Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 18/07/2011 @ 09:24:44, in Kumpanija, visitato 1458 volte)

Segnalazione di Paolo Ciani

GLI ZINGARI IN LIBANO, COMUNITA' AI MARGINI
In Europa li chiamiamo Rom, in Medio Oriente Dom. Ma per i popoli arabi sono semplicemente "nawar". Sono zingari, una volta nomadi, ora stanziali, in Libano sono tra le comunità più emarginate. DI BARBARA ANTONELLI

Roma, 15 Luglio 2011 – Nena News – Sono 2,2 milioni in tutto il Medio Oriente, tra Libano, Giordania, Territori Palestinesi, Turchia, Iran e Iraq. In Libano sono una delle comunità più emarginate. Rom in Europa, Dom in Medio Oriente è il nome che designa le comunità "zingare"*. I loro antenati, secondo la teoria ormai accettata, sono migrati verso ovest, dall'India, più di 1000 anni fa. Quando si parla di loro nei paesi arabi, ci si riferisce a "nawar". Un termine che se usato per designare queste comunità, assume una connotazione negativa, spesso associato a sporcizia, pigrizia, furto, elemosina e una moralità discutibile. Vale a dire che, anche il più povero tra i libanesi, si sente superiore ad un Dom.

Si calcola, secondo uno studio fatto nel 2000, che nel paese dei Cedri, ve ne siano circa 8000; famiglie numerose con una media di 7, 8 bambini per nucleo, vivono ai margini delle città, in baraccopoli, in prossimità di altri gruppi marginalizzati dalla società, come i profughi palestinesi o i libanesi poveri.

A differenza dei profughi palestinesi e dei beduini però, con i quali vengono spesso erroneamente confusi, sono stati "naturalizzati" dal governo libanese nel 1994; ma la cittadinanza non gli assicura l'accesso ai più basilari diritti umani. Né li tutela dall'emarginazione e la discriminazione. Sono infatti più poveri dei profughi palestinesi, secondo una recente ricerca della ONG Terre des Hommes (basata su interviste a comunità in 4 diversi luoghi del paese dei Cedri) in collaborazione con la libanese Insan; se infatti secondo i dati rilasciati dall'American University di Beirut, in media un profugo palestinese in Libano vive con 2,7 dollari al giorno, il 30% dei Dom sopravvive con meno di 1 dollaro al giorno. Un alto tasso di disoccupazione, dato che oltre il 44% non lavora, e il resto sopravvive tra elemosina e "lavoretti" improvvisati, tra cui suonare a feste e matrimoni.

Un popolo nomade che dopo la naturalizzazione è diventato stanziale, come i beduini, stabilendosi in ricoveri precari, fatti di latta, zinco, e legno. Il 36,4% di loro non riceve acqua potabile e la maggior parte delle abitazioni non è connessa al sistema fognario. Circa il 68% dei minori di 18 anni non ha mai messo piede in un'aula scolastica. Sono i minori i più vulnerabili nella comunità Dom: esposti a violenze, malnutrizione, condizioni di lavoro precarie, quando non pericolose, sfruttamento.

Secondo il direttore della ONG Insan, Charles Nasrallah, "l'accesso di queste comunità all'assistenza legale, al sistema sanitario ed educativo e ad un'adeguata quantità di cibo, non è garantito". Problemi a cui si aggiunge la marginalizzazione sociale. Ignorati dai libanesi, ma anche dalle ONG e dalle agenzie umanitarie.

E non è un caso che poco si sappia su di loro, e che in questo senso la ricerca congiunta di Insan e TDH rappresenti uno dei pochi documenti disponibili su questo gruppo etnico. Uno studio volto ad individuare bisogni e necessità delle comunità Dom, ma anche a valutare l'impatto sulla società libanese e la percezione che se ne ha.

Come risposta all'emarginazione, i Dom hanno interiorizzato gli stereotipi negativi che gli sono stati "appiccicati" addosso in questi anni, tanto da rifiutare la loro cultura e le loro tradizioni, sottolinea la ricerca. Secondo TDH, i pregiudizi contro questa comunità sono un macigno tale che i Dom stessi desiderano lasciarsi alle spalle la loro "identità etnica". Lo dimostra il fatto che la lingua Domari, ciò che li accumuna ad altre comunità in tutto il Medio Oriente (sebbene coesistano altri dialetti), quindi il marchio indelebile della loro identità, sta rapidamente lasciando terreno all'arabo. Tra gli intervistati, metà degli adulti, ma solo un quarto dei bambini, parlano il Domari; una lingua, di cui non esistono né libri, né testimonianze (i Dom in Medio Oriente usano infatti l'arabo per scrivere). Nena News

* Dom è una parola di origine indiana; secondo lo storico britannico Donald Kenrick, , la coesistenza di entrambi le parole si deve al fatto che la prima lettera era pronunciata "dr"; ma altri studiosi rifiutano tale tesi.


NDR: Contemporaneamente è uscito un articolo (in inglese) sui Dom del Libano su MiddleEast.com

 
Di Fabrizio (del 02/08/2011 @ 09:38:42, in Kumpanija, visitato 1779 volte)

Molti dei lettori della Mahalla conoscono il significato della data "2 agosto": anche se per molti (me compreso) la memoria torna alla bomba alla stazione di Bologna nel 1980, Rom e Sinti lo ricordano per il massacro di 3.000 di loro nel campo di Auschwitz nel 1944. Di questa memoria se ne è scritto in passato. Resta lungo e difficile ricostruire l'eredità "reale" di questa memoria, che ha portato alla situazione attuale; alle discriminazioni che continuano, ai campi sosta comunali cintati da sbarre e sorvegliati dalle telecamere, in Germania ai nazisti colpevoli di esperimenti aberranti riciclati come esaminatori delle richieste dei danni patiti da Rom e Sinti... Storie dimenticate che continuano a pesare. Quest'anno il 2 agosto lo ricordo con un libro:

LIBRI INCHIESTA JORGE CAMARASA

Josef Mengele fu riconosciuto colpevole della morte di 400 mila deportati ad Auschwitz. Era «superbo e antisemita». Non esitava a mettere in questione «la capacità intellettuale degli ebrei». Si sentiva un bell'esemplare ariano e beveva molto (forse troppo) caffè. Il suo più imperdonabile errore è stato confondere il sadismo con la scienza. Adesso questo piccolo libro riferisce quanto occorre sapere di Mengele, criminale nazista che non esitò a far di bambini, ebrei e zingari cavie da sacrificare senza pietà. Jorge Camarasa, ricercatore e giornalista argentino, fa incominciare la sua narrazione nel cuore d'una notte del gennaio 1945. Josef Mengele, il cui nome vale da solo come titolo di richiamo per queste pagine (Mengele. L'angelo della morte in Sudamerica , Garzanti), lascia Auschwitz incalzato dall'avanzare dell'Armata Rossa. Porta con sé, in due valige di cartone e una borsa di cuoio, tutto quanto crede utile conservare per documentare il suo lavoro. A solo ricordarlo, quel lavoro, fa venire la pelle d'oca! Mengele in persona, alias l'«Angelo della Morte», accoglieva le sue future vittime all'arrivo dei vagoni piombati. Sorridente, selezionava i deportati raggruppandoli in due file: una formata «da uomini, donne e bambini destinati immediatamente alle camere a gas, l'altra composta da meno fortunati... che lui stesso sceglieva per i suoi esperimenti» in laboratori che erano vere camere di tortura. Basti dire che Mengele fu più tardi riconosciuto colpevole della morte di quattrocentomila deportati nel lager di Auschwitz. Leggendo Camarasa risulta chiaro che la fuga e l'esilio di Mengele furono favoriti da scandalose complicità neonaziste. Il mostro di Auschwitz diventa prima un insignificante Helmut Gregor. Con un passaporto intestato a questo nome, dopo essere stato ospitato a Roma «in un convento di via Sicilia», si imbarca per l'Argentina. Sapendosi ricercato dalle polizie di mezzo mondo e soprattutto dal temutissimo Simon Wiesenthal, cambia molti indirizzi e assume nuove identità. Soggiorna in Paraguay e Brasile. Fra un viaggio e l'altro Beppo, come lo chiamavano gli amici, ha modo di continuare i suoi delittuosi esperimenti sui gemelli. Un indizio più che eloquente? A Candido Godòi, un villaggio popolato all'80 per cento di immigrati tedeschi, dopo una visita del boia in camice bianco i parti di gemelli monozigoti biondi e con occhi azzurri hanno un'impennata. Un fenomeno scientificamente inspiegabile. Quando è morto Mengele? Oggi Beppo avrebbe cent'anni, era nato nel marzo 1911. L'età lascia dunque sperare che di lui rimangano solo cenere e vermi. Nel 1979 fu comunque data notizia della sua fine, un po'banale perché dovuta a annegamento mentre l'ex SS faceva una nuotatina nelle acque antistanti la località balneare di Bertioga. A non credere però nell'avvenuto decesso furono, fra gli altri, la sua dentista e Simon Wiesenthal. Chissà! Anche i mostri, come gli eroi, fanno di tutto per garantirsi un finale da leggenda!

Il libro: Jorge Camarasa, «Mengele. L'angelo della morte in Sudamerica», Garzanti, traduzione di Stefania Cherchi, pagine 138, 18

 
Di Fabrizio (del 05/08/2011 @ 09:00:09, in Kumpanija, visitato 1711 volte)

di Božidar Stanišić 26 luglio 2011

Il fenomeno dell'immigrazione in Italia viene spesso descritto in bianco e nero. Božidar Stanišić, scrittore e drammaturgo bosniaco da anni residente in Italia, si addentra nello spazio grigio arrivando a conclusioni amare

Non credo di poter né voler dimenticare: il giorno di Pasqua del 2010, a Spilimbergo, città friulana nota in Italia e nel mondo per la lavorazione dei mosaici, un episodio di razzismo ha suscitato l'interesse nazionale. Nel bar Commercio, nel centro storico, un cittadino del Burkina Faso ha pagato il suo caffè 10 centesimi in più. Quel bar spilimberghese era gestito da un anno da un'esercente cinese, la quale ha spiegato ai giornalisti, con una chiarezza tagliente, che non appartiene alle cronache di ordinario ma di straordinario razzismo, che "non si tratta di razzismo, sono i clienti italiani a dirmi di scoraggiare l'ingresso delle persone che non curano la propria igiene personale. Me l'hanno insegnato a Padova, dove ho lavorato in un bar di italiani. Maggiorare le ordinazioni di chi non si comporta bene. D'altronde i miei clienti sono italiani, ed è loro che intendo tutelare". Anche l'immigrato del Burkina Faso è stato chiaro: "Mi è stato detto: tu paghi un euro perché hai la pelle nera, e ringrazia che ti facciamo entrare".

Grazie alla denuncia dello stesso negro alle autorità, è emerso uno degli ennesimi comportamenti razzisti nei confronti dell'altro e diverso. Lui stesso, da molti anni in Italia, ha raccontato sia ai giornalisti che ai carabinieri, che si sono recati al bar per fare i controlli degli scontrini, che "quello che mi ha fatto arrabbiare è che ad essere razzisti siano stati degli immigrati." Ed ha aggiunto di non aver mai vissuto un attacco razzista così forte. Per quel motivo si era recato direttamente dai carabinieri, chiedendo il loro intervento.

Tragicommedia?

Un giornale, commentando l'episodio di Spilimbergo, ha sottolineato l'aspetto tragicomico della vicenda: un immigrato è stato razzista nei confronti di un altro immigrato! Credo che queste parole siano state scritte in buona fede, per invitare gli stessi immigrati ad una maggiore solidarietà e comprensione reciproca. Però mi hanno spinto ad un'osservazione più complessa del fenomeno dell'immigrazione in Italia. In realtà, nelle numerose analisi e ricerche sul tema, sia recenti che del passato, manca quasi del tutto la questione dei rapporti sociali e culturali all'interno della popolazione immigrata. Ciò vale anche per la maggior parte della narrativa scritta dagli stranieri in Italia (che ormai i professionisti della tematica amano definire soltanto letteratura migrante). Le descrizioni sono quasi sempre in bianco e nero. Immigrato: buono, povero, nostalgico; italiano: cattivo, quasi-buono o indifferente. Per i miei atteggiamenti critici nei riguardi di questa letteratura è da anni che vengo marginalizzato: niente inviti ai festival o a serate letterarie "migranti"... Certo, c'è un prezzo da pagare, per tutto.

Un'altra parentesi: alla fine degli anni novanta, un amico d'infanzia mi scrisse una lunga lettera. Lui, fuggito dalla guerra in Bosnia, aspettava la risposta dell'ambasciata del Canada in una città della Vojvodina. Appassionato del risveglio di numerosi giovani nella Serbia anti Milošević, frequentava degli incontri organizzati presso le università aperte, il cui contributo alla resistenza civile era di notevole importanza. Una sera ascoltò la relazione di un professore polacco (di cui, purtroppo, non notò il nome) sul razzismo nei paesi slavi (nota: slavi nel senso più ampio, quindi russi, cechi, polacchi, ex jugoslavi ed altri...) Avendo ascoltato la relazione, il mio amico rimase stupefatto di fronte ai fatti presentati e alle descrizioni precise esposte dal professore, a partire dall'antisemitismo, per arrivare a razzismo, xenofobia e progetti vari su come liberarsi dagli zingari.

Malgrado la mia conoscenza dei fatti non fosse limitata, dato che avevo avuto occasione di trovarmi in circostanze in cui emergevano sia xenofobia che razzismo e antisemitismo da parte di immigrati provenienti dell'ex Jugoslavia presenti in Italia e in altri Paesi dell'Unione, capii che i fenomeni che facevano parte della ricerca di quel professore polacco, esperto in materia, fossero molto più ampi e radicati di quanto non pensassi nel tessuto sociale di ogni singola società dell'ex Est Europa, inclusi i nuovi Stati del mio ex Paese.

Dall'inizio del mio, ormai lunghissimo, soggiorno in Italia, in primis grazie alle attività di mediazione linguistico-culturale, poi agli incontri di vario genere in tutta l'Italia, non mi ero mai staccato dalla realtà della vita degli immigrati, non solo di provenienza dell'ex Jugoslavia. Già da tempo mi era chiaro cosa fossero il razzismo e la xenofobia striscianti presenti negli atteggiamenti e nel modo di pensare dei croati, bosniaci, serbi, macedoni, kosovari ed altri sugli altri e sui diversi.

Certo, la cosa non è piacevole, ma io la riporto sia nei miei discorsi pubblici che nella narrativa. Purtroppo non si tratta di casi isolati, ma frequenti, presenti non solo nell'immigrazione ex jugoslava proveniente dalle periferie urbane o dalle campagne, ma pure da una parte della cosiddetta gente colta oppure almeno formalmente scolarizzata.

La forza delle parole

Mi è capitato chissà quante volte di sentire i termini e le espressioni: crnčuga (negrone); mrki (di colore); žuta njuška (muso giallo); zašto ih je toliko ovdje? (perché ce ne sono così tanti?); trebalo bi im postaviti zabranu ulaska! (bisognerebbe non farli entrare); oni nisu kao mi! (loro non sono come noi!); prljavi su (sono sporchi); legisti imaju pravo (i leghisti hanno ragione); ne znaju stanovati u kučama (non sanno abitare nelle case), ecc... Chi, come me, è ancora memore della crisi profonda a cavallo fra gli anni ottanta e novanta in cui era sorto il linguaggio dell'odio come ouverture alla pazzia bellica fratricida del 1991-95, chi ancora ricorda le parole dell'amico scrittore Filip David, che scrisse che prima delle pallottole da noi si incominciò a sparare con le parole, non può sottovalutare questi fenomeni, anche se finora prevalentemente limitati all'uso di questo linguaggio.

Che cosa spinge, ad esempio, un sindacalista bosniaco (non importa di che etnia) in una cittadina fra Udine e Trieste a dirmi che i mrki (stavolta bengalesi) sono privilegiati e lui, che per gli aspetti somatici assomiglia agli italiani, è un residente di serie B? E un'altra persona, un ex profugo del mio ex Paese, a chiedersi, in compagnia di un friulano doc, quanti mali ci porterà la gente fuggita dall'inferno libico? E una dottoressa a dire che deve vendere l'appartamento perché l'edificio pullula di stranieri? E lo dice perché ormai ha ottenuto la cittadinanza italiana? E un giovane che ha comprato la macchina da una persona di colore, a dirmi, mentre firmavano l'atto di passaggio, che quel mrki faceva troppe domande?

In gran parte queste parole vengono dette in presenza dei figli. Che, per fortuna, nei banchi di scuola, vivono un'altra realtà, molto più positiva. Ieri, ad esempio, ho ascoltato un bambino afgano, un bambino bosniaco e uno di origine honduregna parlare e giocare insieme... Sono loro che risvegliano delle speranze coraggiose, credo non solo in me.

Credo sia giusto che ognuno di noi immigrati rifletta su questi fenomeni, a partire dal contesto che sente più vicino. Compresi i cosiddetti "scrittori migranti" e "buonisti" di tutte le parti, disinteressati da questi fenomeni di una realtà, quella dell'immigrazione, in cui esistono anche lo sfruttamento e l'assenza di solidarietà.

 
Di Fabrizio (del 07/08/2011 @ 09:54:24, in Kumpanija, visitato 1804 volte)

Cingeneyiz.org di Salih Kocatepe

Osman Kaplan, che appartiene alla seconda generazione di migranti arrivati con lo scambio di popolazione Turchia-Grecia, è anche conosciuto come Osman Pescatore o Kurdo Osman. Da molto tempo ha smesso col bere. Ora prega, anche troppo. Era mezzogiorno. Stava pregando. Una persona senza tatto gli si avvicinò:

  • Che Allah accetti la tua preghiera, Osman.
  • Che Dio ti benedica.
  • C'è Murat İzmirian tra i vostri (Romanì). Gli ho affittato la casa, e ora voglio mandarlo via. Ma lui non accetta di andarsene.

Osman era così arrabbiato. Era pronto ad esplodere. Ma si ricordò di essere in una moschea.

  • Dio non separò l'umanità in vostri e ai nostri. Possa Dio donare la pazienza ai nostri e vostri.

***

Stavo parlando coi miei amici. Birol disse improvvisamente:

  • Siete zingari, siete umani a metà.

In quel momento mi sentii malissimo. Era la stessa persona con cui avevo diviso il mio pane? Non riuscii a controllarmi ed iniziai a rispondergli violentemente. Da quella volta non ho più parlato con lui.

***

Un giorno un uomo stava riempiendo il suo accendino col gas. Pagò dieci lire. Roman Ertan, che riempiva gli accendini, si preparava a dargli il resto. L'uomo chiese:

  • Cos'è questa? Mi stai dando soldi zingari?

Ertan andò fuori di testa. Spense la macchina per riempire gli accendini.

  • Guarda, c'è scritto "Lira Turca" su quella che hai chiamato moneta zingara. Non ne posso più delle espressioni con cui ci umiliate. "Prestito zingaro: furto"."Campo zingaro: luogo sporco". Si usano ancora espressioni simili e si discrimina la società rom con queste parole.

Le persone con questa mentalità discriminatoria non saranno di successo. Anche noi siamo cittadini turchi come gli altri. Chi si ritiene superiore agli altri farà fatica a capire la realtà degli zingari liberi. Siamo elementi fondanti di questo paese anche se ci ignorate.

E' un peccato che i gagé, anche quelli che si credono più sinceri degli altri, ci siano ostili...

 
Di Fabrizio (del 11/08/2011 @ 09:57:51, in Kumpanija, visitato 4721 volte)

Segnalazione di Esméralda Romanez

Nell'antica Grecia Socrate aveva una grande reputazione di saggezza. Un giorno venne qualcuno a trovare il grande filosofo, e gli disse:

- Sai cosa ho appena sentito sul tuo amico?

- Un momento - rispose Socrate. - Prima che me lo racconti, vorrei farti un test, quello dei tre setacci.

- I tre setacci?

- Ma sì, - continuò Socrate. - Prima di raccontare ogni cosa sugli altri, è bene prendere il tempo di filtrare ciò che si vorrebbe dire. Lo chiamo il test dei tre setacci. Il primo setaccio è la verità. Hai verificato se quello che mi dirai è vero?

- No... ne ho solo sentito parlare...

- Molto bene. Quindi non sai se è la verità. Continuiamo col secondo setaccio, quello della bontà. Quello che vuoi dirmi sul mio amico, è qualcosa di buono?

- Ah no! Al contrario

- Dunque, - continuò Socrate, - vuoi raccontarmi brutte cose su di lui e non sei nemmeno certo che siano vere. Forse puoi ancora passare il test, rimane il terzo setaccio, quello dell'utilità. E' utile che io sappia cosa mi avrebbe fatto questo amico?

- No, davvero.

- Allora, - concluse Socrate, - quello che volevi raccontarmi non è né vero, né buono, né utile; perché volevi dirmelo?

Se ciascuno di noi potesse meditare e metter in pratica questo piccolo test... forse il mondo sarebbe migliore.

 
Di Fabrizio (del 17/08/2011 @ 09:06:37, in Kumpanija, visitato 1668 volte)

Da Roma_Italia



Roma, 12 agosto 2011. Il Gruppo EveryOne, organizzazione internazionale per i diritti umani, chiede alle autorità della Romania di avviare una ricerca di Ipat Ciuraru, nato in Romania il 17 giugno 1990, alto 1.70, carnagione olivastra, fisico molto robusto, occhi e capelli neri. Ipat Ciuraru, che appartiene al popolo Rom, vive da alcuni anni in Italia, con la famiglia, a Pesaro. L'ultimo giorno in cui la famiglia l'ha visto, il 23 luglio 2011, il ragazzo vestiva una maglia nera e pantaloni bianchi con disegni verdi. La sorella di Ipat ha sporto oggi denuncia di scomparsa in Italia (...), ma è possibile che Ipat si trovi in Romania, dove la sua famiglia ha acquistato un terreno a Costanta.

EveryOne Group
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Da Gazeta Romaneasca

Pe data de 23 iulie a dispărut din localitatea Pesaro un tânăr român de origine romă, Ipat Ciuraru, de 21 de ani.

Tânărul (foto) era cunoscut drept unul din cei mai activi reprezentanţi ai comunităţii de romi din care făcea parte, colaborând cu diferite organizaţii umanitare, printre care şi EveryOne.

EveryOne a lansat un apel către autorităţile româneşti, pentru a deschide o anchetă cu scopul de a-l găsi pe Ipat, după ce familia a semnalat poliţiei italiene dispariţia tânărului.

"Ipat este un tânăr extraordinar, nu s-a indepărtat niciodată de acasă fara sa anunte familia, dispariţia sa a surprins pe toată lumea. Noi suntem foarte ingrijoraţi cu privire la soarta lui. Ar putea fi in Romania, unde familia sa a cumparat un teren langa Constanta"- ne-a spus Roberto Malini, unul din responsabilii ONG-ului italian.

Prin intermediul Gazetei, EveryOne a lansat un apel catre toti cei care ar putea informatii cu privire la tanarul Ipat: "s-a născut în România pe 17 iunie 1990. Are 1.70m , ten măsliniu, fizic foarte robust, ochii negri. Ultima oara a fost văzut pe data de 23 iulie 2011. Băiatul purta un tricou negru şi pantaloni albi cu modele verzi."


INOLTRE: segnalazione di Marcello Zuinisi

16 agosto, 16:22 - Ragazza di 17 anni scomparsa da campo rom in Versilia. Stava giovando con i fratelli. Ricerche da ieri sera

(ANSA) - TORRE DEL LAGO (LUCCA), 16 AGO - Una ragazza di 17 anni, Vandana Orban, di origine rom, e' sparita da ieri sera dal campo comunale di Torre del Lago (Lucca). I genitori hanno presentato denuncia ai carabinieri. Prima di scomparire, la ragazzina stava giocando insieme ai fratelli e alle sorelle. I genitori si sono accorti che non c'era piu' intorno alle 21. La ragazzina era vestita con pantaloncini e maglia verde. Chi l'avesse vista chiami i carabinieri.

 
Di Fabrizio (del 23/08/2011 @ 09:13:11, in Kumpanija, visitato 2585 volte)

Domenica scorsa discutevo via Facebook su come sia facile scatenare commenti razzisti quando la comunicazione da parte nostra è troppo retorica. Spero di non aver ecceduto nell'animosità e nel caso me ne scuso. Ragionando a mente fredda, sono seguiti alcuni "pensieri laterali" a quello scambio di idee.

L'anno scorso ho avuto la fortuna di conoscere Paul Polansky e di accompagnarlo in alcune presentazioni a Milano delle sue opere. I lettori della Mahalla lo dovrebbero conoscere bene, perché ho scritto spesso di lui.

Diciamo che il personaggio è quantomeno singolare: fotografo, giornalista, sociologo, scrittore, poeta, premio Günther Grass nel 2004, e soprattutto amico e conoscitore dei Rom.

Però anche lui ha un suo lato oscuro, se dovessimo giudicarlo (che brutta parola!) con i nostri occhi di "intellettuali democratici", sempre pronti a dividere i buoni dai cattivi.

Polansky è stato anche un pugile dilettante e, da quello che racconta di se stesso, non ne è per niente pentito. Amava e ama tuttora la violenza fisica, i pugni, il sangue, anche quando oggi, a quasi 70 anni, si trova nuovamente a combattere la violenza delle istituzioni e l'indifferenza della società.

C'è un suo libro: Boxing poems, edizioni Velo Press, in cui la sua asciutta poesia non viene messa al servizio di un'ennesima causa civile, ma descrive in prima persona il suo rapporto con la violenza, alla ricerca di quelle che ne sono le radici. Ricerca che si risolve (forse, ma non si sa) nelle ultime due poesie.

Rispetto alla discussione che ricordavo all'inizio, mi è tornato in mente un curioso episodio raccontato nell'introduzione di Boxing poems: Polansky si trovava a Praga a leggere le sue poesie su una delle tante tragedie nascoste della storia dei Rom. Nella sala si fecero avanti alcuni skinhead con atteggiamento minaccioso. Il vecchio pugile capì cosa poteva succedere, una volta la storia sarebbe sicuramente finita in rissa, ma stavolta Polansky mollò il suo libro e si mise a recitare a quel pubblico insolito le sue poesie sulla boxe.

"...novello pifferaio magico, catturò l'attenzione di quei teppisti, suscitando la loro ammirazione, anche per il valore letterario dell'opera. Era dunque riuscito ad aprire un dialogo, trasformando dunque un libro di sola e pura violenza in un'opera frutto di un atto estremamente umano, capace di acquietare, e soprattutto di far riflettere anche quelle persone che sfogano in malo modo il lato aggressivo del proprio carattere. Come dire che non basta rinchiudere un cane che morde, ma si deve cercare di parlarne e curarlo" [pag. 9]

Perché le radici della violenza che Polansky ha cercato, non erano ipoteticamente in qualcuno e qualcosa di estraneo, ma appartengono saldamente a ciascuno di noi. Comprenderlo è la strada per capire gli altri.

Termino anticipandovi che sto facendo in modo di riportare Paul Polansky a Milano per la fine di settembre.

 
Di Sucar Drom (del 27/08/2011 @ 09:38:51, in Kumpanija, visitato 1806 volte)



Guardateli bene, sono una famiglia di circo, di certo al lavoro in Italia ma non è detto che siano di nazionalità italiana. Qualcuno sa riconoscerli? Chi è in grado di identificarli o ha qualche spunto per risalire alla loro identità, scriva a redazione@circo.it

In questa nuova rubrica – Tendoni d’Italia – andremo anche alla ricerca di circensi senza identità, quantomeno per noi. L’ideale sarebbe che i più giovani stampassero la foto per farla vedere agli anziani, e chissà che a qualcuno non si accenda la scintilla.

Dare una identità a chi custodisce personaggi noti solo in fotografia, è una possibilità per tutti: se avete volti sconosciuti da “battezzare”, inviateci le vostre foto e le pubblicheremo.

Buon lavoro e buon divertimento.

Short URL: http://www.circo.it/?p=8828

 
Di Fabrizio (del 30/08/2011 @ 09:13:47, in Kumpanija, visitato 1936 volte)

Ancora a Dale Farm, ultimo giorno. Se non mi perdo, domani dovrei essere in Italia.

 
Di Fabrizio (del 06/09/2011 @ 09:03:55, in Kumpanija, visitato 2294 volte)

Considerata la dichiarazione fatta il 2 settembre 2011 riguardo Dale Farm dal Comitato delle Nazioni Unite sull'Eliminazione della Discriminazione Razziale, noi sottoscritti richiediamo al Consiglio di Basildon di trovare una soluzione pacifica ed appropriata per gli Zingari e Viaggianti residenti a Dale Farm,  che comprenda l'identificazione di una sistemazione culturalmente appropriata, nel pieno rispetto dei diritti umani delle famiglie coinvolte ed inoltre, che il Consiglio di Basildon non intraprenda nessuna azione contro i residenti di Dale Farm, fintanto che non avrà adempiuto a questa richiesta.

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