Rom e Sinti da tutto il mondo

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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 27/04/2014 @ 09:06:13, in conflitti, visitato 2221 volte)

da U VELTO

    Nell'Aprile del 1945 c'erano i tedeschi in ritirata. Molti sinti facevano i partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante stava con la divisione Armando, ma anche molti di noi che facevano gli spettacoli durante il giorno, di notte andavano a portare via le armi ai tedeschi. Mio padre e lo zio Rus tornarono a casa nel 1945 e anche loro di notte si univano ad altri sinti per fare le azioni contro i tedeschi nella zona del mantovano fra Breda Solini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano), dove giravano con il postone che il nonno aveva attrezzato. Erano quasi una leggenda e la gente del luogo li aveva soprannominati i "Leoni di Breda Solini"...

Questo è il racconto di Giacomo "Gnugo" De Bar, sinto emiliano, che bambino è stato rinchiuso con la sua famiglia nel campo di concentramento di Prignano sulla Secchia, in Provincia di Modena, nel settembre del 1940. Dopo l'8 settembre 1943, con l'armistizio, la sua famiglia riusci a fuggire dal campo di concentramento, insieme a tutte le altre famiglie sinte. E' infatti dall'autunno del 1943 che in particolare sinti italiani, maggioritari nel Nord Italia, si danno alla macchia e si uniscono alle brigate partigiane.

Molte famiglie sinte e rom scappate dai campi di concentramento, nel Nord Italia vengono rastrellate e inviate verso il campo di concentramento di Bolzano per poi essere deportati in Germania e in Polonia. Alcune riescono a sfuggire ai rastrellamenti dei Carabinieri e delle Forze tedesche nascondendosi nelle campagne grazie all'aiuto delle famiglie contadine, come per esempio la famiglia di Candida "Bianca" Ornato, sinta mantovana.

Particolare è invece il caso della famiglia di Gnugo che riesce a riprende l'attività circense e con altri sinti costituisce la Formazione partigiana dei Leoni di Breda Solini che operò sul confine tra Mantova, Modena, Cremona e Reggio Emilia.

Di seguito l'elenco dei sinti e dei rom che hanno partecipato alla Liberazione nel Nord Italia:

Giuseppe "Tarzan" Catter, eroe partigiano sinto, ucciso dai fascisti nell'Imperiese, il suo distaccamento ne prese il nome, decorato al valore

Walter "Vampa" Catter, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Lino "Ercole" Festini, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Silvio Paina, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Renato Mastini, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Giacomo Sacco, partigiano sinto, partecipa alla liberazione di Genova

Giuseppe "Tzigari" Levakovich, partigiano sinto nella Brigata "Osoppo" in Friuli Venezia Giulia

Rubino Bonora, partigiano sinto nella Divisione "Nannetti" in Friuli Venezia Giulia

Amilcare "Corsaro" Debar, partigiano sinto, staffetta e poi partigiano combattente nella 48° Brigata Garibaldi "Dante Di Nanni"

Vittorio "Spatzo" Mayer, partigiano sinto in Val di Non

Mirko Levak, partigiano rom, scappato dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau si unisce ai partigiani

Fioravante Lucchesi, partigiano sinto nella Divisione Modena Armando

Formazione partigiana I Leoni di Breda Solini, formato unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sulla Secchia (MO), operò nel mantovano

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Di Fabrizio (del 28/04/2014 @ 09:04:49, in lavoro, visitato 1912 volte)

da Huffington Post

C'è un popolo fra i più negletti della nostra storia millenaria, escluso e invisibile, spesso dimenticato. Cosa che, in particolare ai Rom ed ai Sinti, starebbe anche bene, visto che ogni volta che la storia se ne è ricordata, ha lasciato loro ferite laceranti e profonde, si pensi allo sterminio operato dai nazisti o alle 'crociate' (meglio raid) di ignoranti e violenti contro i loro campi. Nei secoli, milioni di benpensanti li hanno accusati di tutto: dall'aver fabbricato i chiodi della croce di Cristo ai rapimenti dei bambini; cose fra l'altro parimenti non dimostrabili. Eppure, raccontava De Andrè, sono uno dei pochi popoli che nella storia dell'umanità non ha dichiarato mai guerra a nessuno.

Su questo popolo c'è poi un pregiudizio molto italiano, tanto radicato da essere divenuto un dogma: "i Rom sono nomadi". Una teoria comoda per chi l'ha costruita, a volte mascherata da un'idea romantica che cela la voglia di allontanarli dalle nostre città. La verità sbiadisce e la storia si rischia che la scrivano solo i più furbi.

A Reggio Calabria, settima tappa di carovana antimafie 2014, ascoltiamo una storia diversa confidando in un finale un po' meno triste. Facciamo tappa nella sede della Cooperativa sociale "Rom 1995", una palazzina adibita a magazzino e uffici con una luminosissima sala conferenze. Siamo in un bene confiscato alla 'ndrangheta, assegnato nel 2003 alla "Rom 1995". Le foto alle pareti non lasciano dubbi: si trattava di una struttura fatiscente e decadente completamene ristrutturata dai soci della cooperativa. I rom nel bene confiscato, già questa sembrerebbe una buona storia. Le storie tuttavia, per essere belle davvero, devono cambiare la vita delle persone, altrimenti servono solo ai buonisti che si nutrono di belle immagini, lasciando agli altri il problema del pane.

Facciamo un passo indietro per scoprire come la "Rom" nel 1995 nasca come cooperativa sociale. Una scommessa impossibile, che solo i lungimiranti possono fare: trasformare coloro che raccolgono i materiali lasciati presso i cassonetti, per guadagnarci qualcosa in capaci e formati professionisti del settore della raccolta differenziata. Nella città dove i Rom sono additati come coloro che rubano le auto per restituirle ai legittimi proprietari in cambio del riscatto (cd. "cavallo di ritorno") e dove sono stati marginalizzati dalle ultime amministrazioni, c'è stato invece un grande sindaco, Italo Falcomatà, che ha incoraggiato la scelta di queste persone di abbattere i pregiudizi.

Il rom abile al lavoro legale nel bene confiscato che si trasforma in isola ecologica, l'unica della città. La cooperativa si occupa negli anni della rimozione del materiale dismesso dalle scuole e dei manifesti affissi abusivamente, del ritiro di vecchi elettrodomestici, conferendoli in un centro di raccolta autorizzato.

Insomma si occupano del bene comune, rivendicano che "Rom diversi possono essere lavoratori uguali". Da quattro anni però la cooperativa vive in una condizione di precarietà a causa di scelte compiute dall'amministrazione, governata dall'allora Sindaco Scopelliti (di recente condannato a 6 anni di reclusione). Il 3 maggio 2010 il consiglio comunale reggino vota (all'unanimità) una delibera con la quale si "dà mandato al Sindaco ed alla Giunta...di attivare e disporre ogni iniziativa utile per far proseguire l'esperienza della Cooperativa Rom 1995 nell'attività fino ad oggi espletata (raccolta ingombranti e isola ecologica)..." ma, come racconta il portale la "Filosofia reggina" e gli stessi responsabili della cooperativa riportano, per una "disattenzione", alla conclusione della nuova gara di appalto relativa alla gestione dei servizi di raccolta differenziata, non viene indicato alla società Leonia ("controllata" al 51% dal Comune) e vincitrice della gara d'appalto, di voler esprimere il consenso di subappalto relativamente alla parte dei servizi storicamente gestiti dalla Rom 1995". L'epilogo è che nel giugno 2010 le attività della cooperativa vengono sospese e i lavoratori messi in cassa integrazione. Nel 2011 alla Rom 1995 viene affidata la gestione di due servizi, insufficienti però a dare continuità lavorativa ai soci e di conseguenza stipendi costanti e sostegno alle loro famiglie.

Insomma scelte sbagliate che rischiano di affossare un'azienda davvero "speciale". Una storia straordinaria che rischia di trasformarsi in ordinaria follia: quella di riportarci indietro, senza considerare che i rom sono parte integrante della società italiana e non "zingari", destinati a essere nomadi. Noi carovanieri, viaggiatori per scelta e quindi privilegiati, vorremmo proseguire il viaggio sapendo che la sosta, per la 'Rom 1995', sia invece serena.

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Di Fabrizio (del 29/04/2014 @ 09:02:10, in blog, visitato 2246 volte)

...se non può più dare il cattivo esempio

Facendola breve, dal mese prossimo dovrei fare qualche presentazione pubblica di Mahalla (cioè del blog e di tutto quanto ci gira attorno, vedi barra del menu). Purtroppo, in questi periodi ho la testa più vuota del mio portafoglio, e non mi viene in mente niente di intelligente. Voi (sì, proprio voi) che consigli (buoni o cattivi, fa lo stesso) mi dareste?

Grazie, e a buon rendere.

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Aurigo - Una targa verrà posta a dimora nelle prossime settimane (Riviera24.it)

In occasione della festa di Liberazione l'Arci Provinciale di Imperia ha voluto ricordare la figura di Giuseppe Catter, partigiano "Tarzan", ucciso ad Aurigo dai nazifascisti nell'agosto del 1944.

Nell'accogliente sala di "Ca Ru Megu" concessa dal Comune di Aurigo, rappresentato dal Vice Sindaco Piercarlo Gandolfo, sabato 26 aprile si sono riuniti per ricordare Catter, rappresentanti dell'ANPI, militanti dell'Arci e numerose personalità, che con il loro contributo di memoria e di riflessione hanno inteso sottolineare l'attualità del gesto eroico del giovane partigiano, sepolto ad Oneglia, che per difendere il capo della sua formazione, il partigiano"Orano", scelse l'estremo sacrificio.

Presenti alla commemorazione Italo Catter, fratello di Giuseppe, la sorella Maria Rosa, i nipoti ed il cognato. Come sempre vivace e commosso il contributo di Carlo Trucco, partigiano, presidente onorario del Circolo Arci Guernica che non ha voluto mancare all'appuntamento promosso dall'Arci Provinciale Imperiese.
L'ing. Ezio Lavezzi, presidente dell'Associazione Partigiani ha inteso rappresentare l'adesione convinta del comitato provinciale ANPI all'evento, sottolineando l'importanza di non vanificare con becere semplificazioni il valore collettivo della lotta di Liberazione, fondamento della nostra democrazia.

Feli Delucis dell'Arci e Giovanni Rainisio, presidente dell'I.S.R.E.C.IM. hanno svolto la loro relazione commemorativa tratteggiando con riferimenti letterari e note storiche l'esperienza di vita e di lotta di "Tarzan".

Rainisio ha, tra l'altro, testimoniato con soddisfazione il proliferare di eventi promossi da tanti soggetti per ricordare il sessantanovesimo anniversario della Liberazione, segno di speranza in un Paese ferito dai tanti revisionismi. Hanno quindi preso la parola l'assessore Regionale all'immigrazione Enrico Vesco ed il Presidente di Arci Liguria, Walter Massa, che con la loro presenza hanno testimoniato l'attenzione verso una figura così attuale della lotta di Liberazione.

Per la libertà hanno infatti combattuto uomini e donne di ogni etnia, ideologia politica e provenienza, poichè di fronte alla ricerca della libertà ed al riscatto dal giogo delle dittature l'umanità si trova convintamente unita e coesa.

Nelle prossime settimane la targa presentata alla cerimonia sarà posta a perenne ricordo di Giuseppe Catter, il partigiano di origini Sinti morto per le libertà di tutti.

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Di Fabrizio (del 01/05/2014 @ 09:00:36, in Europa, visitato 2133 volte)

30 Aprile, 2014, Nazzareno Guarnieri su Fondazione Romanì Italia

Qualche giorno fa ho ricevuto una lettera (vedi QUI, ndr.) dall'amico di Spagna Juan De Dios Ramirez-Heredia con alcune personali considerazioni sul recente summit sui rom a Bruxelles promosso dalle istituzioni europee.
Riporto integralmente la lettera di Juan De Dios e ringrazio il prof. Marco Brazzoduro per la traduzione in Italiano.

IL SUMMIT DI BRUXELLES SUI ROM E' STATO UN GRANDE INGANNO

Sapevo dal primo momento, e i miei timori sono stati confermati quando ho letto i contenuti del programma, che ci troviamo ancora una volta di fronte a un incontro di importanti uomini politici e di gagé "che ci amano tanto" e sono pronti a parlare per conto nostro privando i presenti al summit della possibilità di ascoltarci in quanto veri e insostituibili portavoce della nostra identità e dei nostri interessi.

Per questo motivo ho deciso di non andarci, nonostante che sia stato personalmente invitato. Non volevo avallare con la mia presenza questa esibizione di politici che in periodo elettorale dichiarano a turno quanto siano interessati alla nostra situazione.

Prima di scrivere queste note ho lasciato passare del tempo. Volevo informarmi sulla questione ricorrendo a fonti rom, oneste ed equilibrate, per capire la complessità del summit. I miei timori sono stati confermati.

Comunque desidero fare riferimento alla lettera che Rudko Kawczinski, presidente del European Roma and Travellers Forum ha indirizzato a Viviane Reding, Commissario alla Giustizia, a Schulz , Presidente del Parlamento europeo. Faccio mie le sue parole quando ha detto:

"...Questo meeting di un giorno che consiste , prevalentemente, in una serie di discussioni portate avanti da personalità non rom, crea serie preoccupazioni riguardo allo scopo, ai contenuti e alla partecipazione".

Il summit è diventato un gioco di discorsi ripetitivi. E noi rom di ciò ne sappiamo abbastanza perché siamo spesso infastiditi da quelli attorno a noi dotati di spirito di redenzione e mani piene di euri ottenuti a nostro nome. Pronti a salvare le nostre vite.

Rudko Kawczinski lo ha detto con grande chiarezza:

"Per noi è difficile capire quale sia esattamente lo scopo del summit e il suo valore aggiunto in termini di quello che ha conseguito finora. Le piattaforme tematiche creano politiche inclusive per i rom a livello locale e fanno arrivare denaro dell'UE alle autorità locali e regionali per aiutarle a integrare i rom. Fanno diventare l'integrazione dei rom una realtà locale anche negli stati appena cooptati, tematiche che sono state dibattute in forum nazionali e internazionali e hanno costituito l'oggetto di numerose raccomandazioni e decisioni emesse dalla Commissione Europea e altri organismi internazionali. Non sembra che la serie di discorsi di ministri e viceministri siano in grado di generare quell'impegno così tristemente carente"

Perciò Rudko Kawczinski ha colto il punto chiave quando ha affermato:

"E' un peccato, per dire il minimo, che dopo anni di affermazioni secondo le quali il lavoro dovrebbe essere compiuto dai rom e non per i rom, ci viene offerta un'agenda dove in un elenco di 30 oratori non c'è quasi nessun rom (...) D'altra parte si suppone che noi dovremmo ammirare le persone che conoscono e seguono i consigli di un gruppo di partecipanti non rom, alcuni dei quali non hanno mai conosciuto gli stessi rom o che non hanno mai visitato un insediamento rom".

Un ampio numero di rom che vivono in Europa hanno alzato la voce per denunciare la manipolazione cui sono assoggettati. Per la maggior parte delle istituzioni e per una larga parte di quelli che vivono a spese del nostro nome noi siamo considerati un gruppo di mendicanti analfabeti e affamati che debbono essere salvati ad ogni costo. E, sempre in nostro nome, organizzano conferenze, incontri e giornate come questa che finiscono quasi sempre in completi fallimenti . E sapete perché ?

Ascoltate Rudko Kawczinski:

"Finora molti degli sforzi della Commissione Europea si sono conclusi con risultati minimi o inesistenti. Questo accade sempre quando la comunità rom e i suoi rappresentanti non sono stati né coinvolti e né consultati nella progettazione dei programmi e delle iniziative".

Non pretendiamo di capire come fanno la signora Reding e il commissario Laszlo Andor, responsabili per le materie sociali, il lavoro e l'integrazione. Hanno consentito di essere presi in giro dagli organizzatori di questo spettacolo volgare. Non é stato portato alla loro attenzione quello che l'European Roma and Travellers Forum non ha visto, la più elevata rappresentanza dei rom in Europa, la cui creazione è stata aiutata dal Consiglio D'Europa, dalla Commissione Europea e dall'OSCE ?

"A peggiorare le cose - continua Rudko Kawczinski - la Commissione Europea ha ritenuto opportuno invitare come oratore nella cerimonia di apertura del summit, niente meno che Traian Basescu, Presidente della Romania, che è stato recentemente condannato dalla Commissione Nazionale di Romania per la lotta alla discriminazione, per i suoi commenti discriminatori verso la popolazione rom. D'altra parte hanno invitato in alcuni dei già menzionati tavoli, rappresentanti di città e regioni che hanno sistematicamente cacciato i rom dai loro territori".

Per concludere faccio mie le parole del Presidente del European Roma and Travellers Forum:

"In queste circostanze crediamo che la nostra partecipazione in questo summit sia stata meramente decorativa. Ciò è qualcosa che non possiamo accettare in qualsiasi caso. Noi rom vogliamo una partecipazione reale ed onesta e non ci auguriamo di essere usati solo come marionette in uno spettacolo".

Juan de Dios Ramirez-Heredia - Presidente dell'Unione Romanì spagnola

Già deputato al Parlamento europeo

Avvocato e giornalista

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Di Martina Zuliani (del 02/05/2014 @ 09:07:16, in Europa, visitato 2222 volte)

Deutsche Welle - Autore: Nevena Cukućan. Redazione: Jakov Leon

Serbia - Richiedenti asilo bugiardi, li chiamiamo così. In Germania, i conservatori li hanno usati come spauracchio e gli abitanti dei Balcani temono che per loro si chiuderanno le frontiere. Abbiamo qualche comprensione per le persone senza il loro "posto al sole"?



Hamit Kurtehi (27), noto come Apu, è apparentemente un ragazzo normale, attivista nel tempo libero, che ama suonare la chitarra e girare sui rollerblade. Sarebbe un saldatore ma, come tanti altri suoi coetanei, è disoccupato e vive coi genitori. Tuttavia, ciò che differenzia Hamit dai suoi coetanei è la logorante esperienza come richiedente asilo. Lui e i suoi genitori hanno aspettato 3 anni per ricevere asilo in Belgio. Dopo questo periodo pieno di gioie e dolori, nel 2013, la famiglia Kurteshi è stata costretta a lasciare il Belgio per ritornare in Serbia.

Kurteshi ed altri attivisti protestano per ottenere acqua potabile

DISCRIMINAZIONE: la famiglia di Hamit, composta da sei membri, è arrivata a Zrenjanin dalla città kosovara di Lipljan negli anni ottanta. Lui è l'unico membro nato a Zrenjanin ed ha subito discriminazioni dovute alla sua origine per tutta la vita. A causa di scontri frequenti e dei compagni che lo insultavano, Hamit non ha terminato la scuola primaria e si è ritirato presto anche dalla scuola secondaria, cosa di cui è pentito. "Questo è uno dei nostri più grandi errori, come rom" dice "perché così rimaniamo ignoranti e avere una vita normale non ci è facile. È come quando si ha la febbre e, pur non conoscendone la causa, si prendono comunque farmaci contro la febbre. Mentre in realtà hai un cancro che ti uccide, ma non lo sai."

Prima di decidersi a richiedere l'asilo, la famiglia di Hamit aveva tentato di ritornare in Kosovo, dove un tempo aveva una casa, andata bruciata nel 1999. L'UNHCR aveva loro costruito una nuova abitazione, nella quale sono vissuti fino al 2006. Dopo aver passato qualche tempo fuori Lipljan, hanno trovato la casa bruciata al loro ritorno. Hanno così capito di non essere i benvenuti in Kosovo e sono tornati a Zrenjanin, dove sono incorsi in un processo a causa dell'alloggio in cui vivevano.

"Quando lasci la tua città e tutto quello che hai, soprattutto quando è contro la tua volontà, arrivi in una nuova città e devi ricominciare da zero, ma tutto ciò richiede tempo" dice Hamit. "Ora tutti dicono, la guerra è stata 15 anni fa, ma dai, devi recuperare per il periodo in cui hai perso tutto. Nel posto in cui hai vissuto prima è stato costruito qualcosa di nuovo e, se non l'hanno fatto, lo faranno tra un anno. Poi tutti cercano di fare qualcosa, ma spesso non può fare nulla, e fuggono via. Così abbiamo deciso di andarcene e di chiedere asilo." Ha aggiunto che la situazione finanziaria era critica, perché attualmente in Serbia "nessuno ha soldi ", ma che è stato soprattutto il desiderio di una vita normale, nel quale non dovesse temere la reazione degli altri alla vista della sua carnagione scura o al sentire la lingua in cui parla. E lui parla serbo, romanes, albanese, olandese, inglese, tedesco e sta imparando l'italiano.

Hamit di fronte al suo alloggio a Zrenjanin

PARTENZA: La prima tappa del viaggio della speranza della speranza era Aachen, in Germania, dove Hamit e i suoi genitori hanno incontrato dei parenti, dopo di che si sono diretti a Bruxelles per presentare la domanda d'asilo. Al colloquio hanno dichiarato di non avere documenti e di essere arrivati direttamente in Belgio dalla Serbia. "È stata una bugia giustificabile, a mio parere" dice Hamit "Se avessimo avuto i passaporti ci avrebbero rimpatriati subito poiché, in Serbia, ufficialmente non ci sono più violenze. In questo modo siamo stati in Belgio per tre anni. Abbiamo visto persone richiedere asilo mostrando i passaporti e sono state rimpatriate immediatamente."

All'epoca non parlava fiammingo ed ha trasmesso la sua storia alle autorità tramite interprete. Quando ha imparato la lingua ha notato che lo scritto della sua storia non coincideva con quelli degli altri membri della sua famiglia e che, pur essendosi dichiarati tutti della stessa etnia, suo padre era stato registrato come albanese, sua madre come rom e lui come serbo. "Ti rendi conto troppo tardi che ti va bene solo se sei bravo con questo interprete. Ma quando arrivi, non capisci nulla, e ti sembra di essere su un altro pianeta. Lui ti porta a fare un giro, ti controllano i polmoni, ti prendono le impronte, la prima per controllare se sei sano, poi segue una breve intervista e alla fine ti danno una scheda con l'indirizzo a cui recarsi e ti mandano fuori " descrive Hamit.

Così, la famiglia Kurteshi entrò in un campo profughi e vi rimase per quattro mesi. Il campo si trovava in una vecchia caserma, dove le camerate erano divise in piccole camere per più persone, le cui pareti prefabbricate non raggiungevano il soffitto e mancavano molte finestre. Hamit e i suoi genitori erano alloggiati in una piccola stanza di otto metri quadri. Questa camera era quasi un lusso, per gli standard del campo. La famiglia era circondato da centinaia di persone provenienti da tutto il mondo. Le risse, i feriti e i furti erano all'ordine del giorno. Hamit ha imparato in fretta la lingua e ha iniziato a lavorare come traduttore per i nuovi richiedenti asilo. Ha visto come tra loro ci fossero anche quelli che non erano arrivati a causa di circostanze di vita che li avevano costretti, ma solo per approfittare del sistema sociale belga. "Allora ho cominciato a capire il motivo per cui belgi, tedeschi e tutti gli altri Paesi ospitanti odino gli stranieri, perché arrivano, non fanno niente, prendono soldi e questi ultimi vengono detratti dal tuo stipendio per darli a loro." dice.

Le condizioni di salute di suo padre stavano peggiorando e Hamit insistette che i genitori si trasferisse nella "casa sociale" a Vorselar durante l'attesa del verdetto sulla domanda d'asilo . Rimasero lì fino alla fine del 2013, quando sono stati costretti a lasciarla. " La casa aveva due piani, tre camere da letto al piano superiore, soggiorno, cucina , bagno e un grande giardino ... è stato incredibile. Per la prima volta nella mia vita avevo la mia stanza." dice. Giacché voleva che le cose funzionassero e poter guadagnare soldi per vivere, Hamit ha presentato una richiesta per permesso di lavoro e l'ha ottenuto, per un periodo di un anno. Ha trovato lavoro presso una fabbrica di lastre di cemento prefabbricate dove è stato pagato tanto quanto gli altri lavoratori, salvo rifiutarsi di ricevere una percentuale data dal suo stato di richiedente asilo. "Volevo mostrare loro che ero diverso e che non volevo vivere sulle spalle degli altri." dice, aggiungendo che è stato il suo periodo più bello, rovinato solo dai problemi di salute di suo padre.

CARCERE: L'idillio non durò, la domanda di asilo fu respinta, e allo stesso modo tutti i ricorsi e le lamentele presentate. Il permesso di lavoro era ampiamente scaduto, ricevette un ordine di espulsione e la polizia arrestò i genitori Hamit in sua assenza. Dopo di che, Hamit andò volontariamente alla stazione di polizia disse di voler rimanere vicino alla sua famiglia, anche se sapeva che avrebbe dovuto lasciare il Paese. "Allora vennero gli assistenti sociali e le guardie del campo e ci hanno riportati lì, insieme con la polizia, ammanettati, come se fossimo dei prigionieri" ricorda. "Durante le prime due settimane al campo non ho parlato con nessuno, non volevo mangiare ne bere. Ho perso peso, da 80 chili a 50. Nel mio file sono stato classificato come 'molto aggressivo', anche se non ho parlato affatto." Ha lasciato il Paese più tardi del previsto, con una multa per ogni giorno trascorso nello spazio Schengen, più di tre mesi. Lui e la sua famiglia hanno vissuto tre anni in Belgio.

La storia di Hamit ha attirato l'attenzione dei media belgi, anche quando gli fu concesso l'asilo. Nel maggio 2012 il giornale Gazet van Antwerpen disse che Hamit e la sua famiglia dovevano lasciare il Paese. "Vicini e conoscenti non capiscono perché debbano andarsene", dice il testo. Sui Somers, giornalista del settimanale Humo pubblicato in fiammingo ha scritto su di lui chiamandolo "l'opposto del richiedente asilo." Voleva far capire ai suoi lettori come ci siano dei giovani richiedenti asilo disposti a guadagnare i loro soldi e a contribuire alla società belga. "Non ho mai incontrato nessun richiedente asilo così pieno di energia, così determinato ad avere successo in Belgio, così disposto a fare. Penso che la sua espulsione sia una grande perdita per la nostra società" dice Somers su DW. Dati dell'UNHCR indicano che solo il 6 per cento delle richieste presentate da cittadini serbi vengono accettate in Belgio.

La giornalista Somers

Ricorda anche che, alla fine dello scorso anno, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato il Belgio per la pratica dei rigetti di persone provenienti da Paesi dilaniati dalla guerra come l'Afghanistan. "Vi è il caso di due afghani che hanno richiesto asilo, trascorso diversi anni qui, imparato la lingua, trovato un lavoro, ma a dispetto di tutto ciò sono stati rimpatriati. Ciò ha causato un putiferio nel Paese e un grosso imbarazzo per il nostro segretario federale per l'immigrazione, la liberale Maggie De Block." conclude Somers.

MATRIMONIO: Ma non è tutto. "C'é la mia attuale ragazza, che ho conosciuto quando ho visitato i parenti in Germania" continua Hamit. "Ho attraversato il confine, ma i richiedenti asilo in Belgio non hanno il diritto di viaggiare, dovevo rimanere in Belgio. Stavo passeggiando da solo, e la polizia tedesca mi ha catturato, ora ho una condanna per questo." Ha detto che non avrebbe voluto sposare una ragazza solo per risolvere il problema del suo soggiorno, ma che nella sua attuale fidanzata ha trovato ciò che desiderava. Il matrimonio è stato programmato, ma era necessario ottenere i documenti in Serbia. "Le ho detto che torno per certo, e il suo unico commento è stato: " No, tu non vuoi tornare, ma vuoi tornare da me.'"

Hamit allo skate park di Zrenjanin

Hamit stava progettando di andarsene volontariamente in Serbia e di ottenere i documenti necessari, ma quei piani sono stati rovinati dall'arresto dei suoi genitori. Quando, due mesi dopo il rimpatrio forzato a Zrenjanin, ha cercato tornare in Germania con tutti i documenti necessari, gli è stato concesso di attraversare il confine serbo ma non quello olandere, dove il suo aereo è atterrato. Venne a sapere di avere un divieto di ingresso nell'Unione europea fino al pagamento della multa. Ha trascorso tre giorni in un carcere olandese per immigrati ed è tornato a casa.

Dal momento del suo ritorno, Hamit è preoccupato per malattia del padre che è stato ricoverato in ospedale un mese fa. Ha intenzione di assumere un avvocato e di avviare una richiesta per diminuire la condanna che ha ricevuto, non appena la salute del padre migliorerà. Si sente ancora con la sua ragazza, lei lo attende, e non pensa più molto all'asilo. "Fino a quando non superiamo il passato non possiamo andare verso il futuro. Il mio passato, per me, è il divieto che mi impedisce di avere indietro la mia amata." conclude. Nonostante tutto, questo ragazzo non perde ancora non le speranze e dà l'impressione di essere disposto a combattere tutto il tempo necessario.

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Di Sucar Drom (del 04/05/2014 @ 09:08:43, in media, visitato 2148 volte)


Denny Lanza è il regista di Jump, abita a Prato ed è un sinto di Prato. Proprio come Angela Bosco, 19 anni, anche lei nata a Prato e candidata nella lista di Sinistra Ecologia Libertà Prato per il consiglio comunale. Lo zio Ernesto Grandini è presidente dell'associazione sinti italiani di prato; un altro cugino pratese è stilista. Differenza? Si, ma ricchezza per tutti.

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Di Fabrizio (del 06/05/2014 @ 09:00:42, in Italia, visitato 2236 volte)

Foto: Alessandro Imbriaco, Posted on 5 maggio 2014 di progettosarsan
Vivere nei "campi rom", senza uno status giuridico, documenti d'identità e possibilità di accedere ai servizi socio sanitari. La vita da "invisibili" delle donne rom. Di Simona Hristian*

Quello che, entrando in un "campo rom", stupisce e sconcerta anche gli operatori sociali con più esperienza è la situazione di totale "invisibilità" in cui si trovano alcuni abitanti.

Sono persone nate e cresciute in Italia, dove hanno sempre vissuto e frequentato la scuola, ma che sono prive di una cittadinanza e - nella maggior parte dei casi - anche di un documento di identità. È una situazione che in Italia si protrae da decenni e, considerando l'alto tasso di natalità in età giovanile della popolazione rom, riguarda ormai due-tre generazioni.

Quindi non si tratta di migranti o di figli di cittadini di origine straniera nati in Italia. Questi "cittadini senza cittadinanza" sono figli di persone nate in Italia da genitori nati in Italia che però non li riconosce, così come non sono riconosciuti dai nuovi stati dell'ex Jugoslavia da dove provenivano i loro avi.

Vivono pertanto in un limbo giuridico senza la possibilità di lavorare, di avere una casa, quindi senza una prospettiva di vita diversa da quella attuale.

I problemi maggiori, in particolare, riguardano le donne. Per loro, la vita all'interno dei "campi", unita alla mancanza di uno status giuridico e di documenti, si traduce nella conseguente difficoltà di accesso ai servizi pubblici e alla ridotta disponibilità di adeguati strumenti educativi con il rischio che i loro bambini vengano presi in custodia da parte delle istituzioni. Si aggiungano poi la carenza di competenze genitoriali, dovuta alla giovane età e a un ambiente sociale e familiare difficile, e la scarsa informazione sui metodi contraccettivi che porta peraltro a complicazioni di natura ginecologica che mettono a rischio la vita delle giovani donne.

Per venire incontro alle esigenze delle donne rom che vivono nei "campi" autorizzati e negli insediamenti informali di Roma, le mediatrici culturali del progetto Sar San 2.0 le incontrano regolarmente, all'interno degli stessi "campi", per informarle, orientarle e, ove necessario, accompagnarle verso l'accesso ai servizi socio-sanitari del territorio. Attraverso l'organizzazione di incontri con esperti, inoltre, viene offerto supporto e consulenza socio-legale e alla cittadinanza soprattutto alle donne in età fertile o con bambini molto piccoli.

Le donne, gli uomini e i bambini rom che vivono nei "campi", a Roma come purtroppo in molte altre città italiane, continuano a vivere da "invisibili".

Allontanarsi dal "campo", anche per fare la spesa o portare i figli a scuola, diventa un atto di coraggio: sono sempre accompagnati dalla paura di essere fermati dalla polizia e trovati senza documenti. Per alcuni la soluzione potrebbe essere la richiesta del riconoscimento della loro condizione di apolidia anche se si tratta di un iter lungo e, dato che viene concessa in base al principio di discrezionalità, come anche la cittadinanza italiana, è una lotteria.

Alcuni potrebbero sperare di ottenere un permesso di soggiorno umanitario, ma molti - troppi - non possono far altro che sperare che il loro paese di nascita - l'Italia - decida di riconoscerli finalmente come cittadini.

Sarebbe non solo un atto di civiltà, ma anche di tutela per tutti i cittadini di questo paese. In un paese che non riconosce i diritti, quindi non responsabilizza i suoi cittadini, non si può parlare di una società sicura senza cadere nella contraddizione e nella demagogia.

* Simona Hristian è una mediatrice culturale impegnata nel progetto Sar San 2.0

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Di Fabrizio (del 07/05/2014 @ 09:04:17, in musica e parole, visitato 2204 volte)

: - ) segnalazione di Sereno Gabrielli 

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Di Admin (del 08/05/2014 @ 09:02:08, in Kumpanija, visitato 11852 volte)

Da questa settimana Mahalla è anche un'associazione. Senza fine di lucro, come avrete già capito.

Vediamo di rispondere ad alcune domande (se ne avete altre, scrivete):

Chi siete?

Tra i fondatori troverete alcuni dei redattori di questo blog. Siamo un piccolo gruppo composito per esperienze e provenienza.

Cosa fate?

Non vogliamo fare concorrenza alle tante altre associazioni che fioriscono attorno al mondo dei Rom e Sinti. Che è un mondo complesso e variegato, con diversi aspetti su cui operare. Nello specifico, l'associazione Mahalla nasce da 9 anni di vita di questo blog - sommate ad esperienze precedenti, quindi si occuperà principalmente di:

  1. informazione e divulgazione su Rom, Sinti, Caminanti e altre popolazioni romanì;
  2. cercando ove possibile di privilegiare le "buone pratiche" e le testimonianze dei diretti interessati;
  3. agirà in ambito tanto locale, quanto nazionale che internazionale (sin dove le forze e le risorse ce lo permettono);
  4. senza chiudersi in qualche torre d'avorio, ricercando invece la collaborazione con istituzioni ed enti pubblici, il mondo dell'informazione, dell'associazionismo, dell'istruzione e quello della cooperazione (sperando di non aver dimenticato nessuno)
  5. non intende chiudere le sue cronache in un ghetto, per cui affronteremo le questioni della coesistenza con la società maggioritaria (e con le sue strutture), cercando interlocutori (che potete essere anche voi)

Sì, ma praticamente..?

Stiamo iniziando. Due anticipazioni:

  1. Come anticipato da un recente sondaggio (di quelli che trovate nella colonna centrale) a breve partirà una versione di Mahalla in lingua inglese, destinata ai lettori dall'estero.

  2. In un post di metà dicembre, si accennava alla libreria di Mahalla (sempre lei) e alle sue potenzialità. Scrittori, poeti, saggisti, aspiranti cronisti o fotoamatori... se ci siete fatevi vivi.

  3. Altre novità ve le comunicheremo di volta in volta. E infine, c'è tutto il vasto mondo inesplorato delle vostre proposte, che aspettiamo e valuteremo.

Posso diventare socio?

Teoricamente, tutti possono diventare soci, basta versare la quota sociale. Nel pratico, vi chiediamo (ci sembra ovvio) di condividere le nostre finalità. Non siamo cacciatori di tessere alla ricerca di un grande numero di soci, almeno all'inizio sarà più facile muoversi e ragionare sui piccoli numeri. Dipende da voi... benvenuto comunque a chiunque possa portare idee, capacità, esperienze e/o capitali

Posso almeno aiutarvi?

E ci mancherebbe!! E vi ringraziamo sino da ora. Se guardate in alto, trovate una novità: il bottoncino PAYPAL in attesa delle vostre donazioni, la cifra non importa, basta il pensiero. Ma non è bello chiedere soldi in cambio di niente. Se volete aiutarci vi suggeriamo di dare un'occhiata alla piccola libreria di Mahalla (che da oggi è quella dell'associazione), troverete diversi ebook grandi e piccoli, in cambio di una piccola spesa avrete materiale interessante a iosa; che poi è la cultura di cui vogliamo essere parte: fatta di grandi temi, ma è anche mangiare, giocare, raccontare storie. E se per caso vi stiamo antipatici, troverete anche documenti da scaricare gratis.

Cambierà qualcosa nel blog?

Certo: come è cambiato nel corso di tutto questo tempo. Speriamo cha cambi in meglio... Se invece la domanda riguarda il rapporto del blog con la nuova associazione: condividono solo il nome, ma sono indipendenti l'uno dall'altro (resteranno comunque buoni amici).

Che altro?

Qui troverete:

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