Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 20/02/2011 @ 09:20:51, in Italia, visitato 2089 volte)

Corriere della Sera  BRESCIA - I VIGILI DEL FUOCO HANNO TOLTO LA CORRENTE PER SLOGGIARE GLI ABUSIVI
Tommaso, 15 mesi, ha una malattia genetica. Staccata l'energia, si ferma la macchina salvavita

Tommaso nella roulotte con i genitori (Cavicchi)

BRESCIA - Avete già sentito un bambino di un anno e tre mesi, quasi immobile, emanare dei pigolii, come fosse un uccellino triste o ferito? Bisognerebbe andare al campo sinti di via Orzinuovi per avvicinarsi all'angoscia di due genitori che non possono far altro che asciugare la saliva emessa di continuo dalle labbra del piccolo Tommaso quando gli manca il respiro. Cioè ogni due-tre minuti. Ma ci vuole calma, per raccontare questa storia. Piove sulle roulotte del campo nomadi, dopo il fuoco di lunedì sera. Il conflitto tra i nomadi e il Comune non è una novità. Dopo una tormentata vicenda, l'amministrazione ha investito 180 mila euro per bonificare un campo che costeggia il parco del fiume Mella e ora, da una ventina di giorni, la situazione dei circa centoventi sinti di Brescia (italiani da secoli) sembrava avviarsi verso un epilogo pacifico, con la ghiaia pulita sul terreno, gli impianti idraulici ed elettrici a norma, le fognature.

Restava una questione ancora in sospeso: quel terreno prevedeva sin dall'inizio l'«abitabilità» per 15 famiglie. Rimanevano fuori cinque nuclei, corrispondenti all'ampia famiglia Terenghi, ai quali il Comune ha offerto il trasferimento in via Borgosatollo, dove è stanziata da anni la comunità rom. Proposta inaccettabile, per gli interessati, per motivi ambientali (le famiglie rom vivono ammassate). Non è escluso che gli stessi sinti temano anche una convivenza non proprio pacifica con i rom e chiedono di lasciare che i Terenghi rimangano con la propria comunità, anche se i patti non lo prevedevano. Insomma, di fronte al persistente rifiuto del trasferimento, lunedì sera arriva l'ultimatum, i vigili entrano nel campo e disattivano la corrente per punire i morosi e quelli che non vogliono saperne di spostarsi. Č lì che i sinti non ci pensano due volte e bruciano baracche, cassonetti e roulotte ai margini del campo e creano uno sbarramento di fuoco. Il vicesindaco Fabio Rolfi parla di problemi di sicurezza e ci tiene a precisare che si tratta di tutelare anche le altre famiglie.

Ma nessuno avrebbe immaginato che il muro contro muro (e in particolare la mancata corrente) avrebbe creato gravi problemi a due bambini malati che vivono nella comunità sinti. Gabriel ha cinque mesi e soffre di una malattia cardiaca: ieri, in seguito a complicazioni dovute al freddo, è finito in ospedale per accertamenti e il padre si dice deciso a far causa al Comune. L'altro caso è ancora più grave. Eccolo lì, il piccolo Tommaso, tra le braccia di mamma Fenni, vent'anni, seduta sul salotto a fiori grigi, ancora avvolto dalla plastica. Al suo fianco c'è papà Samuel, chiuso in un giubbotto scuro, trent'anni. Tommaso soffre di una malattia genetica rarissima (solo 14 casi al mondo) che si chiama H-ABC: quel che gli permette di sopravvivere è un sondino fissato a una narice e a una macchina per l'ossigeno pronta all'occorrenza (cioè ogni mezz'ora). Quando, lunedì sera, è mancata l'elettricità, il signor Marin ha dovuto procurarsi con le buone o con le cattive un generatore portatile, e l'ha trovato a San Zeno. Tra le braccia di sua mamma, continua a tossire sputando catarro: pulirlo con un fazzoletto è ormai un gesto automatico che papà e mamma fanno centinaia di volte al giorno. «Buono Tommaso, buono...».

Sulla porta della roulotte c'è un cartello scritto a mano: «Per piacere, non salite con scarpe, tosse, febbre, bambini vi prego non ho più voglia di stare in ospedale». Firmato Tommaso, che prega i bambini del campo di non entrare per non procurargli infezioni. «Ogni venti giorni al massimo - dice Samuel - bisogna ricoverarlo perché si prende l'influenza. Č nato così, non c'è guarigione, non hanno ancora capito che cosa succederà». Purtroppo non è difficile sapere che cosa succederà, leggendo i due soli studi specialistici che esistono sulla H-ABC. Č una malattia degenerativa, che colpisce i gangli basali. «Non sappiamo come crescerà, sappiamo che porta cecità, sordità e immobilità», dice mamma Fenni. Oggi in ospedale hanno cambiato il sondino. La storia della famiglia Marin è presto detta: originari di Piacenza, hanno lasciato il campo della loro città il mese scorso e si sono trasferiti qui perché l'ospedale di Brescia dispone di mezzi più aggiornati: «Ora però vogliono mandarci via, perché siamo residenti a Piacenza: è già partita l'ordinanza».

Scarpette blu da ginnastica, su cui non camminerà, felpa verde, Tommaso si agita, pigola pigola, gira gli occhi al soffitto: «Me lo dice come possiamo fare con un bambino così delicato? Ci sono notti che ci fa tribolare, bisogna sempre tenerlo attaccato all'ossigeno, dieci giorni fa alle tre di notte aveva pochi battiti, appena appena, era nero in faccia e all'ospedale ce l'hanno salvato». Nove chili, i pugnetti sempre chiusi. Come gli altri sinti, anche Samuel si arrangia andando a raccogliere ferraglia nei dintorni per rivenderla nei centri di rottamazione. Oppure viene chiamato per svuotare qualche cantina in città. Questo è tutto. I suoi antenati erano giostrai e circensi. «Con Tommaso ci vogliono tanti soldi, ogni tanto dobbiamo andare a fare controlli a Milano e a Padova». Il ministro spirituale del campo si chiama Renato Heric. Č un pastore evangelico ed è fiero della sua comunità: «Il sindaco dice che usiamo i nostri bambini per ricatto, venga qui a trovarci, per favore, venga a vederli». Tommaso ha sonno. Mamma Fenni lo adagia nel lettone pieno di cuscini. Ci sono due tubicini per l'ossigeno da infilargli nel naso e il saturimetro da fissare al pollice con un cerotto. Ora può dormire.

Paolo Di Stefano - 17 febbraio 2011


Al Corriere il giorno dopo non sarà sembrato vero, di aver trovato una storia strappalacrime in cui buttarsi

BRESCIA - RIMANE ALTA LA TENSIONE DOPO LA RIVOLTA DELLA NOTTE DI SAN VALENTINO
Il piccolo sinti che ha rischiato di morire: partita la gara di solidarietà
Un lettore del Corriere ha deciso di raccogliere i fondi necessari per pagare le visite specialistiche al bambino

BRESCIA - Una raccolta di fondi per aiutare Tommaso, il bambino di 15 mesi che vive nel campo sinti di via Orzinuovi a Brescia e soffre di H-abc, una malattia genetica rarissima. Il piccolo, che vive grazie a un sondino fissato a una narice e a una macchina per l'ossigeno, sarà aiutato da un lettore del Corriere della Sera che, commosso dalla storia di Tommy, ha deciso di raccogliere i fondi necessari per pagare le visite specialistiche al bambino. Intanto rimane alta la tensione dopo la rivolta della notte di San Valentino, quando il Comune ha staccato la corrente elettrica mettendo a rischio la vita di Tommaso, che vive proprio grazie al funzionamento di particolari macchinari. Non solo. La famiglia Terrenghi (la più numerosa del campo) ha annunciato una denuncia contro Fabio Rolfi, vice sindaco di Brescia: i sinti lo ritengono responsabile del malore di un altro piccolo di 5 mesi cardiopatico ricoverato dopo il black out ordinato dalla Loggia.

Ieri, grazie alla mediazione della Cgil è stato possibile riaprire il tavolo delle trattative tra i sinti e l'amministrazione comunale. «La questione - ha spiegato Damiano Galletti, segretario Cgil - riguarda 3 delle 5 famiglie che il patto di cittadinanza vorrebbe spostare. Due hanno trovato sistemazione in una casa popolare dell'hinterland e a Reggio Emilia. Le altre sono disposte ad uscire liberando le piazzole a condizione che non ci sia alcun intervento della forza pubblica e che la Loggia apra un tavolo di discussione sul loro destino». Il patto firmato nei mesi scorsi prevedeva espressamente lo spostamento dei 5 nuclei familiari. Ma ora i Sinti sostengono che il trasferimento al campo di via Borgosatollo, fianco a fianco ai Rom, creerebbe problemi di convivenza tra le due etnie.

G. Spa.
18 febbraio 2011

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Di Fabrizio (del 21/02/2011 @ 09:22:46, in Europa, visitato 1652 volte)

Da Hungarian_Roma

NewEurope I Rom in Ungheria di fronte alla perdita d'identità - Author: Cillian Donnelly

La prossima generazione di Rom. Mentre si prepara il Quadro per le Strategie d'Inclusione Nazionale dei Rom, che dovrebbe essere presentato ad aprile, c'è paura che venga erosa l'identità rom in Ungheria. Il governo ha fatto delle Strategie d'Inclusione una delle priorità chiave dei suoi sei mesi di presidenza UE. | EPA/MIRCEA ROSCA

13/02/2011 - E' stato detto in un incontro al Parlamento Europeo che le prossime generazioni di Rom in Ungheria sono in pericolo di perdere il loro senso di storia e di identità.

"E' importante per i gruppi rom passare conoscenze ed esperienze ai più giovani", ha detto la parlamentare ungherese Ágnes Osztolykán durante una riunione del gruppo dei Verdi il 9 febbraio. "Ma in Ungheria, è abbastanza diverso, non ci sono gruppi simili tra i Rom, ed è difficile trovare giovani progressisti. I Rom ungheresi sono in una situazione più difficile degli altri nell'Europa Centrale e del Sud-Est".

Osztolykán, portavoce per l'istruzione e la cultura di Lehet Más a Politika (LMP),  ha illustrato la situazione rom nel suo paese nativo durante un incontro di due giorni in cui l'Ungheria e la sua politica, che detiene la presidenza UE, erano sotto scrutinio.

Le due più grandi sfide da affrontare per i Rom in Ungheria sono una maggiore integrazione e combattere la crescita dell'estrema destra, entrambe devono essere affrontate come parte di un più ampio sforzo della società civile. La marginalizzazione dei Rom, spesso attraverso politiche di odio, hanno portato ad una comunità più isolata e frammentata, nonostante gli sforzi politici.

Gli anni '90, dice Osztolykán, hanno visto la volontà in Ungheria di stabilire un programma per l'integrazione sociale dei Rom, invece dell'integrazione economica, facilitata dai donatori internazionali. Ci sono stati, dice, "molti segnali positivi all'inizio", particolarmente nell'istruzione, ma presto si sono spenti. Il denaro sembrava andare "nella lotta alla crisi economica. Gli investimenti nell'insegnamento e nell'istruzione non erano sufficienti".

Nel 2004 è stata progettata una nuova strategia rom, per cui a ciascun stato membro UE viene richiesto di elaborare un piano d'azione. "Soltanto a quel punto la gente ha iniziato a pensare all'integrazione economica", dice Osztolykán, "e a cose come l'edilizia sociale. Sono state avviate diverse iniziative comunitarie". Oggi, dice, il governo ungherese ha parlato molto di integrazione rom, che giudica un "buon segno". Dice anche di essere "molto soddisfatta" per i progressi in corso verso una strategia integrata dei Rom.

Tuttavia, dice, i problemi economici continuano ad incombere sui Rom. E' importante riqualificare. "Abbiamo bisogno di insegnare la conoscenza. Molti Rom hanno perso il lavoro, diversi settori industriali sono stati distrutti. Ora i Rom sono tra il 10% più povero dell'Ungheria, nonostante qualche piccolo movimento verso la fascia di ceto medio. Tuttavia, ci sono ancora "pochissimi laureati". La questione dei progressi dalla scuola primaria al terzo livello è qualcosa che ancora dev'essere esaminata.

L'ascesa dell'estrema destra in Ungheria, cominciata circa dieci anni fa, provoca grandi preoccupazioni, non solo ai Rom, ma anche a chi è impegnato con la politica, la società civile e l'attivismo, dice Ágnes Osztolykán.

La destra radicale, aggiunge, è riuscita a "prendere il sopravvento" nel dibattito sull'integrazione e a definire l'agenda, che è qualcosa su cui tanto i parlamentari nazionali che quelli europei devono lavorare per porre rimedio. Dice: "Sta a noi trovare una via di mezzo".

"Purtroppo, ci sono pochi Rom dentro la società civile in grado di parlare. Da una parte c'è un clima di paura, ma c'è anche l'intenzione di aiutarli, di porre fine alla discriminazione e alla marginalizzazione. Nel 2010, è stato costruito un nuovo istituto a Budapest, allo scopo di porre queste persone emarginate sulla mappa".

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Di Fabrizio (del 21/02/2011 @ 09:32:59, in Italia, visitato 1576 volte)

Segnalazione di Sara Palli

PISA notizie - Botta e risposta tra il consigliere Scaramuzzino e l’assessore Maria Paola Ciccone in Consiglio Comunale

Breve ma importante discussione ieri (giovedì 17 febbraio) in Consiglio Comunale a Pisa sulla questione degli sgomberi dei campi rom nella nostra città. A porre il problema e a chiedere chiarimenti con un question time è stato il capogruppo in consiglio di Sinistra Ecologia e Libertà, Carlo Scaramuzzino. Quest'ultimo nel suo intervento ha ricordato la tragedia dei bambini morti a Roma citando le parole di preoccupazione espresse in questi giorni dal capo dello Stato, Giorgio Napolitano, in seguito a tale episodio.

"Chiediamo al Sindaco - spiega Scaramuzzino nella sua illustrazione - se considera giunto il momento per affrontare in sede consiliare una discussione complessiva sulla presenza dei cittadini rom nel nostro territorio, così come da lui stesso proposto nei mesi scorsi, in occasione di risposte date a interpellanze su fatti di cronaca che hanno coinvolto la popolazione rom. E se ritiene di poter soprassedere alla decisione di dare seguito agli sgomberi, in attesa dello svolgimento della seduta consiliare, nel corso della quale potrebbero essere esaminate soluzioni eque e solidali per le popolazioni rom in difficoltà".

Vista l'assenza del sindaco a causa di una indisposizione fisica, a rispondere al question time è l'assessore alle politiche sociali Maria Paola Ciccone. La risposta dell'assessore appare però molto risentita e polemica nei toni e nei contenuti per le questioni sollevate dal consigliere comunale.

"Esprimendo il mio dispiacere per quanto avvenuto a Roma, voglio ricordare che il comune di Pisa è uno dei pochi in Italia che ha messo a disposizione delle famiglie Rom 400 alloggi, cose che pochi comuni hanno fatto. Pisa non è quindi una città a cui si possono fare lezioni di accoglienza".

"Per primi - prosegue l'assessore - abbiamo denunciato le condizioni di vita dei campi abusivi in cui non si rispetta il diritto minimo alla salute dei bambini. Mantenere questi campi significa negare i diritti dell'infanzia".

Rispetto agli imminenti sgomberi, l'assessore precisa: "Stiamo facendo rispettare l'ordinanza fatta dal sindaco nel dicembre del 2009 e così chiuderemo in modo graduale gli insediamenti della Bigattiera e di via Maggiore di Oratoio, come previsto dal protocollo d'intesa triennale siglato un anno fa da Regione e Comuni della Zona Pisana. E continueremo a smantellare i nuovi accampamenti che sorgeranno sul territorio comunale perché sono luoghi pericolosi per la salute e la sicurezza di chi ci vive".

"Parallelamente - conclude la Ciccone - proseguiremo anche il lavoro con la Regione perché è importante che tutti facciano la loro parte per quanto riguarda l'accoglienza: a Pisa lo abbiamo già fatto ampiamente negli anni passati e continueremo a farlo. Ma non possiamo continuare da soli: se non si attivano anche gli altri, continueremo a essere il polo attrattore di ulteriori nuovi arrivi".

Per nulla soddisfatto delle risposte avute si dichiara il consigliere di Sel che nella sua replica afferma: "Tutte le mie domande sono state eluse. Avevo chiesto chiarimenti precisi riguardo al fatto se il sindaco, così come aveva annunciato negli scorsi mesi, fosse intenzionato ad affrontare la questione in un consiglio comunale ad hoc e quando questo si sarebbe svolto, ma al riguardo l'assessore non ha detto nulla, come nulla ha detto rispetto alle modalità di sgombero e agli interventi da parte dei servizi sociali nei confronti di coloro che abitano in questi campi che sarebbero stati predisposti".

"Il mio question time - conclude Scaramuzzino - è stato eluso dall'assessore che ha fatto una storia degli investimenti del comune di Pisa e del programma Città Sottili, che noi tra l'altro abbiamo sempre difeso da chi lo voleva chiudere, e non posso che prenderne atto".

Questo dibattito si intreccia anche con quanto avvenuto nella giornata di mercoledì in Consiglio Regionale con l'approvazione di una mozione da parte di tutti i partiti della maggioranza in cui si impegna la Giunta stessa a "predisporre un piano, corredato dalle risorse necessarie, per attivare ogni strumento utile a superare le attuali condizioni di pericolo e di degrado in cui versano uomini, donne e bambini di etnia Rom soggiornanti sul territorio toscano".

Soddisfazione è stata espressa al riguardo da parte di Rifondazione Comunista di Pisa per tale mozione e sulla base di questa si chiede una discontinuità da parte dell'amministrazione comunale di Pisa rispetto a come è stata fino ad ora affrontata la questione della presenza della comunità rom nel nostro territorio.

"Purtroppo alcune amministrazioni toscane, negli ultimi anni - afferma il segretario provinciale del Prc, Luca Barbuti - non hanno saputo resistere alla facile politica della "sicurezza", hanno creato e risolto falsi allarmi come quelli delle "invasioni" di nomadi e le politiche degli sgomberi hanno preso il sopravvento anche nelle nostre città e dintorni. Ma finalmente oggi il consiglio regionale della toscana, con un documento a firma di tutti i capigruppo di maggioranza, ha ristabilito quella dignità e umanità che ha sempre contraddistinto l'istituzione regionale".

"La Regione Toscana ha preso finalmente l'iniziativa sulla situazione dei Rom - prosegue Barbuti - e approvando il documento consiliare, si è impegnata per un'integrazione di queste persone. L'auspicio è che quello della Regione sia un esempio che tutte le istituzioni locali che sino ad oggi si erano lasciate trascinare dal "leghista pensiero" riflettano su cosa sta producendo la politica dell'espulsione, dello sgombero nel nostro paese e recuperino quella guida sociale, quella solidarietà e dovere legislativo che compete a chi fa parte di una comunità come quella Toscana storicamente dedita all'accoglienza, alla solidarietà, al rispetto dei diritti umani".

Da qui la federazione pisana del PRC rivolge un forte appello "all'amministrazione del Comune di Pisa, che negli ultimi mesi ha abbandonato questo senso di civiltà effettuando continui sgomberi nei campi di periferia. La speranza a questo punto è che, conseguentemente all'impegno assunto dalla Regione Toscana, l'amministrazione Filippeschi, sospenda gli sgomberi e tramite la Società della salute e il coinvolgendo dei tanti soggetti, primi tra tutti la comunità Rom che nel recente passato hanno contribuito al soddisfacente successo dei progetti di integrazione, si faccia trovare pronta a riattivare i percorsi di inclusione sociale quando la Regione avrà predisposto il piano".

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Di Fabrizio (del 22/02/2011 @ 09:12:04, in Europa, visitato 1601 volte)

Da Roma_Daily_News

17/02/2011 - Un gruppo di 93 Macedoni sono tornati giovedì dalla Francia, dopo che lì era stato negato loro l'asilo, lo riporta la stazione privata TV Alsat.

Il gruppo, Macedoni di origine albanese e rom, è stato rimandato all'aeroporto della meridionale città di Ohrid, prima di essere riportato alle loro case, recita il rapporto.

I richiedenti asilo, intervistati dalla TV, hanno detto di aver cercato lavoro in Francia, la maggior parte illegalmente, prima di essere deportati dopo che la loro richiesta di asilo si era dimostrata senza basi.

Il gruppo è stato il primo di questo genere ad essere ritornato dalla Francia.

Settimana scorsa, un gruppo di 60 persone a cui  era stato negato l'asilo in Germania, ha cercato di attaccare e prendere a male parole un gruppo di giornalisti che seguiva il loro arrivo all'aeroporto di Skopje.

Da quando l'Unione Europea ha abolito l'obbligo di visto per Serbia, Macedonia e Montenegro nel dicembre 2009, alcuni stati membri UE, cioè Svezia, Belgio e Germania hanno registrato un incremento di richiedenti asilo da questi paesi, soprattutto di etnia rom e albanese.

La Commissione Esecutiva Europea ha ammonito Serbia e Macedonia che potrebbero perdere i privilegi di circolazione senza visto, se non fermeranno questo afflusso.

La Germania ha anche deportato 36 persone a dicembre, quando la UE ha esteso gli stessi diritti ad Albania e Bosnia, ma con uno stretto sistema di monitoraggio e la possibilità di sospendere i privilegi in caso di abuso.

© 2010 AFP

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Buongiorno,
Le invio un comunicato del "Gruppo di confronto e ricerca sulle politiche locali per i gruppi zigani in Europa" nato all'Università di Milano Bicocca in risposta a quanto affermato dal Ministro degli Interni Roberto Maroni alla puntata del 13/02/2011 del programma "Che tempo che fa" .

Cordialmente,
Alice Sophie Sarcinelli
Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales, Paris

Nella puntata di "Che tempo fa?" del 13/02/2010, il Ministro degli Interni Roberto Maroni ha affermato di aver firmato il piano sviluppato dal Comune di Milano secondo il quale "lo sgombero c'è quando c'è una soluzione alternativa". Egli si è detto "garante della buona attuazione di questo piano".

Come ricercatori sul campo, siamo a diretta conoscenza della concreta situazione relativa agli sgomberi delle baraccopoli costruite a Milano dai rom immigrati dall'Europa sud-orientale. Quanto è stato affermato dal Ministro degli Interni Roberto Maroni non trova alcun riscontro di realtà. Al contrario, nella maggior parte dei casi gli sgomberi, che sono ciclici e reiterati, avvengono in assenza di alternative abitative e senza il rispetto dei diritti fondamentali. Esemplari sono i ripetuti sgomberi delle famiglie che ruotano attorno al quartiere Feltre/Lambrate. Il primo, in data 19/11/2009, prevedeva di separare gli uomini da donne e bambini, e le madri dai figli maggiori di sette anni. Le famiglie sono rimaste in strada, sotto la pioggia, mentre alcuni bambini e anche alcune famiglie sono stati ospitati per qualche giorno da maestre e cittadini del quartiere. Lo stesso campo (con le stesse famiglie) è stato sgomberato a inizio settembre 2010, a pochi giorni dall'inizio delle scuole, che la maggior parte dei minori che vi abitavano frequentano. Dopo molte negoziazioni, alle famiglie rom è stata proposta una soluzione temporanea, che tuttavia prevedeva di separare gli uomini da donne e bambini. Solo una percentuale inferiore al 20% delle madri che avevano fatto esplicitamente richiesta scritta è stata ospitata per un breve periodo in alcune strutture pubbliche o convenzionate di accoglienza. Queste famiglie hanno passato gli ultimi due inverni a subire sgomberi, vivendo in strada: alcuni bambini hanno subito 20 sgomberi in un anno.

Nella stragrande maggioranza dei 170 sgomberi effettuati nel corso del 2010 nessuna alternativa è stata offerta, e sul luogo non erano presenti i servizi sociali. Lo sgombero dei rom è un trattamento differenziale nel duplice senso che è rivolto a una popolazione in particolare, e che aumenta e produce le differenze.

Riteniamo di estrema importanza reagire a quanto detto affinché il Ministro degli Interni si faccia davvero garante della buona attuazione del piano da lui firmato, garantendo il rispetto dei diritti fondamentali di tutte le persone.

A nome del Gruppo di confronto e ricerca sulle politiche locali per i gruppi zigani in Europa

Laura Boschetti Institut d'Etudes Politiques de Grenoble
Raffaele Mantegazza, professore associato Università degli Studi di Milano Bicocca
Chiara Manzoni, Università degli Studi di Milano Bicocca
Oana Marcu, Università Cattolica di Milano
Greta Persico,Università degli Studi di Milano Bicocca
Andrea Rampini, Codici Agenzia di Ricerche
Alice Sophie Sarcinelli, Ecole des Hautes Etudes en Sciences Sociales
Tommaso Vitale, Sciences Po

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Di Fabrizio (del 22/02/2011 @ 09:56:38, in Italia, visitato 1534 volte)

Dei rom e dei sinti (non chiamiamoli zingari) abbiamo da sempre due opinioni, entrambe sbagliate: tutti straccioni, oppure intrisi di colore romantico. Pensate al rossiniano "stuol di zingarelle" del Turco in Italia. Un compiacimento che affiora ancora di tanto in tanto. Prevale, però, la visione degli zingari "brutti, sporchi e cattivi" che a Pino Petruzzelli, attore e regista, direttore del centro tea­tro Ipotesi di Genova, non piace. Petruzzelli ha così deciso, diversi anni fa, di mettersi sulla strada dei rom per capirli. Per anni ha visitato i loro campi, ha stretto loro la mano, e ne ha raccolto le storie. Tutto è finito in Non chiamarmi zingaro, edito da Chiarelettere (pagine 228, euro 12,60), che è il taccuino vivido e appassionato di questo singolare viaggio.

Cosa l'ha spinto a questo nomadismo culturale?
"Mi sembrava interessante capire come mai di questo popolo si conosca soltanto una sfaccettatura negativa: i furti, il nomadismo... Ho voluto comprendere cosa c'è dietro, partendo da una frase di Eduardo De Filippo. Diceva: 'Un uomo vivo non ruba per morire, ma ruba per vivere'. Me ne sono occupato per circa cinque anni, girando l'Italia e l'Europa, per conoscere questo mondo così sconosciuto. In libreria c'era e c'è ancora poco, se non qualcosa per gli addetti ai lavori. E girando ho scoperto tante cose".

Chi sono, allora, gli zingari?
"Un popolo né migliore né peggiore di tutti gli altri popoli che colorano questo nostro mondo. Hanno problemi con cui devono confrontarsi quotidianamente. Vivere in un campo, per i sinti o per i rom italiani, non è semplice. Non è un campeggio, vivere venti anni in situazioni così estreme è drammatico. In Italia c'è il grande equivoco che i rom siano nomadi geneticamente, e infatti siamo l'unica nazione al mondo che ha messo in piedi i campi nomadi. In tutto il resto del mondo vivono in appartamenti, e solo se sono estremamente poveri finiscono in una baracca, come finiscono così anche i non rom poveri delle periferie delle grandi metropoli. Forse anche in buona fede si è pensato così. Negli anni '70 si diceva: sono nomadi, quindi, facciamo un campo per loro... ".

Č la condizione di disagio in cui vi­vono che crea la diversità...
"Sicuramente. I rom hanno una storia molto simile a quella del popolo ebraico, ma nessuno si sognerebbe di dire che un ebreo è un nomade. Invece, nel caso degli zingari, una storia di continue persecuzioni ha creato il nomadismo, a iniziare dal Cinquecento quando – mi riferisco alla Serenissima – si poteva uccidere uno zingaro senza scontare alcuna pena".

I rom entrano nella storia, ma quella degli altri. Sembra un popolo senza storia: non ha avuto la possibilità di scriverla?
"Hanno una storia tramandata in maniera orale. La nostra è una cultura che ha scritto, così sappiamo soltanto quello che noi abbiamo scritto di loro. Oggi sarebbe importante conoscere meglio questa loro storia e la loro cultura per provare a vivere insieme nel rispetto di regole reciproche. Su questo dovremmo lavorare tutti, e naturalmente anche i rom".

Lei non è zingaro. Usando una loro espressione è un gagé. Non crede che la parola sia discriminante almeno quanto la parola zingaro? C'è anche da parte loro una forma di discriminazione?
"Gagé è l'equivalente del nostro zingaro. Effettivamente racchiude tutto ciò che non va bene, in un'accezione abbastanza negativa".

Da dove nasce il solco tra noi e loro, o, se preferisce, tra loro e noi gagé?
"Le radici sono nel Cinquecento. Il fatto che si spostassero ha creato grossi problemi. La nostra società invece si fa sedentaria, sicché loro, con i continui spostamenti, rappresenta­no un problema. Le persecuzioni iniziano proprio in questo periodo. Vivono in un continuo terrore verso il mondo gagé. Nutrono la stessa pau­ra nei nostri confronti. E hanno an­che buone ragioni per temerci. Guardando indietro nella storia, gliene abbiamo fatte di tutti i colori: da ultimo i campi di sterminio nazisti in cui sono morti a migliaia".

Prenda De André: "Con le vene celesti dei polsi anche oggi si va a caritare". Č il verso di una sua bella canzone. Non crede però che continui ad offrire un'immagine romantica del mondo rom? Caritare rientra nella cultura?
"No, certo, ma caritare è ben diverso da rubare. Anche il furto va capito. Chi pensa che sia facile per un giovane rom trovare un lavoro anche da cameriere in un bar sbaglia. Diventa difficile venir fuori da una situazione complicata, come un campo rom. Ciò non giustifica il furto, è solo un voler capire cosa c'è dietro".

Lei, nel suo nomadismo culturale, ha incontrato tanta gente che si è integrata. Come è possibile l'integrazione?
"In Italia ci sono tantissimi rom e sinti che ci sono riusciti, nascondendo però la loro origine, per non essere discriminati. L'integrazione comincia con i bambini, e nelle scuole i bambini rom e gagé giocano tra loro. Scuola però non significa entrare in un campo e imporla. Va capito un meccanismo: agli occhi di una società in cui il padre rappresenta la massima autorità, l'imposizione della scuola va a minare questo suo prestigio. Un approccio sbagliato ha soltanto un risultato: quel bambino non dovrà andare a scuola. Non si può da elefanti entrare in una vetreria. In molti, comunque, frequentano la nostra scuola. In tanti la lasceranno dopo le medie, ma questo avviene anche tra i ragazzi... gagé".

Lei, da autore di teatro, ha preso qualcosa dai rom?
"Il mio lavoro è nomade: stare qui e domani là, oppure prendere da questo o da quell'autore. Ho imparato che il bello di tutti i lavori sta nel farli. Nell'arte conta più la persona, l'autore dell'opera, che il risultato finale. Questo a me piace: è un rispetto dell'essere umano, perché non tutti i musicisti e i commediografi diventeranno Mozart o Shakespeare. Però hanno vissuto come se lo fossero. Gli zingari la pensano così".

Giovanni Ruggiero

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Di Fabrizio (del 23/02/2011 @ 09:39:24, in Italia, visitato 1746 volte)

Leggere anche QUI (17 ottobre 2010), QUI (27 gennaio 2011) e QUI (6 febbraio 2011)

Oggetto: incontro comitato intersettoriale venerdì 18 febbraio pv.

Egregio Sig. Sindaco,
in riferimento all'invito pervenutoci telefonicamente per il tramite dell'assistente sociale in servizio presso l'istituzione dei Servizi Sociali del Comune di Lecce, Le comunico che non presenzieremo all'incontro.
La proposta di contributo comunale dell'ammontare di Euro 500 non ci permette di risolvere il problema abitativo in quanto non è una cifra sufficiente ad acquistare delle roulotte ignifughe a norma di legge.
Questa cifra è stata sufficiente in passato perché coloro che hanno occupato i 16 prefabbricati hanno venduto per 500 euro al comune alcune roulotte ancora in buone condizioni.

Consci che il comitato intersettoriale non ha poteri decisionali all'interno dell'amministrazione comunale ma che si tratta di un organismo puramente consultivo e di razionalizzazione dell'agire amministrativo, rimaniamo in attesa di essere ricevuti in delegazione dalla S.V. ed insieme ad una rappresentanza di associazioni che in questi anni hanno seguito le vicende del campo rom panareo.

Sono trascorsi più di quindici anni dal nostro arrivo nella città. Non siamo nomadi, non lo siamo mai stati. Non possiamo ritornare a vivere nelle roulotte e nel degrado nel quale il campo si trova.
Stante la disponibilità di altri enti e di associazioni di sostegno ad individuare delle strategie di superamento della condizione di estrema emarginazione sociale ed urbana nella quale viviamo, chiediamo di poter essere ascoltati e di poter trovare insieme una speranza di soluzione.

Siamo consci che le diverse problematiche non sono risolvibili nell'immediato, siamo consci altresì che il Comune di Lecce non può farlo da solo, perciò chiediamo di allargare a quei soggetti che si sono resi disponibili.

Tamponare oggi un'emergenza più che annunciata, non risolve i problemi sanitari e abitativi del campo e soprattutto quanto durerà?
Altri quindici anni?
Non possiamo non dare un futuro più dignitoso ai nostri figli, nati e cresciuti qui a Lecce.

Segnaliamo, infine, che l'aria del campo è fortemente malsana, irrespirabile a causa del continuo fluire delle fogne e della mancata raccolta della spazzatura.

Constatiamo con dispiacere che di fronte ai diversi problemi strutturali e sociali che presenta il campo, più volte da noi denunciati in tutti questi anni, non ci si è attrezzati politicamente per ricercare soluzioni capaci di garantire un'effettiva inclusione sociale. Le Istituzioni si sono mosse solo sulla scia delle infinite emergenze che la stessa situazione di vita in un campo ripropone sistematicamente. Questo modo di operare si è rivelato, di fatto, infruttuoso, visto che l'unico
risultato è stato quello di spostare le "risoluzioni" a qualche anno più avanti, senza di fatto mai iniziare alcun processo di emancipazione.

Per questi motivi rimaniamo in attesa di un cortese confronto con la S.V. per avviare un dialogo, che ci auguriamo sia costruttivo e proficuo, capace di affrontare con una prospettiva politica di medio e lungo termine la questione dell'inclusione sociale. Auspichiamo che esista la volontà politica di avviare un percorso concertato in grado di superare definitivamente l'approccio emergenziale con cui sino ad oggi ci si è mossi rispetto al campo.

Ai fini, inoltre, dell'incontro previsto venerdi p.v., ci scusiamo e chiediamo cortesemente di voler far mettere a verbale la presente lettera.

In attesa di cortese riscontro, porgiamo cordiali saluti.

Lecce, 17.02.2011.

Benfik Toska
(Rappresentante Campo Sosta Panareo - Lecce)
Tel. 328.9447057

Al Sindaco del Comune di Lecce
Paolo PERRONE

Al Direttore dell'Istituzione per i servizi Sociali del Comune di Lecce
Antonio CARPENTIERI

Ai Componenti Commissione Intersettoriale dell'Amministrazione Comunale di Gestione dell'Area Sosta Attrezzata per Comunità Rom
Dirigente del Settore Servizi Sociali, Dirigente del Settore Educazione, Formazione e Lavoro,Dirigente del Settore Lavori Pubblici, Dirigente del Settore Igiene, Dirigente del Settore Randagismo, Dirigente del Settore Urbanistica, Dirigente del Settore Polizia Municipale, Equipe socio-assistenziale referente dell'area di sosta

Componenti la V^ Commissione
Sevizi sociali, pari opportunità, emarginazione ed emigrazione, politiche della casa, problematiche giovanili, associazioni, problematiche del lavoro, emergenza abitativa.
Roberto MARTELLA, Corrado DE RINALDIS, Carlo BENINCASA, Marcello CANNONE, Antonio LAMOSA, Massimo LANZILAO, Francesca MARIANO, Antonio PELLEGRINO, Stefano PORCARI, Paola POVERO

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Di Fabrizio (del 24/02/2011 @ 09:36:24, in Italia, visitato 1585 volte)

Repubblica Il Comune ha trasferito i rom un anno fa, ma rimane il degrado - di CECILIA GENTILE

Degrado e rifiuti dopo lo sgombero del campo nomadi

Sedie di plastica, materassi, scarpe, rami secchi, bottiglie, cibo per gatti. Un water, tante carrozzine, tavolacci, schermi di vecchi computer, calcinacci, carcasse di auto. C'è di tutto nelle montagne di rifiuti davanti all'ingresso di quello che fino ad un anno fa era il Casilino 900, il campo rom più grande d'Europa.
Il sindaco Gianni Alemanno celebrò lo sgombero del febbraio 2010 come l'inizio di una nuova era. La rimozione di quella indecente baraccopoli avrebbe consentito la realizzazione del parco di Centocelle ed inaugurato la progressiva scomparsa degli insediamenti abusivi. "Vogliamo che entro quest'anno non esistano più campi nomadi abusivi e tollerati e tra qualche anno neanche gli altri", diceva Alemanno durante il lavoro delle ruspe. E ancora prima, quando nel giugno 2009 il Comune installò gli allacci della luce nell'insediamento, il sindaco dichiarava: "I lavori portati a termine a Casilino 900 resteranno a disposizione dei cittadini che, una volta completata la chiusura del campo prevista per fine anno, avranno un parco pubblico attrezzato dotato di illuminazione".

Ma un anno dopo, il parco di Centocelle non esiste e i 700 rom sgomberati dal Casilino 900 vivono appiccicati ai nomadi dei villaggi attrezzati esistenti, contendendosi spazi e servizi in condizioni di estremo degrado. Nella gigantesca area un tempo occupata dalle case di fortuna di bosniaci, montenegrini e serbi, adesso ci sono un'altissima foresta di erba secca, siringhe vecchie e nuove sparpagliate tra campi e sentieri, cumuli di rifiuti. Un altro monumento al degrado e all'abbandono, che rischia di essere rioccupato da un momento all'altro dai nomadi sgomberati e furiosi. Qualcuno che ci vive dentro c'è già. Ad appena pochi passi dall'ingresso principale malamente chiuso con un muretto basso di cemento e una cancellata arrugginita che è stata forzata, c'è una costruzione in mattoni con un'entrata ad arco, dove sono accumulati materassi e coperte. Tutt'intorno, i resti evidenti di toilette improvvisate.

"Ormai abbiamo capito che sindaco e giunta non hanno alcun interesse a realizzare il parco di Centocelle - dichiara il presidente del VII municipio Roberto Mastrantonio - Il 19 dicembre 2010 una delibera del consiglio comunale ha rimodulato i fondi per Roma Capitale definanziando il secondo stralcio di 18 ettari del parco, per il quale erano stati stanziati quattro milioni e 200 mila euro. Una gran parte di quei fondi, pari a tre milioni, sono stati utilizzati per realizzare la Prenestina bis, che era una promessa elettorale di Alemanno".

Il parco archeologico di Centocelle venne deciso dalla prima giunta Rutelli nel 1993. Il consiglio comunale ne ha adottato il piano particolareggiato con le controdeduzioni il 31 gennaio 2005. La regione Lazio lo ha approvato il 20 ottobre 2006. Ma fino ad ora, dei complessivi 110 ettari, ne sono stati aperti al pubblico soltanto 33, all'epoca del sindaco Veltroni. "Il secondo stralcio definanziato - racconta il presidente Mastrantonio - interessa la cosiddetta area del "Canalone", dove un tempo c'era l'insediamento del Casilino 700, anche quello sgomberato, e prevedeva anche un'area servizi con un teatro, piste di pattinaggio e un gazebo per la guardiania. Ma adesso siamo di nuovo all'anno zero".

(20 febbraio 2011)

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Di Marylise Veillon (del 24/02/2011 @ 09:48:07, in Europa, visitato 1533 volte)

Da Roma_Francais

Nordéclair.fr par FLORENCE TRAULLE'

Documenti inediti tracciano nuovamente la storia delle deportazioni razziali commesse nel Nord Pas-de-Calais durante l'occupazione. Un lavoro di ricerche su iniziativa di amici della fondazione per la memoria della deportazione e del museo della resistenza di Bondues.

La più giovane aveva quattro settimane, il più anziano 81 anni. Arrestati nella regione, sono stati imbarcati a bordo del convoglio Z, partiti dal campo di transito belga di Malines, direzione senza ritorno: Auschwitz, Pologna. Era il 15 gennaio 1944. A bordo di questo treno, 351 persone, di cui quasi la metà bambini, ebrei ma anche tzigani. "Siamo l'unica regione di Francia nella quale ci sono state deportazioni di tzigani. Un triste privilegio..." constata Odile Louage, presidente degli Amici della Fondazione per la Memoria della Deportazione, e ugualmente presidente dell'associazione Ricordo della Resistenza e dei Fucilati del Forte di Bondues, la quale percorre nuovamente la storia di queste famiglie schiacciate dal sistema nazi.

47 TZIGANI ARRESTATI A ROUBAIX
Altrove, le famiglie tzigani sono rimaste nei campi installati sul territorio francese.
Perché il Nord Pas-de-Calais andò oltre nell'orrore? "Non lo sappiamo ancora" riconosce Monique Hennebaut, uno storico che si è chinata prima sulla storia della deportazione degli ebrei nel Douaisis prima di scoprire che gli zigani della zona erano stati assassinati nei campi della morte. Colpa dell'affiliazione del Nord Pas-de-Calais al commando tedesco? Può darsi.
Erano cestai, giostrai, stagionali, artisti del circo, musicisti... "La maggior parte parzialmente sedentarizzati" precisa Monique Heddebaut "e avevano quasi tutti lo stesso itinerario". Ha trovato la traccia di 47 zigani arrestati a Roubaix. Vivevano in via Edouard d'Anseele, via Pierre de Roubaix. C'era stata anche la famiglia Lagrenée (leggere pag. 3), arrestata a Pont-de-la-Deule nel Douaisis. Quindici deportati, solo tre sopravvissuti. Poi questa famiglia di Poix-du-Nord, giostrai ancora. "Un giorno, dopo una conferenza che avevo data sulla deportazione degli zigani della zona, un signore è venuto a vedermi, ricorda Monique Heddebaut. Era di Poix-du-Nord. Mi ha raccontato il ricordo di una roulotte che era rimasta sul ciglio della strada durante anni. Dopo la guerra, pensava che i suoi proprietari sarebbero venuti a riprenderla. Aveva finalmente capito perché era rimasta lì..."

UN SOLO MONUMENTO COMMEMORATIVO PER GLI ZIGANI DELLA ZONA
La deportazione degli tzigani della zona resta una macchia nera della nostra storia. E' sempre mal conosciuta e i lavori degli storici che hanno lavorato per l'esposizione virtuale presentata dal museo della resistenza di Bondues, colmano questa lacuna. E' rivelatore che, nella zona, un solo monumento commemorativo sia stato eretto per ricordarsi di questi zigani, allorché "ci sono 27 o 28 monumenti o targhe in memoria di ebrei o giusti" cifra Odile Louage. Niente a Roubaix per 57 persone arrestate. Possiamo meravigliarci.
A Malines, questo campo di raggruppamento in Belgio, tramite il quale sono transitati la maggior parte degli ebrei deportati, i sopravvissuti hanno fatto installare una targa per gli tzigani, loro fratelli di dolore e di sfortuna.
"Nella zona, abbiamo aiutato e nascosto dei bambini ebrei" ricorda Odile Louage, tra l'altro assistente di storia che ha insegnato fino ad andare in pensione in classi preparatorie al liceo Faid'herbe di Lille "ma non abbiamo fatto nulla per i bambini tzigani". La fondazione per la memoria della deportazione non fa nessuna esclusiva, nessuna distinzione nell'orrore: ebrei, partigiani, tzigani, omosessuali, hanno in comune la loro sorte.

UN GIORNO E' TROPPO TARDI
Di queste scomparse, Monique Heddebaut parla con commozione. Ha ritrovato tracce dei decreti di 1940, i quali vietavano ai nomadi di circolare. "Poi ci fu un'escalation". L'estate scorsa, quando i rom si trovarono tra i fuochi della comunicazione governativa, Monique Heddebaut ha risentito un profondo malessere. "Siamo nel 2010 non nel 1940, ma attenzione, ci sono alcuni atteggiamenti che non si possono tollerare."
Cita quest'altro storico che ha lavorato su le popolazioni rom di Ungheria, Romania, Repubblica Ceca, la quale ha sentito dire là, inorridita: "bisognerebbe gasarli"...
Monique Heddebaut dice ancora: "Il problema è l'escalation. Un giorno, è troppo tardi."
Antoine Lagrenée, è un bambino rom arrestato e deportato qui.
Aveva 14 anni. Come altre 14 persone della sua famiglia, Antoine Lagrenée è stato deportato perché tzigane. Arrestati dai tedeschi con l'aiuto della polizia francese, solo tre di loro ritornarono dai campi nel 1945.
E' oggi un signore di 80 anni, con l'udito un po' difettoso, e dallo sguardo che sfugge talvolta nel vago. Nel gennaio 1944 Antoine Lagrenée ha quasi 14 anni. Vive a Pont-de-la-Deule vicino a Douai, dove la sua famiglia è arrivata dopo una lunga epopea. Una vita di viaggiatori come quella di tanti altri. Lo storico Monique Heddebaut non ha trovato tracce scritte di questi arresti. E' giusto riuscita ha tirare fuori dagli archivi delle schede d'arresto, redatte a posteriori. Sa che questi arresti sono stati compiuti dall'occupante tedesco con "l'aiuto della polizia francese, la quale in zona rendeva sicuri i luoghi mentre i tedeschi intervenivano per gli arresti."
Antoine Lagrenée ha una memoria discreta, il verbo scarso. Parla con poche parole della sua liberazione, "l'11 aprile 1945". Dopo essere transitato nel campo di Malines in Belgio e Auschwitz (il convoglio vi arrivò il 17 gennaio 1944) è inviato a Buchenwald. Antoine Lagrenée viveva nel blocco 31 di questo campo di lavoro, vicino a Weimar in Germania. "Abbiamo avuto la fortuna di stare in un blocco molto organizzato dai partigiani francesi" ricorda. Monique Heddebaut che conosce bene Antoine, racconta anche "che un maestro che si trovava nello stesso blocco, faceva lezione ai bambini."
Antoine Lagrenée è sopravvissuto, malgrado la sua giovane età, nell'inferno di Buchenwald. "Siamo stati liberati dagli americani, ma prima ancora dai deportati stessi" precisa. Secondo le valutazioni di Monique Heddebaut, 148 tzigani sono stati deportati dal Nord Pas-de-Calais. Ne ha contati 351 arrestati in Belgio, anche loro inviati verso i campi della Polonia e della Germania. Ma confessa di non essere certa che non ce ne siano altri. Il lavoro degli storici non è ancora concluso.

ESPOSIZIONE VIRTUALE A BONDUES
E' lì dove 68 persone della zona sono state fucilate, tra 1943 e 1944 che il museo della resistenza di Bondues ha installato delle postazioni, presentando documenti inediti sulle deportazioni razziali dell'ultima guerra mondiale. La maggior parte sono inediti. I documenti sono stati affidati dalle famiglie agli storici, i quali hanno lavorato con il museo della resistenza di Bondues. Ci sono anche fondi degli archivi propri del museo, documenti tratti da archivi dipartimentali, da quelli della caserma Dossin, del museo ebraico di Malines. Una raccolta consultabile su delle postazioni, le quali presentano documenti numerati, i quali raccontano di queste persecuzioni razziali che hanno toccato il Nord Pas-de-Calais durante la seconda guerra mondiale. Alle spalle, ci sono due anni di ricerche per potere tracciare le "grandi fasi di quello che è successo", spiega Danielle Delmaire storico, che ha insegnato all'università di Lille III. "Dalle prime serie di divieti imposti agli ebrei a partire da 1940-1941, i grandi arresti di 1942, i convogli, i ritorni dai campi..." Vi troviamo inoltre la foto di Micheline Teichler, scolara a Faid'herbe a Lille della quale un compagno di scuola – Edgard Leser il quale ha avuto la fortuna di essere un bambino nascosto -, ha voluto onorare la memoria. Con gli Amici della Fondazione per la Deportazione, ha tenuto che il suo ricordo non sprofondi nell'oblio. Il suo nome è stato dato a una classe del collegio Rabelais di Mons-en-Baroeul. "Abbiamo l'intenzione di proseguire con questo lavoro, organizzando una giornata di studi sulla spoliazione dei beni di ebrei e tzigani, il prossimo 12 ottobre, al museo della resistenza di Bondues" precisa Odile Louage, la quale ha presa la presidenza del museo e vuole perfino prendere in considerazione una pubblicazione al riguardo. Un lavoro che risponde esattamente agli obiettivi della Fondazione per la Memoria della Deportazione: la ricerca storica, la trasmissione e la difesa di questa memoria. Odile Louage aggiunge che: "intorno alla Fondazione si è realizzata l'unione di tutti i componenti del mondo della deportazione. Tutte queste strutture, con ognuna la propria sensibilità, lavorano alla trasmissione di valori tali come sono stati definiti all'indomani della guerra, nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo."

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Di Fabrizio (del 24/02/2011 @ 10:31:34, in scuola, visitato 2026 volte)

25 febbraio, ore 20.15
Auditorium Quintino di Vona - via Sacchini 34, 20131 Milano


Un'occasione per conoscere da dove nascono e come trovano forza nei secoli pregiudizi e persecuzioni della comunità Rom e Sinti

Dijana Pavlovic - attrice di origine Rom
scene da Rom Cabaret accompagnate al violino da George Moldoveanu

Paolo Finzi - giornalista, storico
Porrajmos: la Shoa zingara

Seminateci bene
documentario di E. Cucca, S. Fasullo, R. Midili e F. Picchi
(menzione speciale al film festival del documentario solidale "L'anello debole")
L'integrazione passa attraverso la scuola: lo mostrano tre scuole del quartiere di Lambrate (via Feltre, via Cima, via Pini)

Anna, Flaviana, Francesca, Garofiza
le mamme e maestre di Rubattino
Storie di bambini Rom a scuola

Stefano Pasta - Comunità di Sant'Egidio
Integrazione o segregazione?
Rapporti tra Rom e comunità cittadina

Una serata aperta a tutti, genitori, ragazzi e insegnanti
per conoscere, per capire e per non voltare lo sguardo

Associazione Genitori della Quintino di Vona
 

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