Rom e Sinti da tutto il mondo

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Gli Zingari fanno ancora paura?

La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 07/03/2007 @ 09:45:55, in Italia, visitato 4048 volte)

Da Roma_Italia

Marina Galati

Il lavoro avviato dalla Comunità Progetto Sud per favorire l’inclusione di un gruppo soggetto ad esclusione e stereotipi

Tra i cittadini di Lamezia Terme vi sono circa 700 persone di etnia rom.
Presenti da più di sessant’anni, per la maggior parte nati in questa città, solo alcuni in altri paesi della Calabria. Ovviamente parliamo di rom stanziali, residenti da sempre nella nostra comunità.
Anche nella nostra città la popolazione di etnia rom è vissuta tra ostilità ed emarginazione.
I primi insediamenti sono stati baraccopoli messe insieme alla meglio e autorizzate anche grazie al numero ridotto di rom ospitati. Relegata in un campo dal 1982, indicato inizialmente come “sistemazione provvisoria”, la popolazione rom si è trovata ad essere confinata – circondata materialmente da un muro di cinta alto circa 4 metri – ed esclusa dalla vita della città.
La questione rom anche a Lamezia Terme viene affrontata con le stesse modalità di altri contesti territoriali: cittadini che protestano per la loro vicinanza e amministratori che si trovano stretti tra il bisogno di garantire l’ordine pubblico e il non scontentare i propri elettori. Ogni volta che viene individuato un rione in cui trasferire il campo nomadi, la popolazione insorge e tutto ricomincia. La maggior parte dei rom ancora oggi vive nel campo. Le istituzioni che fino ad ora si sono “interessate” ai Rom hanno affrontato il problema come se fosse temporaneo, senza accorgersi che ormai questo popolo è definitivamente stanziale nel territorio lametino e che ogni rom è, a pieno titolo, cittadino italiano.
A Lamezia Terme, tra le discussioni della gente e sulla stampa locale, è diffusa l’opinione che i rom rimangano “sempre uguali”, sostanzialmente un problema. Eppure in questi anni tantissime vicende dimostrano i significativi cambiamenti avvenuti e l’avvio di processi che hanno apportato profonde trasformazioni nella comunità stessa.
Il lavoro costante dell’Associazione “La strada” per l’inserimento dei rom a scuola e l’educazione sanitaria, le attività della cooperativa sociale “Ciarapanì” per la creazione di lavoro per e con i rom hanno innescato visibili processi di integrazione.
A differenza di prima, oggi bambini e bambine rom vanno a scuola, giovani rom lavorano in cooperativa, ragazzi e ragazze rom crescendo hanno messo su famiglia e diversi altri di loro hanno trovato casa fuori dal campo andando ad abitare in case popolari o in affitto.
Tanti bambini e bambine lametini hanno avuto per compagni di classe un rom. Nelle vie della città di Lamezia si vedono lavorare i rom della cooperativa “Ciarapanì” mentre svolgono il servizio di raccolta differenziata “porta a porta”. Ed altri giovani rom lavorano nel comparto ortofrutticolo; alcune ragazze lavorano presso bar e ristoranti. Nella vita quotidiana rom e “italiani” si ritrovano insieme in tante attività ed esperienze comuni: dalla spesa nei supermercati e nei negozi alle file in posta, nei ricoveri in ospedale. Al matrimonio di uno dei soci rom della cooperativa “Ciarapanì” eravamo in tanti: i parenti venuti da tutta la regione, i compagni del circolo sportivo, gli amici della squadra di calcio, i vicini di “campo”, i colleghi di lavoro e tante altre persone, “chi rom e chi no”. Un matrimonio come tanti altri, un evento normale tra mille eventi normali.
Allora ci siamo chiesti: ma bastano la scuola, la casa, il lavoro per riconoscersi ed essere riconosciuti cittadini? La cittadinanza la si ottiene soltanto quando si gode dell’accesso ai diritti essenziali come quelli civili e sociali?
La sedentarietà di questi cittadini rom non vuol dire automaticamente cittadinanza, perché forse la cittadinanza è un portato culturale molto più complesso. Crediamo che si è cittadini e si è integrati non solo quando si gode dell’accesso ai diritti essenziali (come la scuola, la sanità) ma anche quando si può partecipare attivamente alla produzione di cultura e di senso. Lo spazio per la parola, la possibilità di negoziare il proprio ruolo sociale, la propria identità culturale, i propri progetti, sono fondamentali per una convivenza reale tra culture ed identità plurime.
L’integrazione è un processo, non può essere uno schema, un principio generico, e va quindi continuamente nutrita di fatti concreti.
Le domande che ci siamo posti all’interno di un gruppo di persone, tra cui alcuni di etnia rom, ci hanno condotto ad avviare un percorso nella città e con la città.
Da più di un anno abbiamo avviato una ricerca-azione con il coinvolgimento diretto di persone rom nel lavoro di rilevazione, elaborazione ed interpretazione dei dati. Ciò ci ha permesso innanzitutto di conoscere dati e fenomeni concreti relativi a questa popolazione, informazioni che aiutano a modificare delle rappresentazioni costruite a volte sui pregiudizi e sulla non conoscenza. Dati che sfatano anche alcuni immaginari. Ad esempio, in questi mesi più volte abbiamo posto a persone diverse la domanda: “Quante persone ritenete che vivano al campo rom?”. Nessuno mai si è avvicinato al dato reale, quasi tutti hanno sovradimensionato la presenza dei rom nella nostra comunità.
Abbiamo cosi promosso un laboratorio di cittadinanza coinvolgendo diversi soggetti della comunità locale, tra cui rappresentanti delle circoscrizioni dei quartieri in cui risiedono i rom, alcuni gruppi scout, le parrocchie, la Caritas, associazioni giovanili, presidi delle scuole, rappresentanti di associazioni di categoria. E, soprattutto, abbiamo dato inizio ad un percorso in cui siano le persone rom a prendere la parola e raccontarsi in prima persona in quanto cittadini di Lamezia.
Sono stati strutturati percorsi di empowerment con adolescenti e giovani rom da cui è scaturita una lettera indirizzata ai giovani coetanei lametini, costruita con il metodo della scrittura collettiva. Questa è stata un’occasione di incontro con piccoli gruppi di coetanei, nelle scuole, nelle associazioni, nelle parrocchie per discutere insieme i contenuti della lettera.
Il video documentario “Dal campo al lavoro” è nato come lavoro di inchiesta sociale volta ad indagare la situazione socio-lavorativa all’interno della comunità rom a Lamezia.
L’inchiesta è stata costruita attorno alla raccolta di alcune video-testimonianze significative fatte a persone rom, sia giovani che anziane, sia uomini che donne, residenti all’interno del campo o al di fuori di esso. Le interviste hanno permesso di ricostruire soprattutto dei percorsi individuali di vita lavorativa ed esperenziale. Il video è divenuto anch’esso strumento per interloquire con gli altri cittadini non rom della città.
Insieme ad un esperto di etnopsichiatria abbiamo creato un gruppo-parola con donne e giovani rom ed i mediatori sociali che operano con loro. L’intento è proprio quello di ascoltare ed interrogarsi sulle dimensioni dell’esistenza e cogliere quegli aspetti culturali ed identitari che provengono da altri territori di esperienza e da altri contesti culturali.
Difatti abbiamo creato un “cantiere” dove si continuano ad aprire spazi di parola ed espressione per riflettere insieme. Il processo messo in atto vuole riconoscere i cittadini rom come soggetti ed interlocutori (di diritti e di doveri) insieme agli altri abitanti di questa città per trovare congiuntamente le soluzioni ai problemi che oggi bloccano, frammentano, dividono. Ci preme creare luoghi e spazi in cui facilitare comunicazioni, negoziazioni tra interessi diversi per perseguire obiettivi e soluzioni che ci aiutino a vivere e a realizzare sempre più integrazione reale nella vita sociale della nostra comunità. È un processo di crescita diffusa di cui la città ha bisogno.

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Di Fabrizio (del 06/03/2007 @ 10:26:31, in Europa, visitato 1673 volte)

Da Roma_Daily_News

Posted by: BMJ on 03-01-2007.

La  salute dei Nomadi e Viaggianti è significativamente peggiore di altri gruppi vulnerabili, rivela una ricerca del Journal of Epidemiology and Community Health.

Non è noto quanti Nomadi e Viaggianti ci siano in Gran Bretagna, ma le stime indicano una cifra di circa 300.000

I ricercatori hanno valutato la salute di circa 300 Nomadi e Viaggianti di origine UK ed irlandese, in cinque località (Sheffield, Leicester, Norfolk, Londra e Bristol).

Usando adeguate misure, sono state fatte comparazioni con la salute di chi vive nelle comunità rurali, o in aree di deprivazione, o comunità di minoranze etniche, e tutte tendono ad avere una salute peggiore della media.

I risultati mostrano che Nomadi e Viaggianti hanno significativamente malattie a lungo termine, problemi o disabilità che interferiscono con la vita quotidiana o che limitano le loro capacità di lavoro.

[...] Hanno problema nel mantenere la loro salute, però resistono maggiormente degli altri gruppi al dolore e al disagio, all'ansia e alla depressione.

I tassi di diabete e cancro non sono più alti. Ma gli autori puntualizzano che questi disagi possono essere più "silenti" e che i sintomi associati potrebbero non essere riconosciuti.

Nomadi e Viaggianti hanno inoltre tassi significativi di dolori toracici, problemi respiratori ed artriti. Sono inoltre riportati alti tassi di morte prematura tra i bambini.

Le politiche per affrontare le ineguaglianze sanitarie chiaramente non incrociano i bisogni di Nomadi e Viaggianti, concludono gli autori.

Un allegato, che ha osservato credenze ed esperienze di Nomadi e Viaggianti, trova che i problemi sanitari sono intesi come "normali" e come qualcosa da sopportare in silenzio.

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Di Fabrizio (del 06/03/2007 @ 09:31:52, in Italia, visitato 2131 volte)

Cari amici,

le adesioni raccolte dall’appello contro il “patto di legalità” che abbiamo promosso come singoli cittadini ci incoraggiano a pensare che sia possibile andare oltre la visione del problema rom come un problema di segregazione e di intervento meramente emergenziale. D’altro canto manca, nel nostro Paese, non solo una cultura che superi il pregiudizio ma anche una legislazione che riconosca i rom come minoranza portatrice di una propria cultura, una propria lingua, un modello di convivenza e socialità diverso dal nostro. Per superare la polemica, pur necessaria e utile, contro il “patto di legalità” proponiamo di incontrarci per uno scambio di opinioni, per una informazione sullo stato delle cose a Milano e provincia e per un aggiornamento sui lavori della commissione interministeriale istituita per i rom con l’obiettivo di preparare una iniziativa pubblica che porti il dibattito sul terreno per noi fondamentale del riconoscimento di questo popolo.

Per questo proponiamo di incontrarci lunedì 12 marzo alle ore 18 presso CHIAMAMILANO in largo Corsia dei Servi 11 (alle spalle di corso Vittorio Emanuele).

Paolo Cagna Ninchi

corso di Porta Ticinese 48

20123 MILANO

Tel.: +39.0258101910 - 3391170311

In allegato una nota dell’Opera nomadi

PARTECIPA ALL'INCONTRO DI LUNEDI' 12 MARZO ORE 18,00

Cercare di ragionare sulle politiche locali nei confronti delle comunità stanziali di rom e sinti significa spesso inoltrarsi in un labirinto di pratiche discriminatorie striscianti, talvolta anche da parte di poteri pubblici che dovrebbero essere invece garanti dell'universalismo dei diritti.

Dopo un lungo periodo in cui rappresentanti delle istituzioni milanesi e della casa della carità hanno parlato sui media, in una sorta di monologo, della necessità di stipulare un “patto di legalità e socialità” con i rom rumeni dei campi di via Triboniano ed Opera, eccoli ora proporre di estendere nel prossimo futuro questo ipotetico “modello” di comportamento agli altri insediamenti abitati dai rom e sinti italiani, serbi, bosniaci, kosovari.

Ce lo aspettavamo.

Il fastidio e l'irritazione un po' scomposta che hanno accompagnato la reazione di alcuni politici e opinion leaders alle nostre critiche e argomentazioni, non hanno peraltro offerto una risposta convincente nel merito di politiche che rischiano di essere discriminanti sul piano del diritto o fin troppo logore e condizionate da interventi di solo carattere emergenziale.

Cioè senza prospettive di più ampio respiro.

Difficile dunque capire perché non si debba continuare a discutere sulle conseguenze e le implicazioni della varie possibili scelte senza sottostare alla spada di Damocle di un'accusa davvero ingiusta che ci siamo sentiti rivolgere, cioè di “indebolire” la sinistra impegnata a difendere le politiche per i Rom del centro destra al governo a Milano.

Opera Nomadi Milano

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Di Fabrizio (del 05/03/2007 @ 11:39:11, in musica e parole, visitato 2043 volte)

Da Il Giornale

di Luca Testoni - domenica 04 marzo 2007, 07:00

«La nuova musica jazz. Quella della contaminazioni contemporanee». È questo il punto di partenza di Incroci sonori... nessuna paura, il festival curata da Luciano Vanni, giunto al suo secondo anno di vita, al via domani sera (ore 21) al Teatro Dal Verme.
Per l'attesa première, la scelta è caduta sul quotato Trio Rosenberg. Alla testa della formazione in arrivo dall'Olanda c'è l'instancabile Stochelo Rosenberg, icona vivente della chitarra acustica nello stile "gipsy jazz".
Il suo è uno stile inconfondibile ed è figlio tanto della musica di Django Reinhardt quanto dal linguaggio della tradizione nomade. E non a caso. Stochelo, il fratello Mozes e il cugino Dani Van Mullen sono tutti e tre zingari di etnia sinti.
«La musica di rom e sinti è considerata solo come fenomeno folcloristico - argomenta Stochelo Rosenberg -. Non si raccontano però le radici storiche della nostra cultura musicale. Faccio solo un esempio. Il pianoforte è stato inventato da un italiano. Ma niente si inventa dal niente. Così il pianoforte è lo sviluppo di uno strumento precedente, il clavicembalo. E il clavicembalo, a sua volta, è una derivazione del cymbalom, che era uno strumento della musica rom».
Gli altri quattro ospiti di Incroci sonori... nessuna paura ? Il raffinato trio del pianista belga Eric Legnini (mercoledì 7); gli improvvisatori polacchi Pink Freud Trio (lunedì 12); i Gaia Cuatro, insolito quartetto di cui fanno parte due dei migliori musicisti della scena jazz giapponese (la violinista Aska Kaneko e il percussionista Tomohiro Yahiro) e altrettanti esponenti della colonia argentina in Europa (il pianista Gerardo Di Giusto e il contrabbassista Carlos Buschini), dal vivo lunedì 19; e il quartetto di Kurt Rosenwinkel (mercoledì 21), tra i capofila di quel gruppo eterogeneo di giovani chitarristi americani che sta mantenendo vivo l'interesse per il linguaggio della chitarra elettrica, dopo la feconda stagione dei vari Metheny, Scofield, Frisell e Ribot.
Incroci sonori... nessuna paura
Teatro Dal Verme, via San Giovanni sul Muro 2, da domani sera, ore 21, info 02-87905, ingresso singolo 10 euro, abbonamento a cinque concerti 30 euro

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Di Fabrizio (del 05/03/2007 @ 10:03:35, in conflitti, visitato 2699 volte)

Da Kosovo_Roma

TRANSITIONS ONLINE: by Jessica Meyers - 26 February 2007 (* riassunto lunghetto - meglio leggerlo offline)

MITROVICA, Kosovo - Saffet Ramic ha imparato dai tempi della guerra a viaggiare con un cacciavite.

In una polverosa strada di Mitrovica, tira il suo carro a lato della strada. Poi tira fuori il cacciavite dalla sua tasca destra. Svita le targhe con la registrazione del Kosovo e le pone all'interno.

"Così i Serbi non ci uccidono" dice semplicemente. E' concesso girare senza targhe in questa parte della città, visto che le targhe del Kosovo qui non sono accettate. Dopo diversi posti di blocchi, quando il carro torna in territorio albanese, riavvita le targhe.

"Così gli Albanesi non ci uccidono" dice Ramic, 30 anni, rivelando con la sua pelle color bronzo di non essere Serbo od Albanese, ma uno dei circa 30.000 Rom che sono parte dei 2 milioni di popolazione del Kosovo..

In una regione dove ad otto anni dal conflitto tra le forze serbe e gli Albanesi del Kosovo le tensioni etniche rimangono alte, Ramic naviga tra due mondi chiaramente definiti, anche se non appartiene a nessuno dei due. Come le targhe del furgone, Ramic svita ed avvita la sua identità secondo la necessità e convenienza.

Molti dei 150.000 Rom finirono in mezzo al conflitto del 1998-1999, quando erano considerati dagli Albanesi collaborazionisti dei Serbi, mentre l'armata serba li sgomberava dai villaggi dei kosovari albanesi. A migliaia finirono nei campi temporanei, dove sono tuttora. Oltre 120.000 lasciarono il paese prima dell'intervento NATO e della sconfitta dei Serbi, con il successivo protettorato ONU in Kosovo.

Come risultato del conflitto, molti Rom -termine a cui vanno aggiunti gli Askali di lingua albanesi e quelli che si chiamano Egizi - hanno adattato la loro identità per sopravvivere. Anche se Ramic si considera Rom, in qualche caso è più sicuro per lui dichiararsi Askali.

Rimane incerto quando la regione riguadagnerà abbastanza stabilità perché Ramic possa dichiararsi senza problemi e i Rom facciano ritorno alle loro case.

Si attende quest'anno un accordo finale, secondo il quale il Kosovo diventerebbe uno stato indipendente, un trionfo per gli Albanesi, ma una perdita devastante per i Serbi. In una terra dove tutti rincorrono una loro identità, i Rom - senza nazione e coesione - vivono sul punto di rottura. Molti chiedono soltanto di tornare a casa.

STORIA RIVISSUTA

Con l'indipendenza e possibili ulteriori violenze. i Rom sono impauriti, disillusi e stanchi di essere in mezzo ad una guerra che non gli appartiene. Per questa minoranza, lo status del Kosovo è solo un'altra occasione per vuote promesse ed ulteriori dispersioni.

Ramic annuisce ad un uomo in uniforme blu. Rallenta il furgone e si prepara a parlare albanese. Se il poliziotto è un Albanese, oggi Ramic sarà Askali. Il poliziotto guarda i documenti e riconoscendo la pronuncia di Ramic, gli si rivolge in serbo. Il Rom risponde con un sospiro trattenuto.

Diversi kilometri più tardi, il carro si ferma di fronte al ponte che connette la Mitrovica settentrionale alla sua controparte albanese del sud. "Non voglio andare da quella parte," dice Ramic guardando la simbolica divisione sul fiume Ibar. Parcheggia a diversi metri dal ponte ed aspetta.

Situata nella parte più settentrionale del Kosovo, il confine con la parte serba di Mitrovica è considerato una delle aree più a rischio violenza. In una città dove una divisione tangibile separa un'etnia dall'altra, tanti i Serbi a nord che gli Albanesi a sud, sono particolarmente sensibili sulle conseguenze della possibile indipendenza del Kosovo.

PRESI IN MEZZO

"Noi siamo il ponte ed ognuno ci passa sopra," dice un altro Rom, Dzafer Micini, 38 anni, seduto sul pavimento della sua casa di tre stanze a Kosovo Polje. Ricorda le rovine fumanti delle case dei suoi vicini, quando cinque anni fa gli Albanesi attaccarono la città.

Il villaggio è un obiettivo sensibile a causa della grande battaglia che nel Medio Evo vide l'esercito ottomano sconfiggere i Serbi, un evento che tuttora genera passioni nazionaliste tra i Serbi. I musulmani Albanesi sono visti come discendenti dell'oppressore Turco. L'enclave serba conta circa 15 famiglie Serbe e cinque case Rom. Micini teme che gli Albanesi vogliano bruciare il villaggio a predominanza serba e sta disperatamente cercando di vendere casa. Come molti Rom, d'altronde, non ha i documenti giusti per farlo.

"Non possiamo essere agnelli tra i lupi," dice, gettando uno sguardo al suo figlio più giovane che gioca con le decorazioni festive in un angolo. La nera stufa a legna riscalda la stanza vuota, illuminata dalla luce elettrica. Dice che si preoccupa di mandare i suoi figli al mercato. "Albanesi e Serbi sono falsi. Quando hanno bisogno di noi per combattere ci dicono fratelli. Se no, dicono 'Zingari, andatevene.'"

Micini è stato fortunato. Scappato in Serbia durante la guerra, la sua casa era una delle poche ancora in piedi quando ritornò al villaggio un anno dopo.

Quando ci furono i disordini nel marzo 2004, Micini non era a casa. Era a Pristina con diversi altri parenti maschi. Non poteva tornare da sua moglie e dai figli a Kosovo Polje, distante 12 kilometri e non vuole rivivere quel senso di impotenza per la terza volta. Se i Serbi che popolano il villaggio saranno forzati ad andare, dice, ai Rom non rimarrà altra scelta che partire pure loro.

Molti Rom ora vivono nelle enclave serbe, piccoli villaggi persi nel Kosovo dove il cirillico prende il posto dell'alfabeto latino usato dagli Albanesi. Durante il brutale decennio di Slobodan Milosevic che restrinse la libertà dei Kosovari albanesi, persino i Rom avevano diritti non concessi all'etnia albanese, che costituiva circa il 90% della popolazione.

Quando la Missione ONU in Kosovo (UNMIK) prese il controllo della provincia e stabilì un governo provvisorio guidato dai Kosovari albanesi dopo la guerra, i Rom si ritrovarono dispersi e disprezzati, incapaci di costituirsi come gruppo che rivendicava i propri diritti. Divenne soltanto marginalmente più sicuro identificarsi come Askali di lingua albanese.

In una regione popolata da Rom che si dichiarano Askali, la guerra e le continue violenze hanno creato una variazione nell'auto-definizione. Ora ne i Rom ne gli Askali sono realmente al sicuro. Tutti subiscono le conseguenze della guerra.

"Molti sono diventati Askali durante la guerra" dice Akif Mustafa, 48 anni, un Rom dell'enclave serba di Plemetina. Disegna un cerchio nell'aria. "Questo è il circolo del pane. Il pane si sta rompendo in pezzi," dice, simbolizzando la creazione dei Rom, Askali ed Egizi. "Ma, vedi, è solo del pane spezzato. Siamo tutti Rom e siamo sempre i più poveri."

INTOSSICAZIONE E RILOCAZIONE

I Rom sono il gruppo di minoranza più povero del Kosovo, agli ultimi posti nella scolarizzazione e col più alto tasso di disoccupazione. Oltre un terzo vive in estrema povertà, paragonato al 4% dei Serbi e al 13% degli Albanesi, secondo un rapporto del Programma di Sviluppo ONU.

Con pochi soldi e nessun posto dove andare, molti non hanno potuto lasciare la regione dove le loro case sono state date alle fiamme nel 1999. Quanti non hanno potuto andare in Germania o scappare in Serbia sono finiti nei campi ONU. Otto anni dopo, la maggior parte è ancora lì.

"Per gli Zingari è peggio adesso che durante l'Olocausto" dice Paul Polansky, fondatore della Fondazione dei Rifugiati Rom del Kosovo e studioso amatoriale dei Rom. Polansky recentemente ha condotto 100 interviste orali a Rom sopravissuti all'Olocausto e dice che l'attuale situazione per i Rom del Kosovo è una pari atrocità.

In nessun altro posto la sofferenza dei Rom in Kosovo è più evidente che nel campo per rifugiati inquinato dal piombo nella parte nord di Mitrovica.

Uno di loro, Cesmin Lug, si trova al limite della parte serba di Mitrovica. Cumuli di metallo, da cui ha origine il piombo, percorrono il campo di baracche di latta.

La casa di Sebiha Bajrami è dipinta di rosa e giallo. All'interno, due donne lavorano una pasta e la pongono sulla stufa che riscalda le due stanze. La loro è una delle 40 famiglie che hanno scelto di vivere nel campo contaminato, invece che nel nuovo campo dall'altra parte della strada. Chiamato Osterode, è la soluzione ONU alla contaminazione da piombo nei tre campi per i dispersi interni (IDP).

"A Cesmin Lug c'è inquinamento da piombo e a pochi metri c'è Osterode, ma è lo stesso" dice Bajrami, 35 anni, che non crede alle assicurazioni delle autorità che il campo di Osterode sarebbe più salubre. "Al limite a Cesmin Lug abbiamo l'acqua ed è più pulito, perché c'è meno gente e vengono fatte le pulizie." Nel campo ci sono attualmente 166 persone, comparate ai 43 di Osterode.

Lo scetticismo di Bajrami nasce anche dal fallimento dell'UNMIK nel recepire le preoccupazioni dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO) sui livelli dell'inquinamento nel 2000. La WHO ha ripetuto che l'esposizione all'aria, all'acqua e al cibo, porta a danni irreversibili al cervello. Le conseguenze sono più profonde per i bambini.

Bajrami, che è anche una giornalista rom per la locale stazione radio serba, ha contribuito alla creazione di un'organizzazione femminile che produce tovaglie e tessuti. [...] Ma la situazione interna non varia.

"Questo sarebbe il nostro quarto campo e siamo stanchi di tutti i campi," dice. "Vogliamo tornare alle nostre case, non Osterode."

Qui non è più salubre e sicuro. Quando Bajrami deve avventurarsi nella parte sud di Mitrovica, prende determinate precauzioni. Non si riferisce mai a se stessa come Rom e parla solo albanese.

Una volta, ricorda, fu accostata da un Albanese che aveva riconosciuto il suo nome. Era lei la ragazza che leggeva le notizie in serbo, le domandò. "Sì," rispose. "Sono la schiava che legge le notizie di altre persone. Trovami un altro lavoro da fare."

Bajrami spera un giorno di aprire una stazione radio rom, una che suoni musica rom tradizionale e si occupi di politica dei Balcani. Ma prima, come tutti nel campo, vuol fare ritorno a casa.

IL CICLO DELLA DIMENTICANZA

Una barriera con un pesante cancello, separa Bajrami e il resto di Mitrovica da Osterode, il nuovo campo dichiarato dall'UNMIK "libero da inquinamenti".

Una guardia albanese osserva dal suo piccolo chiosco. Riconoscendo il camion bianco della Norwegian Church Aid, apre il cancello senza le solite procedure e domande. La OnG norvegese ha preso in carico la gestione del campo, una serie di baracche bianche e un edificio più alto.

Nonostante i colori vivaci dei vestiti e delle tovaglie, il campo ha l'influsso austero di una base militare francese. L'asfalto sostituisce il fango dall'altra parte del cancello.

I genitori accompagnano i bambini verso il presidio sanitario, un edificio di due stanze. Qui è iniziato il trattamento per quanti hanno sintomi di avvelenamento da piombo. La porta seguente, su una lavagna sono scritti "cane" e "gatto", qui c'è la scuola. Poi una scala conduce al centro femminile, dove si insegna igiene. Nonostante questi servizi, gli abitanti ripetono che quella non è casa loro.

"Non è cambiato niente," dice Skender Gusani, leader dei campi di Osterode, Cesmin Lug e Leposavic. "Quando la gente si è spostata a Osterode, ci furono promesse tante cose e niente è cambiato. Ci hanno promesso acqua corrente ed elettricità per tutte le 24 ore, e riscaldamento. Qui l'inquinamento è migliore, ma i bambini sono ammalati per le condizioni di vita."

Hasan Kelmendi, manager del campo per la Norwegian Church Aid conferma che la pressione dell'acqua è inconsistente e lo stesso vale per l'elettricità, ma questa è la situazione che vige in tutta Mitrovica. "Posso dire che la situazione a Osterode è migliore degli altri campi," aggiunge indicando i servizi igienici e la lavanderia.

Ad ogni famiglia è assegnato una piccola stufa elettrica, che serve a poco quando manca la corrente, dice Gusani, che poi descrive le situazioni in cui si accende un piccolo fuoco sul pavimento per scaldarsi.

Sono stanchi di vagare tra campi, regolamenti e cancelli. "Viviamo come animali," dice Gusani. "La sorveglianza controlla ogni nostra cosa. E' come vivere in un campo di concentramento."

Neville Fouche, coordinatore della Roma Task Force dell'UNMIK, dice che i cancelli sono più per la sicurezza che per ostruzione. Permettono all'agenzia di controllare che entra nel campo. Poi Fouche ritiene che bruciare le batterie, da cui estrarre il piombo, peggiora il problema dell'inquinamento dei campi.

Poi sottolinea che il nuovo campo di Osterode, che riunisce tre campi in uno, è una soluzione temporanea. "Non abbiamo intenzione di renderlo permanente," dice. "Questo è soltanto un centro di transito per condizioni mediche". Aggiunge che la meta ultima è il ritorno degli abitanti alle loro case.

IN MEZZO DA QUALCHE PARTE

Il suono gutturale delle sillabe tedesche collide con il tono lirico del romanes mentre Feruz Jahirovic apre la porta e saluta la sua famiglia, una delle nuove nel campo. A differenza di Jahirovic, che ha passato otto anni nei campi, nove membri della sua famiglia hanno vissuto gli ultimi 15 anni a Munster, Germania. Si dividono due stanze in un edificio di mattoni rossi.

Quella di Jahirovic è una del crescente numero di famiglie che hanno perso lo status di rifugiati all'estero e sono state forzate al ritorno. Il Consiglio d'Europa stima che oltre 1.000 Rom siano stati rimandati in Kosovo. Centomila, la maggior parte dalla Germania, sono a rischio di ritorno forzato. E' difficile per quei bambini interagire con i loro coetanei, dato che questi nuovi arrivi sono cresciuti in Germania e parlano tedesco. Arrivati ad Osterode un anno e mezzo fa, anche loro hanno lasciato una casa.

"Avevano una vita come altri ragazzi in Europa," dice Jahirovic, scuotendo la testa e guardando i nipoti, che parlano l'inglese meglio del serbo. "Ora che faranno? Cosa faremo?"

Il ritorno dei rifugiati ha aumentato la pressione sulle autorità internazionali per trovare un posto dove i Rom possano vivere. A Mitrovica, si stanno costruendo nuove case, al posto delle rovine.

Sono per quanti una volta vivevano nel quartiere rom.

Dal suo punto di vista Jahirovic guarda le nuove case che sorgeranno accanto al fiume Ibar a Mitrovica sud. Si ricorda di quando suo fratello aveva stanze spaziose, prima che una delle più ricche e vasta comunità rom fosse distrutta.

99 famiglie hanno fatto richiesta per 48 appartamenti, ma Jahirovic non è nella lista. Ha nove bambini, più di ogni altro ad Osterode. Il 70% degli occupanti di Osterode proviene dal quartiere rom dall'altra parte della città. Jahirovic invece viveva in un villaggio vicino che è stato dato alle fiamme [...]

"Dove andremo, a vivere per strada?" chiede riferendosi al 30% degli abitanti del campo che non sono originari del quartiere che una volta aveva 8.000 abitanti. Il Consiglio dei Rifugiati Danese si èimpegnato a ricostruire le case di quanti siano in possesso della documentazione adeguata che certifichi che vivevano nel quartiere di Mitrovica sud. Norwegian Church Aid intende costruire le case anche per quanti non hanno documentazione, ma questa iniziativa appare più incerta.

"In quanto minoranza, non mi importa chi comanderà in Kosovo. Mi interessano la libertà di lavorare, la sicurezza ed i miei bambini," dice Jahirovic guardando la recinzione del campo.

IL PROSPETTO DEL RITORNO

Sino all'anno scorso, l'unica evidenza di quel quartiere erano resti di pareti di mattoni e muri sbriciolati. [...] La ricostruzione della Fabricka Mahala - mahala è un termine turco per "quartiere" che ha lo stesso significato tanto in serbo che albanese - è il più grande progetto di ritorno dei Rom mai intrapreso nei Balcani, dice Fouche.

Per quanti faranno ritorno alla mahala, la sua posizione a Mitrovica sud significa un cambio di servizi e linguaggi. Quanti vivono nei campi ricevono i servizi sociali dal governo serbo ed anche i bambini frequentano le scuole serbe. Quanti faranno ritorno alla mahala dovranno andare nelle scuole albanesi e non riceveranno più aiuti dalla Serbia. Con queste incertezze alcuni Rom, come il loro leader Gusani, rifiutano di tornare nel loro vecchio quartiere.

"Mio figlio sarà in grado di continuare la scuola?" chiede Gusani esprimendo una preoccupazione di molti nei campi. "Avrò libertà di movimento da casa mia?" aggiunge, riflettendo sul fatto che la sicurezza dei residenti nelle enclavi serbe come Mitrovica nord non è garantita in territorio albanese.

Come Gusani, molti Rom hanno timore di ritornare nel quartiere da cui sono stati espulsi. Dice Fouche che la forza internazionale di pace controllerà ogni due ore l'area, ma Gusani nega che nessun gliel'abbia mai comunicato.

"Nessuno garantisce che i miei figli avranno un futuro sicuro," spiega così perché ha scelto di non fare ritorno alla mahala. Attraversa il confine sud in caso di riunioni, solo sotto scorta dell'UNMIK. Se deve andarci da solo, dice di provenire dal quartiere Askali. "Se torneranno Rom ed Askali, ci saranno violenze," dice risolutamente.

LE PAURE

Tina Gidzic, una donna rom di 20 anni, prova crampi allo stomaco quando guida verso il suo ex-villaggio, Dobrevo. La città ora è un cumulo di macerie osservabile dall'autostrada Pristina–Mitrovica. Lei nn ha speranze di ritorno. La sua famiglia continua a vivere in Kosovo, ma la casa ora è quella con suo marito a Niš la città serba più vicino al protettorato.

Memorie di guerra: la sua casa, come molte altre, fu distrutta nel 1999 quando aveva 13 anni e non è stata ricostruita. Gidzic ricorda di essere cresciuta col suono delle bombe e sua madre che le diceva di non uscire da casa. Suo fratello più giovane è nato a Preoce, una piccola enclave serba a 10 km. da Pristina dove sono fuggiti i suoi genitori e dove vivono tuttora.

"Sto diventando nervosa," dice, non riferendosi soltanto al suo villaggio, ma anche all'incerta situazione dello status del Kosovo. "Qui i Rom sono musulmani come gli Albanesi, ma non vogliamo entrare in urto con i Serbi," che sono ortodossi, ci spiega. "Viviamo tutto il tempo con i Serbi, ma loro dicono che stiamo aiutando gli Albanesi."

Anche se non sempre sono un bersaglio, ma si trovano sulla linea di fuoco, pensa Gidzic. "Quando gli Albanesi attaccano i Serbi, non sanno se una casa è serba o rom, così bruciano l'intero villaggio. E' così che la violenza ci colpisce."

Tina scende dalla macchina e rinchiude il cancello della nuova casa della sua famiglia, una struttura che apparteneva a suo nonno. Raggiunge sua madre, riscaldandosi in una stanza dove funziona la stufa.

Sua madre, Miradija, piange ancora quando vede la foto della vecchia casa di Dobrevo. [...] Mentre la guarda dice una delle poche parole inglesi che conosce: "home".

TENTATIVI DI MOBILITAZIONE

I Rom non sono tutti silenti sull'argomento indipendenza, neanche Gidzic lo è. "Dovrebbe essere così," dice accompagnando la seconda tazza di caffé turco in una stanza che è cucina, camera da letto e salotto. "I Serbi dovrebbero tornare in Serbia, gli Albanesi in Albania e così i Rom potrebbero stare in Kosovo."

Dopo otto anni di identità fluttuanti e in una terra che potrebbe mai essere la loro, alcuni Rom stanno reagendo. Gli attivisti criticano apertamente la missione ONU. Recentemente hanno prodotto un documento dove indicano i loro desideri rispetto al Kosovo indipendente. Tra le loro richieste la partecipazione alle decisioni sullo status del Kosovo, come pure la strategia di ritorno per i rifugiati. "Se non siamo chiari su cosa vogliono le minoranze in Kosovo, ci porteremo dietro un monte di problemi," dice Bashkim Ibishi, uno degli autori del documento.

Ibishi è Rom, ma è anche un ufficiale ONU per gli affari delle minoranze in Kosovo. "Non ci sono programmi di assistenza, perché nessuno vuole avere a che fare con noi," dice.

A quindici km. di distanza, Saffet Ramic non ha intenzione di rinunciare al suo cacciavite. Continua a spostare le sue targhe e parla di una discussione avuta con un abitante di Kosovo Polje. Stanno considerando di iniziare un affare importando scarpe dall'Albania e rivendendole a buon mercato nel Kosovo.

"E' un piano," dice salendo sul furgone. Poi si ferma, gli appare un sorriso sul volto e conclude "Se esisteremo ancora."

Jessica Meyers is a student at the University of California-Berkeley Graduate School of Journalism.

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Di Fabrizio (del 04/03/2007 @ 09:31:26, in conflitti, visitato 1441 volte)

Da Hungarian_Roma

Non verrà processato un Ungherese accusato di aver ucciso 1.0000 persone in Serbia durante la II guerra mondiale.

Un tribunale di Budapest ha stabilito giovedì di non riaprire il caso contro Sandor Kepiro, che è accusato di aver preso parte all'uccisione di Serbi, Rom ed Ebrei in Serbia quando era poliziotto a Novi Sad.

Nel1994 il tribunale aveva condannato Kepiro per il suo ruolo nelle uccisioni, ma il verdetto era stato rovesciato verso fine anno. Una richiesta di riaprire il processo era arrivata quest'anno dal Centro Simon Wiesenthal, quando aveva scoperto che Kepiro viveva ancora a Budapest.

"E' giusto perché non ho commesso alcun crimine," ha detto Kepiro in una conferenza stampa. "Nella zona sotto il mio controllo non una volta abbiamo fatto ricorso alle armi. Ho la coscienza pulita e vivo la mia vita di conseguenza."

Il Centro Wiesenthal ha richiesto con urgente che il tribunale statale si appelli al verdetto.

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Di Sucar Drom (del 03/03/2007 @ 16:31:26, in blog, visitato 1540 volte)

Carpaneto (PC), Pino Petruzzelli e il suo spettacolo sul Porrajmos
Un'orazione civile che risveglia le coscienze e ci richiama ad una verità scomoda. Ad un Olocausto dimenticato, di cui si fa certamente meno memoria che del genocidio ebraico. Pur senza diminuire l'unicità di quest'ultimo, riemergono dalle pieghe della storia, i "senza storia", quelli che vivono alla giornata, che magari rubano pure per sopravvivere, quelli che non hanno né passato né fu ...

Anzio (Roma), ancora fantasie sulla scomparsa di Denise Pipitone
Dopo mesi di ricerche estese a tutto il territorio nazionale, è stata ritrovata nei giorni scorsi, nei pressi di Anzio (a circa 60 km da Roma), la Ford Mondeo station wagon di colore verde bottiglia, che risulta intestata a una Rom di Milano, sulla quale lo scorso mese di ottobre, a Latina, una donna avrebbe visto, in compagnia altri tre bambini, una bambina che somigliava alla piccola Denise Pipi...

Opera (MI), primi avvisi di garanzia per il progrom contro i Rom
La notte delle tende bruciate, quella in cui a Opera andò a fuoco il "campo nomadi" provvisorio che ospitava 77 rom e che mise a nudo la realtà dell´intolleranza di molte persone contro "gli zingari", autorizzati a stare lì dal sindaco, non smette di fare notizia e di alimentare le polemiche.
All´alba del 28 febbraio i carabinieri del Nucleo informativo di via Moscova h...

Roma, continuano gli sgomberi dei Rom Rumeni e nessuno interviene
Sgomberato il 23 febbraio il "campo nomadi" abusivo nel parcheggio di scambio di Saxa Rubra. Un altro passo del progetto di bonifica delle emergenze più palesi condotto a tappe forzate dal prefetto Achille Serra.
C’è soddisfazione nel centrodestra. «Finalmente dalle parole ai fatti con il ripristino della legalità a Saxa Rubra», commenta il capogruppo di An del XX municipio, Ludo...

In Italia i rumeni non sono tutti Rom
Pubblichiamo l'interessante lettera scritta da Marian Mocanu della Lega dei Rumeni in Italia. Sono particolarmente interessanti due passaggi. Nel primo si chiede all'italiano medio di non confondere il "bravo" cittadino rumeno dal "cattivo" cittadino rom con passaporto rumeno. Nel secondo si spiega che il "problema" rom è da affrontare insieme con tutti i paesi europe...

Mantova, il Rotary Club dona un computer all'Istituto di Cultura Sinta
Il 13 febbraio 2007 Fabio Norsa a nome del Rotary Club di Mantova ha donato un nuovo computer all'Istituto di Cultura Sinta per meglio lavorare nella ricerca e soprattuto per diffondere la conoscenza sulle culture sinte e rom.
La donazione è avvenuta durante l'inaugurazione della mostra fotografica documentaria "Porrajmos, altre tracce sul sentiero per Auschwitz", tenuta nella Sa...

Khorakhanè a San Remo
Informiamo che il gruppo musicale “Khorakhané” che ha presentato la canzone in prima serata al festival di San Remo, ha dato un’informazione errata sul significato del nome del loro gruppo. Già nel pomeriggio del 27 febbraio abbiamo contattato la redazione del Festival per informare dell’equivoco e il giorno dopo, non essendoci stato il chiarimento, abbiamo inviato la seguente lettera che trasmet...

Modena, dibattito acceso dopo l'annuncio della chiusura del "campo nomadi"
A Modena da alcune settimane il dibattito politico cittadino ruota attorno all'annuncio della Giunta Comunale di voler procedere a "tappe forzate" nella realizzazione di quattro micro aree e nella chiusura definitiva del cosiddetto...

Roma, allarme droga nelle comunità rom
«I nostri giovani si stanno perdendo, la coca è il loro nuovo dio. Sniffano le nostre donne, i nostri bambini, persino qualcuno dei vecchi. Fate qualcosa per il nostro popolo. La nuova peste ci sta distruggendo».
Mauro era un capofamiglia e forse lo è ancora. Sa parlare la lingua dei Rom che dicono derivi dal sanscrito antico. Confidarsi con noi per lui vuol dire solo guai. I ragazzi del ca...

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Di Fabrizio (del 03/03/2007 @ 10:34:26, in casa, visitato 1603 volte)

Da British_Roma

DAVID POWLES - 27 February 2007 09:02

Quanti vivono in siti funzionanti per Nomadi e Viaggianti hanno richiesto più posti come i loro per fare fronte all'afflusso previsto nel corso dei cinque anni successivi.

Un rapporto di settimana scorsa ha rivelato che circa 100 posti ulteriori saranno necessari a Norfolk entro il 2011 perché le previsioni potrebbero portare alla formazione di siti illegali.

Per anni le famiglie viaggianti hanno vissuto nello squallore nel sito di Roundwell Park a Costessey.. D'altra parte, negli ultimi cinque anni il sito è stato trasformato.

Gloria Buckley, che controlla con suo marito Trevor, dice: "Quando arrivammo qui era come una zona di guerra. Era una brutta storia che durava da 20 anni e i cittadini non ci volevano. Le carovane sembravano porcilaie e c'era immondizia ovunque, ma pensavamo che potesse migliorare. Siamo arrivati qui cinque anni fa e abbiamo stabilito delle regole e detto alle persone che dovevano rispettarsi, loro ed i vicini. E' stata una lotta ma ha funzionato ed ora la gente che vive qua è orgogliosa del sito."

I Viaggianti pagano l'affitto, come anche le bollette. Quando la coppia arrivò, ogni blocco aveva i servizi di base, nessuna cucina e collegamento agli scarichi. Sono state spese £800.000 per riammodernare ogni blocco, tre quarti dei quali arrivarono dal Governo centrale ed il resto dal Consiglio Distrettuale di Norfolk.

Ognuno ha una spaziosa cucina, giardino e steccato, il sito ha un centro comunitario, che include una sala riunione ed un club pre-scolastico.

Dice Mrs Buckley: "Per anni la comunità viaggiante non ha ricevuto aiuti, quindi è tempo che la nostra comunità provveda in qualche modo. [...]"

Louie Gallagher, 55 anni, uno dei circa 40 residenti, dice: "Da quando sono arrivato tre anni fa non abbiamo avuto problemi. Vado all'ufficio postale e nei negozi ed ognuno è molto amichevole."

Glynis Gallacher, che vive nel sito con suo marito Bernard, dice: "C'è stato un massivo miglioramento del sito. Ci hanno dato la possibilità di stabilizzarci nella comunità, mandare i nostri bambini a scuola e far parte della vita pubblica di qui."

L'Assemblea Regionale dell'Inghilterra dell'Est stima che siano necessari altri 94 posti ed ha lanciato una consultazione pubblica.

[...]

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Di Fabrizio (del 02/03/2007 @ 10:19:50, in media, visitato 1577 volte)

Venerdì 2 marzo alle ore 22 sul canale satellitare 886 di SKY (oppure sintonizzandosi sul sito http://www.trsp.it) andrà in onda la trasmissione dal titolo "Il Senso della vita" sul tema:

"Il mondo dei Rom - uno sguardo socio politico"

ospiti in studio:

Alexian Santino Spinelli

Sergio Giovagnoli (ARCI Nazionale)

Nazzareno Guarnieri (ASS: Coopofficine)

Assessore Attilio D'Amico

Venerdì 16 marzo alle ore 22 sul canale satellitare 886 di SKY andrà in onda la trasmissione dal titolo "Il Senso della vita" sul tema:

"Musica e arte cinematografica"

ospiti in studio:

Alexian Santino Spinelli

Belli Walter (scenografo)

Luca Krstic (regista)

Gianni Di Claudio (regista)

Assessore Attilio D'Amico

Per info e contatti

tel. 0872 660099

cell. 340 6278489

http://www.alexian.it

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Di Fabrizio (del 01/03/2007 @ 09:37:52, in Italia, visitato 1688 volte)

26 febbraio 2007 | de Gabriela Mladin - da Roma Italia

[...] Circa 350 persone del villaggio rumeno di Rau de Mori, nella regione di Hunedoara, vivono in containers e roulottes alla periferia di Torino, ad 800 metri dal quartiere di Orbassano. Sette anni fa erano una decina; ma l'anno scorso un centinaio ha lasciato il villaggio in Romania ed il resto e si è unito al gruppo dopo l'ingresso nell'Unione Europea il 1 gennaio.

Nel villaggio di Rau de Mori vivono ora solo sei famiglie: gli anziani e quelli senza documenti.

I Rom nella colonia di Torino dicono di aver provato a cercare lavoro, ma non ci sono riusciti e così mendicano per sopravvivere.

Horia Munteanu e arrivato a Torino pochi giorni dopo aver celebrato il capodanno in Romania. "Ho preso la mia famiglia e sono arrivato qui, dove c'erano già dei nostri parenti. Viviamo assieme, come facevamo a casa, soltanto meglio. Anche se siamo lontani da casa, non ci siamo dispersi, siamo tutti in un posto. Sarei arrivato anche prima, ma non avevo il passaporto. Così, la differenza è stat che dopo il 1 gennaio abbiamo potuto arrivare in Italia con la carta d'identità. Siamo in 350 qui, tutti da Rau de Mori," dice Munteanu.

Patru Gaman spiega che: "La gente [in Romania] viveva della sicurezza sociale. Ma come si può vivere con 80 lei, 23 euro al mese!? Elemosinando agli angoli delle strade ricaviamo oltre 60 euro al giorno."

Il guadagno medio dall'elemosina parte da circa 30 euro al giorno, che portano i Rom a concludere che gli Italiani sono più generosi dei Rumeni.

"Siamo arrivati qui credendo che ci fosse lavoro per noi, ma nessuno ci ha cercato, così mendichiamo agli angoli delle strade. Gli Italiani sono brava gente, ci danno dei soldi, non come la gente a casa. Anche polizia e carabinieri sono bravi. Vengono ogni volta a controllare se qui abbiamo roba rubata, ma poi ci lasciano stare," spiega Ion Lega.

Nell'accampamento vicino a Torino, c'è chi sta meglio degli altri. Alcuni vivono in case mobili che hanno acquistato a 300 euro, altri preferiscono risparmiare per un container a  metà di quel prezzo. Il problema dell'energia elettrica è stato risolto collegandosi al sistema di illuminazione pubblica. L'acqua viene rifornita con contenitori, riempiti in città. [...]
 

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