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Adisa o la storia dei mille anni
Di Fabrizio (del 18/02/2012 @ 09:30:08, in media, visitato 1354 volte)

NotiziarioItaliano Giovedì, 16 Febbraio 2012 16:53

Un viaggio attraverso le regioni montuose della Bosnia centrale dove vivono alcune comunità di rom kaloperi: famiglie stanziali che possiedono una casa, guardano con sospetto gli zingari dediti al nomadismo e non parlano volentieri la lingua romanì. Di villaggio in villaggio, vengono scrutate attentamente tutte le abitudini più ordinarie dei membri delle varie famiglie e vengono registrate alcune testimonianze: esperienze e pensieri di differenti generazioni che cercano di aprire un nuovo sguardo sulla diversità e la ricchezza dei popoli rom.

Di ciò che risponde all'idea comune di "zingaro", ci sono solo le immagini. Frutto di un viaggio invernale nel cuore della Bosnia compiuto nel 2004, il documentario di Massimo D'orzi vive di immagini libere e fluide colte nell'intimità di quei piccoli gruppi di rom bosniaci che trovano nella dimensione quotidiana degli affetti familiari e del lavoro la loro condizione ideale.

Questa carattere "erratico" e in divenire della ripresa è evidente nella condizione temporale che impone da subito il lavoro: privilegiando i tempi morti, uno sguardo da documentario antropologico e una dimensione evocativa attivata dall'accompagnamento costante della fisarmonica di Hazdovic Ruzdija. La vocazione naturalista del lavoro non preclude tuttavia che il suo obiettivo sia quello di raccontare attraverso una serie di testimonianze dirette una storia differente rispetto alle idee e ai luoghi comuni sui gitani. Obiettivo evidente fin dal titolo, che privilegia il carattere della piccola Adisa, la più giovane fra le protagoniste intervistate, e la mette a confronto con l'esperienza di una nonna particolarmente vivace ed emancipata, ma soprattutto con una cultura nata mille anni fa nell'India d'epoca medievale. Un confronto fra generazioni nel quale emerge anche un certo disagio per l'identità del popolo rom e per tutti quei sottogruppi dediti al nomadismo e al brigantaggio.

È vero che c'è una certa discrasia fra il modo di condurre le interviste (che, per quanto informali, appaiono in più momenti pilotate, animate dalla volontà di far emergere i pensieri pacifisti e quelli anti-tradizionalisti delle famiglie kaloperi) e quello di guardare al paesaggio. Ma, preso come un'unica, lenta e lunga panoramica, il film trova una temporalità personale che riesce a dare un ritmo anche a questa dialettica fra immagini entranti e immagini contemplative. Fra ottica di studio e ottica di poesia.