Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 04/08/2011 @ 09:08:09, in casa, visitato 1286 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

Alla fine ce l'hanno fatta.

Il pressing sulla comunità rom, che aveva resistito nella Basilica San Paolo ed era stata successivamente trasferita a Tor Fiscale in attesa di una soluzione dignitosa, é riuscito!

Il Comune di Roma e la Caritas hanno messo in campo tutte le loro risorse per consegnare questa comunità al Centro di via Salaria, un CIE camuffato, un ghetto lontanissimo dal territorio e dalle scuole, un luogo di segregazione ed emarginazione, già denunciato dai dossier dell'Associazione 21 luglio (vedi QUI ndr).

Probabilmente la "soluzione" punitiva di via Salaria vuole essere un monito per quanti in questi mesi, rom e non rom, hanno deciso di rivendicare i propri inalienabili diritti umani. Forse qualcuno vuole dimostrare che oltre assistenzialismo ed emergenze milionarie nient'altro può essere ammesso in questa città.

E invece le giornate di San Paolo restano un segnale per chi amministra e per chi mentre con una mano firma accordi di solidarietà, con l'altra consegna i rom a ghettizzazione certa.

Resta il fatto che non potremo mai obbligarli ad essere davvero solidali, ma possiamo costringerli ad umiliarsi al punto di operare esclusivamente di nascosto, in piena estate, lontani dai riflettori.

POPICA ONLUS
Link all'articolo de il Manifesto

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Di Fabrizio (del 04/08/2011 @ 09:10:28, in Regole, visitato 1306 volte)

Va dato atto a Reggionline di essere l'unica testata che ha seguito passo passo l'indagine, dando anche più volte voce ai Rom e ai Sinti

Reggionline.com martedì 2 agosto 2011 - La coordinatrice Carla Ruffini: "Senza indagati precisi, quelle operazioni hanno infranto la legge italiana"

REGGIO - La retata dei carabinieri di Reggio e Parma dello scorso 28 luglio in 9 campi rom di Reggio e provincia ha fatto alzare più di un sopracciglio nel mondo della politica locale, soprattutto negli ambienti di centro sinistra.

Un commento su quanto accaduto, anche se con qualche giorno di ritardo, è giunto dalla Sel reggiana: "A ferita ancora aperta - fa sapere la coordinatrice Carla Ruffini - vogliamo esprimere il nostro deciso disappunto per il blitz effettuato. Sinistra Ecologia Libertà ritiene che la magistratura competente e i carabinieri di Parma che hanno condotto l'operazione (insieme a quelli reggiani, ndr) debbano fornire delle spiegazioni. Non può passare sotto silenzio l'ingresso forzato in tutte le abitazioni dei nomadi residenti nei campi a loro destinati. Quando le operazioni di polizia giudiziaria non portano a indagare persone precise, ma si estendono all'intera popolazione di un quartiere (come deve essere considerato un campo nomadi), si infrange la legge sulla inviolabilità del domicilio e della libertà personale di soggetti non indagati. I nomadi non sono sottouomini e chi lo pensa è un razzista bandito dalla costituzione italiana. A questo proposito è opportuno che siano resi pubblici i mandati di perquisizione firmati dal magistrato competente".

Secondo la Sel reggiana, un elemento inviolabile di civiltà è rappresentato dalla legalità. "Ancor più se costituzionale - aggiunge la Ruffini - Siamo per la repressione di chi delinque, siamo contro chi ruba nelle abitazioni e attenta alla libertà degli altri cittadini. Condanna chi spaccia le droghe, senza se e senza ma, perché alimenta la grande criminalità organizzata. Ciononostante, pensiamo anche che l'opinione pubblica debba avere delle spiegazioni dalla magistratura competente e dai carabinieri su quanto accaduto. Non basta presentare arnesi da scasso o gioielli posseduti da qualcuno per giustificare una operazione condotta contro una intera popolazione. La cultura muscolare che appartiene ad una parte delle forze dell'ordine non si può conciliare con la vita democratica e il rispetto che si deve a tutti i cittadini della nostra nazione".

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Di Fabrizio (del 05/08/2011 @ 09:00:09, in Kumpanija, visitato 1704 volte)

di Božidar Stanišić 26 luglio 2011

Il fenomeno dell'immigrazione in Italia viene spesso descritto in bianco e nero. Božidar Stanišić, scrittore e drammaturgo bosniaco da anni residente in Italia, si addentra nello spazio grigio arrivando a conclusioni amare

Non credo di poter né voler dimenticare: il giorno di Pasqua del 2010, a Spilimbergo, città friulana nota in Italia e nel mondo per la lavorazione dei mosaici, un episodio di razzismo ha suscitato l'interesse nazionale. Nel bar Commercio, nel centro storico, un cittadino del Burkina Faso ha pagato il suo caffè 10 centesimi in più. Quel bar spilimberghese era gestito da un anno da un'esercente cinese, la quale ha spiegato ai giornalisti, con una chiarezza tagliente, che non appartiene alle cronache di ordinario ma di straordinario razzismo, che "non si tratta di razzismo, sono i clienti italiani a dirmi di scoraggiare l'ingresso delle persone che non curano la propria igiene personale. Me l'hanno insegnato a Padova, dove ho lavorato in un bar di italiani. Maggiorare le ordinazioni di chi non si comporta bene. D'altronde i miei clienti sono italiani, ed è loro che intendo tutelare". Anche l'immigrato del Burkina Faso è stato chiaro: "Mi è stato detto: tu paghi un euro perché hai la pelle nera, e ringrazia che ti facciamo entrare".

Grazie alla denuncia dello stesso negro alle autorità, è emerso uno degli ennesimi comportamenti razzisti nei confronti dell'altro e diverso. Lui stesso, da molti anni in Italia, ha raccontato sia ai giornalisti che ai carabinieri, che si sono recati al bar per fare i controlli degli scontrini, che "quello che mi ha fatto arrabbiare è che ad essere razzisti siano stati degli immigrati." Ed ha aggiunto di non aver mai vissuto un attacco razzista così forte. Per quel motivo si era recato direttamente dai carabinieri, chiedendo il loro intervento.

Tragicommedia?

Un giornale, commentando l'episodio di Spilimbergo, ha sottolineato l'aspetto tragicomico della vicenda: un immigrato è stato razzista nei confronti di un altro immigrato! Credo che queste parole siano state scritte in buona fede, per invitare gli stessi immigrati ad una maggiore solidarietà e comprensione reciproca. Però mi hanno spinto ad un'osservazione più complessa del fenomeno dell'immigrazione in Italia. In realtà, nelle numerose analisi e ricerche sul tema, sia recenti che del passato, manca quasi del tutto la questione dei rapporti sociali e culturali all'interno della popolazione immigrata. Ciò vale anche per la maggior parte della narrativa scritta dagli stranieri in Italia (che ormai i professionisti della tematica amano definire soltanto letteratura migrante). Le descrizioni sono quasi sempre in bianco e nero. Immigrato: buono, povero, nostalgico; italiano: cattivo, quasi-buono o indifferente. Per i miei atteggiamenti critici nei riguardi di questa letteratura è da anni che vengo marginalizzato: niente inviti ai festival o a serate letterarie "migranti"... Certo, c'è un prezzo da pagare, per tutto.

Un'altra parentesi: alla fine degli anni novanta, un amico d'infanzia mi scrisse una lunga lettera. Lui, fuggito dalla guerra in Bosnia, aspettava la risposta dell'ambasciata del Canada in una città della Vojvodina. Appassionato del risveglio di numerosi giovani nella Serbia anti Milošević, frequentava degli incontri organizzati presso le università aperte, il cui contributo alla resistenza civile era di notevole importanza. Una sera ascoltò la relazione di un professore polacco (di cui, purtroppo, non notò il nome) sul razzismo nei paesi slavi (nota: slavi nel senso più ampio, quindi russi, cechi, polacchi, ex jugoslavi ed altri...) Avendo ascoltato la relazione, il mio amico rimase stupefatto di fronte ai fatti presentati e alle descrizioni precise esposte dal professore, a partire dall'antisemitismo, per arrivare a razzismo, xenofobia e progetti vari su come liberarsi dagli zingari.

Malgrado la mia conoscenza dei fatti non fosse limitata, dato che avevo avuto occasione di trovarmi in circostanze in cui emergevano sia xenofobia che razzismo e antisemitismo da parte di immigrati provenienti dell'ex Jugoslavia presenti in Italia e in altri Paesi dell'Unione, capii che i fenomeni che facevano parte della ricerca di quel professore polacco, esperto in materia, fossero molto più ampi e radicati di quanto non pensassi nel tessuto sociale di ogni singola società dell'ex Est Europa, inclusi i nuovi Stati del mio ex Paese.

Dall'inizio del mio, ormai lunghissimo, soggiorno in Italia, in primis grazie alle attività di mediazione linguistico-culturale, poi agli incontri di vario genere in tutta l'Italia, non mi ero mai staccato dalla realtà della vita degli immigrati, non solo di provenienza dell'ex Jugoslavia. Già da tempo mi era chiaro cosa fossero il razzismo e la xenofobia striscianti presenti negli atteggiamenti e nel modo di pensare dei croati, bosniaci, serbi, macedoni, kosovari ed altri sugli altri e sui diversi.

Certo, la cosa non è piacevole, ma io la riporto sia nei miei discorsi pubblici che nella narrativa. Purtroppo non si tratta di casi isolati, ma frequenti, presenti non solo nell'immigrazione ex jugoslava proveniente dalle periferie urbane o dalle campagne, ma pure da una parte della cosiddetta gente colta oppure almeno formalmente scolarizzata.

La forza delle parole

Mi è capitato chissà quante volte di sentire i termini e le espressioni: crnčuga (negrone); mrki (di colore); žuta njuška (muso giallo); zašto ih je toliko ovdje? (perché ce ne sono così tanti?); trebalo bi im postaviti zabranu ulaska! (bisognerebbe non farli entrare); oni nisu kao mi! (loro non sono come noi!); prljavi su (sono sporchi); legisti imaju pravo (i leghisti hanno ragione); ne znaju stanovati u kučama (non sanno abitare nelle case), ecc... Chi, come me, è ancora memore della crisi profonda a cavallo fra gli anni ottanta e novanta in cui era sorto il linguaggio dell'odio come ouverture alla pazzia bellica fratricida del 1991-95, chi ancora ricorda le parole dell'amico scrittore Filip David, che scrisse che prima delle pallottole da noi si incominciò a sparare con le parole, non può sottovalutare questi fenomeni, anche se finora prevalentemente limitati all'uso di questo linguaggio.

Che cosa spinge, ad esempio, un sindacalista bosniaco (non importa di che etnia) in una cittadina fra Udine e Trieste a dirmi che i mrki (stavolta bengalesi) sono privilegiati e lui, che per gli aspetti somatici assomiglia agli italiani, è un residente di serie B? E un'altra persona, un ex profugo del mio ex Paese, a chiedersi, in compagnia di un friulano doc, quanti mali ci porterà la gente fuggita dall'inferno libico? E una dottoressa a dire che deve vendere l'appartamento perché l'edificio pullula di stranieri? E lo dice perché ormai ha ottenuto la cittadinanza italiana? E un giovane che ha comprato la macchina da una persona di colore, a dirmi, mentre firmavano l'atto di passaggio, che quel mrki faceva troppe domande?

In gran parte queste parole vengono dette in presenza dei figli. Che, per fortuna, nei banchi di scuola, vivono un'altra realtà, molto più positiva. Ieri, ad esempio, ho ascoltato un bambino afgano, un bambino bosniaco e uno di origine honduregna parlare e giocare insieme... Sono loro che risvegliano delle speranze coraggiose, credo non solo in me.

Credo sia giusto che ognuno di noi immigrati rifletta su questi fenomeni, a partire dal contesto che sente più vicino. Compresi i cosiddetti "scrittori migranti" e "buonisti" di tutte le parti, disinteressati da questi fenomeni di una realtà, quella dell'immigrazione, in cui esistono anche lo sfruttamento e l'assenza di solidarietà.

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Di Fabrizio (del 05/08/2011 @ 09:11:57, in musica e parole, visitato 1484 volte)

La Provence.com I Gipsy Kings tornano sulla scena dopo vent'anni - Publié le mardi 26 juillet 2011 à 17H19

Ambasciatori d'Arles attraverso il mondo, ritrovano la Francia con un concerto a Palavas

I Gipsy King, eredi dello stile di Manitas de Plata, suonano stasera a les arènes de Palavas. Un concerto che sarebbe stato bello ci fosse stato ad Arles, città natale dei fratelli Reyes - Photos Edouard Coulot

Da quasi trent'anni i Gipsy King vagano per il pianeta e la loro musica non è invecchiata. Certo, i capelli si sono fatti bianchi sulle teste dei cugini Reyes e Baliardo, ma lo spirito gitano che caratterizza le canzoni degli otto musicisti è sempre là.

Questa rumba catalana, miscela di flamenco e di rumba, che ha fatto il successo di Bamboleo o di Volare, questo motivo che imballa, che fa danzare le folle ed elettrizza le generazioni, si trasforma nelle più grandi sale di concerto, ma in Francia non si ascolta più da vent'anni.

Un paradosso che i Gipsy King rifiutano e di cui si rammaricano, ma che si concluderà stasera, dove si ritroveranno alle arènes de Palavas-les-Flots (34), per un concerto unico in Francia.Accessibili ed universali come la loro musica, Nicolas, André, Tonino, Paco, Canut, Diego e Patchaď erano ieri a Palavas per ispezionare il luogo. Seduti alla terrazza del bar degli aficionados davanti all'arena, discutevano con i passanti ricordando i vecchi tempi, in tutta semplicità e sincerità.

"Non sempre siamo accolti a braccia aperte"

"Abbiamo voluto ritrovarci dopo tanto tempo e fare un concerto per la famiglia e gli amici", glissa Tonino Baliardo. "Ma non sempre siamo accolti a bracci aperte si dispiace Nicolas Reyes. Non è stato facile". E se al figlio del grande José Reyes sarebbe piaciuto suonare ad Arles, la lorocittà natale, alla fine è all'Hérault che si esibiranno stasera, nella terra natale dei loro cugini, i Baliardo.

"Sei anni fa, ho contattato la città (d'Arles ndr) per suonare nelle arene, ma non c'erano mai date disponibili", prosegue il cantante del gruppo. Fatto difficile da gestire per questi autentici gitani che, tra due concerti all'estero, tornano sempre a posare le loro valigie nella loro città natale e si ritrovano in famiglie alle Saintes.

I veri Gipsy

"Gli imitatori ci hanno fatto molto male. Bisogna sempre giustificarsi di essere i veri Gipsy!" riconosce Nicolas. E suo fratello André evoca pudicamente il caso di Chico Bouchiki, il compagno d'infanzia che lasciò il gruppo nel 1991 per crearne uno in proprio. "Lo biasimo per questa confusione", perché comunque la si veda, "Djobi, Djoba", la ripresa di "Hotel California" o ancora "Bamboleo" sono diventati loro titoli.

Un nuovo album

Quello degli eredi dei re Reyes e di Manitas, questi musicisti appassionati che suonano la musica col cuore, mantengono lo spirito di festa, senza aver mai imparato a leggere una partitura. Per il momento senza rancori, i "veri" Gipsy King tornano in Francia con un furioso desiderio di riconquista."Abbiamo registrato un nuovo album a Parigi, ne canteremo alcuni pezzi al concerto," commenta Nicolas.

"Samba, Samba", una cover di "Stranger in the night", in totale una dozzina di titoli dovrebbero essere contenuti nell'albun che i cugini stanno preparando, e che dovrebbe essere pronto per la fine dell'anno. Canzoni che ricordano i loro esordi con, secondo Tonino, un tocco "più personale". Assieme a questo nuovo album, ci saranno tournée all'estero ed i nuovi progetti, tra i quali il sogno di creare un appuntamento annuale, a casa loro, in Camargue. Perché nonostante l'assenza, non dimenticano le loro radici arlesiane.

Alexandra THEZAN

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Di Fabrizio (del 06/08/2011 @ 09:41:05, in media, visitato 3442 volte)

Altro articolo illuminante del Giornale. Non solo per il razzismo sparso a piene mani (ho il sospetto che sia un loro marchio di fabbrica):

"Dormono dove capita. Mangiano sui marciapiedi. Trasformano le strade in discariche a cielo aperto. Di giorno, fanno la spola tra la stazione Garibaldi e i semafori che smistano le auto di passaggio davanti al cimitero Monumentale: chiedono la carità, indispettiscono i più spruzzando una brodaglia grigiastra con l’intento di lavare i vetri, fanno sparire velocemente i portafogli dalle tasche dei pendolari in attesa che arrivi la metropolitana, mandano i più piccoli a tampinare gli anziani che escono dal supermercato. Di notte, invece, prendono possesso degli angoli dimenticati dall'amministrazione comunale: si ubriacano di birra, pretendono l’obolo da chi cerca un parcheggio prima di andare in discoteca, davanti allo storico Radetzky Café le donne trascinano i figli svogliati nel tentativo di impietosire chi, tra uno spritz e l'altro, fa l'aperitivo. Milano come Rio de Janeiro. Č questa la favela in salsa meneghina, dimenticata dal neosindaco Giuliano Pisapia e che spaventa sempre più i residenti."

Ma soprattutto per alcune ragioni, che sfuggono a chi non sia milanese:

  • quella che l'autore chiama "la zona più «fashion» della città", altro non è che la principale piazza di spaccio cittadina, dove una malintesa "movida" rende invivibile la notte ai residenti. Solo che è a due passi dal centro direzionale, non in qualche malfamata periferia, ed allora è meglio star zitti. Tanto più che i locali notturni sono cresciuti come funghi, grazie alla compiacenza (e probabilmente l'interessamento) di noti politici locali e nazionali della passata maggioranza.
  • ignoro l'età dell'autore (QUI il suo profilo Facebook), ma ricordo, 20/15 anni fa, che proprio in quella zona c'erano diversi micro accampamenti dei primi Rom rumeni. Anche allora c'erano cantieri e luoghi abbandonati. La speculazione edilizia li allontanò e si sparsero in giro per la città. Allora c'era il centro-destra al governo cittadino, che sia un'amnesia voluta?
  • i comportamenti dei Rom di allora erano (purtroppo) simili a quelli descritti oggi, non mi piace la facile demagogia. La differenza è che allora a "pagare la vicinanza" erano semplici cittadini in odore di sfratto, ora sono i fighetti cocainomani di corso Como. Che sia questa la ragione di tanta rabbia?
  • Pisapia può piacere o meno, ma cosa c'entri in una situazione che, a causa della politica degli sgomberi, si ripresenta ciclicamente, non riesco a capirlo. O no?

Ieri: il dovuto CONTRAPPASSO!

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Di Fabrizio (del 06/08/2011 @ 09:54:55, in casa, visitato 1353 volte)

Storia estiva di una periferia senza buoni ed eroi

Al confine dell'area che dovrebbe attrarre milioni di visitatori c'è l'Ecoltecnica, uno dei più grandi impianti di smaltimento del Nord Italia, che tratta "materiale pericoloso, contaminante, esplosivo". Di fronte, un insediamento di nomadi impregnato di veleni. Ma il Comune di Milano forse ha usato vecchie mappe catastali e non se n'è accorto. Intanto spunta Bonifichexpo, un gruppo di aziende del settore che ha fiutato l'affare.

Sono pronti a incatenarsi alle rispettive proprietà. Imprenditore e nomadi, tutti allertati per impedire alle ruspe di cancellare ogni cosa in nome dell'Expo. Per una volta sullo stesso piano, il titolare di una grande azienda che smaltisce rifiuti tossici e i rom che vivono d'espedienti su terreni ancor più inquinati. A rovinare questa originale fusione d'interessi per "contaminazione chimica" ci si mettono i signori delle bonifiche, pronti a fare lobby e a entrare in azione al primo segno di cedimento. Sono già qui, alle porte dell'area che nel 2015 ospiterà milioni di visitatori da tutto il mondo. Sulla carta si presentano con il volto benevolo di un'associazione "senza fini di lucro", in realtà hanno l'appetito di chi ha una torta davanti che non ha mai visto.

Tutto questo succede sui terreni dell'Expo ma la città di Milano è distratta. Li ha comprati a peso d'oro e deve pensare a un ritorno economico. Non sogna più Parigi, il Bie, la valle degli orti della biodiversità ma va avanti a testa bassa, tiene il capo chino sui conti. Non guarda neppure davanti, non vede per terra. Ma è proprio lì, lungo il perimetro di tre campi, che sono già impressi tutti i segni premonitori di nuovi, funestissimi, guai. Lo sa bene l'imprenditore che difende con le unghie la sua fabbrica macina-veleni che i tecnici del Comune non hanno notato ma sta lì, lungo il muro perimetrale del futuro villaggio residenziale Expo dal 1985. E oggi la signora Marelli, esasperata, minaccia apertamente il Comune: "Sono pronta a incatenarmi ai cancelli e a ricorrere in tutte le sedi. Se chiudiamo mettano in conto altri 30 milioni".

Là dove c'era l'erba

Si chiama Adele Marelli ed è il presidente di uno dei quattro impianti di smaltimento di rifiuti tossici più grandi del nord Italia, la prima ed unica ad aver adottato la recente normativa Seveso imposta dall'Europa. L'azienda fattura 30 milioni di euro l'anno e toglie le grane a mezza Italia raccogliendone le scorie e gli scarti industriali per trattarli e portarli all'estero, dove vengono smaltiti. Quando ha visto le cartografie del progetto Expo, la signora quasi cadeva dalla sedia. La sua fabbrica prima non c'era, a causa di un errore dei tecnici che hanno fatto il masterplan usando vecchi rilievi fotografici non aggiornati. "Gli risultava un'area a verde agricolo nonostante la fabbrica sia qui da molti anni e i dati catastali fossero correttamente aggiornati". Una superficialità che non promette nulla di buono. Infatti il primo progetto su carta di Expo, una volta scoperta l'esistenza dell'impianto, ne prevedeva lo smembramento in due. "Una cosa impossibile per qualsiasi industria, figuriamoci per chi tratta materiale pericoloso, contaminante, tossico ed esplosivo".

Tanti incontri con i tecnici, mai un'udienza dalla Moratti. "Tutti gentili ma abbiamo capito che a Palazzo Marino sfuggiva il problema. La fabbrica esiste e non si può ignorare, non puoi pianificare un villaggio residenziale a pochi metri dall'impianto di trattamento dell'amianto, non puoi progettare l'area "Lake Arena" per giochi d'acqua e fuochi d'artificio lungo il muro perimetrale dei depositi gassosi a rischio esplosivo". La titolare a un certo punto ha perso la pazienza e ha opzionato un'area alternativa dove fosse possibile il trasferimento. Ma spostare impianti, sistemi di sicurezza e licenze è un'impresa costosissima.

Così non resta che calare l'asso della vendita. La Ecoltecnica, mettendo insieme stato patrimoniale e tutto il resto, sulla carta vale 30 milioni di euro che il Comune rischia di dover aggiungere ai 120 che ancora fatica a trovare per onorare l'impegno con i proprietari delle aree. "A questo punto noi abbiamo manifestato ogni disponibilità. Abbiamo detto che le due attività, antropica e industriale, sono incompatibili e che lo si vede anche dalle ipotesi di variante che di fatto bloccherebbe per sei mesi l'accesso all'area da parte dei camion con un danno di 15 milioni di euro. Ha anche proposto al Comune di vendere solo gli immobili al valore grezzo per dieci milioni, ma niente. O sei un Cabassi o niente. Così il destino di questa impresa che occupa 43 dipendenti e smaltisce le tossicità nazionali finisce per essere i bilico proprio come quello dei dirimpettai.

Campo rom sui veleni

Sono i rom jugoslavi, montenegrini, che hanno eretto un campo abusivo con le caratteristiche del villaggio, con casette quasi lussuose ricche di elementi ornamentali, box e così via. La Milano2 degli zingari. Sono lì dal 1994 quando i titolari di una cava - la famiglia Ronchi - hanno preferito liberarsi dei terreni che hanno usato come sversatoio a pagamento per tutte industrie chimiche della zona dagli anni Cinquanta in poi. Processi, ricorsi al Tar. Niente. I titolari ne escono puliti, i terreni sono peggio che sporchi. Sono una bomba ecologica con la miccia sempre accesa e pronta esplodere. Nessuno ci vivrebbe, forse gli zingari che non vanno troppo per il sottile e per due lire si comprano un ettaro di terra contaminata.

Sarebbe tutto da bonificare ma quelli di Expo non hanno soldi. Già hanno problemi con le infiltrazioni di trielina nelle aree di sedime dell'evento, figuriamoci appena fuori che cosa c'è, in quell'ambito industriale mai risanato che con un tratto di penna si rende area residenziale. I rom, puoi scommetterci, sono più preoccupati di vedersi sgomberare che delle condizioni del terreno su cui dormono. Ma le ruspe non avranno gioco facile. Al limite gru e caterpillar potranno abbattere le costruzioni che risulteranno abusive. Loro hanno un contratto in mano e sono pronti a farlo valere in sede legale. "Che la comprino ai prezzi che hanno fatto ai ricchi proprietari del campo di fronte", dice uno di loro con tono ironico.

Non ci sono altre forme di vita parlanti lungo il perimetro del triangolo d'oro dell'expo, oltre all'imprenditrice milionaria e ai rom dirimpettai che elemosinano un lavoro in edilizia o stanno ai semafori. Di qui è passato durante la sua campagna elettorale l'attuale presidente della Provincia Guido Podestà. "Si è rifugiato da me dopo che la sua auto blu è stata presa a sassate dai bimbi rom", racconta lo sfasciacarrozze che sta proprio al centro del villaggio abusivo e dicono stia più a San Vittore che al lavoro. "Scende e mi dice che era venuto a fare un sopralluogo. Io gli spiego come stanno le cose e lui giura che se sarà eletto entro tre mesi procederà a sgombero e bonifica". Podestà siederà sulla poltrona di presidente mentre dopo due anni villette abusive e inquinanti sono ancora lì ad aspettarlo.

I lobbisti delle bonifiche

In questo silenzio fa più rumore l'iniziativa di 14 grandi aziende del ramo bonifiche che pochi giorni fa hanno indetto una conferenza stampa in Provincia per presentare alcune proposte di intervento sul tema del recupero ambientale. Le aziende della filiera si presentano come associazione senza fini di lucro. Il nome di "Bonifichexpo" richiama l'evento del 2015 ma fin da subito l'associazione chiarisce che non guarda a quella piccola area ma ragiona su scala quanto meno provinciale, dove ci sono 10 milioni di mq da bonificare con un business che vale 11 miliardi. Il ragionamento è semplice: il pubblico dovrebbe provvedere ai costi di bonifica ma non fa partire neppure progetti e gare per mancanza di soldi. Così i terreni restano contaminati o dismessi e i signori delle bonifiche si devono accontentare delle briciole anziché del piatto forte.

Tutto fila finché non si nota quanto poco spessa sia la vernice da benefattori data all'associazione: curiosamente ha sede nella stessa società di ingegnerizzazione che ha fatto la Valutazione ambientale strategica (Vas) e il vicepresidente di Bonifichexpo ne è addirittura presidente. Il discorso bonifiche è di per sé scottante, ma diventa insidioso se a promuoverlo è un pezzo da novanta della politica locale come Gianpiero Borghini, oggi nei panni del presidente di Bonifichexpo e solo ieri direttore generale del Comune di Milano (e prima ancora sindaco e consigliere regionale).

Che non si tratti di non profit lo certifica anche il fatto che l'associazione abbia commissionato all'università Bocconi uno studio di sostenibilità economica delle bonifiche in provincia di Milano che è costato circa 200mila euro. Non c'è una mappa inedita delle aree, un censimento o altro d'utile allo scopo ma una raffinata disamina dei modelli di sostenibilità finanziaria. E che dice la Bocconi? Che prima di tutto si tratta di affari ad alto rischio. Chi ci entra deve avere alti capitali e prevedere ritorni incerti e lontani nel tempo. Si parla di venture capital, project financing, ma la strada del pubblico rispunta fuori. Perché parlare di queste cose in Provincia? Perché è azionista della società di gestione Expo2015 ma soprattutto perché il suo presidente Podestà ha una poltrona strategica nella Cassa Depositi e Prestiti.

Mica dietrologia, Borghini parla chiaro: "Sarebbe utile un interessamento per verificare la possibilità per parte pubblica di accedere a mutui a lungo termine così da poter aprire i cantieri, con la ritrovata edificabilità dei terreni recuperati l'operazione potrebbe prefigurare un rientro positivo". Insomma, il pubblico dovrebbe indebitarsi fino al collo per spianare la strada alle ruspe dei signori della bonifica. Per fare cosa? La Bocconi prospetta tre soluzioni di riuso: creare residenze per anziani, residenze per universitari, alberghi low cost. Insomma, niente di più speculativo sotto il sole. E tutto, ancora una volta, all'ombra di Expo.

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Di Fabrizio (del 07/08/2011 @ 09:06:34, in casa, visitato 1596 volte)

Facendo ogni sorta di scongiuri, leggevo qualche giorno fa questa notizia su Repubblica.

Riflettevo sulla sottile differenza che passa tra un campo "tollerato" come quello e i campi cosiddetti "regolari".

Succede al campo "regolare" di via Idro a Milano, che vigili e polizia si presentino in forze e "...una ruspa ha demolito la cabina elettrica che serviva tutto il campo, a causa di alcuni allacciamenti non regolari; col risultato che ora tutto il campo è senza elettricità (anche chi aveva un regolare contatore)" così "Ora tutte le famiglie hanno allacci elettrici volanti, e naturalmente abusivi. " (leggi QUI, ndr). Non si tratta di un caso isolato. Per il momento è estate, ma con l'arrivo della brutta stagione la situazione potrebbe diventare davvero pericolosa. Inutilmente i Rom che vi abitano (e sanno cosa significhi abitare in un campo), stanno tentando di far capire che tra tutti gli interventi che si vorrebbero fare, quello sarebbe il più urgente.

Nel contempo, quando il Comune attrezzò il campo, decise di installare per ogni piazzola sulla medesima colonnina tanto l'allaccio dell'acqua che l'attacco della corrente elettrica. Per qualche miracolo, ancora nessuno è rimasto folgorato. Nel frattempo i più prudenti, sempre in maniera abusiva per la legge, hanno provveduto a farsi allacci propri. Una delegazione di Amnesty International in visita in via Idro, ci raccontava che in alcuni campi a Roma aveva visto la stessa situazione.

Forse sarebbe il caso che i vari gestori, associazioni dal grande cuore, tavoli e consulte rom, oltre a discutere dei massimi sistemi, prevedessero che chi abiti in un campo venga consultato anche nella fase di progettazione. Lo dico senza alcuna malizia verso questo o quello. La democrazia si costruisce soprattutto sulle piccole cose, "al limite" si sarà evitata un'altra piccola stupida morte.

 video di Eugenio Viceconte

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Di Fabrizio (del 07/08/2011 @ 09:54:24, in Kumpanija, visitato 1798 volte)

Cingeneyiz.org di Salih Kocatepe

Osman Kaplan, che appartiene alla seconda generazione di migranti arrivati con lo scambio di popolazione Turchia-Grecia, è anche conosciuto come Osman Pescatore o Kurdo Osman. Da molto tempo ha smesso col bere. Ora prega, anche troppo. Era mezzogiorno. Stava pregando. Una persona senza tatto gli si avvicinò:

  • Che Allah accetti la tua preghiera, Osman.
  • Che Dio ti benedica.
  • C'è Murat İzmirian tra i vostri (Romanì). Gli ho affittato la casa, e ora voglio mandarlo via. Ma lui non accetta di andarsene.

Osman era così arrabbiato. Era pronto ad esplodere. Ma si ricordò di essere in una moschea.

  • Dio non separò l'umanità in vostri e ai nostri. Possa Dio donare la pazienza ai nostri e vostri.

***

Stavo parlando coi miei amici. Birol disse improvvisamente:

  • Siete zingari, siete umani a metà.

In quel momento mi sentii malissimo. Era la stessa persona con cui avevo diviso il mio pane? Non riuscii a controllarmi ed iniziai a rispondergli violentemente. Da quella volta non ho più parlato con lui.

***

Un giorno un uomo stava riempiendo il suo accendino col gas. Pagò dieci lire. Roman Ertan, che riempiva gli accendini, si preparava a dargli il resto. L'uomo chiese:

  • Cos'è questa? Mi stai dando soldi zingari?

Ertan andò fuori di testa. Spense la macchina per riempire gli accendini.

  • Guarda, c'è scritto "Lira Turca" su quella che hai chiamato moneta zingara. Non ne posso più delle espressioni con cui ci umiliate. "Prestito zingaro: furto"."Campo zingaro: luogo sporco". Si usano ancora espressioni simili e si discrimina la società rom con queste parole.

Le persone con questa mentalità discriminatoria non saranno di successo. Anche noi siamo cittadini turchi come gli altri. Chi si ritiene superiore agli altri farà fatica a capire la realtà degli zingari liberi. Siamo elementi fondanti di questo paese anche se ci ignorate.

E' un peccato che i gagé, anche quelli che si credono più sinceri degli altri, ci siano ostili...

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Di Fabrizio (del 08/08/2011 @ 09:32:39, in sport, visitato 2124 volte)

Esiste un'antica tradizione di campioni di boxe tra i Romanichals. E purtroppo, come nella letteratura di genere, un lungo elenco di "vite bruciate"... (per chi fosse interessato, Tyson Fury è anche su Facebook)

The Indipendent domenica, 17 luglio 2011 By Alan Hubbard, Boxing Correspondent Boxe: La Furia Zingara è pronta al trono
Suo padre combatteva a mani nude e lo chiamò Tyson. Il peso massimo britannico non vuole limitarsi a tirare pugni, aspira ad essere il primo campione mondiale romanì

"Sono orgoglioso di quel che sono, cioè un Traveller," dice Tyson Fury. "Vi dirò quello che fa di te un Traveller: è come nascere neri" - GETTY IMAGES

Max Clifford si è fatto un nome, muovendosi come pochi sanno fare, salvando la reputazione di qualcuno e creandone di nuove. Gli piace dire che lavora nel campo della promozione e della protezione. Non che il suo ultimo pupillo ne avesse bisogno. Alto 6 piedi e nove e pesante 18 stone (oltre 2 metri e 10 per oltre 114 Kg. ndr), Tyson Fury è abbastanza grosso per prendersi cura di sé come evoca il suo soprannome, soprattutto dato che è un peso massimo che aspira a diventare il primo campione mondiale romanì.

Anche così. fa comodo avere Clifford al proprio angolo quando è il momento delle celebrità, come quando Fury sfiderà sabato a Wembley il londinese Dereck Chisora per il titolo britannico e del Commonwealth e una borsa di Ł185.000 (incontro vinto ai punti lo scorso 23 luglio ndr). Oltre a garantire al gigante zingaro di tenergli pulito il naso, mentre fa sanguinare quello degli avversari, cosa vede in lui Clifford? Fury può contare sul fattore Max, ma avrà il fattore X?

"Mi piace pensare che Tyson sia il prossimo grande nella boxe - di sicuro è alto abbastanza," dice il guru PR che in passato ha lavorato con Muhammad Ali ed è stato lui stesso un pugile dilettante da giovane. "E' un bravo ragazzo, va regolarmente in chiesa, e naturalmente ha un grande valore. Il suo retroterra romanì significa che è un personaggio pittoresco, con un grande seguito. E' un ragazzo orgoglioso e molto modesto. Dato che è un buon combattente, il tempo dirà dove può arrivare."

Intendiamoci, Clifford deve rivolgergli una forte ammonizione: in seguito ad un'esplosione di cattivo gusto, Fury ha minacciato di "uccidere" Chisora sul rimg, chiamandolo "un piccolo cazzo arrogante" e "cesso"; cosa che ha spinto il manager di Chisora, Frank Warren, a denunciarlo al Consiglio di Controllo. Difficile immaginare che i progetti di Clifford lo prevedessero.

Tyson Fury non è solo un nome da osservare, ma da evocare. Proviene da una stirpe di combattenti che risale al XIX secolo. Suo padre, 48 anni - conosciuto come Gypsy John, ha combattuto a lungo a mani nude , ma fu anche concorrente per il titolo dei pesi massimi britannici, perdendo nel 1991 contro Henry Akinwande. Fury senior chiamò Tyson suo figlio, quasi 23 anni fa, in onore di Iron Mike.

Come un'altra giovane stella nascente, l'olimpionico Billy Joe Saunders (vedi QUI ndr), Fury è intriso del folklore dei combattenti romanì, un discendente dei pugili a mani nude che si esibivano negli accampamenti e nelle fiere. Travellers/Viaggianti  può essere una definizione impropria, dato che entrambi vivono in siti permanenti sin dall'infanzia - Fury ha la sua casa a Styal, un elegante villaggio del Cheshire - ma rimangono immensamente leali alle loro radici romanì.

"Sono orgoglioso di quello che sono, cioè un Traveller," dice Fury. "Sono irlandese d'origine, nato a Manchester, ma non sono Irlandese o Inglese, sono uno zingaro. Vi dirò cosa rende Traveller: è come nascere neri. Per me è irrilevante dove vivere: in una casa, un caravan o una tenda."

Fury è sposato e ha due figli. Con rito zingaro, ma non un grande grasso matrimonio (serie televisiva GB ndr). Gli piace vivere tranquillo e, come dice Clifford, non è un cattivo ragazzo, anche se probabilmente ne conoscerà almeno un paio. Suo padre sta scontando una lunga prigionia per aver causato la perdita di un occhio ad un uomo, dopo una lite in un auto mercato. "Sono distrutto, è stata autodifesa," dice Fury junior.

Nato ad agosto 1988, prematuro di otto settimane e solo un chilo e mezzo di peso, Fury è diventato una delle più emozionanti promesse del pugilato, vincendo 30 dei 34 incontri da dilettante, 26 per KO e, come Chisora, tutti e 14 i match da professionista. Nonostante il nome di Tyson, non è questi l'ispirazione pugilistica di Fury: "Guardo piuttosto a Lennox Lewis e Larry Holmes."

Chisora avrebbe dovuto combattere contro Wladimir Klitschko, saltatogli in match contro Haye, e se vincesse si farà l'incontro. Chisora, 27 anni - nato in Zimbabwe, è più basso di 20 cm. e ha tendenze più "tysonesche" di Fury in altezza, stile e temperamento. L'anno scorso venne sospeso cinque mesi per aver morso l'orecchio di Paul Butlin. "M'ero scocciato," disse.

Tyson Fury onorerà il suo nome? O è solo un'altra meteora, piena di rumore e, ehm, furia? Lo scopriremo contro Chisora, che è il favorito. Credo che "Del Boy" (soprannome di Chisora ndr) vorrà buttarla in rissa, ma in ogni modo intravedo un verdetto ai punti e possibilmente controverso.

[...]

Re zingari sul Ring

Gypsy Jack Cooper

Conosciuto come il miglior combattente zingaro. La leggenda romanì combatté contro Iron Arm Cabbage nel 1823 per oltre 30 round. Fu uno dei più selvaggi incontri a mani nude della storia.

Bartley Gorman

Il più noto tra i moderni combattenti a mani nude, supremo nel mondo della boxe illegale, nelle cave, alle fiere di cavalli, in accampamenti ed una volta in una miniera. Morì nel 2002 a 57 anni.

Johnny Frankham

Nel 1975 vinse e poi perse il titolo dei massimi-leggeri britannici contro Chris Finnegan. Ora ha 62 anni, è in prigione per frode.

Billy Joe Saunders

Ex olimpionico a Pechino, conosciuto come "The Caravan Kid", imbattuto dopo sei incontri da professionista nella categoria dei pesi medi. 22 anni, è pronipote del famoso campione zingaro di boxe a mani nude Absolom Beeney. Anche suo padre Tom ammette di essere coinvolto nella boxe a mani nude perché "è il modo di risolvere le cose alla maniera della comunità viaggiante".

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Italia: ennesimo corto circuito informativo. Per qualche strano caso (no, vabbè, non è così strano a pensarci bene ; - )) ne sappiamo di più su un muro che si vuole costruire in Romania nella città di Baia Mare per dividere Rom da gagé (circa 101.000 risultati su Google), rispetto ad un identico progetto in Campania (circa 37.100 risultati, sempre Google). Visto che in passato se n'è già scritto, torniamo sull'argomento con uno degli ultimi articoli usciti su internet, che riporto senza ulteriori commenti.

Il Levante GIOVEDĚ 04 AGOSTO 2011 14:39 DI LILIA LOMBARDO

L'idea è quella di dividere e proteggere la zona industriale Asi di Giugliano dai campi rom confinanti: è per questo che gli industriali hanno progettato un muro alto 3 metri e lungo 450, inaugurato ieri presso la sede del Cig (consorzio che raggruppa gli imprenditori di Giugliano), che comprende in tutto 45 aziende dei settori elettronica, farmaceutica ed abbigliamento. Alla cerimonia di presentazione erano presenti rappresentanti delle istituzioni e il presidente degli imprenditori giuglianesi, Dott. Angelo Punzi.

Gli stessi industriali tengono a precisare che non si tratta di una forma di razzismo, ma rappresenta una sorta di protezione dai furti di acqua, cavi della rete elettrica, la manomissione delle cabine elettriche e la distruzione delle varie linee telefoniche per rubare il rame, che per anni si sono verificati senza che nessuno se ne preoccupasse o prendesse provvedimenti.

Lo stesso Punzi ha tra l'altro precisato che con questa creazione non si auspica la completa risoluzione dei problemi derivanti da una convivenza obbligata, né si vuole far credere che tutti gli atti di vandalismo siano attribuibili ai soli rom (perchè ci sarà certamente chi si fa scudo con questo alibi), ma che tale iniziativa serve principalmente a rilanciare un'area industriale degradata.

<>, ha affermato il presidente.

Da anni ormai la situazione era questa: industria da una parte, rifiuti di ogni tipo dall'altra, ed in mezzo decine e decine di rom accampati. Dopo l'abbattimento della baraccopoli di Giugliano alcuni gruppi ( si parla di 120 persone su 600), sono stati trasferiti per iniziativa del Comune in alloggi vicini alla suddetta area ed infatti da quel momento si sono ridotti, insieme ai rom, anche gli spiacevoli episodi, che non sono tuttavia spariti del tutto.
Ad essere invece sempre presente è l'immondizia e gli sversamenti di rifiuti che la creazione del muro di propone di fronteggiare.

Non sono certo mancate le polemiche intorno a questa decisione: l'associazione "Opera Nomadi" ha infatti affermato: << Li segregano per stare tranquilli, è una cosa vergognosa>>, e non è la sola a dirsi indignata; anche altre associazioni di Giugliano non hanno visto di buon occhio questo progetto ritenendolo <>.

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