Di Fabrizio (del 23/12/2011 @ 09:48:28, in media, visitato 1852 volte)
18 dicembre 2011 18:04 - Il Giornale di Berlusconi dileggia il
Ministro Riccardi e la Comunità di S.Egidio. "Tecnico improvvisato, salottiero,
amico di zingari e islam". Meglio Mara, Maria Stella e Nicole
I pogrom non nascono perché un bel giorno la gente impazzisce e se la prende
con il diverso. I campi di sterminio non si costruiscono perché un folle
ritiene che bisogna sbarazzarsi degli ebrei, che hanno troppi soldi e fanno il
bello e il cattivo tempo, e per giunta rovinano la razza ariana. Il Ku Klux Klan
non trae origine dalla pensata di quattro idioti che si sentono "appestati" dai
negri portati in America in catene per farne schiavi nei loro campi di cotone,
ma dal bisogno di braccia gratuite. L'oscurantismo talebano non viene fuori dal
nulla, perché il loro capo storico, pieno di soldi e di mogli, si annoiava, ma
dalla voglia di mettere a ferro e fuoco l'Occidente. .
Dietro ogni odio etnico, razziale, sociale ci sono teste pensanti, che
servendosi di ignoranti e idioti, predicano odio, spargono pregiudizi, inventano
menzogne e giorno dopo giorno instillano paure, creando le ragioni delle
persecuzioni e delle violenze. Basta attendere il momento giusto, come quello
che attraversiamo, per annientare i neri, gli zingari, gli ebrei, i gay.
Oggi Il Giornale di Berlusconi apre con questo titolo in prima pagina:
"Proposta choc del Ministro Riccardi. Case gratis ai rom. Agli italiani arriva
il conto della stangata, ma il governo pensa agli zingari". Una ignobile
menzogna. Se gli italiani non hanno la casa, ora sanno con chi prendersela.
Il Giornale dedica due articoli al Ministro Riccardi e lo fa a pezzi e dileggia
gli zingari che restano in Italia perché "hanno trovato il terreno fertile per
l'accattonaggio, lettura della mano, furti e furtarelli, recupero forzoso d'ogni
pezzo di rame in circolazione ed altre attività che appartengono, come ci è
stato insegnato, alla loro grande cultura".
Senza gli zingari, insomma, l'Italia non avrebbe ladri, cartomanti, accattoni.
Il Ministro per l'integrazione, Andrea Riccardi, è il presidente della Comunità
di Sant'Egidio, un fiore all'occhiello dell'Italia nel mondo. La Comunità ha
registrato straordinari successi laddove è stata chiamata, o è intervenuta, per
fare cessare le armi e costruire una cultura di pace.
Quali le ragioni del furibondo attacco e della sfilza di insulti? Il Ministro ha
visitato a Torino il campo Rom incendiato da un manipolo di razzisti, che hanno
creduto allo stupro denunciato da una ragazzina, costretta a controlli di
verginità mensili. Riccardi ha ragionato sulle cause del pogrom e al pensiero di
donne e bambini privi di tutto a causa dell'incendio ha proposto di farli vivere
come gli altri, non più da emarginati. Mettendoli nelle condizioni di avere un
tetto? Così come avviene con gli indigenti, qualunque sia la loro origine, in
ogni città d'Italia.
Il Ministro non ha annunciato un decreto o una proposta di legge, ma invitato ad
affrontare il tema dell'emarginazione e dell'integrazione, nell'interesse del
Paese, non solo dei rom, allo scopo di superare disagi sociali che sono, in ogni
comunità emarginata, all'origine della devianza sociale. E' questa la colpa del
"prete laico, più prete che laico".
Il Giornale trasforma la volontà di Riccardi, che è un docente universitario, in
una "proposta choc", una discriminazione degli italiani a favore dei rom "ladri
per cultura".
Quando qualche disperato subisce lo sfratto del padrone, sa ora con chi
prendersela, con i rom e con il Ministro Riccardi. Del trattamento Boffo
s'incaricano Paolo Granzotto e Giancarlo Perna. Granzotto rimprovera al Ministro
di "dividersi fra i sospiri per la pace nel mondo e dialoghi con i suoi
beneamati zingari". Cogliendo le sue abitudini più deteriori, lo descrive come
un signore che pratica "giulivo, l'impegno sociale nei salotti buonisti… fra un
frizzantino e un teuccio con i Pavesini". Pesante sarcasmo.
Giancarlo Perna ricorda che "nelle pause della sua attività con tonache ed
infelici Andrea Riccardi si laureò in legge" e, successivamente "s'infarcì un
po' alla rinfusa di date e battaglie", guadagnando il posto in facoltà. Riccardi
passa per uno storico ed un saggista, ma nella botte non c'è vino buono. Sarebbe
solo un salottiero che fa sfoggio del suo buonismo, sprovvisto di profonde
convinzioni. "Tutte le religioni gli vanno a fagiolo", è "intimo con gli
ortodossi, compagno di scuola del rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni,
commensale di Hassan al Tourabi, fondamentalista islamico sudanese".
Che cosa avremmo potuto aspettarci da un tipo così, se non che ci invitasse ad
affrontare la questione dei rom all'indomani dell'incendio del loro campo da
parte di un manipolo di razzisti torinesi? Il Ministro rispetta tutte le fedi,
avverte Giancarlo Perna, "ma contesta la Lega, sostenendo che non esiste una
identità padana".
L'elenco delle colpe, imperdonabili, di Riccardi non si ferma qui. "Il prete
laico s'improvvisa tecnico", titola Il Giornale , riassumendole tutte. "La sua
specializzazione sono i guai del mondo". Quali sarebbero le sue qualità, le
virtù, le competenze?
Gli manca l'essenziale, non ha mai compiaciuto Silvio Berlusconi. Non si è
sdraiato sul lettone di Putin, come Nicole Minetti. Quale pedigree gli da il
diritto di sedere sulle poltrone che furono di Mara Carfagna e Maria Stella
Gelmini a uno storico un po' confuso infarcito di date e di battaglie,
specializzato ad occuparsi dei guai del mondo, un pretonzolo spogliato dalla
dubbie amicizie? Uno che toglie le case agli italiani per darle gratis ai rom,
come recita il titolo, uno dei tanti, dedicati al Presidente della Comunità di
Sant'Egidio.
E' una pagina, ancora una, di cattivo giornalismo. Ingiusta e bugiarda nella
sostanza, incivile nella forma. Ignobile, insomma. L'editore dovrebbe avere il
coraggio civile di assumersene le responsabilità - morali, politiche - della
linea del suo quotidiano piuttosto che rifugiarsi nell'autonomia della redazione
e ostentare distacco.
RomaTodayIl ministro Riccardi vuole dare case ai rom: è polemica
sul web Il ministro della cooperazione e integrazione Andrea Riccardi si ripromette
di affrontare con decisione il problema dei campi rom. Sul web è polemica per le
sue dichiarazioni
di Redazione 19/12/2011
Stanno scatenando un putiferio sul web le dichiarazioni rilasciate nei giorni
scorsi dal ministro della cooperazione e integrazione, Andrea Riccardi, rispetto
allo spinoso tema dell'integrazione delle minoranze rom e sinti nel tessuto
sociale del nostro paese.
Il ministro è accusato da blogger e da qualche articolista di voler regalare
una casa a tutti i nomadi presenti sul territorio italiano (circa 140.000
persone). Ma è veramente questo che Riccardi ha dichiarato?
Una breve ricerca tra gli archivi dell'Ansa ci dice che nell'ultimo mese il
ministro ha semplicemente dichiarato: "Come ministro dico che la situazione dei
Rom non e' delle più brillanti, come cittadino mi sono vergognato della loro
condizione in Italia. Dobbiamo agire per il superamento dei campi rom".
"Superamento dei campi rom" uguale "casa a tutti gli zingari presenti nel
nostro paese"? Forse, anche se questa è una deduzione logica e non certo il
pensiero manifesto di Riccardi. E soprattutto, quello del superamento dei campi
nomadi è un tema sul quale da anni si riflette nel mondo della politica e, a
parte movimenti estremisti e xenofobi, tutti concordano sulla necessità di
fornire ai rom presenti nel nostro paese abitazioni nelle quali sia garantito un
livello minimo di sicurezza igenico-sanitaria.
Perchè allora questo accanirsi contro Andrea Riccardi?! Tutto (più o meno)
nasce dall'editoriale
di Paolo Granzotto su Il Giornale, che si scaglia contro il ministro
accusandolo appunto di voler regalare la casa a 140.000 zingari nello stesso
momento nel quale il governo reintroduce le tasse sulla casa.
Torniamo alle parole del ministro: "Ci sono fondi europei utilizzati solo al
10%" che permetterebbero la realizzazione di un grande progetto edilizio a
favore dei nomadi. Si tratterebbe quindi di una grande operazione di civiltà che
non graverebbe in alcun modo sui conti italiani, e che permetterebbe a tanti rom
e sinti presenti sul territorio italiano di veder migliorate la propria vita, e
allo stesso tempo libererebbe tanti comuni cittadini italiani "non zingari"
dalla presenza, oggettivamente difficile, dei grandi campi rom. Se finora non è
stato fatto è solo per la mancanza (più o meno deliberata) di una strategia
nazionale sul problema.
Un'altra falsa notizia riguarda i numeri: Granzotto parla di dare le case a
140.000 persone. Peccato però che di questi oltre 70.000 sono cittadini
italiani, e quasi 50.000 sono rom e sinti che da secoli vivono nel nostro paese,
integrati e già tutti forniti di casa (essì, perchè quando gliene viene data la
possibilità i rom e i sinti sono generalmente ben felici di vivere in abitazioni
sicure).
Come si può vedere la polemica è stata creata ad arte, e sta facendo breccia
grazie ai pregiudizi che riguardano le popolazioni rom e sinti.
Non ci vogliamo nascondere che tanti siano i problemi nella convivenza tra
nomadi e "sedentari" in Italia. Ma sfruttare per polemiche strumentali un tema
che, invece di veder rinfocolare le tensioni, avrebbe bisogno di pacatezza e
riflessione è un'operazione bieca e da esecrare.
"Salutiamo invece con piacere le volontà del ministro Riccardi di voler
affrontare in maniera pragmatica e positiva quella vergogna tutta italiana che è
l'esclusione e ghettizzazione sociale delle minoranze nomadi"
C'era una volta un Rom piccino picciò, ma così piccolo che non era neanche
Rom.
Ma lui, testardo, non si arrendeva a questa sfortuna e ripeteva sempre a se
stesso che bravo Rom sarebbe stato.
Così guardava sotto i ponti, nei tombini, dentro la dispensa a cercarli, per
poter dire loro con la mano sul cuore, IO VI SALVERO'.
Non se lo filava nessuno tra i vecchi crociati di cento battaglie, et
male fecerunt. Perché già dal primo scontro, perso alla grande, contro
Converso (un signorotto con 2 kg. di pelo sullo stomaco), il nostro eroe, che
aveva fretta di trovare uno spazio suo, imparò due cose fondamentali:
in Italia, chiunque può parlare, agire, fare il campione dei
Rom. Non servono esperienze o studi, basta rimestare qualche
concetto preso in prestito. Basta ripeterlo all'infinito come un
mantra. E... se non sei un Rom, è meglio.
vuoi ottenere attenzione? L'avrai: ci sarà sempre chi cerca
il personaggio nuovo, meglio se sopra le righe, meglio se espone
due idee in croce... perché è più facile da descrivere. Perché i
media non cercano altro che la banalizzazione: da un lato i
ladri, gli zozzoni, i criminali, dall'altro le povere vittime
della nostra malvagità.
Rimaneva un terzo concetto su cui lavorare, tutto sotteso all'evoluzione di
questa Italia negli ultimi decenni: il VITTIMISMO. Tanto più si ottiene
l'interesse dei media, tanto più si deve recriminare di essere da soli,
censurati, ma PURI. Perché? Ma perché gli altri, i vecchi crociati, ovviamente
non vogliono ascoltare questo guerriero della domenica o peggio, complici devono
essere della situazione attuale. Distinzioni? Vedere il punto 2. - è meglio non
farle, col rischio di perdere la purezza e l'attenzione mediatica.
Qualche comparsata davanti alla telecamera, in fondo questa è l'epoca di
youtube, e comunicati su comunicati su comunicati (che se li leggi sono tutti
identici), ma inviati alle persone "giuste": cioè a chi mai si sognerebbe di
rispondervi (anche se al momento non risultano all'appello l'ONU e la IV
flotta). Ma almeno si porteranno a casa due risultati:
ci sarà sempre qualcuno, che vuole sembrare più (o almeno)
antirazzista del nostro campione, che gli darà credito. Un
trafiletto su questo o quel sito-giornale-blog si rimedia
sempre;
solleverai comunque l'invidia (e magari la curiosità) dei
vecchi crociati, a cui poter dire "Visto come le canto? Visto a
chi so rivolgermi? Dilettanti voi foste."
E se nessuno rispondesse, se ci fosse un convegno dove non si sarà invitati,
si potrà sempre dire (mi raccomando: petto in fuori) RAZZISTI, RAZZISTI,
RAZZISTI, E' TUTTO UN COMPLOTTO... (IO VI SALVERO')
Un fenomeno mediatico, non durerà ancora molto. Che si stia già preparando il
suo successore?
PS: io però al posto suo non mi sarei limitato a Nazione Rom, se davvero
volevo fare impressione perché non IMPERO GALATTICO? (OK, mi son fatto prendere
la mano)
Di Fabrizio (del 14/01/2012 @ 09:11:36, in media, visitato 2372 volte)
Foto ANSA
Qualcuno potrebbe spiegare a questo
Michele Focarete, redattore del più importante quotidiano italiano, che
"rom" e "sinti" non sono due sinonimi intercambiabili da usare a cazzo?
Letto su Facebook
Le distinzioni non sono per i giornali, che si chiamino Libero, Corriere
oppure Repubblica. A fare distinzioni c'è sempre il rischio che qualcuno si
faccia domande, ed allora meglio vendere certezze.
Se poi qualche lettore esaltato si fa prendere la mano, come il mese scorso nel
rogo torinese, allora ci si spargerà il capo di cenere e si farà i bravi per
qualche mese; così nel nome della "libera concorrenza in libera informazione" ci
sarà qualche
altro foglio a scrivere articoli altrettanto irresponsabili. Magari,
basterebbe poco, ad esempio riscoprire la vecchia regoletta "le notizie separate
dai commenti".
Ma in fondo i giornali in Italia li leggono in pochi, e la maggior parte dei
lettori si fermano al titolo.
E questi lettori, che sono pure democratici, istruiti ecc. assomigliano molto ad
un titolista: solo un po' più frustrati di non essere un giornalista, anche se
sfruttato e sottopagato. Cercano titoli da ripetere: alla suocera, al bar, su
Facebook o su Twitter... dove mostrare quanto siano sensibili, aggiornati,
attenti (insomma: esattamente il contrario di ciò che sono in realtà).
Vogliono mostrarsi indignati, non importa per che cosa. I primi lanci della
notizia li ho letti giovedì sera tardi: a molti non è sembrato vero di avere un
motivo per prendersela contro gli odiati SUV che occupano la città. Questo il
commento alla notizia di una persona che conosco come molto civile ed impegnata: "Prima di metterlo in galera e buttare la chiave, lo farei anche rotolare
nudo in un campo di ortiche, lo porterei al ponte sull'Adda e lo appenderei a
quell'elastico, lo lascerei così a testa in giù una notte intera....e molto,
molto altro ancora, si lo torturerei, ecco!"
Il giorno dopo salta fuori quello che molti nei campi temevano: sono
coinvolti degli "zingari". Cambia il "focus", ma resta l'indignazione
artificiale di avere qualcosa contro cui scagliarsi. Basta scorrere i commenti
su
Il Giornale o anche sul
Corriere, altrettanto superficiali ed uniformati di quelli del giorno prima,
anche se di segno opposto.
Insomma: SUV e ZINGARI come monete intercambiali di indignazione.
La ricerca di un nemico necessario per ribadire la propria presenza.
Di Fabrizio (del 17/01/2012 @ 09:54:04, in media, visitato 3048 volte)
Immagine da chupacabramania.com. Precisazione necessaria: le indagini sono
ancora in corso e lo scritto che segue è di ieri pomeriggio.
La storiaccia dell'omicidio del vigile Nicolò Savarino l'ho
seguita sin dall'inizio: troppo fresco il ricordo del
rogo alle Vallette solo un mese fa; confesso che la mia paura era che si
ripetesse quel meccanismo che aveva trasformato un articolo di giornale in
una
miccia accesa gettata in quartiere periferico, probabilmente non più brutto
di molti altri ma pronto a trasformarsi in polveriera sociale.
Responsabilità giornalistiche a parte (le vedremo in seguito), la mia
disillusa conclusione era che tra carta stampata e lettori non ci fossero
differenze: uno alimenta l'altro complici nel linguaggio, nelle ripetizioni, nei
luoghi comuni, nella voglia di distinguersi... nel mostrare e richiedere
INDIGNAZIONE a breve termine.
I giornali di per sé, non farebbero più danno di tanto, ma avevo assistito
(praticamente in presa diretta) allo schierarsi dei vari lettori, nei commenti
alle testate e sui social network. Da lì è iniziato tutto: i primi due giorni
sono stati una cartina di tornasole per chi fa informazione, è emerso cosa si
voleva ottenere da questa vicenda, dove in seguito tutti si sono scatenati.
Ammesso che vogliate continuare la lettura, ricordate quella che è stata una
costante di tutte queste indagini: NON SAPPIAMO ANCORA CHI SIA L'ASSASSINO. E'
stata fermata una persona, la cui reale identità è TUTTORA IGNOTA.
La certezza è che è stato commesso il crimine. Che in una maniera o
nell'altra erano coinvolti degli ZINGARI. Ho usato apposta quella parola, perché
da sola è bastata a scatenare una reazione simile in due fasce opposte di
lettori: chi si batte per il miglioramento delle condizioni di vita di Rom e
Sinti, e chi all'opposto è razzista a prescindere. La reazione possiamo
sintetizzarla in poche parole: "E' INUTILE DARSI DA FARE! C'E SEMPRE QUALCUNO
CHE ROVINERA' TUTTO IL LAVORO FATTO IN PRECEDENZA!"(1) e a qualcun altro non parrà
vero di poter ripetere "VOI ZINGARI..."
Purtroppo, sono i razzisti e gli intolleranti a nutrirsi di certezze, di
solito chi è antirazzista vive continuamente nei dubbi. A tutti e due,
risponderei con quello che ha scritto sabato un giornale che non è certo
sospetto di simpatie per i rom:
"L’uccisione di ieri è il terzo caso in pochi mesi di follia al volante in
Lombardia. Il 19 novembre, a Cremona, un pensionato di 76 anni, Guido Gremmi,
era stato travolto e ucciso dopo una lite per un parcheggio destinato alla sua
compagna disabile, Bruna Dondi, 79 anni. L’investitore, Angelo Pelucchi, ex
imprenditore di Bassano Bresciano, incensurato, si era costituito l’indomani ai
carabinieri.
Cinque giorni dopo, il 24 novembre, è stato condannato a sedici anni di
carcere per omicidio volontario Vittorio Petronella, il 71enne pensionato che,
il 25 luglio scorso inseguì, travolse e uccise il 35enne Alessandro Mosele. I
due litigarono a un semaforo in Via Andrea Doria per motivi di viabilità, e
Petronella, ex direttore commerciale di un’azienda, si gettò all’inseguimento di
Mosele che era in sella al suo scooter. Il pensionato ha sempre detto di non
aver avuto intenzione di uccidere e di non avere urtato il 35enne, a differenza
di quanto dichiarato dai testimoni sentiti dalla Procura." vedi IL GIORNALE
Insomma, chi è rom e chi non lo è, sembra
"integrato" allo stesso livello, senza differenze di razza o nazionalità. Può
non piacere, ma questo è un altro discorso.
Le indagini proseguono e, ripeto, comprendo il riserbo degli inquirenti nel
far trapelare le notizie. Ma come fare, in assenza di dati certi, a vendere
giornali? Provate a pensare, sapendo quante poche copie si vendono in Italia, se
voi foste un redattore rinuncereste a sguazzare nel fango con una storia simile?
E' così che la nazionalità e la razza dei presunti colpevoli sono diventate un
ingrediente indispensabile di ogni articolo: di volta in volta: rom, sinti (a
volta assieme, oppure separati), tedeschi, slavi, italiani...
E qua comincia il gioco sporco, a cui hanno partecipato TUTTI i quotidiani,
ben sintetizzato in questo pezzo di
Giornalismi.info. Nel frattempo, il
maggior giornale italiano ieri esordiva così:
Vigile ucciso, le mille identità del serbo fermato in Ungheria per omicidio
MILANO - Goico Jovanovic, tedesco di 24 anni o Reni Nicolic, di 17 anni
francese? O forse Goico Nicolic di 21 anni? O invece si tratta del palermitano
Davide Jovanovic di 26 anni?...
C'è un'evidente contraddizione tra titolo ed apertura. Questo SIGNOR
NESSUNO potrebbe essere contemporaneamente tedesco, francese o palermitano, ma
nel titolo chissà come, diventa serbo. Altri giornali, dopo le iniziali
incertezze, hanno invece martellato sul fatto che la sua identità sarebbe
tedesca, ma di origine "slava".
C'è dietro tutto un gioco per dipingerlo differente da "noi": ma allora
denominiamolo pregiudicato, europeo, di nazionalità non ancora identificata...
Sfugge a molti la natura CULTURALE (nel senso più ideologico del termine)
di un'operazione simile: per questioni di "correttezza politica" nessuno vuole
usare la tanto disprezzata parola ZINGARO (quella viene lasciata ai commentatori
plebei), però si vuole lasciarne il senso di alterità, di estraneità: uno
zingaro non può essere italiano, tedesco, francese (o palermitano); e visto che
stavolta la
Romania non può essere tirata in ballo, dev'essere slavo per forza, anche se
non sappiamo ancora chi sia.
Dico CULTURALE per diverse ragioni: zingari (continuo apposta ad usare un
termine dispregiativo) italiani esistono da secoli, lo stesso vale per quelli
tedeschi e francesi. La loro continua richiesta dal II dopoguerra è stata di
essere "integrati" (termine alquanto ambiguo) come qualsiasi altro cittadino.
No, ci dicono le cronache, se si tratta di delinquenti noi MEZZI DI
INFORMAZIONE, smetteremo di essere buoni, e torneremo ai vecchi stereotipi come
nel fascismo, dello slavo, rumeno, albanese che per forza è sanguinario,
irrecuperabile e di sangue zingaro.
Ma visto che da allora è passato qualche decennio, cambiano i termini:
zingaro è diventata una parola tabù, come ebreo. E difatti le prime cronache
parlavano di due persone di etnia rom-sinti. Molti sono insorti dicendo che o si
uno o si è l'altro e che era come descrivere una persona come un
tunisino-peruviano. Io invece credo che rom-sinti sia stato usato in piena
coscienza, sapendo che i due termini assieme avrebbero richiamato la parola
proibita: ZINGARO.
Ad un certo punto, per non destare più dubbi, accanto a "tedesco di origine
slava" appare un terzo termine: "nomade", che tra tutti è il più ipocrita. Che
significa? Che nazionalità o razza è? E se il colpevole avesse per caso una casa
(è probabile, ancora non siamo certi chi sia in realtà, l'unica cosa che
sappiamo di lui è che i soldi gli girano e di case può permettersene più di
una), perché usare "nomade"?
Abbiamo poche certezze, in questa storia, una di queste è che comunque la
persona fermata è "un poco di buono". Non lo difendo di sicuro, mi spaventa però
questo AUTOMATISMO MEDIATICO per cui se sei un malfattore, ancora prima di
essere identificato sarai rom o sinto (quindi perderai il diritto a vederti
riconosciuta una nazionalità) e se lo sei sarai per forza un "nomade"
(sorvolando sul fatto che rom e sinti in Germania da decenni hanno riconosciuto
il diritto alla casa). Dimenticando in un sol colpo, prima della deontologia
professionale, che gli assassini esistono dappertutto, spesso abitano in case
del tutto simili alle nostre, senza simili processi di stigmatizzazione.
Mi capita sempre, a questo punto, qualche anima candida che dice che la mia è
una difesa ad oltranza di chi fa di tutto per meritarsi una cattiva fama. Se
anche fosse, non vi sentireste presi in giro da chi invece di ragionare a fatica
(e sapeste che fatica...) vi sta sfruttando come cavie mediatiche da
laboratorio, sapendo quali sono i vostri punti deboli e volendo a forza
solleticare i vostri peggiori istinti?
1: sempre ieri un grande ha compiuto 70
anni. Me lo ricordo a Kinshasa, un'intervista prima della sfida contro un
campione più giovane e potente: "Io," diceva pressappoco così,
"sono già andato al tappeto altre volte, lui mai. Io so rialzarmi, lui non si
sa. E' per questo che penso di avere un'arma in più di Foreman."
Nell'articolo non un solo fatto ma una tesi finalizzata ad alimentare l'odio
razziale: i rom sono omertosi e delinquono proteggendosi tra loro.
Un articolo tanto più odioso quando a Torino sono la magistratura e le forze
dell'ordine che si rendono conto che la possibilità di chiamare alla propria
responsabilità gli italici autori del pogrom della Cascina Cantinassa è impedita
da:
Un muro di omertà sul rogo delle Vallette - stampa.it
(vedi anche
QUI ndr.)
Ma occorre entrare nel merito dell'articolo di Andrea Cuomo per rendersi conto
di come, per il giornale, vada versato veleno sulla base di niente se c'è una
campagna di disinformazione da mandare avanti.
L'articolo ovviamente parte dalla giusta ondata di sdegno derivante dalla
barbara uccisione del vigile Savarino con l'evidente proposito di alimentare
l'odio razziale, ma invece di raccontare i fatti di milano rinvanga l'episodio
simile dell'omicidio stradale di Quarto Oggiaro di qualche mese fa.
Al giornalista non passa proprio per la testa di ricordare che nel doloroso caso
di Milano gli omicidi sono stati assicurati alla giustizia in tempi rapidissimi
proprio grazie alla collaborazione del uomo investito per primo, rom calabrese,
e degli altri della comunità di giostrai che erano presenti.
LA TESTIMONIANZA - Gli investigatori sono arrivati ai sospettati anche grazie
alla testimonianza dell'anziano giostraio colpito di striscio dall'auto poco
prima della tragedia di giovedì. Agli agenti della polizia locale avrebbe
fornito il numero di un cellulare di uno dei due. Hanno messo sotto controllo le
celle telefoniche e hanno intercettato alcuni messaggi importanti per
l'indagine.
Ma prima di approdare ad Aosta, nel garage dove era nascosta la Clio modello
Ventesimo Anniversario, gli agenti della polizia municipale hanno seguito tante
piste fasulle. Almeno quaranta controlli a vuoto: segnalazioni anonime ma
«potenzialmente attendibili». E «informazioni confidenziali». Blitz in campi
nomadi, carrozzerie, sfasciacarrozze, discariche. Dopo l’incidente sono arrivate
4 lettere misteriose. Una firmata da «Anonimo 66», spedita da fuori Torino. Una
signora di Grugliasco, convinta di aver trovato il pirata, «denuncia» il suo
vicino di casa: «Ha un ritmo di vita anormale, dorme di giorno e vive di notte.
Ha un amico con una Clio nera». Tutti vicoli ciechi.
Ma la vera chicca dell'articolo è ritirare in ballo l'episodio della Caffarella
ed i nomi di
Alexandru Isztoika Loyos e
Karol Racz.
Al giornalista mica viene in mente di controllare l'esito del giudizio o gli
archivi del suo giornale. Gli basta RI-SBATTERE il MOSTRO in prima pagina.
Allora ricordiamo al giornalista che i due poveri diavoli da lui tirati in ballo
erano INNOCENTI e sono stati assolti per l'episodio.
Ed anche ai fini delle tesi razziste del giornalista l'episodio non va bene, il
povero Karol Racz fu ritrovato dalla polizia quando tutti lo indicavano come il
"mostro faccia da pugile" proprio in base
alla civica segnalazione della
comunità rom di Livorno che gli dava ospitalità.
All'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito un pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Venne alla spiaggia un assassino
due occhi grandi da bambino
due occhi enormi di paura
eran gli specchi di un'avventura.
E chiese al vecchio dammi il pane
ho poco tempo e troppa fame
e chiese al vecchio dammi il vino
ho sete e sono un assassino.
Gli occhi dischiuse il vecchio al giorno
non si guardò neppure intorno
ma versò il vino e spezzò il pane
per chi diceva ho sete e ho fame.
E fu il calore di un momento
poi via di nuovo verso il vento
poi via di nuovo verso il sole
dietro alle spalle un pescatore.
Dietro alle spalle un pescatore
e la memoria è già dolore
ed è il rimpianto di un aprile
giocato all'ombra di un cortile.
Vennero in sella due gendarmi
vennero in sella con le armi
chiesero al vecchio se lì vicino
fosse passato un assassino.
Ma all'ombra dell'ultimo sole
s'era assopito il pescatore
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso
e aveva un solco lungo il viso
come una specie di sorriso.
Un viaggio attraverso le regioni montuose della Bosnia centrale dove vivono
alcune comunità di rom kaloperi: famiglie stanziali che possiedono una casa,
guardano con sospetto gli zingari dediti al nomadismo e non parlano volentieri
la lingua romanì. Di villaggio in villaggio, vengono scrutate attentamente tutte
le abitudini più ordinarie dei membri delle varie famiglie e vengono registrate
alcune testimonianze: esperienze e pensieri di differenti generazioni che
cercano di aprire un nuovo sguardo sulla diversità e la ricchezza dei popoli
rom.
Di ciò che risponde all'idea comune di "zingaro", ci sono solo le immagini.
Frutto di un viaggio invernale nel cuore della Bosnia compiuto nel 2004, il
documentario di Massimo D'orzi vive di immagini libere e fluide colte
nell'intimità di quei piccoli gruppi di rom bosniaci che trovano nella
dimensione quotidiana degli affetti familiari e del lavoro la loro condizione
ideale.
Questa carattere "erratico" e in divenire della ripresa è evidente nella
condizione temporale che impone da subito il lavoro: privilegiando i tempi
morti, uno sguardo da documentario antropologico e una dimensione evocativa
attivata dall'accompagnamento costante della fisarmonica di Hazdovic Ruzdija. La
vocazione naturalista del lavoro non preclude tuttavia che il suo obiettivo sia
quello di raccontare attraverso una serie di testimonianze dirette una storia
differente rispetto alle idee e ai luoghi comuni sui gitani. Obiettivo evidente
fin dal titolo, che privilegia il carattere della piccola Adisa, la più giovane
fra le protagoniste intervistate, e la mette a confronto con l'esperienza di una
nonna particolarmente vivace ed emancipata, ma soprattutto con una cultura nata
mille anni fa nell'India d'epoca medievale. Un confronto fra generazioni nel
quale emerge anche un certo disagio per l'identità del popolo rom e per tutti
quei sottogruppi dediti al nomadismo e al brigantaggio.
È vero che c'è una certa discrasia fra il modo di condurre le interviste
(che, per quanto informali, appaiono in più momenti pilotate, animate dalla
volontà di far emergere i pensieri pacifisti e quelli anti-tradizionalisti delle
famiglie kaloperi) e quello di guardare al paesaggio. Ma, preso come un'unica,
lenta e lunga panoramica, il film trova una temporalità personale che riesce a
dare un ritmo anche a questa dialettica fra immagini entranti e immagini
contemplative. Fra ottica di studio e ottica di poesia.
Tra il 2008 e il 2009 in Ungheria sono stati commessi numerosi atti di violenza
nei confronti della comunità rom. Delle 55 persone coinvolte, 6 sono rimaste
gravemente ferite e 5 sono morte e i sospetti sono attualmente sotto processo.
La stranezza di questi eventi (oltre ovviamente all'assurdità della violenza e
della morte) ha consistito nel fatto che tutte le vittime, sopravvissute o meno,
conducevano una vita normale, lavorando, studiando, abitando in condizioni
modeste e sotto il livello di povertà ma non in campi nomadi bensì in case. Lo
scopo, secondo il regista Bence Fliegauf che ha dedicato molto tempo a studiare
la tragica vicenda, non avrebbe dunque motivazioni razziste "classiche" e
immediate, ovvero il pericolo sociale e la delinquenza, ma un piano a lunga
durata per scatenare una vera e propria guerra civile con i gruppi nomadi per
eliminarli definitivamente.
Poco interessato agli autori dei crimini, che pure ha incontrato e
intervistato, (per la banalità del male), Fliegauf sceglie invece di avvicinarsi
in punta di piedi alle vittime e seguirle per un solo giorno, quello che per
loro sarà l'ultimo, dall'alba al tramonto. E per far questo mette al bando
qualsiasi stereotipo sui rom che cantano, ballano e suonano la fisarmonica e
soprattutto sono sempre in gruppo, per seguire i loro passi nella solitudine di
un bosco ai confini di un centro abitato, uno spazio « altro » custodito dai
vigilantes della comunità che passa repentinamente da idilliaco a tenebroso.
I quattro personaggi principali (madre, figlia adolescente, figlio ragazzino
e un anziano nonno arteriosclerotico) seguono i loro ritmi quotidiani, che sono
quelli «normali» : la madre lavora come donna delle pulizie, la figlia va a
scuola e fa i compiti, il figlio bigia e va in giro per i campi e al fiume con
gli amichetti. Tutto nella norma, se non fosse che la famiglia dei vicini è
stata sterminata mentre dormiva, la comunità vigila e su tutto aleggia
un'atmosfera di tensione tanto più insopportabile quanto i protagonisti sembrano
non percepirla. Eppure non è così perché ognuno di loro non fa altro che pensare
a quando si trasferiranno tutti in Canada per raggiungere il padre. Nel
frattempo mille piccoli episodi inquietanti si vanno a sommare, come subliminali
atti di razzismo a scuola e al lavoro, momenti di gentilezza invece da parte di
colleghi o compagni di liceo, esplosioni di rabbia subito sedate e la
raccomandazione continua di «fare attenzione».
Divenuto famoso nel 2010 con il discusso Womb (storia di una donna che clona
nel figlio l'amante defunto, interpretata da Eva Green), Bence Fliegauf è
probabilmente l'unico esponente della cinematografia ungherese contemporanea a
riuscire ad essere da anni ospite di vari festival internazionali. Utilizzando
spesso la macchina da presa a spalla, che soffia letteralmente sul collo dei
personaggi come se li inseguisse invece che pedinarli, costringe lo spettatore,
che già sa come andranno a finire le cose, a partecipare alla sorte dei
protagonisti aumentando il climax fino all'ultimo, quando invece lo congela con
un pudore che però non gli impedisce di mettere chi guarda davanti alle
responsabilità di tutta una società.
CAST & CREDITS
(CSAK A SZÉL) Regia e sceneggiatura: Bence Fliegauf;
fotografia: Zoltán Lovasi;
montaggio: Xavier Box; musica: Bence Fliegauf, Tamás Beke;
interpreti: Katalin
Toldi, Gyöngyi Lendvai, Lajos Sárkány, György Toldi; produzione: Inforg M&M
Film; origine: Ungheria/Germania/Francia; durata: 91'.
Con una cinepresa in spalla, il cineasta franco-algerino Tony Gatlif si è messo
in mezzo alla folla degli "indignados" della primavera europea del 2011 i quali,
a partire degli atenei di Madrid, protestarono contro i banchieri e i ricchi in
generale.
"Anche quando la temperatura scende a meno dieci o meno
quindici gradi, nessuno si meraviglia di vedere la gente dormire per strada" ha
dichiarato all'AFP, prima di presentare "Indignados", il suo film sdegnato,
nella sezione Panorama della 62a Berlinale, dedicata quest'anno ai recenti
sconvolgimenti della storia, soprattutto nel mondo arabo.
Il gitano del cinema globalizzato ("Latcho Drom", "Gadjo Dilo") si mette in posa
per i fotografi con i pugni chiusi all'altezza degli occhi, con uno sguardo di
sfida.
Dice che è "disgustato", e anche che il libro "Indignados" gli è penetrato fin
dentro l'anima. Questo testo di Stephane Hessel, di 94 anni, eroe della
resistenza francese contro i nazisti nonché ex diplomatico, il quale chiama al
sollevamento pacifico contro l'ingiustizia, è stato tradotto in trenta paesi.
Tony Gatlif, dice di essersi sentito male e umiliato per il modo nel quale
furono trattati i gitani in Francia durante l'estate 2010, e dichiara che il
libro di Hessel lo ha curato dai problemi psicologici dei quali ha sofferto a
causa di questa situazione.
Dopo avere acquistato i diritti cinematografici di "Indignados", ha deciso di
fare delle riprese. "Ma non ho voluto farlo secondo il punto di vista degli
europei", dice.
Tony Gatlif esamina la rivoluzione contrapporsi alle disavventure di
un'immigrata clandestina, nella militanza crescente che traboccherà poi per le
strade di molti paesi in tutto il mondo
La sua cinepresa segue quindi il vagabondaggio di Betty, una ragazza africana
senza documenti, buttata sulla riva nord del Mediterraneo, attanagliata
dall'urgenza di fuggire dalla miseria e dalla speranza di godere di una vita
migliore in Europa.
Lo spettatore la segue nelle sue peripezie mute, ritmate dalla musica e dagli
slogan, da Patrasso, il grande porto greco, passando per Atene e Parigi, e
terminando a Madrid.
Betty, detenuta dalla polizia e rimandata in Grecia, l'unico paese che ha
conservato le sue impronte digitali, scopre la miseria dei paesi ricchi, i
materassi per strada, i pasti serviti dalle associazioni caritatevoli.
"A noi, non c'importa, mentre lei è sconvolta. Ed è per questo che ho voluto che
guardassimo dall'alto delle sue spalle, con i suoi occhi" sottolinea Tony Gatlif.
"In ogni luogo, la vecchia Europa che fa tanto sognare, sta in pericolo. E' la
prima volta nella storia, che le banche provocano la bancarotta di un paese",
continua.
"Betty stessa si trova intrappolata in Europa, senza potere rientrare nel suo
paese. La sua famiglia si era indebitata per pagarle il viaggio, e ora si trova
a sommarsi ai clandestini, a quelli senza documenti, ai paria senza identità",
dice Gatlif.
Costretta a mentire, Betty ripete al telefono ai suoi familiari: "Le cose vanno
bene, tutto andrà per il meglio".
Ma cosa ci guadagna Betty, nel rimanere in mezzo a questa folla in collera, ma
impotente davanti alle crisi economiche e finanziarie, che riprende con i suoi
telefonini durante le manifestazioni?
"E' il nuovo mezzo di comunicazione che rende possibile la rivoluzione pacifica,
poiché in questo modo l'informazione corre veloce, e sorpassa governi e
banchieri" stima il realizzatore.
Il documentario-dramma del regista Tony Gatlif si ispira al noto saggio di
Stephane Hessel, 94enne, "Indignatevi!".
Tony Gatlif crede "nei raggruppamenti della gente, nella forza della folla.
Anche i rivoluzionari siriani raggiungeranno il successo".
L'essere stato selezionato per la Berlinale lo ha confortato, e accanto a
Stephane Hessel, desidera utilizzare il festival come un palco.
"Sarebbe ora che anche il cinema smetta di guardare al proprio ombelico, e si
impegni; ma è come in altri contesti: ognuno difende i propri piccoli
interessi", dice Gatlif.
Di Fabrizio (del 07/03/2012 @ 09:46:21, in media, visitato 1311 volte)
Dopo che nella "civilissima" Milano un pensionato è stato letteralmente
sbranato da un branco di cani randagi, molti giornali avevano notato la
"sospetta" vicinanza del luogo dell'agguato con uno storico campo sosta
milanese. Qualche giornale aveva persino raccolto le testimonianze degli
abitanti del campo, i quali dicevano di temere anche per i propri figli, quando
dovevano andare a scuola.
ANSA:Non sembra, al momento, che gli animali siano di
coloro che abitano in due campi nomadi della zona. Qualcuno ha
dei cani in alcune baracche ma li tiene legati.
Repubblica:"i nomadi hanno solo cagnolini piccoli, non
ne abbiamo mai visti di grossa taglia negli accampamenti". Anche
gli inquirenti per ora non hanno elementi per affermare che i
cani appartengano ai rom.
Corriere della Sera:Anche i nomadi del campo a fianco
dell’omicidio erano visibilmente spaventati: «Temiamo per i
nostri bambini» è il coro univoco di rom, contadini e abitanti
di Muggiano, nonostante fiocchino accuse reciproche.
Ma si sa, la parola di questi ZINGARI vale quanto una banconota da tre euro,
ed ecco che ci si mettono
Libero ed il
Giornale.
Leggo: Associazione Canili, branco killer viene da campi nomadi Si tratta di aree, continua l'Associazione, "dove le istituzioni non
entrano, niente vigili, niente polizia, niente Asl. Abbiamo cercato di risolvere
noi il problema (siamo una piccola associazione, ma il problema era molto piu'
grande di quanto pensassimo) entrando noi stessi nei campi soli, senza
protezioni. Tra l'altro, come in tutte le associazioni animaliste, non vi sono
uomini e per delle donne entrare a discutere in un campo rom non e' bello".L'associazione chiede "di non demonizzare e strumentalizzare i
cani, esseri buoni per natura..."
Ammetto di voler bene a (quasi) tutti gli animali, ma di essere un
po' stupido: mi sembra che per non demonizzare i cani, si stia demonizzando
qualcun altro...
Di Fabrizio (del 15/03/2012 @ 09:48:42, in media, visitato 1295 volte)
La nuova trasmissione condotta da Medici per i diritti umani su
Novaradio Città Futura 101,5 Tutti i Giovedì - dalle ore 17 - a partire dal 15 marzo 2012
I conduttori del programma, con la collaborazione di numerosi ospiti, apriranno
una finestra sul diritto alla salute, sulle attività di MEDU e soprattutto sui
contesti e sulla vita dei beneficiari dei nostri progetti. Pillole della durata
di venti minuti, intervallate da un rilassante intermezzo musicale, che
avranno come titolo "Nessuno escluso" .
Cercheremo innanzitutto di parlare di e con le persone che vivono in condizioni
di marginalità nelle nostre città. Daremo loro voce attraverso interviste
pensate e realizzate da alcuni volontari, che hanno chiesto di descrivere
l'ambiente delle case occupate e dei campi rom spontanei, la giornata tipo di
chi ci sta dentro, il suo progetto migratorio, il suo viaggio e le sue
aspettative, oltre al suo rapporto con i servizi sanitari del territorio.
Parleremo dei progetti internazionali che Medu sta portando avanti in Colombia,
Ecuador e Palestina, dando ancora una volta priorità alla testimonianza diretta
dei nostri partner locali e dei nostri operatori sul terreno, tentando a margine
di offrire uno spaccato della situazione politica e sociale dei Paesi coinvolti.
Ragioneremo dell'eguaglianza di genere e della violenza sulle donne,
divertendoci anche a spulciare i messaggi mediatici e pubblicitari volti ad
attribuire un ruolo dominante al Maschio, per obbligo. Abbiamo infine
pensato ad alcune tematiche più peculiari come il disagio mentale, la dipendenza
e la situazione dei minori abbandonati nei contesti di precarietà.
Nessuno escluso dal diritto alla salute, come recita il nostro
slogan. Filo conduttore sarà l'idea di salute concepita come condizione
complessiva della persona, che comprende oltre all'assenza di malattie anche il
benessere psico-fisico e l'inserimento sociale. Su queste basi ci confronteremo
anche con il ruolo che secondo noi devono avere il servizio pubblico e il terzo
settore, con l'obiettivo comune di garantire un diritto fondamentale che come
tale è di tutti, senza distinzioni di razza, sesso, provenienza, condizione
economica o amministrativa.
NESSUNO ESCLUSO
Ogni giovedì alle 17.00, in
Podcast sul sito
di MEDU
A cura di Marco Zanchetta e Riccardo Di Virgilio
Ufficio Stampa Firenze
Tel. 3351853361 Medici per i Diritti Umani, organizzazione umanitaria e di solidarietà
internazionale.
Disclaimer - agg. 17/8/04 Potete
riprodurre liberamente tutto quanto pubblicato, in forma integrale e aggiungendo
il link: www.sivola.net/dblog.
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