Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 31/01/2013 @ 08:59:32, in musica e parole, visitato 2299 volte)

Evento organizzato da e

Concerto di raccolta fondi per un progetto post-terremoto con INGRESSO A SOTTOSCRIZIONE
Giovedì 7 febbraio, ore 21.30 Enoteca Ligera, via Padova 133

Tutto a posto?
Ad oltre sei mesi dal terremoto, l'Emilia è dimenticata con ancora tutte le ferite aperte. Sta succedendo lo stesso agli scampati del terremoto a L'Aquila.
Abbiamo cercato dei referenti in Emilia, che seguissero un progetto tangibile e già in corso, per continuare a dimostrare la solidarietà emersa a fine maggio.
L'abbiamo trovato con
Sisma punto dodici e col loro progetto di autocostruzione.

Gli Unza, chi se li ricorda?

Furono i primi a far conoscere le storie e la musica dei Rom rumeni a Milano. Poi, come succede spesso, il gruppo si divise: qualcuno andò a lavorare in campagna, qualcuno tornò in Romania, altri continuarono a girare tra campi rom sempre più malmessi. Altri cammineranno sul percorso tracciato da loro.

Ma non puoi fermare la passione che scorre nelle vene di un musicista, la necessità di mettersi in gioco ancora una volta.

E... hanno pensato, noi che si è sempre vissuto in tende e roulottes, non vogliamo essere SPORCHI ZINGARI, anzi, possiamo impegnarci per il paese che ci ospita da anni: con questo concerto fortemente voluto: brani del repertorio romanì e del folklore rumeno, per scoprire le tante radici che legano popoli e culture. Una serata per ballare - certo, per riflettere - forse, per conoscersi e stare insieme.

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Di Fabrizio (del 30/01/2013 @ 09:05:05, in scuola, visitato 1657 volte)

La scuola, bella come un camion Par VERONIQUE SOULE' Envoyée spéciale à Vesoul - 6 janvier 2013 à 19:08 Libération

Il camion scolastico nell'area di sosta di Vesoul, all'ora di uscita dei bambini. I corsi vanno dalla scuola materna alle superiori. (Photo Raphael Helle)

GRAND ANGLE: Come scolarizzare meglio i bambini itineranti, francesi e stranieri? Andando loro incontro con veicoli convertiti in aula. Visita a bordo di un camper parcheggiato nell'area di sosta di Vesoul.

Dopo le medie, Tonia - 13 anni, voleva andare alle superiori, ma con la vita che fa, secondo lei non sarebbe stato possibile: "Rimaniamo fermi durante l'inverno e dopo siamo in viaggio. Verso aprile-maggio, si parte in pellegrinaggio per Saintes-Maries-de-la-Mer e torniamo a settembre, da ottobre siamo qui, a Vesoul, per la vendemmia." Senza contare che "qui al mattino, noi ragazze abbiamo da fare, e da organizzare la carovana". Allora, è difficile andare alle superiori... Seduto ad un altro tavolino nel camper scolastico dell'area di sosta di Vesoul (Haute-Saône), Benoist - 18 anni, si lamenta della realtà. "Avrei voluto studiare di più, dice, perché per lavorare chiedono di saper leggere e scrivere. E vorrei prendere la patente." Indica suo padre, rottamaio, e gli da un buffetto: "Non mi piace il suo lavoro". A suo fianco, Alphonse - 15 anni, ammette: "Andare a scuola tutti i giorni, no, non mi piacerebbe". Piuttosto vorrebbe darsi all'edilizia, ma si è anche rimesso a studiare, per corrispondenza. Come per Benoist, l'obiettivo è passare il Certificato di Formazione Generale (CFG), un attestato di poco al di sotto rispetto a quello delle scuole superiori.

Questa mattina sono venuti cinque ragazzi col camion scolastico, un veicolo trasformato in aula, con disegni e tabelline appese alla parete, fermo proprio nel mezzo dell'area di sosta a Vesoul, Alta Saona. Assieme agli insegnanti, faranno una relazione al Centre national d'enseignement à distance (Cned). Un secondo camion, parcheggiato accanto, raccoglie i più piccoli. Il campo, asfaltato, con guardiola all'ingresso, bagni chimici, acqua ed elettricità, è ben apprezzato dalla gens du voyage. Mentre molte di queste aree sono situate ai bordi di strade trafficate, qui siamo circondati dal verde, [il campo] in questo momento ospita una dozzina di grandi camper colorati. Le donne girano con i bambini in braccio, mentre gli uomini discutono seduti intorno ad un tavolo sotto il sole.

Tre circolari ed un messaggio dal ministro

La scolarizzazione degli enfants du voyage - il termine ufficiale in Francia (1) - e dei Rom stranieri è attualmente una preoccupazione del governo. Il 10 ottobre, la Corte dei Conti ha fornito un rapporto critico, in cui si sottolinea che ci sono troppi bambini non scolarizzati, particolarmente nella scuola materna e alle superiori. Nel contempo, sono state pubblicate tre circolari. Affermano che i bambini itineranti (francesi e stranieri) hanno il diritto di essere accolti nelle scuole, senza dover aspettare che le famiglie riescano a procurare tutti i documenti - è il caso dei Rom che vivono in accampamenti regolarmente sgomberati. Il 29 novembre, il ministro all'istruzione, George Pau-Langevin, ha ripetuto il concetto durante un colloquio a Grenoble.

L'Alta Saona e soprattutto Belfort et Montbéliard (Doubs), sono sede di un'antica comunità di gens du voyage, arrivata lì almeno da due secoli. Il dipartimento conta tre grandi famiglie - gli Adolphe, i Weiss e i Winterstein, inizialmente commercianti ambulanti nelle campagne. Oggi, secondo l'associazione franco-Saonarda Gadjé, sarebbero 6.000-8.000.

Rottamai, commercianti ambulanti, intessitori di cesti, operai edili... per la maggior parte dell'anno vivono nelle aree di sosta - obbligatorie per i comuni di oltre 5.000 abitanti - o su terreni familiari di proprietà. D'estate soggiornano a Saintes-Maries-de-la-Mer (Bouches-du-Rhône). Dopo, ritroveranno le loro famiglie sparpagliate in Francia o all'estero, o si riuniscono in località turistiche dove è più facile trovare dei piccoli lavori.

Le più grandi, come Tonia e Marie-Milka, fanno i compiti nel camion scolastico. (Photo Raphaël Helle)

120 alunni iscritti al Cned

Il primo camion scuola - "antenna scolastica mobile" nel linguaggio ufficiale - ha iniziato a circolare nel 1992, per l'insegnamento della religione cattolica, ben supportato da queste comunità cristiane. Oggi, se ne contano una trentina in tutto l'Esagono. Il dispositivo viene coordinato dall'accademia. Ma gli insegnanti che lavorano nei tre camion scolastici della regione sono stati assoldati da una scuola cattolica a contratto, e a questo titolo retribuiti dall'Educazione Nazionale.

Lena, dinamica bruna di 35 anni e madre di tre figli, si ricorda ancora bene di suor Marie Stili che veniva, al volante del suo camion, a fare scuola ai bambini zigani nel campo di Roye, accantoa Lure (30 km. da Vesoul). "Era una piccola suora, racconta. All'epoca, si diceva che faceva scuola ai selvaggi. Per finanziare il camion-scuola, si andava a vendere dei gingilli all'uscita del liceo. Quando si capita su brave persone così, si migliora".

Oggi, la funzione del camion scuola si è evoluta. Non si tratta più di sostituirsi ad un edificio scolastico. L'idea è piuttosto di essere un "ponte", un incitamento ad andare a scuola o alle superiori, spiega Cyrille Schiltz, incaricato della missione dipartimentale ed accademica per la scolarizzazione degli enfants du voyage.

Nella regione, la quasi totalità frequenta dalle elementari alle medie. Di contro, vanno poco alle materne e avrebbero bisogno di sostegno in vista del proseguimento alle superiori. Una volta lì, i tassi di abbandono prematuro sono alti e si ritrovano senza diploma - ma anche senza brevetto o Certificato di Attitudine Professionale - sul mercato del lavoro.

Ora, 120 enfants du voyage si sono iscritti al Cned, un servizio gratuito per le famiglie itineranti - presentando il carnet de circulation [documento in via di soppressione ndr] Il Cned offre contributi sino al compimento delle elementari e corsi specifici sino ai 16 anni per i tanti che abbandonano le superiori. I programmi sono personalizzati, o almeno si sforzano di esserlo, ad esempio: si descrive ai ragazzi un seducente compagno Django-Reinhardt…

Quelli più in ritardo negli studi frequentano i camion dove insegnanti specializzati spiegano nozioni di base. Una sessantina una volta alla settimana va in un istituto per prepararsi al Certificato di Formazione Generale. A volte si aggregano a classi "normali" per corsi di musica o informatica.

Per i più giovani, "Il nostre ruolo è convincere le loro madri a mandare i figli alla materna, far capire loro che cosa significhi", sottolinea Marie-Christine Savourat mentre prepara il pongo, i puzzle ed il Lego nel camion scuola dove, per tutta la mattina, si occupa di cinque bambini tra i 2 e i 4 anni. Insegnante dal 1984, ogni due anni "si ricicla". "Ho realizzato un sogno, dice. Nelle mie classi, spesso ho avuto a che fare con gli enfants du voyage. E vedevo che abbandonavano la scuola senza sapere leggere e scrivere. L'istruzione è un diritto per tutti. Perché dovrebbero essere esclusi? Questo camion ci permette progressi favolosi".

All'elementare Jean-Macé de Lure, dove frequentano una dozzina di enfants du voyage, le insegnanti sottolineano che per prima cosa occorre rassicurare i genitori. "All'iscrizione, sottolinea una di loro, vogliono sapere se le porte saranno chiuse bene, se i bambini saranno lasciati da soli, chi può andare a prenderli. Nella loro cultura, la madre che lascia i suoi bambini a degli estranei è una cattiva madre".

Sul terreno della famiglia di Adolphe a Roye, Daisy circondata dai suoi. (Photo Raphaël Helle)

Bambini "più autonomi degli altri"

Molti in casa parlano il manouche, ma imparano anche il francese. Dunque la lingua non è una barriera. Gli enfants du voyage sono "più autonomi e più collaborativi degli altri", sottolineano gli insegnanti, ma sono anche più assenti. "All'inizio i genitori ci chiedono se conosciamo la cultura zigana, se non ci arrabbieremo se loro partono, se ci piacciono i manouches." Quando chiediamo ai genitori sulle loro esperienze scolastiche, in breve tornano a galla i cattivi ricordi - insulti durante la ricreazione, finire dietro la lavagna... Daisy, 22 anni: "Mi mettevano sul fondo della classe a fare delle divisioni. Io invece volevo imparare  a leggere e scrivere. Gli altri studenti ci dicevano -siete gitani, avete i pidocchi-. Allora rispondevo con doppia violenza. Per fortuna, c'è stato un maestro davvero gentile che mi ha aiutato."

Oggi Daisy fa compravendita di vestiti al mercato. Non solo è orgogliosa della sua occupazione: "Ho i miei affari, le mie carte, un permesso per il commercio ambulante. So leggere e scrivere, posso lavorare. La scuola m'ha aiutato con lo stretto indispensabile, come i miei genitori."

Tuttavia, Daisy vuole incoraggiare i figli a "tentare di studiare. Perché è diventato molto difficile lavorare nei mercati e forse non sarà più possibile." Ma come conciliare la scuola quotidiana dei viaggianti nella Lorena ed anche per Daisy, fino al Belgio? "Il domani non ci appartiene," conclude.

Lena ha incoraggiato sua figlia di 16 anni, Soleil - nome scelto alla nascita da suo padre che disse: "Sarà il sole della mia vita!" -, a prendere il Certificato di Formazione Generale. "Perché andare alle superiori? Siamo nomadi e amiamo questa vita. Non credo dobbiamo lamentarci. No. La nostra vita è dura ma non cambierà. Come se vi chiedessimo di vivere in carovana come noi."

"Bébé" (nome da nomade, il suo cognome vero è Octave) Adolphe, capo famiglia di 54 anni, possiede il camper più grande sul campo di Roye. Molla la chitarra e poi ci invita a entrare nella sala dove c'è il wifi. "Per noi, la scuola significa potersi istruire, ma anche continuare la vita da voyageur, preservare il nostro modo di vivere e i nostri valori - la natura, il rispetto degli anziani, i mestieri tradizionali," spiega Bébé Adolphe, che vende biancheria per la casa, dopo aver fatto diversi mestieri. "Occorrerebbero più camion scolastici. Ma a cosa serve un titolo di studio, quando siamo in 5 a cercare lavoro? Noi crediamo nella scuola della vita."

    (1) Al termine "Zigano", considerato come peggiorativo, l'Unione Europea ha sostituito quello, generico, di "Rom". In Francia i testi parlano di "gens du voyage" e più recentemente di "famiglie itineranti o sedentarizzate da poco" e per gli stranieri di "arrivi allofoni".
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Di Fabrizio (del 29/01/2013 @ 09:05:29, in Europa, visitato 1911 volte)

Perché molti zingari si stanno ammazzando - by Jamie Clifton - Vice.com

Zingari e viaggianti a lungo sono stati un gruppo marginalizzato. Immagino sia un punto nero di una costante imposta per anni dalla società maggioritaria. Ma le recenti modifiche alla legislazione riguardo le comunità nomadi (nel senso che da parte del governo non ci sono più posti dove insediarsi) le ha rese ancora più segregate. Un rapporto mostra che viaggianti e zingari hanno la salute significativamente peggiore di altri residenti in GB, comprese le minoranze etniche di lingua inglese. Sono anche più predisposti a soffrire di aborti spontanei, mortalità infantile dovuta a limitato accesso alle cure sanitarie... - in quanto gruppo senza fissa dimora. Il tutto è ovviamente molto deprimente.

Un'altro fattore dirompente è l'esplosione, negli ultimi cinque anni, dei tassi di abuso di droghe da parte di entrambe le comunità, mentre i suicidi sono cresciuti di sei volte rispetto al resto della popolazione britannica. Tanto le comunità zingare che quelle dei viaggianti sono piuttosto chiuse, e immagino siano riluttanti a parlarne quando si tratti di propri familiari, così su questi fatti non esiste granché informazione. Per intuito, ho interpellato Shauna Leven, dell'associazione René Cassin.

Ex residenti di Dale Farm

Hi Shauna. Puoi smentire queste statistiche sui tassi di suicidio nelle comunità viaggianti e zingare, che sarebbero sei volte superiori al resto della popolazione britannica?...
Prima di tutto, devo dire che queste statistiche riguardano i Traveller, che siano scozzesi, gallesi o irlandesi, e non i Rom di più recente arrivo. Tuttavia, tutti soffrono dello stesso tipo di discriminazione in Europa. Sfortunatamente, è difficile scendere nello specifico, perché il SSN non raccoglie dati su questi gruppi etnici, come fa invece per gli altri.

Perché non raccoglie dati statistici?
Perché non fa parte della policy del SSN. Zingari e viaggianti sono riconosciuti come minoranza etnica ma, ad esempio, la discrepanza tra la loro aspettativa di vita e quella della popolazione maggioritaria, viene per lo più ignorata. Se si assistesse allo stesso tipo di cose nella comunità, ad esempio, musulmana, di sicuro si adotterebbero delle statistiche. La nostra prima indicazione per risolvere il problema è di muoversi e compiere delle ricerche, perché questo è il primo problema.

La prima questione è: quale sarebbero le cause?
In realtà la causa di tassi di suicidio così alti dipendono da una convergenza di fattori. Il razzismo contro zingari e viaggianti viene spesso definito come l'ultima forma accettabile di razzismo in GB. Persone istruite e socialmente coscienziose non esitano ad adoperare le parole "gyp", "pikey" o altre simili, e questa ovviamente è soltanto la punta dell'iceberg. Mostra il livello di esclusione sociale in cui i Traveller sono piombati automaticamente in quanto itineranti.



Da cosa ritieni dipenda però il picco attuale?
Zingari e viaggianti sono nomadi e, sino a qualche decennio fa, il governo forniva i siti per spostare le loro carovane. Da allora il governo ha rimesso la responsabilità di individuare e mantenere questi siti ai consigli locali - che, com'è normale, sono molto più sensibili alle pressioni dei residenti. Come risultato da tempo le comunità viaggianti e zingare non hanno più accesso ad una sistemazione sicure con strutture adeguate e non possono iscriversi al SSN come residenti permanenti, quindi... non hanno accesso alle cure per il cancro al seno e la salute mentale, tra le altre.

Quindi sono obbligati a spostarsi continuamente, invece di avere un punto stabile prima di decidere se muoversi o meno.
Sì, proprio così. Non è sotto il loro controllo, e penso sia una questione chiave comprendere l'ansia e la depressione nella comunità. Voglio dire, non sono una specialista mentale, ma chiunque capirebbe che lo stress costante di essere sgomberati, o che i tuoi figli vengano allontanati da scuola, o di subire discriminazioni dirette, non può che generare ansietà. Tuttavia, è importante capire che non esiste un'unica causa - è tutto il sistema di discriminazione ed esclusione che ci ha portato a questo punto.

Pensi allora che dipenda tutto da cause esterne? Non c'è qualcosa che accade internamente e che possa aver aumentato i tassi di suicidio?... Che so - gay che fanno outing o che vogliano condurre uno stile di vita più conformato, e siano emarginati dalla comunità? O qualcosa di simile?
Credo che - per la maggior parte - dipenda da fuori. Le comunità zingare e traveller hanno una cultura comunitaria molto forte, e questa è una delle ragioni pwer cui non avere una sistemazione sicura è così traumatico per loro: significa separare le famiglie. Per quanto ne sappia, non ci sono studi sul coming out di gay tra rom e traveller, che porterebbe ad un aumento dei tassi di suicidio, ma penso che si siano iniziate ad osservare le conseguenze delle rotture di matrimoni che portano ad autolesionismo e suicidi. E' un fenomeno molto recente per la comunità - la rottura del matrimonio - per cui si può capire come ciò possa portare a conseguenze simili.

Roseanna Doherty, star di una serie TV in GB sugli zingari, che recentemente ha tentato il suicidio

Pensi che il fatto che nelle comunità alcune coppie stiano iniziando a divorziare, possa avere a che fare con tutto ciò?
Sì, potrebbe essere un altro fattore. Ma personalmente ritengo che il fattore più importante sia che il loro essere socialmente esclusi, i problemi nel trovare lavoro, la discriminazione da parte della società e dei principali mezzi di comunicazione, e spesso le loro famiglie sono obbligate all'insicurezza. La mia organizzazione si è interessata a loro sulla base dell'esperienza storica ebraica, il passato di entrambe le comunità è abbastanza simile - gli zingari erano a fianco degli Ebrei nei campi di concentramento. Ma da allora gli Ebrei sono cresciuti e i nomadi sono scivolati in basso. Non c'è stato neanche alcun riconoscimento diffuso per gli zingari uccisi durante l'Olocausto.

E' così. E' stato messo sotto il tappeto.
Esatto. C'è un sito interessante: Jewify.org, dove si linka un articolo su zingari o traveller e le parole "zingaro", "traveller" o "rom" vengono sostituite con la parola "ebreo". E se guardi a come risuonano questi articoli - e potresti fare lo stesso con "persona di colore" o "musulmano" - lo trovo abbastanza inquietante. Questo fa capire come sia inaccettabile usare le parole nel modo che facciamo.

Campagna di protesta per la giustizia ai Rom

Bene. E sull'abuso di sostanze... - sai dirmi qualcosa? Perché anche in questo caso non mi sembra si stiano facendo molte ricerche.
Hai ragione. Sfortunatamente non ho nessuna statistica e neanche so se ne esistano. Ho sentito aneddoti sulle ragioni e sulle cause, le stesse ragioni dei tassi di suicidio: stress che deriva da tutti quei diversi fattori. Inoltre, molti non riescano a lavorare, iniziano così a passare il tempo con le droghe, diventandone poi dipendenti.

Che misure pensi si dovrebbero adottare per iniziare?
Tutto torna al punto della "discriminazione accettabile" nei confronti degli zingari e dei traveller in GB ed in tutta Europa. E' ancora ritenuto OK dire e fare cose discriminatorie, e la maggior parte della gente nemmeno si rende conto di quanto siano discriminatorie le nostre leggi sulla pianificazione; che il modo richiesto per iscrivere i bambini a scuola sia indirettamente discriminatorio, perché obbliga ad avere un indirizzo fisso, dicendo che si può così beneficiare degli aiuti statali. Ho visto in un sondaggio - scala da uno a dieci, dove dieci è estremamente confortevole e uno estremamente scomodo - dove avere un vicino disabile o omosessuale riceveva otto, mentre avere un Rom come vicino riceveva sei. E allora è così: non ce ne si rende conto, ma la discriminazione è piuttosto scioccante e massivamente radicata.

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Di Sucar Drom (del 28/01/2013 @ 09:04:40, in Italia, visitato 1706 volte)

24 gennaio 2013

Il Porrajmos, l'olocausto di Rom e Sinti, è stato per decenni tenuto sostanzialmente sotto silenzio. A distanza di quasi 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale, qualcosa sembra modificarsi. Tra le varie iniziative volte a far emergere la memoria del Porrajmos figura MEMORS, il primo museo virtuale del Porrajmos.

"Porrajmos significa divoramento" - commenta Carlo Berini, dell'associazione Sucar Drom di Mantova - "ed è il termine con cui Rom e Sinti si riferiscono all'immane tragedia dell'olocausto". L'associazione Sucar Drom ha collaborato con lo storico Luca Bravi nella costruzione del museo virtuale. "La nostra attività di ricerca" - spiega Carlo Berini - "si concentra soprattutto su quanto accaduto nell'Italia fascista. L'internamento vero e proprio nei campi di concentramento inizia nel 1940, e nel 1943, dopo l'armistizio e la nascita della repubblica di Salò, assistiamo al sistematico invio verso i campi di sterminio in Germania e Polonia."

L'Italia non ha mai riconosciuto ufficialmente la persecuzione di Rom e Sinti, tanto che il Porrajmos non viene citato nella legge del 2000 che istituisce il giorno della memoria per il 27 gennaio e non viene incluso nelle celebrazioni istituzionali. "Inoltre" - sottolinea Berini - "Rom e Sinti sono le uniche due minoranze storico-linguistiche a non essere riconosciute dalla legge italiana, e diventano facilmente il capro espiatorio per occultare i veri problemi del paese e l'incapacità dei politici di far loro fronte".

La puntata di Passpartù di questa settimana sarà dedicata a un approfondimento sul Porrajmos e all'analisi delle attuali politiche messe in campo nei confronti di queste comunità nel nostro paese.

Intervista a Carlo Berini, associazione Sucar Drom - Mantova

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Di Sucar Drom (del 27/01/2013 @ 09:01:06, in Kumpanija, visitato 1385 volte)
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Di Fabrizio (del 26/01/2013 @ 09:10:37, in casa, visitato 1751 volte)

Pubblicato: 23/01/2013 15:37 di Monica Pasquino, Presidente dell'Associazione di Promozione Sociale S.CO.S.S.E.

Era nella fredda stagione invernale, tre anni fa, che qualche tg locale mostrava le immagini dello sgombero di Casilino 900. Dal 19 gennaio al 15 febbraio del 2010, a Roma, sono state trasferite più di 600 persone, con una sistematica violazione dei diritti umani e dell'infanzia.

Kher in romani chib - esattamente come il suo equivalente italiano casa - è una parola semanticamente vaga a cui ognun* dà un valore personalissimo. Una villetta a due piani è la casa di una famiglia benestante in provincia; una stanza è la casa di una precaria a Milano; un container è la casa di una coppia terremotata in Irpinia, un posto letto è la casa di uno studente universitario a Roma, così come una macchina diventa la casa di un poveraccio sfrattato a Napoli.

"Di qualsiasi materiale sia fatta, la tua kher è sacra", racconta un rom nella rivista curata dall'Associazione 21 luglio, poco importa se sia una baracca o una roulotte o se la tua kher si trovi in un campo nomade dove l'abitare è sinonimo di ghettizzazione, in ogni caso, la violazione della tua kher è un gesto di violenza verso i tuoi affetti, verso il tuo corpo ed è una violazione dei tuoi riti e della tua libertà.

In Italia solo lo 0.23% della popolazione totale è rom, una delle medie più basse in Europa. Tra questi solo il 2-3% dei rom è realmente "nomade". A Roma le comunità rom che vivono nei campi nomadi, che si distinguono in villaggi attrezzati, campi tollerati e insediamenti informali, sono lo 0.24% della popolazione complessiva. Tutto il resto sono allarmi infondati, campagne discriminatorie e narrazioni stereotipanti che alimentano paure e insicurezze "facili" da stimolare, soprattutto in anni di recessione, di assenza di lavoro e tagli al welfare e ai servizi essenziali.

Nella produzione di un ordine del discorso dominante, le notizie vengono selezionate, accorpate, differenziate: alcuni casi di cronaca vengono messi in risalto, altri lasciati in ombra o taciuti. Tutto si muove all'interno di una dinamica che sta a noi comprendere e districare, per non farci travolgere da un'ingiusta lettura del presente. La politica dei campi nomadi è iniziata in città alla metà degli anni Ottanta, quando la Regione ha approvato una legge che prevedeva la creazione di insediamenti per comunità ritenute non idonee o desiderose di vivere in una kher simile alle nostre.

Nel 1994 il Sindaco Francesco Rutelli ha presentato il primo Piano Nomadi della Capitale che prevedeva la costruzione di 10 campi in un anno. I governi che si sono succeduti al Campidoglio negli anni Novanta, al di là della collocazione politica, hanno proposto altri Piani Nomadi, tutti con lo stesso obiettivo: risolvere le "emergenze", mettere in "sicurezza" i quartieri abitati da italiani, fare sgomberi e concentrare i rom in villaggi attrezzati sempre più lontani dal contesto urbano.

L'approccio emergenziale, l'isolamento dei rom che dovrebbe garantire la sicurezza della cittadinanza italiana, le pratiche e le retoriche securitarie che giustificano vari casi di violenza urbana sono alcune delle modalità della produzione di corpi e di spazi nella città. Sono una delle forme della governamentalità del nostro tempo che lede la libertà di tutt* noi, non solo quella di rom e migranti, rimbalza al centro dell'attenzione cittadina, ci fa girare con circospezione la sera, riempie le nostre chiacchiere al bar e le dichiarazioni degli amministratori.

I campi nomadi sono gabbie costruite su base etnica, sono un'invenzione tutta italica, frutto in particolare delle istituzioni della Capitale, e rappresentano una forma dell'abitare che è estranea alla consuetudine abitativa di rom e sinti. I villaggi attrezzati, come quello che il Sindaco Veltroni inaugurò a via Salone, uno dei più grandi d'Europa, sono circondati da recinzioni metalliche e gli ingressi sono controllati da un sistema di videocamere: questi sono segni lampanti della biopolitica che caratterizza questi villaggi attrezzati, i Cie e le altre politiche di controllo a cui sono sottoposti i cittadini stranieri.

L'ultimo Piano Nomadi della Capitale è opera di Gianni Alemanno (2009), e ha l'obiettivo di realizzare 13 villaggi attrezzati per accogliere circa 6000 rom. Il Piano Nomadi dell'attuale Sindaco costa attualmente circa 20 milioni di euro l'anno ai cittadini romani, ma non ha ancora raggiunto alcun obiettivo, anzi, le condizioni di vita dei rom sono drasticamente peggiorate per l'isolamento dal resto della città, per la mancanza di manutenzione, per il sovraffollamento e per l'aumento di comportamenti devianti. Ai 20 milioni annui vanno aggiunti i soldi spesi per gli sgomberi dei campi informali (circa 500 dall'estate del 2009 ad oggi) che rappresentano una cifra 10 volte più alta di quella spesa dal Comune di Roma per l'inclusione lavorativa dei rom nello stesso lasso di tempo.

Nella prossima primavera, con le elezioni amministrative, abbiamo l'occasione di voltare pagina e finalmente proporre politiche di medio e lungo termine dirette all'inclusione sociale di rom e sinti:

  • perché la libertà si con-divide tra tutt* gli abitanti di Roma, non si divide;
  • per chiudere gradualmente tutti i villaggi attrezzati;
  • per abbandonare l'approccio emergenziale e securitario;
  • per proporre una cultura che superi i pregiudizi e avvii percorsi di conoscenza e dialogo fra culture diverse;
  • per sospendere ogni azione di sgombero e trasferimento forzato che non rispetti le Convenzioni internazionali.

Nella Repubblica romana di domani, vorremmo che nessun* potesse più violare la tua kher.

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Di Fabrizio (del 25/01/2013 @ 09:05:17, in Italia, visitato 1683 volte)

Aggiornamenti su una storia già apparsa su Mahalla (1 - 2 - 3 - 4 - 5 - 6 - 7)

20 gennaio 2013 | Corriere Immigrazione

Un "matrimonio combinato" in un campo rom dà il via a una lunga vicenda giudiziaria: i rom sono accusati di aver ridotto in schiavitù la giovane sposa. Ma la versione dell'accusa non regge. Ecco cosa è successo

Tratta di esseri umani, riduzione in schiavitù, violenza sessuale di gruppo e favoreggiamento dell'immigrazione clandestina. Sono i pesantissimi capi di imputazione a carico di cinque rom, tutti residenti nel campo di Coltano a Pisa: colpevoli, secondo l'accusa, di aver portato in Italia una minorenne kosovara, costringendola prima a sposarsi con un giovane del campo, poi a vivere segregata nella sua baracca. Il processo in Corte d'Assise, durato più di due anni, sta arrivando alle battute conclusive: Venerdì si sono tenute le arringhe del Pm e di tre difensori, e per il 15 marzo è attesa la sentenza. Nel frattempo, la versione dell'accusa è stata pesantemente ridimensionata: vale la pena vedere cosa è successo.

Il matrimonio combinato e la "sposa bambina"
La vicenda risale a due anni fa, quando la polizia fa irruzione a Coltano e arresta i cinque attuali imputati. E' il 27 ottobre 2010. Pochi mesi prima, la comunità rom aveva festeggiato un evento speciale: il matrimonio tra un ragazzo di quindici anni e una sua coetanea, che aveva richiamato decine di rom da tutta Italia. La sposa, peraltro, non aveva mai visto il campo di Coltano: nata e cresciuta in Kosovo, aveva deciso di trasferirsi a Pisa per raggiungere il promesso sposo.
I due ragazzi si erano conosciuti tramite un'amica comune, e avevano cominciato a "chattare" su internet. Poi, com'è d'uso in questa comunità, le famiglie si erano accordate e avevano combinato il matrimonio: i parenti del ragazzo avevano versato la dote, ed erano andati a prendere la giovane per portarla a Pisa. Questa, almeno, è la versione dei rom.

Qualcosa però era andato storto. La ragazza non si era trovata bene a Coltano. E a un certo punto aveva deciso di sporgere denuncia contro il marito, i suoceri e il cognato: accusandoli di averla portata in Italia con la forza, di averla fatta oggetto di minacce e ripetute violenze. Di qui l'arresto e l'avvio del processo. E torniamo così al 27 ottobre 2010, data in cui comincia questa lunga e complicata storia.

Le polemiche in città
Com'è prevedibile, l'arresto dei cinque rom finisce su tutti i giornali locali. Tra la fine di ottobre e l'inizio di novembre 2010, i cronisti si scatenano: il "matrimonio combinato", la tenera età degli sposi, la violenza su una ragazza di appena quindici anni, le "tradizioni" rom in contrasto con la "modernità". Un copione consolidato, che mette sotto accusa non solo gli imputati, ma l'intera comunità rom: le cui usanze, spiega il Presidente del Tribunale, «nel nostro paese si configurano come reati».

A gennaio, interviene anche il Comune. Che provvede a sfrattare la madre dello sposo dalla sua casetta al campo di Coltano. Il 31 gennaio 2011, il giorno più freddo dell'anno, la donna viene allontanata con la forza dalla polizia municipale. «Lo stesso fatto di essere imputata per reati di tale gravità», si legge nel provvedimento di sfratto, «denota la fuoriuscita dal percorso di integrazione». L'associazione Africa Insieme, da sempre vicina ai rom, e Padre Agostino, il prete che vive al campo nomadi, protestano inutilmente: in questo modo, dicono, la donna è già dichiarata colpevole, prima ancora della sentenza.

La vicenda processuale e i dubbi sulla versione dell'accusa
Nella Primavera 2011, la vicenda entra in un cono d'ombra, e nessuno ne parla più. Ma il processo prosegue: vengono visionati filmati e fotografie del matrimonio, si ascoltano i testimoni e gli imputati, si leggono le intercettazioni telefoniche. E gradualmente si fanno largo i dubbi sulla versione dell'accusa.

Gli avvocati difensori si concentrano in un primo momento sul giorno del matrimonio: tutte le fotografie ritraggono la sposa sorridente e felice, abbracciata al marito e ai suoceri, intenta a conversare con amici e parenti. I testimoni ricordano il clima di festa, i video la sorprendono mentre danza con le amiche e taglia la torta. Come è possibile che una ragazza così felice, almeno in apparenza, sia ridotta in schiavitù?

Tutti i testimoni - compreso Padre Agostino, il prete cattolico che vive a Coltano insieme ai rom - ricordano che la ragazza non era segregata nella sua baracca, ma circolava liberamente. La parrucchiera del paese dice di averla vista più volte al suo negozio. Altri ricordano la partecipazione della ragazza alle feste di Camp Darby, la base militare americana a due passi dal campo.

L'accusa risponde ricordando che anche alle prostitute vittime di tratta si concedono brevi momenti di serenità: perché la violenza non è fatta solo di calci e pugni, ma si nutre di soggezione e dipendenza psicologica, di premi e punizioni, di attimi di gioia che si alternano a periodi cupi di minacce e intimidazioni.

Vi sono tuttavia altre circostanze che gettano un'ombra sulla versione del Pm. Dopo l'inizio del processo, il telefono della giovane sposa viene messo sotto controllo. Le intercettazioni registrano i colloqui con il padre, che spiega alla figlia quel che deve dire agli inquirenti: mi raccomando - implora il genitore - dì che sei stata costretta ad andare a Coltano, dì che sei stata segregata, dì che sei stata picchiata e violentata. La famiglia della sposa riceve anche una telefonata della madre del giovane marito: ignara di essere intercettata, la donna implora i consuoceri, «dite a vostra figlia di raccontare la verità...». Non sembrano le parole di chi ha qualcosa da nascondere.

Non basta. La polizia, che ha condotto le indagini, dice di aver trovato la ragazza in stato di soggezione, costretta a vivere nella sua baracca senza poter mai uscire. Ma i carabinieri, che ogni giorno si recano al campo per controllare un rom agli arresti domiciliari, non si sono mai accorti di nulla. Possibile?

La versione della difesa
Ma perché una ragazzina di 15 anni dovrebbe inventare una storia del genere? Ed è qui che la versione della difesa appare abbastanza plausibile. La ragazza aveva un altro fidanzato in Kosovo: nulla di male - tiene a precisare l'avvocato Giribaldi nella sua arringa - cose che succedono, soprattutto in età adolescenziale. Trovatasi a Coltano lontana da casa, in mezzo a persone di cui non capiva la lingua (la sposa parlava solo albanese), ha cominciato a sentire nostalgia per la sua terra. Le intercettazioni rivelano anche contatti frequenti con l'ex fidanzato in Kosovo, al quale la giovane prometteva di tornare presto.

Secondo i difensori, la ragazza avrebbe maturato la volontà di tornare a casa. Ma la rottura del matrimonio avrebbe significato, per la famiglia, restituire la "dote" ai genitori dello sposo: e proprio la restituzione di quel denaro avrebbe messo in grave difficoltà il padre e la madre della ragazza. Così, ecco la via di fuga. Andare alla polizia, e raccontare quello che gli agenti vogliono sentirsi dire: una storia di violenza e di usanze "primitive", che assecondi gli stereotipi sui rom "arretrati" e "incivili".

Come andrà a finire il processo nessuno lo sa. Finora, il dibattito cittadino si è concentrato sulle "usanze" dei rom: il matrimonio combinato, gli sposi bambini... Si tratta, certo, di usanze che possono non piacere: ma da qui a parlare di tratta degli esseri umani ce ne corre. Violenze, minacce e riduzione in schiavitù non sono la diretta conseguenza di quelle "usanze", ma reati gravissimi che vanno provati e circostanziati. E di prove, nel corso del processo, ne sono emerse davvero poche. Staremo a vedere.

Sergio Bontempelli

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Di Fabrizio (del 24/01/2013 @ 09:05:57, in Kumpanija, visitato 7850 volte)

Da chiara-di-notte.blogspot.com

Il fatto che la rappresentazione delle genti di colore - e delle donne di colore, in particolare - sia stata esotizzata e finanche sessualizzata nella percezione occidentale, non e' una novita', e i Rom non sono sfuggiti a questo fenomeno. Scrive Borrow (1841): "Le donne e le ragazze zingare sono in grado di accendere passione piu' che nelle descrizioni piu' audaci, in particolare in coloro che non sono zingari, perche', naturalmente, la passione diventa piu' violenta quando e' nota l'impossibilita' quasi assoluta di gratificazione".

    Alcune premesse storiche. I Rom sono originari dell'Asia, i cui antenati, lasciato il nord-ovest dell'India a seguito di una serie di incursioni islamiche nell' XI secolo, sono stati progressivamente spinti in Europa sud-orientale, dove quasi la meta' si sono stabiliti nei Balcani, e dove sono stati tenuti in schiavitu' fino al 1864. Mentre l'altra meta' in grado di andare avanti si e' sparsa nel resto dell'Europa. Ci sono oggi circa dodici milioni di Rom, di cui piu' o meno otto milioni vivono nel vecchio continente e due o tre milioni si sono stabilizzati in America e altrove, costituendo cosi' la piu' grande e diffusa minoranza etnica del mondo. Quasi il doppio di quanti siano i danesi o gli svedesi.

    Quando i Rom sono apparsi per la prima volta in Europa, tutti credevano che facessero parte della diffusione islamica all'interno della cristianita', e sono stati quindi identificati con i turchi ottomani. La parola "turchi" riferita ai Rom e' infatti ancora oggi diffusa in molti luoghi. Altra definizione impropria usata per i Rom e' stata anche "egiziani", da cui sono derivati appunto i termini Zingari, Gitani, Tzigani, eccetera.

    Benche' esistano moltissimi riferimenti medioevali e rinascimentali riguardanti la vera origine indiana del popolo Rom, questo fatto, col passare del tempo e' stato dimenticato anche dagli stessi Rom. Di conseguenza, un gran numero ipotesi errate, a volte bizzarre, sono state formulate. Tra queste, ce n'e' una che li fa originari delle profondita' della Terra, o della Luna o di Atlantide, o li identifica come i resti di una razza preistorica. A seconda del periodo storico e delle credenze del momento sono stati Nubiani, o Druidi, oppure ebrei venuti allo scoperto dopo i pogrom medioevali.

    La vera origine e' stata scoperta casualmente nel 1760 quando in una universita' olandese, uno studente che aveva imparato un po' di Romani (la lingua dei Rom) da operai che lavoravano nella tenuta di famiglia in Ungheria, una volta ascoltati i discorsi di alcuni studenti provenienti dall'India, che parlavano una lingua simile, si convinse della reale provenienza del popolo Rom. Questo porto' al primo libro mai scritto sul tema (Grellmann, 1783).

    La pubblicazione del libro di Grellmann, durante l'Illuminismo, che apparve in una edizione inglese del 1807, coincise con l'emergere di una serie di discipline scientifiche, tra cui la botanica e la zoologia, e la necessita' di classificare le piante e gli animali che venivano scoperti durante l'esplorazione delle nuove colonie europee d'oltremare. Cosa che rapidamente porto' anche alla classificazione delle popolazioni umane non europee.

    E' stato proprio in quel tempo che l'idea che "mescolare le razze", sia geneticamente che socialmente, fosse pericoloso. Un'idea che si e' diffusa sempre piu' nella cultura e che e' stata, poi, la causa che nel XX secolo ha portato al nazismo e alle terribili e ben note conseguenze. Ma proprio per la sua natura proibita, l'incrocio tra razze ha acquisito anche quell'elemento morboso di attrazione che soprattutto durante l'epoca vittoriana, ha trovato la sua espressione in una certa arte e letteratura, con la rappresentazione di rapporti sessuali tra colonizzatori e schiave, ovvero tra donne di colore e maschi bianchi. La fotografia erotica del tardo XIX secolo e' infatti caratterizzata principalmente da donne nude africane o asiatiche, e non includeva mai immagini di donne bianche svestite.

    Una parentesi curiosa: la piu' antica organizzazione che si e' dedicata allo studio del popolo Rom e' stata la Gypsy Lore Society, fondata nel 1888 e che ancora esiste. Alcuni dei suoi membri di sesso maschile - tutti non Rom - si riferivano a loro stessi come "Ryes"; un'auto-designazione interpretata come "chi aveva guadagnato una posizione privilegiata nel mondo Romani". In lingua Romani "Rai" significa infatti "persona che ha autorita'", quindi puo' essere "signore" oppure anche "poliziotto". Ma ha anche un altro specifico significato, e si riferisce a chi, pur essendo non Rom, e' in grado di portarsi a letto una donna Rom.

Per varie ragioni, gli occidentali hanno avuto (ed hanno tuttora), una maggiore familiarita' con la schiavitu' degli africani nelle Americhe di quanta ne abbiano avuta con la schiavitu' dei Rom in Europa. Per questo motivo, le rappresentazioni inesatte degli zingari descritti nei cliche' letterari dell'epoca, che delineavano in termini stereotipati un certo tipo di schiavo a un pubblico vittoriano, e' sempre stato quello che ha incontrato il maggior successo in letteratura.

In uno scritto di Ozanne (1878), si legge che gli schiavi Rom in Valacchia avevano "labbra spesse e capelli crespi, con una carnagione molto scura, e una forte somiglianza con la fisionomia e il carattere dei negri". Anche St. John (1853) descrive i Rom cosi': "Gli uomini sono generalmente di alta statura, robusti e muscolosi. La loro pelle e' nera o color rame, i capelli, densi e lanosi, le loro labbra hanno la pesantezza dei negri, e i loro denti sono bianchi come perle; il naso e' notevolmente appiattito, e il volto e' tutto illuminato, per cosi' dire, dal vivo degli occhi".

Uno degli stereotipi piu' diffusi e' stato legato per lungo tempo a una "preoccupazione sessuale" concentrata sugli uomini di colore, ritenuti essere ossessionati dal desiderio per le donne bianche. Questo ha portato, poi, negli anni '20 in America, alla pratica razzista di castrare gli afro-americani, sottolineando una paura sessuale e un'insicurezza profonda insita nei maschi bianchi di quel periodo. Anche i Rom nei Balcani venivano, ovviamente, visti come una minaccia alla femminilita' bianca. Tra di loro vi era una categoria chiamata "skopitsi", uomini che erano stati castrati da ragazzi il cui compito era quello di guidare i mezzi delle donne dell'aristocrazia senza che ci fosse paura di molestie per queste ultime. Tutto cio' lo si trova riflesso anche nel codice civile moldavo dell'epoca, in cui si affermava che "se uno schiavo zingaro avesse violentato una donna bianca, sarebbe stato bruciato vivo". Mentre un rumeno che avesse "incontrato una ragazza per strada e avesse ceduto all'amore... non avrebbe potuto essere punito".

E' questa castrazione del maschio di colore che si ritrova spesso nella tradizione letteraria dell'epoca, e che e' ben espressa dalle parole di Gayatri Spivak, in cui si percepisce la necessita' di "salvare le donne dagli uomini neri". Ma questa fobia razzista riguardo alla mescolanza etnica non e' qualcosa che riguarda solo il passato. Anche nel 1996 Shehrezade Ali ha fortemente criticato il film di Disney "Il gobbo di Notre Dame" per la creazione di un impulso subliminale a sfondo razziale negli atteggiamenti sociali in via di sviluppo dei bambini. Ecco cio' che scrive:

"Ad oggi, nessuno dei personaggi femminili bianchi di Disney sono stati accoppiati con pretendenti neri o non bianchi, mentre le donne di colore sono esclusivamente legate a uomini bianchi, ignorando totalmente la loro etnia. E' questo il modo che ha la Disney di essere tollerante? Perche' la Disney mette le donne di colore in situazioni romantiche con uomini bianchi al posto di uomini di colore? E che tipo di messaggio subliminale si pensa che recepiscano le ragazzine nere o zingare quando e' ripetutamente implicito che l'unico eroe salvatore che hanno e' un maschio bianco? E che dire dei piccoli ragazzi neri o zingari che non hanno ancora avuto modo di vedere se stessi in un ruolo di eroe protagonista in un film Disney? Che cosa si puo' dire circa la loro autostima? Cio' rende visibile la continuazione del mito razzista per cui ogni donna del pianeta, sia nera o bianca, abbia un solo eterno eroe: un uomo bianco".

Un'altra caratteristica che ricorre in questo tipo di messaggio che Shehrazade Ali definisce razzista, e' che, alla fine, l'oggetto d'amore si rivela non essere una Rom, dopotutto, ma una ragazza bianca che e' stata "rapita dagli zingari" da bambina, e successivamente salvata, rendendo cosi' la relazione romantica accettabile e persino ammirevole, in quanto entrambi i protagonisti risultano appartenere alla stessa etnia.

Ma oltre a questa "preoccupazione sessuale" (tuttora presente anche se latente nell'inconscio del maschio bianco) e' sempre esistito nei confronti delle popolazioni di colore anche un profondo pregiudizio igienico oltre che morale, in quanto viste come impure, sia spiritualmente che fisicamente. Hoyland (1816) ha ribattuto a lungo sulla convinzione elisabettiana che la pelle scura dei Rom fosse semplicemente a causa di sporcizia. "Gli zingari, privi della loro carnagione bruna", scrive, "sono quelli che molto tempo fa hanno interrotto il loro modo sporco di vivere". E Celia Esplugas (1999), nel suo grossolano saggio pieno di inesattezze e disinformazione, rincara la dose e ribadisce che "la pulizia e l'igiene degli zingari non e' mai riuscita a soddisfare lo standard inglese".

Kenrick e Puxon (1972) ritengono che l'attuale odio per i Rom sia una memoria storica che risale alla loro prima apparizione in Europa, e nasce dalla convinzione medioevale che il nero denoti l'inferiorita' e il male che erano ben radicati nella mente occidentale. La pelle scura di molti zingari fa dunque essere questo popolo vittima di un pregiudizio. Il folklore europeo contiene, infatti, una serie di riferimenti alla carnagione dei Rom. Un proverbio greco, ad esempio, dice: "Andare dai bambini zingari e scegliere il piu' bianco". E in yiddish esistono proverbi come: "Lo stesso sole che sbianca il lino scurisce lo zingaro" oppure "Nessun lavaggio rende mai bianco lo zingaro nero".

A indicare il colore della pelle, una diffusa auto-ascrizione in Romani e' "Kale'", che significa appunto "neri", mentre i gage' (i non-Rom) sono indicati nella stessa lingua, anche da Rom dalla pelle chiara che potrebbero essere fisicamente indistinguibili da loro, come "parne'" o "parnorre'", vale a dire "bianchi." Questi tratti sono stati rimarcati dal viaggiatore francese Félix Colson (1839) che visitando la Romania, dov'era prassi consolidata offrire schiave Rom come intrattenimento sessuale ai visitatori [1], scrisse: "La loro pelle e' quasi marrone, e alcune di loro sono bionde e belle".

Ma anche se poteva essere utilizzata sessualmente, una donna Rom non poteva diventare la moglie legale di un uomo bianco. Un tale matrimonio veniva considerato "un atto malvagio e cattivo", e un sacerdote che l'avesse celebrato sarebbe stato scomunicato, come indicato in un proclama anti meticciato del 1776 da Constantin, principe di Moldavia:

"Zingari che sposano donne moldave, e anche uomini moldavi che prendono in moglie ragazze zingare, compiono un atto che e' interamente contro la fede cristiana, non solo perche' queste persone sono tenute a passare tutta la loro vita con degli zingari, ma soprattutto perche' i loro figli rimarranno per sempre in schiavitu'. Un tale atto e' odioso a Dio, e contrario alla natura umana. Qualsiasi prete che ha avuto l'audacia di celebrare un tale matrimonio, che e' un grande atto malvagio ed eterno, verra' rimosso dal suo incarico e severamente punito". (Ghibanescu, 1921)

Coloro che in passato hanno scritto a proposito del trattamento degli schiavi hanno creduto, probabilmente per liberarsi la coscienza, che i Rom fossero effettivamente ben disposti a tale condizione. Lecca (1908) sosteneva che "una volta fatti schiavi... sembra preferissero quello stato", e Paspati (1861) si chiedeva se i Rom non fossero "di per se' predisposti volontariamente alla schiavitu'". Emerit (1930), dal canto suo, riteneva che "nonostante le punizioni che i proprietari di schiavi infliggevano a caso, gli zingari non provavano del tutto odio per questo regime tirannico, che di tanto in tanto aveva anche qualita' paterne".

Fu Bayle St. John (1853), che baso' il suo saggio interamente su cio' che aveva scritto Grellman e che (come il creatore di Carmen Bizet) non aveva mai incontrato un Rom in vita sua, che per primo scrisse che gli zingari erano "una razza molto bella, le donne in particolare. Queste formose, scure di pelle, bellissime donne, riescono a stupirci solo a pensare a come certi occhi, certi denti e tali figure possano esistere nell'atmosfera soffocante delle loro tende". Preoccupandosi pero' di aggiungere, secondo la morale pudica dell'epoca vittoriana, che era "dispiaciuto di dover ammettere la loro indole estremamente dissoluta". Al carattere lussurioso delle donne zingare accenna anche Celia Esplugas (1999): "La sfiducia nel comportamento morale degli zingari e' estesa al loro comportamento sessuale e gli uomini non Rom vengono attratti dal mistero di questa razza, dalla bellezza delle donne, e dal loro stile di vita molto libero".

La presunta mancanza di morale tra gli zingari e' stata esplicitata con veemenza nelle critiche alle loro pratiche sessuali che hanno sempre descritto un totale disinteresse per la decenza e il rispetto verso il corpo, in particolare da parte delle donne zingare. Per questo, in gran parte nell'arte, nella musica e nella letteratura del XIX secolo, la zingara e' stata caratterizzata da stereotipi quali lo spirito libero, forte, deviante, esigente, sessualmente eccitante, seducente, e indifferente ai sentimenti altrui [2]. Questa costruzione romantica della donna zingara puo' essere letta come una contrapposizione alla donna bianca, corretta, controllata, casta, e sottomessa come l'ideale vittoriano europeo richiedeva.

Certi atteggiamenti maschili, come quelli di St. John ed altri, cioe' di parlare della donna zingara senza averne mai incontrata una, sono ancora oggi presenti. Nel 1981, sulla rivista Cosmopolitan, e' apparso un articolo scritto dallo specialista in arti marziali Dave Lowry, dal titolo: "Che cosa si prova ad essere una ragazza zingara", dove mentre l'autore sostiene di aver consentito a una ragazza Rom, Sabinka, di raccontare la propria vita, e' chiaro fin dall'inizio che Sabinka e' Dave Lowry stesso. Un indizio per la motivazione che puo' spingere un uomo bianco adulto ad affrontare un tema del genere e' in primo luogo da riferirsi alla "libido maschile" e alle "fantasie erotiche senza fine".

Ma in nessun luogo la diffusione di questa immagine erotica della donna zingara e' piu' evidente come sul sito d'aste eBay, dove le "sexy camicette zingare" vengono offerte ogni giorno, pubblicizzate da procaci modelle dalle caratteristiche tutte Rom. Un altro sito, "La Zingara", informa il visitatore che gli zingari sono normalmente di pelle scura con audaci occhi lampeggianti, ma non e' raro trovarne dai capelli oro o cremisi... la maggior parte vivono in carri chiamati vardo, perennemente in viaggio... il fuoco e' il centro della vita familiare zingara... e tante altre piccole o grandi stronzate spacciate per verita'.

Due altri siti che forniscono dettagli del tutto inventati della cultura Romani, appartengono a Morrghan Savistr'i, una donna che si dichiara Rom nata in America, e Allie Theiss, una sedicente discendente dei Rom provenienti dalla Transilvania. Sul suo sito (adesso non piu' funzionante e in vendita, dato lo strepitoso successo avuto - ndr), la signora Savistr'i, affermava di essere una Maga del Caos e una Shuvani, la cui occupazione principale sarebbe stata quella di elaborare alcuni rituali Rom per la pulizia e la purificazione, piu' recenti e meno complessi di quelli tradizionali che per la maggior parte i Rom non sono in grado di fare a causa della scarsita' dei materiali, nonche' per la quantita' di tempo richiesta per svolgerli adeguatamente. La signora Savistr'i ci faceva anche sapere che aveva due gatti, di nome Fuzz Face e Mr. Pants, dei quali ci raccontava tutte quante le peripezie. Allie Theiss, invece, scrive libri di magia gitana e amore. Confessa al lettore di non sapere di dove i Rom siano originari (e' una che ha studiato molto - ndr), ma non importa quali siano le loro vere origini, perche' gli zingari sono apprezzati per le loro notevoli abitilita' psichiche e per il dono che hanno di attirare la buona fortuna, oppure per rovinare una vita con una maledizione. Tutti, dice la signora Theiss, sono nati con tale dono, ma cio' che rende innati i loro poteri e' il rapporto che hanno con la natura. Il loro legame con gli spiriti della vita all'aria aperta permette al loro dono di evolversi in modo naturale. Inoltre non vagano piu' per il mondo in una roulotte trainata da cavalli, ma si sono modernizzati e viaggiano in auto, in autobus e in aereo".

Tre libri che raccontano stupidita' piu' o meno simili sono: "Cuore zingaro" di Sasha White. (Puo' un uomo piegato alla sedentarieta' convincere una donna dallo spirito libero a rischiare il suo Cuore Zingaro? Attenzione: questo libro contiene immagini esplicite di sesso con linguaggio contemporaneo). Isabella Jordan: "Zingari, Vagabondi e Calore: un'Antologia del Romanzo Erotico" (Perdetevi negli occhi scuri e nella sfera di cristallo di un'amante zingara!) E infine la serie di Alison Mackie "Cronache zingare" ("In ogni letto matrimoniale che Tzigany de Torres costruisce insieme alla moglie, gitana, egli conferisce un fascino potente: quello che garantisce per una vita il piacere di fare l'amore...") E poi aggiunge: "Quello che mi qualifica a scrivere di zingari? Ebbene, ho avuto una tata andalusa che si chiamava Ahalita"; una giustificazione non infrequente tra gli scrittori bianchi che vogliono scrivere di non bianchi (si veda ad esempio Sue Monk Kidd: "La vita segreta delle api"). E' in questo modo che l'identita' Romani rimane ancora in gran parte controllata dal mondo non Romani, dal cinema di Hollywood e da romanzieri e giornalisti della domenica come quelli che ho citato.

In ogni caso, per concludere, che un'etichetta etnica possa essere metaforicamente applicata non e' necessariamente offensivo. Spesso puo' accadere, ma gli stereotipi non sono dannosi fintanto che sono riconosciuti come tali. E' noto infatti che nella filmografia i mafiosi non rappresentano tutti gli italiani, e che l'Italia ha dato anche Botticelli, Leonardo e Michelangelo. Oggi, con una maggiore copertura dei media e l'accesso a siti web informativi, l'ignoranza non puo' piu' essere usata come una giustificazione. La gente deve arrivare quindi a capire che il termine letterario "zingari" e' qualcosa di molto diverso dai Rom, la cui vera storia e' complessa e in costante movimento. Percio' le ragioni che portano alla perpetuazione inesorabile del mito della zingara in quanto oggetto di desiderio sessuale devono essere cercate altrove, ed esaminate a parte. Non per questo dobbiamo dire addio a Carmen, Esmeralda e alle loro sorelle di fantasia, pero' dovremmo riconoscerle per chi e per quello che realmente sono.

Note:

    [1] E 'stata proprio questa consuetudine ad essere in gran parte responsabile del fatto che molti zingari sono ormai di pelle chiara. Tra le belle ragazze, le piu' gradite erano quelle di pelle piu' chiara e bionde, e le figlie indesiderate di queste unioni sessuali automaticamente diventano schiave, facendo aumentare nelle successive discendenze i tratti parne', rendendo sempre meno visibili quelli kale'.

    [2] Il fascino per il mondo proibito e tabu' delle donne zingare, in musica e'caratterizzato al meglio con l'opera Carmen, che ne' e' l'immagine predefinita: gitana spagnola disponibile sessualmente e promiscua e nei suoi affetti.

Per il post mi sono liberamente ispirata alla lettura del libro di Ian Hancock: "Danger! Educated Gypsy: Selected Essays"

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Di Fabrizio (del 23/01/2013 @ 09:04:01, in Kumpanija, visitato 1439 volte)

...

Dalla prefazione di Jean Léonard-Touadi:

... Un inferno con tanti gironi e ciascuna consorteria pro-Africa che si impadronisce di un girone e lo spaccia per il tutto. Ogni associazione ha la "sua Africa": quella dei lebbrosi, dei bambini soldato, dell'Aids, dei pozzi da scavare, delle mutilazioni genitali da combattere, delle periferie degradate degli "street boys" e delle masse da evangelizzare. Tutte battaglie sacrosante. Ci può essere il pericolo, però, che diventi l'Africa della messa in scena, della spettacolarizzazione e dello sfruttamento della sofferenza altrui a fini di "fund raising". La fibra emotiva qui è di rigore. Si tratta di suscitare la "pietas" del donatore eventuale, senza minimamente preoccuparsi di fare capire le cause remote e attuali delle situazioni. Qui gli africani sono passivi, oltre che pazienti, in attesa che irrompa il "deus ex machina" europeo che tutto sana, tutto risolve e salva. E gli africani, grati di tanta generosità, vengono mostrati mentre ballano e cantano inni di ringraziamento. Quest'Africa della drammatizzazione della bontà europea ignora la soggettività di popoli che da sempre si sono caratterizzati per la loro precipua capacità di resistenza e di "debroullardise" (arte di arrangiarsi). Donne, giovani e intere comunità - tramortiti dai meccanismi infernali della globalizzazione neoliberale e da poteri locali conniventi - che cercano di dare un senso alla loro esistenza ridotta a una ginnastica individuale e collettiva di sopravvivenza. Cambiare l'immagine dell'Africa non significa dare voce a quelle realtà, come spesso si sente dire; ma tendere un megafono perché queste voci arrivino il più lontano possibile. In altri termini, l'immagine delle Afriche che hanno smesso di guardare il cielo degli aiuti rende giustizia alla realtà di un continente che ha imparato a "ottimizzare l'anarchia" della politica e dell'economia ufficiali. Forse ciò servirà poco alle operazioni di raccolta fondi ma è più aderente al vissuto individuale e collettivo degli africani.

[...]


Dall'introduzione di Daniele Mezzana

... quest'immagine dell'Africa a Sud del Sahara è, purtroppo, rintracciabile nei molti punti di vista che si occupano, a diverso titolo, delle vicende di tale continente. Non solo i "cattivi" pensano a un'Africa stereotipata e, per così dire, araldica, ma anche, spesso, i "buoni", o addirittura i buoni "intelligenti". Tutto ciò ha come conseguenza una concezione asimmetrica delle relazioni internazionali, a svantaggio dei Paesi africani, e una forma, in qualche modo crudele, di forte isolamento di tali Paesi, che si risolve in una sostanziale, spesso involontaria, negazione dell'umanità africana. Questo accentua, se possibile, il dolore che l'Africa già patisce, poiché aggiunge ai suoi numerosi problemi la sofferenza, del tutto inutile ed evitabile, prodotta dall'incomprensione e da uno stigma neanche tanto nascosto. La realtà, in effetti, è profondamente diversa, o quanto meno più complessa di quanto non pensino tante persone, anche colte e avvertite.

[...]


Penso che sarebbe un libro indicato a chi si interessa alle tematiche solitamente trattate in MAHALLA

Società africane. L'Africa sub-sahariana tra immagine e realtà - Anno 2005 - Editore Zelig - Collana Futura - 330 p., brossura (cur. Mezzana Daniele, Quaranta Giancarlo)

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Di Fabrizio (del 22/01/2013 @ 09:08:31, in Italia, visitato 1523 volte)

di Massimiliano Perna - 20 gennaio 2013 - Altreconomia

Nel campo Rom di Baranzate vivono circa 350 persone, la maggior parte proprietarie del terreno, acquistato circa 25 anni fa. Un anno fa iniziano le procedure di esproprio per i cantieri della manifestazione internazionale. Lo sgombero potrebbe essere avviato già il 15 febbraio

L'Expo 2015 si avvicina e i lavori proseguono a ritmo frenetico. Uscendo dalla Fiera di Rho e proseguendo verso Baranzate, oltre al carcere di Bollate adesso ci sono anche i cantieri a imporsi alla vista degli automobilisti. A pochi chilometri dalla Fiera c'è una via lunga, piena di buche e pozze di acqua e fango, circondata da un mosaico di muretti e reti di cinta su cui si adagiano lamiere e vegetazione. È l'ingresso del campo Rom di Baranzate, dove vivono circa 350 persone, la maggior parte proprietarie del terreno, acquistato circa 25 anni fa. Un agglomerato di casette costruite abusivamente, ma semplici e ordinate, dentro le quali vivono famiglie con bambini e anziani. Un luogo lontano dalla città, dove la vita scorreva con le sue dinamiche quotidiane fino a prima che l'Expo 2015 portasse tensione.

Il 21 dicembre 2011, infatti, sul sito della Regione Lombardia, sul Corriere della Sera e su Il Giorno viene pubblicato un avviso di esproprio dei terreni dell'area in cui verranno eseguiti i lavori di realizzazione di una bretella che collegherà Molino Dorino all'A8 (l'autostrada "dei Laghi"). Un'infrastruttura che passerà esattamente sopra il terreno agricolo che ospita il campo.

Nove mesi dopo, il 13 e 14 settembre 2012, alcuni rappresentanti di Infrastrutture Lombarde S.p.a., società incaricata dalla Regione, si presentano al campo accompagnati da polizia e vigili urbani: scattano foto, visitano ogni abitazione e fanno firmare dei moduli di "presa in possesso" dei terreni, per un valore di appena sette euro al metro quadro.

Il 12 dicembre, ai proprietari dei terreni, non a tutti (per via di un errore di indirizzo: come destinazione è indicata Milano e non Baranzate), vengono inviate le raccomandate con le quali si avvisa che il 15 febbraio il terreno dovrà essere liberato, pena lo sgombero coatto con l'ausilio della forza pubblica.
Una domenica, Viviana, una volontaria che da 2 anni, in assoluto silenzio, si spende per dare una mano a queste persone, che la considerano "una di famiglia", decide di accompagnarmi al campo. Passiamo casa per casa, riceviamo la cortese accoglienza di Vlad, Giuliano e tanti altri, che vivono con enorme ansia l'approssimarsi del 15 febbraio. La loro preoccupazione è per i figli, che vanno a scuola, studiano e per i quali l'espulsione dal campo sarebbe una tragica frattura con quella che, in tanti, chiamano "integrazione". "Ho due figli che vanno a scuola – afferma Vlad - e sono nati in Italia, anche se so che per la legge questo non conta. Quando mia figlia scrive in italiano mi emoziono e mi sento orgoglioso. Perché per loro voglio un futuro diverso, migliore. Se ci buttano per strada come faremo?". "Quando sono venuti quelli di Infrastrutture Lombarde – prosegue Vlad - io non ero in casa, hanno fatto firmare mia moglie che è analfabeta e ha siglato con una X. Poi ho scoperto che si trattava della cessione del terreno, tra l'altro ad un prezzo bassissimo".

A casa di Milan arrivo mentre stanno cenando. Per senso di ospitalità sbarazzano rapidamente e mi fanno sedere al loro tavolo, offrendomi subito dell'acqua e il pane che la moglie ha appena sfornato. Ha lo sguardo sveglio ed è pronto ad arrivare fino alla Corte Europea di Strasburgo per far valere i propri diritti: "Da qui, senza un'alternativa non me ne vado. Siamo pacifici e disposti a trattare, ma devono darci una soluzione che eviti che la mia famiglia finisca in mezzo alla strada".

Anche la comunità Rom e Sinti si è mobilitata promuovendo incontri con gli assessori del Comune di Milano (che ha la competenza sulla zona), Majorino e soprattutto Granelli, per cercare una soluzione che impedisca a ben 350 persone, tra cui una settantina di bambini, più donne e anziani (c'è anche un uomo malato e in dialisi), di finire per strada, senza un tetto e senza alcuna tutela. Gli abitanti del campo hanno anche nominato dei legali, al fine di difendere i propri diritti ed opporsi alle procedure attuate da Infrastrutture Lombarde.

Il Comune, dal canto suo, ha fissato per il 23 gennaio un incontro con i rappresentanti della comunità, per proporre delle soluzioni. L'assessore Granelli, attraverso il suo ufficio stampa, afferma: "Ci stiamo già occupando della vicenda, stiamo facendo valutazioni e studiando proposte che formuleremo nel corso dell'incontro del 23 gennaio con i diretti interessati. Preferiamo parlarne direttamente con loro, senza anticipare nulla alla stampa".

Pressoché identica la posizione del sindaco Pisapia. Il suo portavoce, Marco Dragoni, ci dice: "A fine mese ci sarà una riunione tra il Comune e i soggetti coinvolti nella vicenda e in quella sede sarà stabilito cosa fare. Questo è il metodo migliore per affrontare i problemi. Fino ad allora l'Amministrazione non ritiene di dover fare dichiarazioni che possano anticipare eventuali decisioni che saranno valutate nell'incontro già fissato".

Nessuno vuole sbilanciarsi, ma intanto nel cuore di tutte le persone incontrate al campo risiede la stessa angoscia. Il primo pensiero è per la famiglia, per i figli e per la scuola. Bambini come gli altri, educati e dolci, ospitali e con gli occhi curiosi a seguire le parole che scambio con i loro padri e le loro madri. C'è un'enorme senso della dignità nelle parole che ascolto e c'è anche il rispetto per le forze dell'ordine che "fanno il proprio lavoro". C'è la speranza riposta in Pisapia ("è stato avvocato di molti Rom", sussurra un uomo) e nell'assessore Granelli. Non ci sono parole violente, né atteggiamenti aggressivi. Questa gente vuole solo continuare a vivere e a far crescere i propri figli, sperando che siano più forti e preparati degli stereotipi insopportabili, dell'emarginazione e dell'indifferenza che viene a loro riservata.

Pochi giorni fa (il 14 gennaio) il Comune di Milano ha approvato la mozione a favore del progetto "Expo dei Popoli", un coordinamento di Ong, associazioni, reti della società civile che lavora per la realizzazione del Forum dei Popoli in programma per il 2015 a Milano, in concomitanza con l'Expo. Se davvero può esistere un Expo dei Popoli, allora sarebbe bene che sia il Comune sia le associazioni che lavorano al Forum si impegnassero affinché ne facciano parte tutti i popoli. Compresi quelli che da soli lottano per i loro diritti in un campo alle porte di Milano.

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