Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 23/03/2012 @ 09:31:02, in media, visitato 1536 volte)

Da Czech_Roma - (con nota finale)

Analisi: i media cechi contro la famiglia rom attaccata dagli incendiari di estrema destra - Praga, 16.3.2012 20:54, (ROMEA) František Kostlán, translated by Gwendolyn Albert

Intervento di Anna Siváková al "Concerto per Natálka" a Benátky nad Jizerou, organizzato  ad aprile 2010 da Richard Samko per la televisione e ceca, Martin Čurej e Josef Pešta del Respekt club. Photo: František Kostlán

Trappole e vendette sono l'unica maniera per descrivere il continuo stalking a cui sono sottoposti Pavel Kudrik e Anna Siváková, vittime dell'assalto a Vitkov nel 2009, da parte di incendiari di estrema destra, poi condannati. La famiglia da allora è sotto la lente dei media, che stanno indagando su precedenti provvedimenti a loro carico, incluse imputazioni di cui la famiglia è venuta a conoscenza solo tramite i giornalisti. Secondo questa camera di raccolta-segnalazioni, oltre ad un procedimento che è stato risolto, dovrebbero averne altri due di fronte a loro.

Il primo sarebbe stato bloccato ed il debito della famiglia sarebbe stato pagato dalla compagnia MobilKom, che inizialmente aveva richiesto il saldo di bollette telefoniche arretrate per 3.000 CZK (1 corona ceca = 0,04 euro ndr.). I media l'hanno trasformata in una richiesta di 28.000 CZK,  conteggiandovi interessi e commissioni [...].

Tuttavia, Anna Siváková è convinta di non dover pagare quelle bollette. Diversi anni fa si fidò di un agente di vendita che le disse che il telefono sarebbe stato gratuito. Sappiamo che non è raro che le pratiche di certe agenzie prevedano questi sistemi per attirare i clienti con offerte simili, mentre la stampa di regime fornisce un quadro totalmente differente.

Il secondo dei tre debiti, per i quali è stato proposto il recupero della casa della famiglia, dipende dal presunto non pagamento dell'assicurazione sanitaria. "E' un debito molto vecchio, quando nacque la sorella maggiore di Natálka. Riguarda i pagamenti dell'assicurazione sanitaria, ma la signora Siváková afferma di averla pagata ed anche di avere le ricevute," dice Kumar Vishwanathan, direttore dell'associazione civica Vita Insieme (Vzájemné soužití). Non è chiaro a cosa si riferisca il terzo debito.

L'anno scorso i tribunali cechi hanno commutato 936.000 sentenza, quest'anno il numero sarà simile, se non superiore. Comunque, per un certo tipo di informazione, il caso più importante di tutti sarebbe  una bolletta telefonica non pagata di 28.000 CZK. Perché? Al solo scopo di incassare il sensazionalismo attorno ai presunti debitori.

La vita di questa famiglia romanì è stata brutalmente violata da piromani assassini, ma i media non sono interessati al fatto che la piccola Natálie dovrà presto sottoporsi a diverse altre operazioni. Non sono interessati al fatto che gli incendiari, che secondo la sentenza avrebbero dovuto pagare a Natálie 9,5 milioni di CZK ed ai suoi genitori 72.000 CZK, non hanno ancora versato una singola corona. Tuttavia, i media sono interessati al fatto che la famiglia abbia pagato o meno vecchie bollette telefoniche. La casa dove ora vive la famiglia, è stata acquistata tramite una pubblica raccolta di fondi, e questo è d'interesse per i media, perché attira lettori e spettatori a cui comunicare che quelle persone per cui si sono impegnati finanziariamente, sono in realtà degli stupidotti per cui non valeva darsi pena.

Sono esattamente il tipo di visioni semplicistiche che imperano tra alcuni giornalisti e parte del pubblico, e che interessa doppiamente anche i Rom in quanto tali. I media possono essere soddisfatti del risultato di queste azioni. Anna Siváková ha avuto un collasso come risultato di campagne simili, ma intanto aumentano i lettori ed il numero dei visitatori ed in sintesi affluisce denaro "pulito" nelle casse dei proprietari.

C'è chi non ha nessun interesse nel fatto che ogni giorno che Natálie passa in ospedale, costa 200 CZK alla famiglia, e che oltretutto debbano acquistare pomate ed altri medicinali. Nessuno assumerà permanentemente Pavel Kudrik, perché deve prendersi cura delle altre tre figlie, quando Anna Siváková è in ospedale con Natálie, cosa che accade sovente. Nessuno è interessato al fatto che tanto le altre tre figlie che i loro genitori avrebbero bisogno di assistenza psicologica, in quanto severamente ustionati durante l'assalto incendiario dei razzisti.

Grazie a questo, i "trucchi" mediatici, a cui recentemente il perito Ivo Svoboda si è correttamente riferito come "deprivati, stupidi bruti", sono nuovamente presenti in prima pagina. Diversi individui volgari, che vedono il mondo con odio - soprattutto quando si tratta di Rom, stanno prendendosi la loro rivincita su questa famiglia. E' gente che ammira i razzisti incendiari, che obbietta sulla durata eccessiva della condanna, gente che non è capace di sopportare la coesistenza con culture diverse o qualsiasi tipo di differenza, che lotta contro la correttezza politica quasi inesistente nel paese, che si spinge oltre i limiti della comune decenza umana verso la propria patologica visione del mondo.

Non si contano tutti gli articoli ed opinioni nelle "discussioni" online che traboccano di odio e razzismo. Chiunque può vederli in pochi istanti utilizzando un qualsiasi motore di ricerca.

Ciò che è anche peggio, è che questi poveri, stupidi bruti stanno attaccando direttamente la famiglia di Pavel Kudrik ed Anna Siváková, ed anche chi sta facendo del suo meglio per aiutarla in questo difficile momento. Email odiose, grida di minacce per strada, gossip e telefonate minatorie sono all'ordine del giorno.

"Non rispondo nemmeno più al telefono. Mi chiamano continuamente con insulti volgari, mi dicono -porca-, -troia- -figa- e che -finirò nella camera a gas con gli zingari-. E poi ci maledicono con email indirizzate alla nostra associazione. Se quella famiglia fosse stata -bianca-, tutti si sarebbero dispiaciuti per lei, ma dato che sono rom, parte del pubblico li criticava," ha detto recentemente a Romea.cz Helena Jedináková, dell'associazione Life Together, che aiuta la famiglia della giovane Natálie.

Noi di Romea.cz abbiamo avuto la stessa esperienza. Gossip odiosi e razzisti indirizzati a questa particolare famiglia, vengono regolarmente inviati alla nostra email.

Racconta ancora Jedináková: "Anna Siváková si sente molto male, psicologicamente parlando, a causa dell'interesse dei media e dopo aver letto alcune delle discussioni online. Si è chiusa in casa e non risponde al telefono. La famiglia non ha soldi. L'odio verso di loro attraverso forum e discussioni online è incredibilmente aumentato."

Jedináková continua dicendo che "fortunatamente abbiamo trovato anche brave persone che vogliono aiutare finanziariamente la famiglia e che ci incoraggiano, cito, -non preoccupatevi di quegli idioti e non dategli retta-. Li ringrazio enormemente. Le loro lettere e telefonate mi hanno dato una grande forza ed ispirazione per continuare."

Ha anche ricordato che Life Together assiste non solo la famiglia della giovane Natálie, ma tutte le famiglie vulnerabili quando chiedono collaborazione. "Se ne abbiamo la possibilità, siamo molto lieti di aiutare chiunque," dice.


Nota finale del redattore: è da tempo che la Repubblica Ceca è interessata da violenti ed incessanti episodi di razzismo, grandi e piccoli. A volte, questo razzismo arriva a vette che scuotono anche il "cittadino medio", come nel caso di Natálka che è stato seguito negli sviluppi di tutti questi anni.

Ma per comprendere come sia possibile che fatti simili avvengano, diventino quasi vita comune, occorre capire qual è il clima generale di questo paese che, ricordiamolo, è parte dell'Unione Europea. Ragionando, nel contempo, su quanto in Italia siano conseguenti tra loro il razzismo violento e la discriminazione quotidiana.

 
Di Fabrizio (del 15/03/2012 @ 09:48:42, in media, visitato 1292 volte)

La nuova trasmissione condotta da Medici per i diritti umani su Novaradio Città Futura 101,5
Tutti i Giovedì - dalle ore 17 - a partire dal 15 marzo 2012

I conduttori del programma, con la collaborazione di numerosi ospiti, apriranno una finestra sul diritto alla salute, sulle attività di MEDU e soprattutto sui contesti e sulla vita dei beneficiari dei nostri progetti. Pillole della durata di venti minuti, intervallate da un rilassante intermezzo musicale, che avranno come titolo "Nessuno escluso" .

Cercheremo innanzitutto di parlare di e con le persone che vivono in condizioni di marginalità nelle nostre città. Daremo loro voce attraverso interviste pensate e realizzate da alcuni volontari, che hanno chiesto di descrivere l'ambiente delle case occupate e dei campi rom spontanei, la giornata tipo di chi ci sta dentro, il suo progetto migratorio, il suo viaggio e le sue aspettative, oltre al suo rapporto con i servizi sanitari del territorio. Parleremo dei progetti internazionali che Medu sta portando avanti in Colombia, Ecuador e Palestina, dando ancora una volta priorità alla testimonianza diretta dei nostri partner locali e dei nostri operatori sul terreno, tentando a margine di offrire uno spaccato della situazione politica e sociale dei Paesi coinvolti. Ragioneremo dell'eguaglianza di genere e della violenza sulle donne, divertendoci anche a spulciare i messaggi mediatici e pubblicitari volti ad attribuire un ruolo dominante al Maschio, per obbligo. Abbiamo infine pensato ad alcune tematiche più peculiari come il disagio mentale, la dipendenza e la situazione dei minori abbandonati nei contesti di precarietà.

Nessuno escluso dal diritto alla salute, come recita il nostro slogan. Filo conduttore sarà l'idea di salute concepita come condizione complessiva della persona, che comprende oltre all'assenza di malattie anche il benessere psico-fisico e l'inserimento sociale. Su queste basi ci confronteremo anche con il ruolo che secondo noi devono avere il servizio pubblico e il terzo settore, con l'obiettivo comune di garantire un diritto fondamentale che come tale è di tutti, senza distinzioni di razza, sesso, provenienza, condizione economica o amministrativa.

NESSUNO ESCLUSO
Ogni giovedì alle 17.00, in Podcast sul sito di MEDU
A cura di Marco Zanchetta e Riccardo Di Virgilio

Ufficio Stampa Firenze
Tel. 3351853361
Medici per i Diritti Umani, organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale.

 
Di Fabrizio (del 07/03/2012 @ 09:46:21, in media, visitato 1309 volte)

Dopo che nella "civilissima" Milano un pensionato è stato letteralmente sbranato da un branco di cani randagi, molti giornali avevano notato la "sospetta" vicinanza del luogo dell'agguato con uno storico campo sosta milanese. Qualche giornale aveva persino raccolto le testimonianze degli abitanti del campo, i quali dicevano di temere anche per i propri figli, quando dovevano andare a scuola.

  • ANSA: Non sembra, al momento, che gli animali siano di coloro che abitano in due campi nomadi della zona. Qualcuno ha dei cani in alcune baracche ma li tiene legati.
  • Repubblica: "i nomadi hanno solo cagnolini piccoli, non ne abbiamo mai visti di grossa taglia negli accampamenti". Anche gli inquirenti per ora non hanno elementi per affermare che i cani appartengano ai rom.
  • Corriere della Sera: Anche i nomadi del campo a fianco dell’omicidio erano visibilmente spaventati: «Temiamo per i nostri bambini» è il coro univoco di rom, contadini e abitanti di Muggiano, nonostante fiocchino accuse reciproche.

Ma si sa, la parola di questi ZINGARI vale quanto una banconota da tre euro, ed ecco che ci si mettono Libero ed il Giornale.

Leggo: Associazione Canili, branco killer viene da campi nomadi
Si tratta di aree, continua l'Associazione, "dove le istituzioni non entrano, niente vigili, niente polizia, niente Asl. Abbiamo cercato di risolvere noi il problema (siamo una piccola associazione, ma il problema era molto piu' grande di quanto pensassimo) entrando noi stessi nei campi soli, senza protezioni. Tra l'altro, come in tutte le associazioni animaliste, non vi sono uomini e per delle donne entrare a discutere in un campo rom non e' bello". L'associazione chiede "di non demonizzare e strumentalizzare i cani, esseri buoni per natura..."

Ammetto di voler bene a (quasi) tutti gli animali, ma di essere un po' stupido: mi sembra che per non demonizzare i cani, si stia demonizzando qualcun altro...

Non è la prima volta...

 
Di Marylise Veillon (del 26/02/2012 @ 09:25:11, in media, visitato 2035 volte)

Baxtalo's Blog

Con una cinepresa in spalla, il cineasta franco-algerino Tony Gatlif si è messo in mezzo alla folla degli "indignados" della primavera europea del 2011 i quali, a partire degli atenei di Madrid, protestarono contro i banchieri e i ricchi in generale.

"Anche quando la temperatura scende a meno dieci o meno quindici gradi, nessuno si meraviglia di vedere la gente dormire per strada" ha dichiarato all'AFP, prima di presentare "Indignados", il suo film sdegnato, nella sezione Panorama della 62a Berlinale, dedicata quest'anno ai recenti sconvolgimenti della storia, soprattutto nel mondo arabo.

Il gitano del cinema globalizzato ("Latcho Drom", "Gadjo Dilo") si mette in posa per i fotografi con i pugni chiusi all'altezza degli occhi, con uno sguardo di sfida.

Dice che è "disgustato", e anche che il libro "Indignados" gli è penetrato fin dentro l'anima. Questo testo di Stephane Hessel, di 94 anni, eroe della resistenza francese contro i nazisti nonché ex diplomatico, il quale chiama al sollevamento pacifico contro l'ingiustizia, è stato tradotto in trenta paesi.

Tony Gatlif, dice di essersi sentito male e umiliato per il modo nel quale furono trattati i gitani in Francia durante l'estate 2010, e dichiara che il libro di Hessel lo ha curato dai problemi psicologici dei quali ha sofferto a causa di questa situazione.

Dopo avere acquistato i diritti cinematografici di "Indignados", ha deciso di fare delle riprese. "Ma non ho voluto farlo secondo il punto di vista degli europei", dice.

Tony Gatlif esamina la rivoluzione contrapporsi alle disavventure di un'immigrata clandestina, nella militanza crescente che traboccherà poi per le strade di molti paesi in tutto il mondo

La sua cinepresa segue quindi il vagabondaggio di Betty, una ragazza africana senza documenti, buttata sulla riva nord del Mediterraneo, attanagliata dall'urgenza di fuggire dalla miseria e dalla speranza di godere di una vita migliore in Europa.

Lo spettatore la segue nelle sue peripezie mute, ritmate dalla musica e dagli slogan, da Patrasso, il grande porto greco, passando per Atene e Parigi, e terminando a Madrid.

Betty, detenuta dalla polizia e rimandata in Grecia, l'unico paese che ha conservato le sue impronte digitali, scopre la miseria dei paesi ricchi, i materassi per strada, i pasti serviti dalle associazioni caritatevoli.

"A noi, non c'importa, mentre lei è sconvolta. Ed è per questo che ho voluto che guardassimo dall'alto delle sue spalle, con i suoi occhi" sottolinea Tony Gatlif.

"In ogni luogo, la vecchia Europa che fa tanto sognare, sta in pericolo. E' la prima volta nella storia, che le banche provocano la bancarotta di un paese", continua.

"Betty stessa si trova intrappolata in Europa, senza potere rientrare nel suo paese. La sua famiglia si era indebitata per pagarle il viaggio, e ora si trova a sommarsi ai clandestini, a quelli senza documenti, ai paria senza identità", dice Gatlif.

Costretta a mentire, Betty ripete al telefono ai suoi familiari: "Le cose vanno bene, tutto andrà per il meglio".

Ma cosa ci guadagna Betty, nel rimanere in mezzo a questa folla in collera, ma impotente davanti alle crisi economiche e finanziarie, che riprende con i suoi telefonini durante le manifestazioni?

"E' il nuovo mezzo di comunicazione che rende possibile la rivoluzione pacifica, poiché in questo modo l'informazione corre veloce, e sorpassa governi e banchieri" stima il realizzatore.

Il documentario-dramma del regista Tony Gatlif si ispira al noto saggio di Stephane Hessel, 94enne, "Indignatevi!".

Tony Gatlif crede "nei raggruppamenti della gente, nella forza della folla. Anche i rivoluzionari siriani raggiungeranno il successo".
L'essere stato selezionato per la Berlinale lo ha confortato, e accanto a Stephane Hessel, desidera utilizzare il festival come un palco.

"Sarebbe ora che anche il cinema smetta di guardare al proprio ombelico, e si impegni; ma è come in altri contesti: ognuno difende i propri piccoli interessi", dice Gatlif.

 
Di Fabrizio (del 21/02/2012 @ 09:15:27, in media, visitato 1582 volte)

CLOSE UP Pubblicato il 17 febbraio 2012 da Giovanella Rendi

Tra il 2008 e il 2009 in Ungheria sono stati commessi numerosi atti di violenza nei confronti della comunità rom. Delle 55 persone coinvolte, 6 sono rimaste gravemente ferite e 5 sono morte e i sospetti sono attualmente sotto processo. La stranezza di questi eventi (oltre ovviamente all'assurdità della violenza e della morte) ha consistito nel fatto che tutte le vittime, sopravvissute o meno, conducevano una vita normale, lavorando, studiando, abitando in condizioni modeste e sotto il livello di povertà ma non in campi nomadi bensì in case. Lo scopo, secondo il regista Bence Fliegauf che ha dedicato molto tempo a studiare la tragica vicenda, non avrebbe dunque motivazioni razziste "classiche" e immediate, ovvero il pericolo sociale e la delinquenza, ma un piano a lunga durata per scatenare una vera e propria guerra civile con i gruppi nomadi per eliminarli definitivamente.

Poco interessato agli autori dei crimini, che pure ha incontrato e intervistato, (per la banalità del male), Fliegauf sceglie invece di avvicinarsi in punta di piedi alle vittime e seguirle per un solo giorno, quello che per loro sarà l'ultimo, dall'alba al tramonto. E per far questo mette al bando qualsiasi stereotipo sui rom che cantano, ballano e suonano la fisarmonica e soprattutto sono sempre in gruppo, per seguire i loro passi nella solitudine di un bosco ai confini di un centro abitato, uno spazio « altro » custodito dai vigilantes della comunità che passa repentinamente da idilliaco a tenebroso.

I quattro personaggi principali (madre, figlia adolescente, figlio ragazzino e un anziano nonno arteriosclerotico) seguono i loro ritmi quotidiani, che sono quelli «normali» : la madre lavora come donna delle pulizie, la figlia va a scuola e fa i compiti, il figlio bigia e va in giro per i campi e al fiume con gli amichetti. Tutto nella norma, se non fosse che la famiglia dei vicini è stata sterminata mentre dormiva, la comunità vigila e su tutto aleggia un'atmosfera di tensione tanto più insopportabile quanto i protagonisti sembrano non percepirla. Eppure non è così perché ognuno di loro non fa altro che pensare a quando si trasferiranno tutti in Canada per raggiungere il padre. Nel frattempo mille piccoli episodi inquietanti si vanno a sommare, come subliminali atti di razzismo a scuola e al lavoro, momenti di gentilezza invece da parte di colleghi o compagni di liceo, esplosioni di rabbia subito sedate e la raccomandazione continua di «fare attenzione».

Divenuto famoso nel 2010 con il discusso Womb (storia di una donna che clona nel figlio l'amante defunto, interpretata da Eva Green), Bence Fliegauf è probabilmente l'unico esponente della cinematografia ungherese contemporanea a riuscire ad essere da anni ospite di vari festival internazionali. Utilizzando spesso la macchina da presa a spalla, che soffia letteralmente sul collo dei personaggi come se li inseguisse invece che pedinarli, costringe lo spettatore, che già sa come andranno a finire le cose, a partecipare alla sorte dei protagonisti aumentando il climax fino all'ultimo, quando invece lo congela con un pudore che però non gli impedisce di mettere chi guarda davanti alle responsabilità di tutta una società.

CAST & CREDITS
(CSAK A SZÉL) Regia e sceneggiatura: Bence Fliegauf; fotografia: Zoltán Lovasi; montaggio: Xavier Box; musica: Bence Fliegauf, Tamás Beke; interpreti: Katalin Toldi, Gyöngyi Lendvai, Lajos Sárkány, György Toldi; produzione: Inforg M&M Film; origine: Ungheria/Germania/Francia; durata: 91'.

 
Di Fabrizio (del 18/02/2012 @ 09:30:08, in media, visitato 1352 volte)

NotiziarioItaliano Giovedì, 16 Febbraio 2012 16:53

Un viaggio attraverso le regioni montuose della Bosnia centrale dove vivono alcune comunità di rom kaloperi: famiglie stanziali che possiedono una casa, guardano con sospetto gli zingari dediti al nomadismo e non parlano volentieri la lingua romanì. Di villaggio in villaggio, vengono scrutate attentamente tutte le abitudini più ordinarie dei membri delle varie famiglie e vengono registrate alcune testimonianze: esperienze e pensieri di differenti generazioni che cercano di aprire un nuovo sguardo sulla diversità e la ricchezza dei popoli rom.

Di ciò che risponde all'idea comune di "zingaro", ci sono solo le immagini. Frutto di un viaggio invernale nel cuore della Bosnia compiuto nel 2004, il documentario di Massimo D'orzi vive di immagini libere e fluide colte nell'intimità di quei piccoli gruppi di rom bosniaci che trovano nella dimensione quotidiana degli affetti familiari e del lavoro la loro condizione ideale.

Questa carattere "erratico" e in divenire della ripresa è evidente nella condizione temporale che impone da subito il lavoro: privilegiando i tempi morti, uno sguardo da documentario antropologico e una dimensione evocativa attivata dall'accompagnamento costante della fisarmonica di Hazdovic Ruzdija. La vocazione naturalista del lavoro non preclude tuttavia che il suo obiettivo sia quello di raccontare attraverso una serie di testimonianze dirette una storia differente rispetto alle idee e ai luoghi comuni sui gitani. Obiettivo evidente fin dal titolo, che privilegia il carattere della piccola Adisa, la più giovane fra le protagoniste intervistate, e la mette a confronto con l'esperienza di una nonna particolarmente vivace ed emancipata, ma soprattutto con una cultura nata mille anni fa nell'India d'epoca medievale. Un confronto fra generazioni nel quale emerge anche un certo disagio per l'identità del popolo rom e per tutti quei sottogruppi dediti al nomadismo e al brigantaggio.

Č vero che c'è una certa discrasia fra il modo di condurre le interviste (che, per quanto informali, appaiono in più momenti pilotate, animate dalla volontà di far emergere i pensieri pacifisti e quelli anti-tradizionalisti delle famiglie kaloperi) e quello di guardare al paesaggio. Ma, preso come un'unica, lenta e lunga panoramica, il film trova una temporalità personale che riesce a dare un ritmo anche a questa dialettica fra immagini entranti e immagini contemplative. Fra ottica di studio e ottica di poesia.

 
Di Fabrizio (del 23/01/2012 @ 09:49:19, in media, visitato 1605 volte)

Da NO(b)LOGO - Jan. 19th, 2012 at 3:49 PM

Oggi Andrea Cuomo de ilgiornale.it pubblica una NON notizia :
Quella rete di coperture tra rom che frena le indagini

Nell'articolo non un solo fatto ma una tesi finalizzata ad alimentare l'odio razziale: i rom sono omertosi e delinquono proteggendosi tra loro.

Un articolo tanto più odioso quando a Torino sono la magistratura e le forze dell'ordine che si rendono conto che la possibilità di chiamare alla propria responsabilità gli italici autori del pogrom della Cascina Cantinassa è impedita da: Un muro di omertà sul rogo delle Vallette - stampa.it (vedi anche QUI ndr.)

Ma occorre entrare nel merito dell'articolo di Andrea Cuomo per rendersi conto di come, per il giornale, vada versato veleno sulla base di niente se c'è una campagna di disinformazione da mandare avanti.

L'articolo ovviamente parte dalla giusta ondata di sdegno derivante dalla barbara uccisione del vigile Savarino con l'evidente proposito di alimentare l'odio razziale, ma invece di raccontare i fatti di milano rinvanga l'episodio simile dell'omicidio stradale di Quarto Oggiaro di qualche mese fa.

Al giornalista non passa proprio per la testa di ricordare che nel doloroso caso di Milano gli omicidi sono stati assicurati alla giustizia in tempi rapidissimi proprio grazie alla collaborazione del uomo investito per primo, rom calabrese, e degli altri della comunità di giostrai che erano presenti.

    LA TESTIMONIANZA - Gli investigatori sono arrivati ai sospettati anche grazie alla testimonianza dell'anziano giostraio colpito di striscio dall'auto poco prima della tragedia di giovedì. Agli agenti della polizia locale avrebbe fornito il numero di un cellulare di uno dei due. Hanno messo sotto controllo le celle telefoniche e hanno intercettato alcuni messaggi importanti per l'indagine.

(c'è perfino un altro articolo de ilgiornale che racconta come ci sia sta collaborazione nei campi rom).

Non passa neanche l'idea di confrontare l'episodio con quello dei giovani di Aosta, identificati dopo un mese e mezzo dall'omicidio stradale di Caselle cui erano colpevoli.

    Ma prima di approdare ad Aosta, nel garage dove era nascosta la Clio modello Ventesimo Anniversario, gli agenti della polizia municipale hanno seguito tante piste fasulle. Almeno quaranta controlli a vuoto: segnalazioni anonime ma «potenzialmente attendibili». E «informazioni confidenziali». Blitz in campi nomadi, carrozzerie, sfasciacarrozze, discariche. Dopo l’incidente sono arrivate 4 lettere misteriose. Una firmata da «Anonimo 66», spedita da fuori Torino. Una signora di Grugliasco, convinta di aver trovato il pirata, «denuncia» il suo vicino di casa: «Ha un ritmo di vita anormale, dorme di giorno e vive di notte. Ha un amico con una Clio nera». Tutti vicoli ciechi.

Mica si ricorda il giornalista che all'arresto di Romulus Mailat si arrivò grazie alla testimonianza di una romnì del campo Tor di Quinto.

Ma la vera chicca dell'articolo è ritirare in ballo l'episodio della Caffarella ed i nomi di Alexandru Isztoika Loyos e Karol Racz.
Al giornalista mica viene in mente di controllare l'esito del giudizio o gli archivi del suo giornale. Gli basta RI-SBATTERE il MOSTRO in prima pagina.

Allora ricordiamo al giornalista che i due poveri diavoli da lui tirati in ballo erano INNOCENTI e sono stati assolti per l'episodio.
Ed anche ai fini delle tesi razziste del giornalista l'episodio non va bene, il povero Karol Racz fu ritrovato dalla polizia quando tutti lo indicavano come il "mostro faccia da pugile" proprio in base alla civica segnalazione della comunità rom di Livorno che gli dava ospitalità.

Ovviamente il giornalista è molto più garantista quando gli imputati non sono Rom, e magari gli passano lo stipendio.

Per futura memoria, anche nel caso che Loyos e Racz vogliano chiedere spiegazioni al giornalista ed alla testa, una copia conforme della pagina è stata salvata.

All'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi di un'avventura.
E chiese al vecchio dammi il pane
ho poco tempo e troppa fame
e chiese al vecchio dammi il vino
ho sete e sono un assassino.
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva ho sete e ho fame.
E fu il calore di un momento
poi via di nuovo verso il vento
poi via di nuovo verso il sole
dietro alle spalle un pescatore.
Dietro alle spalle un pescatore
e la memoria è già dolore
ed è il rimpianto di un aprile
giocato all'ombra di un cortile.
Vennero in sella due gendarmi
vennero in sella con le armi
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.
Ma all'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.

 
Di Fabrizio (del 17/01/2012 @ 09:54:04, in media, visitato 3043 volte)

Immagine da chupacabramania.com. Precisazione necessaria: le indagini sono ancora in corso e lo scritto che segue è di ieri pomeriggio.

La storiaccia dell'omicidio del vigile Nicolò Savarino l'ho seguita sin dall'inizio: troppo fresco il ricordo del rogo alle Vallette solo un mese fa; confesso che la mia paura era che si ripetesse quel meccanismo che aveva trasformato un articolo di giornale in una miccia accesa gettata in quartiere periferico, probabilmente non più brutto di molti altri ma pronto a trasformarsi in polveriera sociale.

Responsabilità giornalistiche a parte (le vedremo in seguito), la mia disillusa conclusione era che tra carta stampata e lettori non ci fossero differenze: uno alimenta l'altro complici nel linguaggio, nelle ripetizioni, nei luoghi comuni, nella voglia di distinguersi... nel mostrare e richiedere INDIGNAZIONE a breve termine.

I giornali di per sé, non farebbero più danno di tanto, ma avevo assistito (praticamente in presa diretta) allo schierarsi dei vari lettori, nei commenti alle testate e sui social network. Da lì è iniziato tutto: i primi due giorni sono stati una cartina di tornasole per chi fa informazione, è emerso cosa si voleva ottenere da questa vicenda, dove in seguito tutti si sono scatenati.

Ammesso che vogliate continuare la lettura, ricordate quella che è stata una costante di tutte queste indagini: NON SAPPIAMO ANCORA CHI SIA L'ASSASSINO. E' stata fermata una persona, la cui reale identità è TUTTORA IGNOTA.

La certezza è che è stato commesso il crimine. Che in una maniera o nell'altra erano coinvolti degli ZINGARI. Ho usato apposta quella parola, perché da sola è bastata a scatenare una reazione simile in due fasce opposte di lettori: chi si batte per il miglioramento delle condizioni di vita di Rom e Sinti, e chi all'opposto è razzista a prescindere. La reazione possiamo sintetizzarla in poche parole: "E' INUTILE DARSI DA FARE! C'E SEMPRE QUALCUNO CHE ROVINERA' TUTTO IL LAVORO FATTO IN PRECEDENZA!"(1) e a qualcun altro non parrà vero di poter ripetere "VOI ZINGARI..."

Purtroppo, sono i razzisti e gli intolleranti a nutrirsi di certezze, di solito chi è antirazzista vive continuamente nei dubbi. A tutti e due, risponderei con quello che ha scritto sabato un giornale che non è certo sospetto di simpatie per i rom:

    "L’uccisione di ieri è il terzo caso in pochi mesi di follia al volante in Lombardia. Il 19 novembre, a Cremona, un pensionato di 76 anni, Guido Gremmi, era stato travolto e ucciso dopo una lite per un parcheggio destinato alla sua compagna disabile, Bruna Dondi, 79 anni. L’investitore, Angelo Pelucchi, ex imprenditore di Bassano Bresciano, incensurato, si era costituito l’indomani ai carabinieri.
    Cinque giorni dopo, il 24 novembre, è stato condannato a sedici anni di carcere per omicidio volontario Vittorio Petronella, il 71enne pensionato che, il 25 luglio scorso inseguì, travolse e uccise il 35enne Alessandro Mosele. I due litigarono a un semaforo in Via Andrea Doria per motivi di viabilità, e Petronella, ex direttore commerciale di un’azienda, si gettò all’inseguimento di Mosele che era in sella al suo scooter. Il pensionato ha sempre detto di non aver avuto intenzione di uccidere e di non avere urtato il 35enne, a differenza di quanto dichiarato dai testimoni sentiti dalla Procura." vedi IL GIORNALE
Insomma, chi è rom e chi non lo è, sembra "integrato" allo stesso livello, senza differenze di razza o nazionalità. Può non piacere, ma questo è un altro discorso.

Le indagini proseguono e, ripeto, comprendo il riserbo degli inquirenti nel far trapelare le notizie. Ma come fare, in assenza di dati certi, a vendere giornali? Provate a pensare, sapendo quante poche copie si vendono in Italia, se voi foste un redattore rinuncereste a sguazzare nel fango con una storia simile?

E' così che la nazionalità e la razza dei presunti colpevoli sono diventate un ingrediente indispensabile di ogni articolo: di volta in volta: rom, sinti (a volta assieme, oppure separati), tedeschi, slavi, italiani...

E qua comincia il gioco sporco, a cui hanno partecipato TUTTI i quotidiani, ben sintetizzato in questo pezzo di Giornalismi.info. Nel frattempo, il maggior giornale italiano ieri esordiva così:

    Vigile ucciso, le mille identità del serbo fermato in Ungheria per omicidio
    MILANO - Goico Jovanovic, tedesco di 24 anni o Reni Nicolic, di 17 anni francese? O forse Goico Nicolic di 21 anni? O invece si tratta del palermitano Davide Jovanovic di 26 anni?...

C'è un'evidente contraddizione tra titolo ed apertura. Questo SIGNOR NESSUNO potrebbe essere contemporaneamente tedesco, francese o palermitano, ma nel titolo chissà come, diventa serbo. Altri giornali, dopo le iniziali incertezze, hanno invece martellato sul fatto che la sua identità sarebbe tedesca, ma di origine "slava".

C'è dietro tutto un gioco per dipingerlo differente da "noi": ma allora denominiamolo pregiudicato, europeo, di nazionalità non ancora identificata...

Sfugge a molti la natura CULTURALE (nel senso più ideologico del termine) di un'operazione simile: per questioni di "correttezza politica" nessuno vuole usare la tanto disprezzata parola ZINGARO (quella viene lasciata ai commentatori plebei), però si vuole lasciarne il senso di alterità, di estraneità: uno zingaro non può essere italiano, tedesco, francese (o palermitano); e visto che stavolta la Romania non può essere tirata in ballo, dev'essere slavo per forza, anche se non sappiamo ancora chi sia.

Dico CULTURALE per diverse ragioni: zingari (continuo apposta ad usare un termine dispregiativo) italiani esistono da secoli, lo stesso vale per quelli tedeschi e francesi. La loro continua richiesta dal II dopoguerra è stata di essere "integrati" (termine alquanto ambiguo) come qualsiasi altro cittadino. No, ci dicono le cronache, se si tratta di delinquenti noi MEZZI DI INFORMAZIONE, smetteremo di essere buoni, e torneremo ai vecchi stereotipi come nel fascismo, dello slavo, rumeno, albanese che per forza è sanguinario, irrecuperabile e di sangue zingaro.

Ma visto che da allora è passato qualche decennio, cambiano i termini: zingaro è diventata una parola tabù, come ebreo. E difatti le prime cronache parlavano di due persone di etnia rom-sinti. Molti sono insorti dicendo che o si uno o si è l'altro e che era come descrivere una persona come un tunisino-peruviano. Io invece credo che rom-sinti sia stato usato in piena coscienza, sapendo che i due termini assieme avrebbero richiamato la parola proibita: ZINGARO.

Ad un certo punto, per non destare più dubbi, accanto a "tedesco di origine slava" appare un terzo termine: "nomade", che tra tutti è il più ipocrita. Che significa? Che nazionalità o razza è? E se il colpevole avesse per caso una casa (è probabile, ancora non siamo certi chi sia in realtà, l'unica cosa che sappiamo di lui è che i soldi gli girano e di case può permettersene più di una), perché usare "nomade"?

Abbiamo poche certezze, in questa storia, una di queste è che comunque la persona fermata è "un poco di buono". Non lo difendo di sicuro, mi spaventa però questo AUTOMATISMO MEDIATICO per cui se sei un malfattore, ancora prima di essere identificato sarai rom o sinto (quindi perderai il diritto a vederti riconosciuta una nazionalità) e se lo sei sarai per forza un "nomade" (sorvolando sul fatto che rom e sinti in Germania da decenni hanno riconosciuto il diritto alla casa). Dimenticando in un sol colpo, prima della deontologia professionale, che gli assassini esistono dappertutto, spesso abitano in case del tutto simili alle nostre, senza simili processi di stigmatizzazione.

Mi capita sempre, a questo punto, qualche anima candida che dice che la mia è una difesa ad oltranza di chi fa di tutto per meritarsi una cattiva fama. Se anche fosse, non vi sentireste presi in giro da chi invece di ragionare a fatica (e sapeste che fatica...) vi sta sfruttando come cavie mediatiche da laboratorio, sapendo quali sono i vostri punti deboli e volendo a forza solleticare i vostri peggiori istinti?


1: sempre ieri un grande ha compiuto 70 anni. Me lo ricordo a Kinshasa, un'intervista prima della sfida contro un campione più giovane e potente: "Io," diceva pressappoco così, "sono già andato al tappeto altre volte, lui mai. Io so rialzarmi, lui non si sa. E' per questo che penso di avere un'arma in più di Foreman."

 
Di Fabrizio (del 14/01/2012 @ 09:11:36, in media, visitato 2369 volte)

Foto ANSA

Qualcuno potrebbe spiegare a questo Michele Focarete, redattore del più importante quotidiano italiano, che "rom" e "sinti" non sono due sinonimi intercambiabili da usare a cazzo? Letto su Facebook

Le distinzioni non sono per i giornali, che si chiamino Libero, Corriere oppure Repubblica. A fare distinzioni c'è sempre il rischio che qualcuno si faccia domande, ed allora meglio vendere certezze.
Se poi qualche lettore esaltato si fa prendere la mano, come il mese scorso nel rogo torinese, allora ci si spargerà il capo di cenere e si farà i bravi per qualche mese; così nel nome della "libera concorrenza in libera informazione" ci sarà qualche altro foglio a scrivere articoli altrettanto irresponsabili. Magari, basterebbe poco, ad esempio riscoprire la vecchia regoletta "le notizie separate dai commenti".

Ma in fondo i giornali in Italia li leggono in pochi, e la maggior parte dei lettori si fermano al titolo.
E questi lettori, che sono pure democratici, istruiti ecc. assomigliano molto ad un titolista: solo un po' più frustrati di non essere un giornalista, anche se sfruttato e sottopagato. Cercano titoli da ripetere: alla suocera, al bar, su Facebook o su Twitter... dove mostrare quanto siano sensibili, aggiornati, attenti (insomma: esattamente il contrario di ciò che sono in realtà).

Vogliono mostrarsi indignati, non importa per che cosa. I primi lanci della notizia li ho letti giovedì sera tardi: a molti non è sembrato vero di avere un motivo per prendersela contro gli odiati SUV che occupano la città. Questo il commento alla notizia di una persona che conosco come molto civile ed impegnata:
"Prima di metterlo in galera e buttare la chiave, lo farei anche rotolare nudo in un campo di ortiche, lo porterei al ponte sull'Adda e lo appenderei a quell'elastico, lo lascerei così a testa in giù una notte intera....e molto, molto altro ancora, si lo torturerei, ecco!"

Il giorno dopo salta fuori quello che molti nei campi temevano: sono coinvolti degli "zingari". Cambia il "focus", ma resta l'indignazione artificiale di avere qualcosa contro cui scagliarsi. Basta scorrere i commenti su Il Giornale o anche sul Corriere, altrettanto superficiali ed uniformati di quelli del giorno prima, anche se di segno opposto.

Insomma: SUV e ZINGARI come monete intercambiali di indignazione. La ricerca di un nemico necessario per ribadire la propria presenza.

 
Di Fabrizio (del 10/01/2012 @ 09:28:41, in media, visitato 1458 volte)

Lo video

C'era una volta un Rom piccino picciò, ma così piccolo che non era neanche Rom.

Ma lui, testardo, non si arrendeva a questa sfortuna e ripeteva sempre a se stesso che bravo Rom sarebbe stato.

Così guardava sotto i ponti, nei tombini, dentro la dispensa a cercarli, per poter dire loro con la mano sul cuore, IO VI SALVERO'.

Non se lo filava nessuno tra i vecchi crociati di cento battaglie, et male fecerunt. Perché già dal primo scontro, perso alla grande, contro Converso (un signorotto con 2 kg. di pelo sullo stomaco), il nostro eroe, che aveva fretta di trovare uno spazio suo, imparò due cose fondamentali:

  1. in Italia, chiunque può parlare, agire, fare il campione dei Rom. Non servono esperienze o studi, basta rimestare qualche concetto preso in prestito. Basta ripeterlo all'infinito come un mantra. E... se non sei un Rom, è meglio.
  2. vuoi ottenere attenzione? L'avrai: ci sarà sempre chi cerca il personaggio nuovo, meglio se sopra le righe, meglio se espone due idee in croce... perché è più facile da descrivere. Perché i media non cercano altro che la banalizzazione: da un lato i ladri, gli zozzoni, i criminali, dall'altro le povere vittime della nostra malvagità.

Rimaneva un terzo concetto su cui lavorare, tutto sotteso all'evoluzione di questa Italia negli ultimi decenni: il VITTIMISMO. Tanto più si ottiene l'interesse dei media, tanto più si deve recriminare di essere da soli, censurati, ma PURI. Perché? Ma perché gli altri, i vecchi crociati, ovviamente non vogliono ascoltare questo guerriero della domenica o peggio, complici devono essere della situazione attuale. Distinzioni? Vedere il punto 2. - è meglio non farle, col rischio di perdere la purezza e l'attenzione mediatica.

Qualche comparsata davanti alla telecamera, in fondo questa è l'epoca di youtube, e comunicati su comunicati su comunicati (che se li leggi sono tutti identici), ma inviati alle persone "giuste": cioè a chi mai si sognerebbe di rispondervi (anche se al momento non risultano all'appello l'ONU e la IV flotta). Ma almeno si porteranno a casa due risultati:

  1. ci sarà sempre qualcuno, che vuole sembrare più (o almeno) antirazzista del nostro campione, che gli darà credito. Un trafiletto su questo o quel sito-giornale-blog si rimedia sempre;
  2. solleverai comunque l'invidia (e magari la curiosità) dei vecchi crociati, a cui poter dire "Visto come le canto? Visto a chi so rivolgermi? Dilettanti voi foste."

E se nessuno rispondesse, se ci fosse un convegno dove non si sarà invitati, si potrà sempre dire (mi raccomando: petto in fuori) RAZZISTI, RAZZISTI, RAZZISTI, E' TUTTO UN COMPLOTTO... (IO VI SALVERO')

Un fenomeno mediatico, non durerà ancora molto. Che si stia già preparando il suo successore?

PS: io però al posto suo non mi sarei limitato a Nazione Rom, se davvero volevo fare impressione perché non IMPERO GALATTICO? (OK, mi son fatto prendere la mano)

 

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