizie neonaziste o del partito Jobbik.

A livello europeo, secondo Biro conviene fare una distinzione tra ciò che succede ai Rom ad Est e all'Ovest d'Europa. Nell'Est in nessun caso sono in grado di apparire come attori e cittadini autonomi, con un proprio quadro culturale, causa la mancanza di risorse. Il denaro dei donatori e delle fondazioni è distribuito secondo principi burocratici che favoriscono chi già è in grado di affrontare [la situazione], cioè le OnG ed i leader autonominati che catturano i rari fondi a disposizione.

Esperti che eludono i problemi reali, un pubblico in attesa di risposte

Durante la discussione con un pubblico informato ed interessato - erano presenti dirigenti di diverse amministrazioni competenti in materia d'immigrazione, d'integrazione ed aiuto sociale - che voleva beneficiare dell'esperienza degli intervenuti, sono venuti alla luce i disaccordi tra di loro e la loro difficoltà a comprendere le domande che l'arrivo dei Rom in Lussemburgo poneva alla società lussemburghese.

Claude Cahn non è d'accordo con la tesi di Andras Biro sulla differenza di trattamento tra i Rom dell'Est e dell'Ovest Europa. Secondo lui, in occidente forse è peggio, ed ha fatto allusione agli incidenti in Francia (diritto di voto), in Italia (espulsioni) ed in Germania (Rom del Kosovo in stato di detenzione o appena tollerati), ed ha auspicato "un forte impulso centrale da parte della UE" ed un intervento della società civile.

Thomas Acton è dell'avviso che l'intervento delle autorità pubbliche debba essere guidato dalla società civile.

Andras Biro, più vicino ai fatti, ha spiegato che la migrazione attuale dei Rom "non è caduta dal cielo", ma è dovuta alla crisi, alle minacce subite, alla marginalizzazione e alle bidonville, tutti fatti divenuti quotidiani. Le famiglie lasciano i loro differenti paesi in maniera "non strutturata". Ed ha aggiunto, in base all'esperienza: "Le istituzioni che se ne occupano devono trovare soluzioni. Non ci sono leader, non sono partner nel dialogo, non c'è linguaggio [comune], manca la confidenza. L'unica soluzione è un approccio generoso nel senso umano del termine." Una proposta realistica per un pubblico che non ha potuto contare sull'esperienza per trovare soluzioni ai problemi e3d un approccio equilibrato alla situazione.

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Di Fabrizio (del 27/01/2012 @ 09:29:35, in Regole, visitato 1531 volte)

Segnalazione di Stojanovic Vojislav

23-01-2012 di Antonio Guarnieri - Recluso alla C.R. di Fossombrone (PU)

Scrivo su queste pagine per raccontarvi una storia che a dir poco ha dell'incredibile. Questa storia vede la mia famiglia, più precisamente la mia consorte, protagonista.

Il giorno 10 novembre dell'anno passato, alle ore 6.00, presso la mia abitazione a Montemarciano (AN) si presentano 7 carabinieri con mandato di arresto nei confronti di mia moglie, accusata ingiustamente di aver commesso il primo di ottobre del 2009, alle ore 13.50 circa, un furto di 200.000 Euro presso l'abitazione di un'anziana signora di Terni, più precisamente di Ferentillo. Premetto che la mia consorte ha 35 anni e l'unico reato da lei commesso risale all'età di 16 anni mentre oggi è madre di quattro figli, nonché nonna di un nipotino.

Quella mattina, di fronte ai figli - tre dei quali minorenni -, i carabinieri l'hanno ammanettata e portata via dopo aver provveduto alla perquisizione, anche nella biancheria intima senza che l'operazione fosse fatta da una donna.

Venne portata in caserma dove mia moglie disperatamente cercò di respingere le accuse. In lacrime cercò di spiegare che avevano sbagliato persona, ma un carabiniere di Terni con parole ed atteggiamento intimidatorio disse "Smettila di fare la sceneggiata di Mario Merola. Visto che hai rubato 200.000 Euro pensavi di farla franca?! Io sono in piedi dalle 2.00 di mattina per venirti ad arrestare".

Dopo essere stata condotta alla CC di Pesaro è stata sottoposta al regime di isolamento in attesa d'interrogatorio.

In sede d'interrogatorio lei ha respinto ogni accusa gridando la sua innocenza. Il PM per tutta risposta le disse: "Dicono tutti così!". Dato che la mia compagna era incensurata l'avvocato chiese quantomeno gli arresti domiciliari in attesa del chiarimento. La richiesta fu rigettata nel mese di novembre dal GIP e dal PM di Terni motivandola con queste parole: "Non credo alla tua innocenza e affinché tu neghi, non si rilascia la scarcerazione", facendo un gioco psicologico che consiste nel distruggere ed annientare mentalmente una persona cercando conferme dove non ci sono.

Preciso ora che io sono detenuto dal 2005 e nell'anno 2009 ero ristretto presso la CC di Ferrara. Mantenendo lucidità mentale sono riuscito a ricordare che in tale periodo di carcerazione effettuavo due colloqui mensili: uno al primo del mese ed uno a metà mese. Ho cercato conferme per far risultare se in tale data la mia compagna mi aveva fatto visita. Ho constatato che il primo ottobre 2009, giorno del reato per cui mia moglie era accusata, era un giovedì, giorno in cui si effettuano le visite familiari; ho allora, con l'aiuto del nostro legale, richiesto alla CC di Ferrara se in tale data avevo usufruito del colloquio con la mia consorte.
La CC di Ferrara ci ha risposto che effettivamente quel giorno mia moglie si trovava lì con me dalle ore 11.30 alle ore 13.30 quindi il tempo materiale per recarsi in 20 minuti a Terni non ci poteva essere.

Martedì 13 hanno scarcerato mia moglie per cause di forza maggiore. Ora mi domando: se anziché trovare conferma che la mia compagna si trovasse al colloquio quel giorno non avessimo trovato nulla e non fossimo riusciti a dimostrare la sua innocenza, lei sarebbe ancora reclusa e sarebbe stata condannata dando per scontato che lei era la colpevole? Sono propenso a pensare che per il GIP ed il PM la sua unica colpa sia quella di essere di etnia Rom.

Questo è quanto accade in Italia. Vengono giudicate persone senza averne le prove, vengono trovati capri espiatori sui casi che non si riescono a risolvere. La giustizia ed i pregiudizi si mescolano e diventano criminogeni.

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Di Fabrizio (del 27/01/2012 @ 09:14:31, in conflitti, visitato 1845 volte)

Franzmagazine.com
Il racconto di Zijo Ribic è agghiacciante ma a colpire chi lo ascolta sono soprattutto le conclusioni a cui è giunto questo ventisettenne bosniaco musulmano di etnia rom, a cui i nazionalisti serbi hanno sterminato l'intera famiglia. «Non so se li odio – dice – forse perché non mi hanno insegnato a odiare e allora questo sentimento non mi appartiene». A chi gli obietta dopo quello che gli è accaduto l'odio a prima vista sembrerebbe la reazione più naturale Zijo risponde in modo lucido: «Il fatto che venga fatta giustizia per me è secondario, mi interessa invece che venga affermata la verità, che si sappia quello che è successo perché noi rom non siamo animali ma persone». In questi giorni Zijo Ribic è a Bolzano su invito della Fondazione Langer, da anni impegnata nell'ambito dell'iniziativa Adopt Srebrenica, non solo a sostenere il ricordo del genocidio avvenuto negli anni'90 nella ex Jugoslavia, ma anche nell'aiuto concreto di chi come Zijo ha avuto la vita segnata in maniera indelebile da fatti che hanno poco di umano, ma che sono avvenuti a poche centinaia di chilometri da noi. Zijo Ribic sarà protagonista domani 13 gennaio (ore 20, Sala Giuliani del Teatro Cristallo) di un incontro pubblico in cui verrà anche presentato un documentario inedito sulla sua storia. Incontriamo Zijo nella sede della Fondazione Langer ed iniziamo la nostra intervista cercando di immaginare che razza di vita sia quella delle persone che, come lui, per poter trovare aiuto sono condannate a ricordare quotidianamente gli orrori che stanno scritti nella propria storia.

Dove vive oggi Zijo Ribic?
«A uzla, in Bosnia. Per un paio di stagioni ho lavorato anche in Italia, a Rimini. A Tuzla lavoro come cuoco in un albergo ma c'è la crisi e allora da quasi un anno non mi pagano lo stipendio. Vivo in una stanza in affitto che non riesco a pagare. Oggi come oggi non cerco altro che un lavoro qualsiasi che mi permetta di costruirmi una vita normale, una famiglia».

Lei è stato il primo il primo rom ad aver portato in tribunale la questione del genocidio del suo popolo. Un genocidio dimenticato, passato in secondo piano sia durante l'Olocausto della Seconda Guerra Mondiale, che durante le guerre jugoslave degli anni'90.
«Nel 2005 un mio parente mi ha messo in contatto con Natasha Kandic, una sociologa che ha vinto il Premio Langer nel 2000 e che ha fondato a Belgrado un centro attivo fin dal'92 con lo scopo di fare luce sui terribili eventi accaduti durante la guerra. Ho deciso di raccontare la mia storia e denunciare gli autori dello sterminio della mia famiglia e del mio villaggio. Grazie al sostegno e all'assistenza della Kandic e del suo staff sono state quindi avviate delle indagini che hanno portato nel 2009 all'inizio di un processo, tutt'ora in corso, contro gli autori materiali del massacro nella mia città di Skocic».

Quelle persone sono oggi in libertà?
«No. Parte di loro sono in carcere in attesa della sentenza, altre sono agli arresti domiciliari».

Quale forza ci vuole per prendere parte ad un processo contro coloro che hanno assassinato tutta la propria famiglia?
«Innanzitutto bisogna avere i soldi per comprare il biglietto del treno per Belgrado, fatto tutt'altro che scontato. Per fortuna in patria c'è la signora Kandic che mi aiuta e, come vedete, mi sta sostenendo anche la Fondazione Langer».

Cosa accadde quel 12 luglio del 1992?
«Anche dopo tanti anni mi ricordo tutto, come se fosse successo ieri. Mi ricordo quando sono arrivati e ci hanno presi. Prima ci hanno picchiati, cercando oro e armi e dicendo che non avrebbero fatto niente alle donne e ai bambini. Poi invece ci hanno raggruppati tutti davanti alla casa dove hanno violentato mia sorella maggiore Zlatija davanti ai miei occhi. Sono quindi arrivati due camion che ci hanno portati in campagna dove ci hanno fatto scendere uno alla volta conducendoci verso una fossa appena scavata. Io piangevo, chiedendo di vedere mia madre e loro mi rispondevano che l'avrei vista subito. Quando è arrivato il mio turno ho sentito degli spari e il fendente di una lama sul collo. Ho fatto finta di essere morto e mi hanno gettato nella fossa insieme agli altri che avevano appena ammazzato».

Come ha fatto a sopravvivere?
«Dopo un po' sono riuscito a risalire dalla fossa e sono scappato nel bosco. Lì ho trovato una casa abbandonata dove mi sono fermato a dormire. Il giorno ho incontrato un soldato che indossava l'uniforme dell'Esercito Popolare Jugoslavo. Il soldato e un suo commilitone mi hanno aiutato».

Dunque dei serbi le hanno sterminato la famiglia ed altri serbi l'hanno invece aiutata…
«Non sono stati i soli. Mi hanno portato in un'infermeria dove ho visto le stesse persone che la sera prima hanno ucciso i miei familiari. Mi sono aggrappato ai due soldati che mi hanno salvato e non li ho più mollati. Mi hanno allora condotto all'ospedale di una località che si chiama Zvornik, dove sono rimasto per tre anni, protetto da coloro che volevano portarmi via per uccidermi. Ero pesantemente traumatizzato per quello che avevo vissuto e sono stato curato».

E poi?
«Grazie ad un progetto dell'Unicef, sono stato portato in un orfanotrofio in Montenegro. Dopo 5 anni trascorsi lì sono tornato in Bosnia, a Tuzla, ospite di un altro orfanotrofio e mi sono diplomato poi alla scuola alberghiera».

Com'è oggi la situazione in Bosnia?
«C'è la crisi economica anche lì, molto più grave che in Italia. Per quanto riguarda la pacificazione i passi in avanti sono stati molto pochi. In ogni caso la situazione è diversa tra una località e l'altra. A Tuzla dove vivo oggi la situazione è migliore perché anche durante la guerra c'era stato un atteggiamento migliore da parte dei serbi nei confronti dei musulmani. Ma in altre località come Srebrenica è tutto ancora completamente diviso tra le etnie. La pulizia etnica ha fatto il suo corso e ricordare quanto è avvenuto negli anni Novanta è ancora molto doloroso per tutti. La politica poi fa la sua parte, sia in Serbia che in Bosnia, per allungare i tempi all'infinito. Ed il genocidio di noi rom è ancora immerso nell'oblio, quasi come fossimo delle vittime di serie B, di cui non è importante occuparsi. È per questo che ho deciso di raccontare quello che mi è successo a differenza di molti altri».

Intervista pubblicata dal quotidiano Alto Adige il 12 gennaio 2012

Luca Sticcotti è autore di musiche, giornalista ed operatore culturale. Come musicista è attivo nei campi della classica, del jazz e dell'elettronica, ma ha realizzato anche colonne sonore. La sua attività giornalistica si sviluppa sia attraverso media tradizionali, con collaborazioni con testate sia locali che nazionali, che utilizzando social network e blogs. Come operatore culturale collabora in veste di consulente con diverse istituzioni ed associazioni culturali altoatesine. Il sito web dove condivide parte del suo lavoro è raggiungibile all'indirizzo www.paupau.it

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Di Fabrizio (del 26/01/2012 @ 09:45:17, in Italia, visitato 2009 volte)

BUSTO ARSIZIO (due articoli)

Speroni: "Saremo carogne contro i nomadi"
Scontro in commissione sicurezza su un'interrogazione del leghista Unfer che chiede di eliminare definitivamente il problema. Il resto dei consiglieri fa muro. Fantinati: "Nessun estremismo ma il problema c'è"

"Incarognirsi" contro i nomadi, rendergli impossibile la sosta nei campi con grossi tronchi, mettergli alle calcagna agenzie di recupero crediti se non pagano le multe:la ricetta di Francesco Speroni per risolvere il problema. In commissione sicurezza ieri, giovedì, il tema caldo della presenza sul territorio di Busto di gruppi stanziali e nomadi di rom o sinti ha visto contrapporsi la Lega Nord contro tutto il resto del consiglio comunale. Pdl, Movimento 5 Stelle, Pd e Manifattura Cittadina, Indipendenti di Centro hanno arginato le posizioni definite "estremiste" da tutti i consiglieri presenti. Proprio il presidente della commissione Adriano Unfer (Lega Nord) aveva presentato la mozione di cui si è discusso chiedendo di eliminare "definitivamente" il problema del passaggio dei nomadi e dei rom o sinti, presenti in modo stanziale in città come, ad esempio, la famiglia Bianchi alla quale è stata data una residenza in una via che non esiste (tra l'inceneritore e un cementificio).

La parola "definitivamente" ha fatto arrabbiare, in particolare il consigliere Gian Pietro Rossi che ha sottolineato che "già un certo Adolfo aveva pensato ad eliminarli definitivamente senza, peraltro, riuscirci". Il senatore ha tracciato la sua via parlando di vicini rumorosi da contenere e controllare giornalmente durante le loro presenza temporanea o stanziale che sia. Gianpaolo Sablich, invece, ha chiesto dati più precisi sulla presenza a Busto e ha poi lanciato l'idea di attrezzare un'area di sosta camper dedicata ai nomadi per poterli controllare e contenere in modo da evitare che sporchino prati e terreni con i loro mezzi. Marta Tosi ha, invece, apprezzato il discorso iniziale dell'assessore alla sicurezza Claudio Fantinati che ha parlato di risposte celeri, ogni volta che si presenta un nuovo gruppo, con la consapevolezza che fenomeni come questi non si possono nè fermare, nè eliminare definitivamente come vorrebbe Unfer: "La Lega ingigantisce un problema che non esiste - ha detto la consigliera di Manifattura Cittadina - queste persone sono diverse? Anche i disabili hanno delle diversità fisiche ma non per questo li cacciamo via. Quindi allo stesso modo bisognerebbe aiutarli ad integrarsi".

Se la parola definitivamente ha fatto drizzare i capelli a tanti, la parola integrazione fa saltare sulla sedia i leghisti che con Unfer sottolineano: "Non esiste integrazione per questa gente - ha sbottato - è da secoli che ci si prova ma non ne vogliono sapere". A dar manforte al presidente c'era anche Marco Albertini, sempre della Lega che chiude: "Loro non pagano la luce o non pagano le multe? Allora da domani lo farò anche io, vediamo con chi se la prenderanno prima gli enti preposti".


I giovani del Pdl: "Per i nomadi un campo attrezzato"
Giovane Italia attraverso Sabba critica il comportamento dei consiglieri leghisti: "Hanno contraddetto la linea del segretario cittadino"

Riceviamo e pubblichiamo il comunicato stampa della Giovane Italia in merito al tema discusso in commissione sicurezza giovedì che riguarda dati sulla presenza di nomadi in città e luoghi dove questi sostano.

Ieri abbiamo assistito alla commissione sicurezza che aveva all'ordine del giorno anche un argomento sul quale abbiamo più volte espresso la nostra opinione: nomadi a Busto Arsizio. Questo calato in un quotidiano aumentare di tentativi di furto nelle abitazioni cittadine, che a volte, vedono come protagonisti proprio loro.

L'assessore Fantinati ha affrontato molto bene il problema postogli dai commissari leghisti, che nel loro testo chiedevano solo lo status attuale sui fenomeni migratori nomadici in città. Su questo c'è poco da dire: l'amministrazione fa il suo dovere allontanando il prima possibile gli avventori, poi per il discorso delle sanzioni è veramente complicato venirne a capo.

In realtà il problema degli accampamenti a Busto è ben altro e non veniva toccato dai punti all' ODG, fortunatamente poi nella discussione è venuto fuori: per ammissione degli stessi leghisti non sono più tollerabili tutti quei comportamenti che creano discrimine tra i cittadini di Busto, che regolarmente
pagano tutto ciò che è dovuto (e se non succede vengono perseguiti) e quelli che risiedono in baracche abusive all'interno di campi con destinazione agricola.

"Sono contento - afferma sarcasticamente Sabba - che durante la discussione in commissione, i consiglieri leghisti abbiano contraddetto in tutto e per tutto la linea che la loro segreteria politica bustocca aveva fino a pochi mesi fa a riguardo e che non rendeva giustizia alle linee politiche che il loro partito esprime in altre città, come l'esempio di Verona e il suo Sindaco Flavio Tosi"

Anche l'Autorità per l'Energia si è resa conto dell'anomalia e infatti ha dichiarato illegali tutti quei contratti forfettari stipulati agli ex nomadi stanziali, anche tramite la mediazione dei comuni. Questo è un punto fondamentale della vicenda: "Cosa intendono fare le giunte a fronte di questa decisione? - si chiede Sabba - Cosa intende fare il Sindaco Farioli di fronte a delle minacce come quelle fatte dagli stanziali di Busto, che con fermezza hanno chiesto di avere ancora quei contratti illegali, per non essere costretti a rubare?"

La sinistra, nei suoi due concetti espressi, continua a chiudere un occhio:con quello aperto analizza il comportamento della Lega di Busto, che dato ilsenso di accerchiamento, ha bisogno di mostrarsi dura e pura; con l'occhio chiuso invece continua a non vedere la realtà del problema in discussione e si astrae sempre più da quelli che sono i bisogni e i sentimenti della gente.

La Giovane Italia ha più volte espresso la sua idea a riguardo: le strade sono due:

1) il divieto assoluto di vivere in aree con destinazione d'uso diversa da quella residenziale, che comporterebbe o la migrazione di queste persone o l'iscrizione alle liste d'attesa ALER per ricevere
un'abitazione;

oppure

2) la costruzione di campi attrezzati con tutti servizi necessari per vivere civilmente e che in qualsiasi momento possano essere sottoposti a controlli delle autorità. In questi campi regolari si dovrebbe dichiarare l'identità di chi vuole alloggiare e per quanto tempo, ma soprattutto pagare per i servizi che si useranno. Ciò è evidente che comporterebbe una spesa da parte del Comune, ma a fronte della risoluzione di un problema.

Tra le due opzioni è solo la politica che può scegliere, magari con la concertazione dei cittadini. Comunque sia è indubbio che ognuna di esse migliorerebbe la situazione attuale. Nel frattempo i cittadini che vivono nei pressi degli accampamenti continuano quotidianamente a subire, per questo fino a che non si troverà il coraggio di fare delle scelte, bisognerà intensificare controlli di ogni i tipo: sanitari, stradali, fiscali, urbanistici, etc...

21/01/2012
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Di Fabrizio (del 26/01/2012 @ 09:26:46, in casa, visitato 1821 volte)

Da British_Roma

this is SOUTH WALES Dove potremo andare se ci costringeranno ad uscire dalle nostre case? - 18 gennaio 2012 Llanelli Star

Il sito di Sandy Bridge a Llanelli

UNA COMUNITA' di viaggianti di fronte alle possibili minacce di sgombero dalle loro dimore a Llanelli ha chiesto il permesso di rimanere.

Le famiglie che vivono nel sito sotto Sandy Bridge dicono di aver messo radici nella comunità e non vogliono essere cacciate.

Hanno richiesto una licenza edilizia retroattiva perché alcune roulotte possano rimanere su terreni precedentemente adoperati per lo stoccaggio, ma temono che possa partire uno sgombero dopo che l'Agenzia per l'Ambiente ha sollevato timori di possibili inondazioni.

Il consiglio del Carmarthenshire dovrebbe valutare la soluzione.

Uno dei viaggianti del sito, che ha chiesto di rimanere anonimo, dice di aver vissuto per 22 anni in quella zona.

"E' casa nostra - lotterò fino in fondo," dice.

"Sono arrivato qui quando ero piccolo, con mio padre e mia madre. E' un sito residenziali ed in 50 anni non c'è mai stato un alluvione."

Il viaggiante aggiunge che anche suo fratelli ed i loro figli hanno sempre vissuto lì.

"Non vogliamo mettere per strada i nostri bambini," dice.

"Quest'area abbandonata era in vendita e la comprammo, ampliando il parco roulotte per i nostri figli."

"Veniamo da una comunità di viaggianti, ma i nostri figli vanno a scuola qui."

"Non intendiamo andarcene. Se ci mandano via, dove possiamo andare? Dovremo vendere i nostri prefabbricati e comprarci delle roulotte per muoverci tra i laghi e Llanelli, causando problemi al consiglio. Non lasceremo Llanelli."

Pericoloso

Il motivo di queste preoccupazioni risiede in una dichiarazione dell'autorità, che intende respingere la domanda sul parere dell'Agenzia per l'Ambiente gallese (EAW).

Un portavoce della EAW ha detto: "Le inondazioni sono pericolose, devastanti e dolorose per chi vi è coinvolto, e ci opporremo a qualsiasi azione che possa aumentare per le case e le aziende il rischio di inondazioni. Questo è concorde alle linee guida del governo gallese (note tecniche TAN 15 ndr).

"In questo caso, quello degli sviluppi vulnerabili, la Valutazione sulle Conseguenze dell'Inondazione non ha calcolato il rischio per quanti vivano in loco o possano essere coinvolti."

"Se questa dichiarazione terrà conto di tutte le nostre preoccupazioni e si affronterà il rischio di inondazioni, faremo cadere le nostre obiezioni."

L'assessore Sian Caiach ha detto che la situazione è complicata, dato che i viaggianti hanno i permessi edilizi su parte del sito.

Ha aggiunto che in 10 anni come assessore ha ricevuto una sola lamentela sul sito, perché dei cani abbaiavano.

Un portavoce del consiglio ha dichiarato: E' stata ricevuta un'obiezione dall'Agenzia per l'Ambiente e quindi l'autorità rifiuterà la concessione di premessi retroattivi. Il caso è in discussione e probabilmente non verrà esaurito prima di febbraio o marzo, quando poi passerà ai poteri delegati."

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