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\\ Mahalla : VAI : conflitti (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 07/04/2013 @ 09:01:36, in conflitti, visitato 2005 volte)

Voice of America I Dom: rifugiati invisibili dalla Siria - Cecily Hilleary - March 22, 2013

Una famiglia dom si accampa, Turchia meridionale

Oltre 70.000 persone sono state uccise e centinaia di migliaia lasciate senza casa dalla guerra civile in Siria, che sta spargendo miseria tra tutti i gruppi etnici e religiosi della nazione.

Ma c'è una minoranza etnica che ha subito oltre la propria quota di sofferenza - sia durante i combattimenti odierni e nei secoli precedenti - e pochi fuori dalla Siria ne conoscono qualcosa. Il gruppo è quello dei Dom ed è presente in Siria da prima dell'impero ottomano.

Spesso etichettati col peggiorativo "zingari", i Dom prendono il nome dalla loro lingua, il domari, che significa "uomo". Si sono aggiunti all'esodo di cristiani, musulmani ed altri Siriani, rifugiatisi in Giordania, Libano, Turchia e altrove. Ma dovunque vadano, si trovano di fronte ad un benvenuto men che tiepido. Come ci ha detto una fonte: "Sono le persone più disprezzate del Medio Oriente."

Chi sono i Dom?

Complicati ed incompresi, i Dom sono presenti in Medio Oriente da almeno un migliaio di anni. La maggior parte delle informazioni su di loro proviene dalla lingua stessa, il domari, una variazione dell'hindi. E' simile al romanì, la lingua dei Rom europei, il che suggerisce una comune radice indiana.

Sia il romanì che il domari sono disseminati di imprestiti da altre lingue, riflesso di una storia di migrazione dall'Iran e altrove. A parte questo, si sa poco della loro origine - o manca l'accordo tra gli studiosi.

Durante il periodo ottomano, i Dom si spostarono liberamente in tutto il Medio Oriente come nomadi "legati al commercio", fornendo servizi alle comunità ovunque si insediassero. La caduta dell'impero ottomano in seguito alla I guerra mondiale, portò alla formazione degli stati nazionali con confini propri, cosa che limitò notevolmente i movimenti dei Dom.

In Siria, e altrove nella regione, vengono chiamati Nawar - probabilmente una parola derivata da "fuoco", riferita al loro lavoro tradizionale come fabbri ferrai. Ma negli anni la parola "Nawar" si è evoluta in peggiorativo, finendo coll'indicare una persona ignorante e incivile.

I Dom si differenziano anche in base alla regione abitata o al lavoro svolto. Ad Aleppo e Idlib, sono chiamati Qurbat e lavorano come fabbri o dentisti non diplomati. I cosiddetti Riyass vivono a Homs e Hama, dove vendono manufatti o come intrattenitori alle feste. Alcune donne, chiamate Hajiyat, danzano nei night di Damasco, mendicano o predicono il futuro.

I numeri

    "La popolazione ufficiale dom potrebbe essere superiore alle stime, perché molti di loro si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni." Kemal Vural Tarlan

E' quasi impossibile stimare la popolazione dom in Siria, in quanto spesso nascondono la loro identità per paura di essere stigmatizzati. Secondo International’s Ethnologue sarebbero 37.000 i Dom siriani che parlano il domari, assieme all'arabo. Ma per il giornale siriano Kassioun nel 2010 forniva il doppio di quel numero.

Kemal Vural Tarlan è un fotografo, documentarista, scrittore e attivista che si focalizza, dice, su quanti vivono ai margini della società, principalmente Dom e Rom. E' anche autore del sito Middle East Gypsies.

Dice che i Dom sono visti come estranei e intrusi, perciò sono quasi universalmente discriminati, Quindi spesso nascondono la loro origine etnica, attraverso ciò che chiamano la capacità dell'invisibilità, che li aiuta a spostarsi dentro e fuori le comunità.

La popolazione dom ufficiale potrebbe essere di parecchio superiore alle stime, perché molti Dom si descrivono come Curdi, Arabi o Turcomanni," dice Tarlan. Qualunque sia il loro numero, ne vivono in Siria più che da qualsiasi altra parte del Medio Oriente.

Fotogalleria

 
Dom rifugiati in Turchia

La Turchia è stata la patria degli "zingari" sin dall'epoca bizantina, e nel 2005 l'ACNUR stimava la popolazione Rom-Dom in 500.000. Kemal Tarlan ha passato diverso tempo nelle ultime settimane sul confine, per documentare l'afflusso dei Dom dalla Siria. I Dom si sono insediati nelle città della Turchia meridionale di Kilis, Gazientep and Shanliurfa.

"Inizialmente hanno potuto registrarsi nei campi profughi ufficiali," dice, "ma ora non è più possibile, perché sono pieni."

Alcuni Dom sono andati ad abitare con el famiglie in città. Quelli che non hanno un posto dove andare, vivono in tenda come nomadi. Tarlan dice che ricevono poca assistenza dal governo, così mendicano per sopravvivere o cercano lavoro nei campi.

"Ma la maggior parte è disoccupata," dice, e questo ha portato a tensioni locali. Recentemente, dopo che i cittadini di Shanliurfa hanno iniziato a lamentarsi dell'aumento dei piccoli furti, le autorità hanno smantellato e dato alle fiamme un'improvvisata tendopoli. I mezzi di comunicazione si riferivano a loro come "i Siriani". Ma Tarlan dice che la maggior parte erano Dom.

Nel Libano

    "Vivono tutti in condizioni disastrose. Non trovano lavoro, eccetto che nel riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che sopravvivere." Catherine Mourtada, Tahaddi

Con Beirut a sole 65 miglie di distanza, molti Dom da Damasco sono scappati in Libano. Catherine Mourtada è cofondatrice di Tahaddi (Sfida) una OnG che offre assistenza ai diseredati di Beirut, tra cui ci sono molti Dom.

"Sono esclusi dal normale sistema scolastico, anche perché non soddisfano i criteri di ammissione o perché le scuole pubbliche sono piene. Così, vengono da noi," dice Mourtada.

Mourtada ha visto crescere il numero dei Dom provenienti dalla Siria, che cercano di rimanere presso i loro parenti libanesi.

"Sono già molto poveri, e ora devono accogliere altri membri della loro famiglia molto poveri, che arrivano dalla Siria, quindi per loro è molto dura. Vivono tutti in condizioni terribili," dice. "Non trovano lavoro, eccetto che nel riciclo destinato alla discarica: alluminio, ferro o cartone; giusto di che sopravvivere."

In alcuni casi, i Dom di Beirut sono costretti a mandare via i loro parenti siriani. "Così devono trovare da qualche parte una stanza in affitto. Sono fortunati se riescono a trovare un bagno o acqua corrente," continua Mourtada.

Dato che in Libano non ci sono campi profughi ufficiali, come invece in Giordania o in Turchia, Mourtada dice che i Dom hanno iniziato ad insediarsi in tendopoli nella valle della Bekaa.

In Giordania

Nel 1999, Amoun Sleem fondò la Domari Society, un centro culturale ed educativo nel quartiere di Shu'fat a Gerusalemme Est. Dom lei stessa, racconta di aver sperimentato sulla propria pelle la discriminazione, la marginalizzazione culturale e la povertà che per molti Dom sono il risultato dell'analfabetismo.

Dice: "Ogni volta che un disastro colpisce il Medio Oriente, nessuno si da pensiero di quale sarà l'impatto sui Dom."

Sleem aggiunge di aver ricevuto notizie su molti Dom rifugiati che vivono nel campo di Zaatari o nelle sue vicinanze, a Mafraq, in Giordania. Sta tentando di ottenere un permesso per visitare il campo, ma per questo sta incontrando diverse difficoltà. Nel contempo, sta cercando di incoraggiare le famiglie Dom giordane ad ospitare i rifugiati.

"Non è molto facile," dice, "ma se accadesse, sarebbe davvero una cosa molto buona."

 
Di Fabrizio (del 13/01/2013 @ 09:06:47, in conflitti, visitato 1249 volte)

Giovedì 17/01 a Torino

E' passato poco più di un anno da quando, a fine 2011, la bugia di una ragazza, che aveva raccontato di essere stata violentata da due Rom, è diventata la scusa per trasformare la Continassa di Torino in un vero e proprio Pogrom. Pochi giorni dopo Sandra ritrattò, spiegando di aver avuto paura, ma da allora i riflettori continuano ad accendersi e spegnersi ai margini dei margini del capoluogo torinese, sullo sfondo di uno Juventus Stadium che ha una parte nella storia di intolleranze e di razzismi molto simile a quella di altre città italiane.

Una storia complessa e articolata, perfettamente raccontata da due tra le migliori esperte della materia: Carla Osella, sociologa, pedagogista e scrittrice, appartenente alla Comunità delle Figlie di S. Angela Merici e membro del Comitato Nazionale di Servizio di RnS, che cammina accanto a rom e sinti da oltre 40 anni, attraverso l'AIZO, Associazione Italiana Zingari Oggi, e Mara Francese, docente di Antropologia Culturale nella Facoltà di Lingue e Letterature Straniere di Torino, in cui svolge anche attività di ricerca sui movimenti migratori e sull'identità, nonché consigliere circoscrizionale proprio alla Continassa.

Il risultato di questo fortunato incontro è il Pogrom della Continassa, nuova uscita della collana TRACCE di sabbiarossa ED, in distribuzione in questi giorni, che verrà presentato in anteprima nazionale il prossimo giovedì, 17 gennaio, alla libreria Coop di piazza Castello 113 a Torino, ore 18. Nelle 152 pagine, corredate da tavole a colori per esaminare la percezione dei bambini torinesi nei confronti del popolo Rom, sarebbe stato facile transigere ad accuse o denunce. La scelta delle autrici, invece, è stata quella di far parlare i fatti e le persone, lasciando ai lettori la possibilità di stabilire da che parte stanno torto e ragione. Il volume, rilegato con cucitura a mano, in filo refe, con bandelle laterali, è impreziosito dall'immagine originale di copertina, realizzata, come ogni cover di sabbiarossa EDIZIONI, dall'artista torinese Caterina Luciano, che ha scelto, per la collana TRACCE, la tecnica dei diorama. Sarà presente anche lei, con gli editori, al battesimo ufficiale del libro che inaugura il 2013.

Nel blog Il Pogrom della Continassa, si legge, tra i tanti contributi, quello di Marius: «Vorrei sognare come tutti e svegliarmi al mattino in una casa riscaldata, poter prendere il caffè seduto su una sedia comoda. Vorrei che i miei figli potessero frequentare ogni giorno la scuola, avere un lavoro bello e importante, in cui impegnarsi. Vorrei aver studiato da bambino ed essere capace di leggere e scrivere, vorrei poter sognare come i miei coetanei, che vedo passare per le strade, ma non posso sognare.
Perché? Io non posso svegliarmi al mattino al caldo, perché abito in una baracca alla periferia di una grande città, se voglio che sia riscaldata sono obbligato ad alzarmi ed accendere il fuoco, e se non ho messo la legna sotto una tettoia, l'umidità della notte la bagna. Se voglio fare il caffè, devo avere acceso il fuoco, se mi siedo devo fare attenzione che la sedia, raccolta di recupero, non si rompa sotto il mio peso»
.

Ulteriori approfondimenti sul sito della casa editrice, www.sabbiarossa.it

 
Di Fabrizio (del 07/01/2013 @ 09:02:59, in conflitti, visitato 1458 volte)

Contropiano.org di Marco Santopadre

Un deputato di Alba Dorata guida il secondo assalto in pochi mesi contro un quartiere abitato da rom nel comune di Etolikon. La polizia arresta quattro nazisti e ne ricerca altri nove.

Continuano gli attacchi degli squadristi di Alba Dorata contro gli immigrati e le minoranze presenti in Grecia. L'ultimo assalto risale a venerdì, nella località di Etolikon, nell'ovest del paese. Una settantina di persone, tra cui alcuni abitante del piccolo comune, con il volto coperto da passamontagna o comunque incappucciati, hanno attaccato un quartiere abitato in prevalenza da rom, ed hanno incendiato sei case e quattro automobili. Non si ha notizia di feriti nell'attacco, anche perché all'arrivo della squadraccia neofascista la maggior parte degli abitanti del quartiere aveva abbandonato le proprie case.

A fornire la scusa ai neonazisti per il pogrom una lite, avvenuta poco prima, tra due abitanti del paese e due rom, durante la quale un 24enne era rimasto ferito. Poco dopo la Polizia aveva arrestato e portato in commissariato i due cittadini di origine rom. Ma il tam tam aveva portato decine di persone davanti al commissariato, e presto il presidio si è trasformato in spedizione punitiva.

Molti abitanti di Etolikon tendono a sminuire la gravità di quanto accaduto, definendola una questione locale, una resa dei conti interna al piccolo centro. Ma molti testimoni affermano che all'aggressione hanno partecipato parecchi militanti di Alba Dorata, tra questi anche un deputato della formazione neonazista al Parlamento di Atene, Konstantinos Barbarusis, da tempo attivo contro i rom. Il che fa pensare che il pogrom fosse stato organizzato in precedenza, in attesa di qualche occasione per poterlo mettere in pratica. Nel mese di agosto, nello stesso comune di Etolikon, si era già verificata un'aggressione di massa contro il quartiere abitato dai rom, e quella volta a parteciparvi furono addirittura 200 persone, furono usate anche armi da fuoco e ci furono 5 feriti tra gli aggrediti. Al deputato squadrista Barbarusis il parlamento aveva già deciso di ritirare l'immunità parlamentare dopo che nell'autunno era stato riconosciuto mentre partecipava ad una delle tante aggressioni contro i venditori ambulanti di cui Alba Dorata si è resa protagonista negli ultimi mesi.

Ed oggi la polizia greca ha arrestato quattro dei responsabile del pogrom anti rom di venerdì a Etolikon, e ha avvertito che altri nove potrebbero essere fermati nelle prossime ore.

 
Di Fabrizio (del 08/11/2012 @ 09:03:27, in conflitti, visitato 1805 volte)

Rassegna stampa (immagine da gijobs.com)

Panico tra le popolazioni a nord e a sud, per l'arrivo di pericolosi extraterrestri... anche se la loro presenza è documentata almeno dal 1422. Le potenti truppe italiche, intervenendo immantinentemente e con sommo sprezzo del pericolo, mantengono il controllo della situazione. Il presidente Obama, interpellato sull'ipotesi di un intervento USA, ha risposto di avere altre gatte da pelare. (DISCLAIMER: nessun gatto è stato maltrattato per questo annuncio)


ROMAGNAnoi - RIMINI - Blitz di carabinieri in un accampamento di nomadi. L'alta concentrazione di Rom e Sinti presenti l'altro giorno in città ha messo in allarme la popolazione e di conseguenza i carabinieri che sono intervenuti per controllare che tutto fosse in ordine. Alle 13 e 10 di sabato scorso, a seguito di una mirata attività informativa svolta sul territorio, i carabinieri del nucleo radiomobile di Rimini, delle stazioni di Santarcangelo e Viserba sono intervenuti a Santarcangelo di Romagna dove erano stati segnalata la presenza cospicua di camper e roulotte di nomadi nelle aree di sosta adiacenti alla città.

I carabinieri, in maniera oculata, hanno svolto un capillare controllo del territorio finalizzato ad identificare le persone che sostavano. L'attività permetteva di individuare che si trattava per lo più di giostrai giunti nella città clementina in occasione della festività dei morti e della tradizionale fiera di San Martino che si svolgerà nel prossimo week end. I controlli permetteva ai militari di effettuare un monitoraggio preciso dei componenti familiari che effettivamente sostano nelle aree industriali, artigianali e nelle adiacenze del cimitero. Questa azione di verifica e prevenzione sul territorio proseguirà incessantemente anche nei prossimi giorni e fino all'evento fieristico.


La città DI SALERNO - Ancora zingari in città. Nuovo campo nomadi nel piazzale retrostante lo stadio comunale Pastena, in piazza Pozzo, e, come da copione, arriva la protesta dei residenti. Dopo l'intervento delle forze dell'ordine per convincere alcuni gitani a cambiare locazione circa due settimane fa, il problema si ripropone con una nuova tribù, ancora più numerosa della precedente, che ha trovato collocazione alle spalle dell'impianto di viale Barassi. Il gruppo di zingari si trova nella zona da due giorni. Secondo alcuni abitanti del quartiere, si tratterebbe di almeno una ventina di unità e sei di mezzi, tra cui roulotte ed autovetture.

Diversi residenti del quartiere Taverna delle Rose avrebbero già fornito informazioni utili al comando di Polizia municipale di Battipaglia. Gli agenti, coordinati dal comandante Gerardo Iuliano, dovrebbero attivarsi nelle prossime ore. I medesimi residenti avrebbero poi intenzione di richiedere al comando di Polizia municipale un maggior controllo della zona e magari l'installazione di una telecamera da collegare all'impianto generale di videosorveglianza.

Un dispositivo per la ripresa e la registrazione delle immagini è già presente in viale Barassi, nel piazzale antistante lo stadio Pastena. La richiesta degli abitanti è di installare una telecamera anche nella zona retrostante l'impianto, dove solitamente trovano rifugio i gitani di passaggio.


OK, non c'è neanche la notizia. Ho pubblicato il tutto solo per la coincidenza di aver letto di seguito i due articoli lunedì scorso, sperando di evitare una qualsiasi psicosi.

A proposito di psicosi... mettete insieme un articolo di settimana scorsa, la provincia profonda e una misteriosa macchina rossa. Ecco una notizia di mercoledì scorso:

L'Eco di Caserta - ROCCAMONFINA (Caserta) – Ma cosa sta succedendo nel paese roccano? Da giorni un’auto rossa circola in paese in cerca di bambini. Qualche settimana addietro, nella vicina Teano, mentre una mamma era intenta ad aggiustare la maglietta al figlioletto, degli uomini, verosimilmente zingari, si avvicinano alla signora e stavano prelevando il bambino più piccolo dalla carrozzina, fortunatamente il fratellino più grande si è accorto ed ha iniziato ha strillare mettendo in fuga i malfattori. Un altro caso è successo qualche giorno addietro a Roccamonfina quando ad un bambino della locale scuola media, mentre usciva dalla scuola dopo il solito orario, si è avvicinata un’auto rossa con a bordo gli stessi uomini che inequivocabilmente erano zingari, si sono avvicinati al bambino invitandolo ha salire sull’auto che lo avrebbero accompagnato a casa dai genitori. Il bambino, memore delle raccomandazioni dei genitori, spaventato rifiuta l’invito senza dare per nulla ascolto ai due uomini, così corre, raggiunge casa e racconta l’accaduto ai genitori. A questo punto crediamo che le forze dell’ordine devono dare risposte ai cittadini per far si che nei paesi torni la tranquillità.


Per terminare, vorrei riconoscere il merito a quell'articolo di settimana scorsa che, coscientemente o meno, sembra aver innescato questa nuova spirale di terrore e fantascienza:

Il fattaccio "sembra" sia avvenuto a Corsico, in realtà si "sarebbe" svolto a Pieve Emanuele, i carabinieri competenti quindi sono quelli di Rozzano e non di Corsico (ndr: siamo nella periferia sud-ovest di Milano).

Tralascio gli scontati giudizi sull'imparzialità del Giornale:

  • Si accenna addirittura ad un colpo di pistola, è possibile che nessun altro riporti la notizia?
  • Come mai a distanza di una settimana nessuno ne ha più parlato?
  • Oltre metà dell'articolo è composto da ipotesi, segnalazioni già smentite in passato e dati che non c'entrano niente col caso segnalato. Tutto finalizzato all'affermazione che appare a metà scritto "Suggestioni? Mica tanto"
  • L'idea è che più che di rapimento, si parli di "rapimenti percepiti"
 
Di Fabrizio (del 04/10/2012 @ 09:18:07, in conflitti, visitato 1505 volte)

Da Hellenic_Roma

France24 Incontro tra un villaggio ed i Rom sfocia in violenza

Un incontro per discutere i problemi legati alla popolazione rom nel piccolo villaggio di Anthili, mercoledì (12 settembre, ndr.) si è trasformato in una vera e propria rissa, da noi documentata.

L'incontro era stato convocato dal sindaco la Lamia, la vicina città sotto la cui amministrazione ricade Anthili. Due settimane prima, il sindaco aveva chiuso un grande campo rom a nord di Lamia, cosa che aveva causato un afflusso di famiglie ad Anthili.

In Grecia ci sono circa 250.000 Rom. Sparsi in tutto il paese, vivono soprattutto ai margini delle città. Alcuni di loro mantengono vive le loro tradizioni ed abitudini nomadi. Molti però hanno adottato uno stile di vita urbano e sedentario. I Rom nomadi che vivono nei campi tendono a vivere ai margini della società e frequentemente sono vittime di discriminazioni..

L'alloggio è un problema ricorrente per questa comunità. Molti Rom vivono in tende piantate su terreni che non appartengono loro, da cui vengono a volte sgomberati a forza.

Foto e video del nostro Observer.



CONTRIBUTO di Nick Parmenopoulos
"La crisi economica ha alimentato l'odio dei greci contro i Rom"

Nick Parmenopoulos vive a Lamia e scrive per il sito di news alternative Altpress Fthiotida. Ha girato diversi video sugli scontri di Anthili.

    I Rom del villaggio non sono stati invitati all'incontro, ma hanno deciso lo stesso di partecipare. Hanno ritenuto che fosse perfettamente normale perché si parlava di loro. Ma quando sono arrivati al municipio, degli abitanti esasperati hanno sbarrato loro la strada, e da qui è nata una rissa. Una dozzina di componenti di Alba Dorata [partito della destra radicale sempre più popolare a seguito della crisi economica, nota dell'autore] li attendeva per arrivare allo scontro. Tuttavia il loro leader ha detto loro di non farsi coinvolgere. Alba Dorata era presente all'incontro perché un consigliere comunale aveva chiesto loro di fornire il servizio d'ordine, ma di limitarsi ad osservare. Alla fine, è intervenuta la polizia a porre fine alla rissa. Fortunatamente, non ci sono stati feriti gravi.

    Un discreto numero di abitanti è arrabbiato non solo con i Rom, ma anche contro il sindaco George Kotronias, per avere ordinato la chiusura del campo a nord di Lamia, localmente noto come Xireas. In questo campo abbandonato vivevano circa 200 famiglie rom, alcune da oltre tre decenni. Una volte cacciate, molte di queste famiglie sono andate in cerca di parenti o amici che avevano acquistato casa alla periferia di Anthili. Circa venti famiglie erano state in grado di acquistare casa, vent'anni fa, per i sussidi allora forniti dall'Unione Europea.
    Tra quanti hanno preso parte alla riunione, molti si sono lamentati del numero crescente di bambiuni rom nelle classi, e di come questi tendessero ad essere sporchi, malati, ecc. Il preside ha provato a spiegare che, legalmente, questi bambini rom avevano lo stesso diritto di frequentare la scuola di qualsiasi altro bambino, cosa che ha sollevato grida indignate.
    Il sindaco ha segnalato durante l'incontro di aver chiamato un avvocato per organizzare la rilocazione in un nuovo campo dei Rom arrivati di recente. Ma ho visto questo campo e potrebbe accogliere soltanto dalla dieci alle quindici famiglie...

    La crisi economica ha alimentato l'odio dei Greci verso la comunità rom. Molti Greci sono convinti che non solo i Rom siano ladri - cosa che personalmente penso riguardi solo una minoranza di loro - ma che traggano anche vantaggio dai programmi assistenziali del governo. Ma le misure di austerità adottate dal governo greco nei mesi scorsi hanno notevolmente ridotto questi sussidi.
    Ed ora ad Anthili stanno prendendo piede le voci più folli. I Rom stanno dicendo che centinaia di membri di Alba Dorata vorrebbero attaccarli e bruciarli vivi. Ma ci sono anche voci che i Rom attaccheranno il villaggio. In sintesi, tutti hanno paura di tutti.

Il sindaco George Kotronias si rivolge agli abitanti del villaggio di Anthili.


Approfondimento: da Giornalettismo del 17 settembre 2012

 
Di Fabrizio (del 01/10/2012 @ 09:18:32, in conflitti, visitato 2218 volte)

Realizzato con la collaborazione di Davide Zaccheo

L'ENNESIMO ATTO BARBARICO DI ALEMANNO E BELVISO NEI CONFRONTI DEI ROM DI TOR DE CENCI di Davide Zaccheo

foto di Serena Masci durante le operazioni di sgombero (cliccare sull'immagine per scaricarla a grandezza personale)

La mattina del 28 settembre 2012 un dispiegamento di forze della polizia municipale di Roma Capitale affiancati da tre cellulari della polizia di stato, due pullman da 50 posti cadauno adibiti al trasporto di persone, due camion con sopra due ruspe per la demolizione, irrompevano senza preavviso nel campo nomadi di Tor de Cenci a Roma e procedevano sotto gli occhi dei bambini che erano già saliti sul pullman del comune di Roma che li avrebbe portati a scuola, alla demolizione dei container rimasti e al trasferimento delle restanti 170 persone del campo. Di fronte ad una azione cosi minacciosa tutti i bambini sono scesi dal pullman per rimanere con le loro famiglie.

Tutto ciò all'indomani della sentenza di primo grado del Tar che annullava il ricorso fatto da alcune famiglie rimaste al campo alla fine di luglio in seguito alla consegna dell'ordinanza di sgombero da parte del sindaco Alemanno e dopo il trasferimento nel nuovo campo nomadi della Barbuta della maggioranza dei rom residenti.

La notte tra domenica 23 e lunedì 24 un'intera comunità di bosniaci che erano stati trasferiti alla Barbuta un mese e mezzo prima, aveva fatto ritorno a Tor de Cenci dopo aver denunciato pubblicamente le minacce dal gruppo storico residente nel nuovo campo situato tra il Comune di Roma e quello di Ciampino. Questo gruppo ha dormito per circa 5 giorni all'aperto sulle stesse piazzole dove erano situati i container che il comune gli aveva demolito. I loro figli non sono andati a scuola per circa una settimana a causa della mancanza di acqua per lavarsi.

Le ruspe hanno abbattuto i container delle famiglie rimaste davanti agli occhi inermi dei bambini del campo. Gli agenti della polizia municipale di Roma Capitale non hanno usato nessun tipo di precauzione, il tutto è avvenuto dall'inizio alla fine davanti ai bambini e alle donne che piangevano.

Monsignor Enrico Feroci, direttore della Caritas Diocesana di Roma, intervenuto durante le demolizioni ha gridato "Barbari" a chi in quel momento dirigeva le operazioni al fine di radere al suolo il campo. Un volontario della comunità di Sant'Egidio e due operatori dell'Arci Solidarietà venivano fermati e identificati dalla polizia municipale semplicemente perché stavano scattando delle fotografie durante l'abbattimento dei container.

Oltre al danno anche la beffa. Ai rom rimasti senza container è stato comunicato il trasferimento temporaneo in un centro di accoglienza del Comune di Roma dove dovranno restare per circa 10 giorni in attesa che finiscano i lavori dell'area di Castel Romano dove dovrebbero essere trasferiti definitivamente e dove già vivono 900 rom.

Nel centro di accoglienza i rom sono stati sistemati in due stanzoni con brande e materassi. Le condizioni di vita del centro sono ai limiti della decenza, con bagni chimici e docce poste all'esterno dell'edifici. Tra loro ci sono donne incinte, una anziana di 80 anni malata di cuore e una donna sempre anziana da poco uscita dall'ospedale a causa di un ictus.

I Rom di Tor de Cenci trasferiti nel centro di accoglienza del comune di Roma hanno deciso per Lunedì 1 ottobre 2012 uno sciopero della fame per protestare contro le condizioni disumane i cui sono stati collocati, condizioni che calpestano qualsiasi tipo di diritto umano fondamentale.

    Pensavamo che fosse la solita giornata: ..... arrivi al campo e li trovi l'autobus o comunque arriverà, sai che a breve all'orizzonte vedrai i primi bambini che sorridendo gioiosi entusiasti ti corrono incontro, questa mattina il rituale non è stato completato.
    Il primo fotogramma: tre cellulari della polizia, e un silenzio spezzato dalle sirene prima in lontananza e poi sempre più assordanti, all'improvviso sul volto dei bambini espressioni attonite e di smarrimento, per loro quella doveva essere una mattina uguale a tante altre, si sale sull'autobus e si va a scuola; ma cosi non è stato. Lo spettacolo ignobile che è stato allestito davanti ai loro occhi si è aperto con l'arrivo di un mezzo pesante che dotato di braccio meccanico si è accanito sulle loro "case" e le ha ridotte in macerie senza dare il tempo sufficiente per portare fuori tutta la loro vita e ad ogni "casa" che veniva giù, le espressioni sui visi dei bambini sempre più marcate attonite spaurite, e spaventate e il pianto che via via aumentava.
    Nessuno si è soffermato a spiegare loro cosa stava succedendo e perché con tanto accanimento stavano abbattendo le loro case, tutto è avvenuto nella più totale indifferenza. Nessuno si è fermato a prestare la doverosa e appropriata attenzione a quei bambini, la stessa attenzione che si presta a qualsiasi altro bambino che vive però al di la del cancello che delimita il confine tra degno di tutela e indegno di esserlo. Nessun gesto di rassicurazione di sostegno di supporto per attenuare il pesante carico di un avvenimento che loro non riescono a comprendere a pieno perché si percepiscono dei bambini come tanti altri; e chi e con quale coraggio riuscirebbe a guardargli negli occhi e dirgli visto che sei uno zingarello/a non puoi abitare troppo vicino a noi, mai dalle labbra di nessuno uscirebbero tali parole, ma quello che è avvenuto davanti ai loro occhi anche se non è stato detto e stato fatto, sempre nella più totale imperturbabilità.
    Quello che chi non era li non vedrà mai e a cui nessun blog darà mai rilievo saranno gli occhio colmi di lacrime di quei bambini, la giovane madre costretta a cambiare il pannolino di suo figlio sul parabrezza di una macchina, le lacrime che scendono sul volto delle giovani donne che sotto gli occhi impauriti dei loro figli preparano velocemente un enorme fagotto, l'espressione attonita della giovane madre che stinge tra le braccia la sua secondogenita nata solamente una settima addietro, che con lo sguardo inquieto cerca il marito per trovare rassicurazioni dopo che gli viene detto che deve abbandonare la sua casa, l'anziana donna che non parla una parola di italiano che con il viso affranto si porta le mani alle tempie e ripete da prima a voce alta quattro o cinque parole fino a quando il fiato non gli si strozza in gola; e quando tutto è concluso enormi fagotti sparsi in diversi punti, e intere famiglie sedute accanto che si guardano intorno e attendono di essere deportate al centro di accoglienza. Queste sono immagini che pesano, e pesano ancor di più visto che l'istituzione che doveva garantire e tutelare questi bambini con assoluta impassibilità ha predisposto una azione fredda e rapida e senza preavviso, incuranti delle ripercussioni sui bambini dovuti alla privazione di punti di riferimento e dei luoghi in cui sono nati e cresciuti e di cui si sentono ormai parte.
    Sotto il cumulo di lamiere non ci sono solo utensili vestiti giochi ma anche i diritti fondamentali e inviolabili dei bambini e adulti a cui per l'ennesima volta non viene data voce, e che per l'ennesima volta vengono calpestati sempre nella più completa indifferenza.

Tor de' Cenci, i rom alla Fiera di Roma "Da lunedì sciopero della fame"


Infanzie che non tornano:

E' stato tanti anni fa, ero ancora bambino (un bravo bambino, allora). Sotto casa mia il cantiere della metropolitana in costruzione, poco più in là una fabbrica che stava per essere demolita. Io, tre anni, passavo i pomeriggi incantato a guardare i camion e le ruspe al lavoro.
Oggi, 50 anni dopo, la ruspa è tornata a trovare un bambino di 3 anni, a Tor de Cenci. Poi se n'è andata, forse a cercare qualche altro bambino.
A Tor de Cenci, i piccoli vagano tra le macerie, cercando qualcosa da salvare. Tra cocci di vetro e pezzi di plastica, una scarpa, un quaderno strappato, un orsacchiotto di peluche con un occhio solo, il cuscino del nonno, quello straccio con attaccate due perle forse era il vestito da sposa della sorella più grande. Accendini, l'altoparlante della radio, una busta con dentro i documenti... la lunga fatica per essere normali che anche stavolta si muta in fumo.

Fabrizio Casavola

Nel frattempo in Francia, a Marsiglia, i soliti BRAVI CITTADINI davano alle fiamme un insediamento rom. La foto è tratta da TeleFrance1, e tutto sembra legarsi, qualcosa di già visto, già sentito, già odorato, dimenticato troppo in fretta.

 
Di Sucar Drom (del 29/09/2012 @ 07:47:23, in conflitti, visitato 1399 volte)

da U VELTO venerdì 28 settembre 2012
Il comunicato della Caritas di Roma e della Comunità di Sant'Egidio sullo sgombero del "campo" di Tor de Cenci avvenuto poche ore fa.

Questa mattina Vigili urbani e polizia di Stato sono arrivati in gran numero presso il "campo nomadi" di Tor de Cenci per realizzare lo sgombero di persone e cose. Senza avvertire preventivamente, senza chiudere l'area, senza allontanare le persone che vi abitavano, hanno iniziato a distruggere i container che fungevano da oltre 15 anni da abitazioni per i rom.

Le ruspe hanno distrutto uno dopo l'altro i circa 50 container collocati lì dalle precedenti amministrazioni e pagati con soldi pubblici. Le ruspe hanno distrutto tutto davanti agli occhi dei bambini che in quelle "case" avevano dormito fino ad un ora prima, esterrefatti, arrabbiati, atterriti, piangenti. Stamattina si erano preparati per andare a scuola - il pulmino li attendeva - ma la storia è andata in altra direzione. Il pianto di quei bambini è un macigno sulla coscienza di chi ha voluto e realizzato lo sgombero in questo modo indegno di una città considerata per secoli communis patria.

I responsabili delle operazioni hanno detto ai rom che saranno trasferiti per una settimana in un centro di accoglienza allestito in modo provvisorio e successivamente nel campo di Castel Romano, sulla via Pontina, dove vivono già oltre 900 Rom.

Sono mesi che si discute del piano nomadi, che ci si confronta su alternative, arrivando anche a ricorsi legali. Posizioni che, su alcuni punti, vedono l'amministrazione capitolina molto distante dalla sensibilità delle organizzazioni che lavorano per l'integrazione dei rom. Quello che ci preme oggi non è tornare su questi argomenti, ma denunciare il modo violento e incivile con cui è stato urlato agli abitanti del campo di andare via e la fretta con cui si è dato seguito allo sgombero senza programmare pronte alternative dignitose. Ciò che colpisce è il trattamento riservato ai minori, di fronte ai quali è stato inscenato uno spettacolo non degno di un'amministrazione di un Paese civile, capitale di uno stato fondatore dell'UE e patria del diritto.

Ciò a cui hanno assistito stamane in prima persona il Direttore della Caritas di Roma, monsignor Enrico Feroci, e i volontari della Comunità di Sant'Egidio presenti al campo è qualcosa che non appartiene alla nostra cultura e al rispetto dei diritti umani e del fanciullo, che vorremmo non appartenesse alla nostra amata città di Roma.

Abbiamo un'amara certezza: se ci fossero stati altri bambini in quel campo invece dei bambini Rom le modalità, le attenzioni, il linguaggio, sarebbero stati altri.

Non possiamo non ricordare in questa triste circostanza le parole di don Bruno Nicolini, scomparso il 17 agosto scorso dopo una vita spesa al fianco dei rom:
"Chi mai pensa che un nomade sia una persona da prendere sul serio? Chi pensa che il nomade possa essere un santo? Chi pensa che possa essere una persona con cui discuto dell'educazione comune dei nostri figli? Lo zingaro è soltanto un tipo a cui dare qualcosa con molto sospetto, la società lo ha già giudicato. Ma cosa sappiamo di lui? Di quando viene svegliato nel cuore della notte per essere sgomberato. Di quando le loro mogli non vengono accettate negli ospedali per partorire. Come possono crescere i bambini vedendo i rappresentanti dello Stato solo per essere mandati via dalle città?"

 
Di Fabrizio (del 14/08/2012 @ 09:13:27, in conflitti, visitato 1876 volte)

Da Hungarian_Roma

The Contrarian Hungarian "Abbiamo attaccato gli zingari e ne siamo fieri" Manifestazione dell'estrema destra a Devecser sfocia in violenza - 8 agosto 2012
Foto ufficiale della manifestazione, dell'Hungarian News Agency - fotografo Lajos Nagy.

C'è curiosamente poca o nessuna copertura sui media ungheresi riguardo al comportamento violento dei gruppi razzisti - alla luce del giorno e di fronte alle telecamere - in un villaggio ungherese il fine settimana scorso.

Quindi, la storia che seguirà non è soltanto su una manifestazione organizzata dal terzo più grande gruppo parlamentare in Ungheria, durante la quale, ancora una volta hanno reso lampante quanto siano vicini alle milizie di estrema destra che abitualmente incitano alla violenza razzista.

Però, è anche una storia sulla mancanza di copertura da parte dei mezzi di informazione, riguardo la più scandalosa agitazione dell'estrema destra ungherese, senza che nessuno di loro fosse personalmente presente a testimoniare la sconcertante crescita di audacia con cui questi gruppi politici rinfocolano i conflitti etnici nei villaggi del paese. Succede sempre più spesso che i media ungheresi rifuggano dal fornire rapporti corretti sul comportamento criminale dei politici di Jobbik e dei suoi alleati paramilitari. Da ciò ne deriva uno dei recenti sviluppi nella retorica dell'estrema destra: vale a dire la loro applicazione piuttosto liberale del concetto di "autodifesa" per giustificare il loro clima intimidatorio e razzista - ed in questo caso - i violenti attacchi alle minoranze. Nel contempo la polizia e gli apparati giuridici stanno a guardare.

Ma torniamo alla storia. La citta di Devecser aveva già ottenuto attenzione internazionale durante il disastro del fango rosso nel 2010 quando, assieme a Koontár, fu una delle diverse città sfortunate inondate dai rifiuti caustici dei materiali tossici conservati nell'impianto di alluminio di Ajka (vedi Wikipedia, ndr.).

Ora, due anni dopo, l'estrema destra si concentra sulla città non perché il risanamento ambientale resta incompiuto, ma perché vuole una dimostrazione di forza contro ciò che loro chiamano l'inazione della polizia contro i vicini rom. Le violenze sembrano aver seguito questo argomento, precipitando in un avvertimento, nella forma di una manifestazione dell'estrema destra, sponsorizzata da un partito, di forza collettiva contro tutti i residenti rom della città.

Jobbik, organizzatore ufficiale dell'evento, vi ha incluso conosciute organizzazioni estremiste e paramilitari violente. Assieme, hanno portato nella cittadina un numero considerevole di simpatizzanti di estrema destra: ne sono arrivati circa 1.000 in una città di 5.000 residenti. La Nuova Guardia Ungherese (Új Magyar Gárda), L'associazione Guardia Civile per un Futuro Migliore (Szebb Jövőért Polgárőr Egyesület), Movimento Giovanile 64 Contee (Hatvannégy Vármegye), Forza di Difesa (Véderő), Guardia Motociclistica (Gárda Motorosok) ed Esercito Fuorilegge (Betyársereg), ognuno con i suoi simpatizzanti (come è stato recentemente chiarito da un tribunale ungherese, dal punto di vista giuridico questo tipo di collaborazione è per loro la più vantaggiosa: assieme, non possono essere ritenuti responsabili di atti criminali specifici durante le proteste; tuttavia, è difficile stabilire responsabilità individuali, con così tanti gruppi presenti).

Jobbik era rappresentata da tre parlamentari: Gábor Ferenczi, Szilvia Bertha e Balázs Lenhardt.

Il rapporto più completo su quanto accaduto viene dalla testimonianza oculare di un collaboratore del blog ungherese Kettős Mérce (Doppio Standard):

Gábor Ferenczi di Jobbik ha iniziato i discorsi. Ha detto di volere pace, ordine e sicurezza a Devecser, e che questa manifestazione è sul diritto degli ungheresi all'autodifesa, perché gli ungheresi possano difendersi e gli zingari assumersi le loro responsabilità.

Ferenczi si è rivolto in particolare al sindaco di Devecser, il quale aveva detto in precedenza alla stampa che la manifestazione di Jobbik non era necessaria. Ferenczi ha esortato il sindaco a non rivolgere le sue parole contro gli ungheresi "normali", invece di ergersi contro i "criminali". Ferenczi ha anche detto di non voler più sentire alcuna lamentela, specialmente nulla di più su furti e truffe degli zingari di Devecser. Se ci dovessero essere problemi di ogni sorta,ha detto di chiamare la Forza di Difesa [Véderő, gruppo paramilitare coinvolta anche nell'occupazione di Gyöngyöspata l'anno scorso]. Ha sottolineato che c'è bisogno della reintroduzione della pena capitale, e dicendo che se i problemi non cesseranno, ci saranno altre manifestazioni.

Dopo è stato il turno di László Toroczkai di 64 Contee [persona più volte accusata, ma mai condannata, di atti terroristici]. Ha iniziato il discorso dicendo che gli ungheresi hanno tre possibilità: immigrare, diventare schiavi "degli zingari" o rimanere e combattere; in questo caso chi fosse stato infastidito "dall'ungarità" doveva andarsene. Ha detto che ci sono zingari e criminalità zingara in tutto il paese e che "dovunque questo gruppo etnico sia presente, si mostrano distruzione e devastazione." Secondo lui, gli zingari vogliono sterminare gli ungheresi, e se vogliono combattere allora bisogna lottare contro di loro, non ci sono altre possibilità. Ha aggiunto anche che gli ungheresi o combattono o diventeranno vittime.

In seguito, è stato lasciato il microfono a  Attila László dell'associazione Guardia Civile per un Futuro Migliore [una manifestazione di questo gruppo ha segnato l'inizio di un lungo periodo di tensioni etniche a Gyöngyöspata l'anno scorso]. "Tutta i rifiuti devono essere spazzati fuori dal paese," ha detto nell'apertura.

Secondo lui, ci si deve ribellare e cacciare tutti i criminali, ed organizzarsi in ogni comunità - per questo, c'è bisogno di tutti gli "ungheresi militanti". In conclusione, ha definito l'autodifesa come "un istinto che arriva alla formulazione durante le emergenze e che viene poi seguito da un'azione cosciente."

Dopo i discorsi, ha avuto luogo il corteo: i manifestanti si sono recati alla casa della famiglia da proteggere per cui erano convenuti. Mentre il testimone arrivava alla casa della famiglia - probabilmente sostenitori di Jobbik o organizzatori locali del partito - i manifestanti cantavano:

"Siete nessuno!" "State per morire, zingari, state per morire qui!"

A questo punto, è iniziata una seconda serie di interventi, il primo di Zsolt Tyirityán (Esercito Fuorilegge - Betyársereg), che ha parlato di guerra razziale e pulizia etnica. "Gli zingari hanno la criminalità nel codice genetico," ha detto. Per rafforzare il concetto, ha aggiunto che sono i "sionisti" a dirigerli per andare contro la legge. "Mi considero un razzista," ha detto Tyirityán, "ed ho intenzione di ergermi per non lasciare spazio vitale ad un'ulteriore razza." "La spazzatura codificata geneticamente dev'essere sterminata dalla vita pubblica." "Stiamo per debellare questo fenomeno, dev'essere estirpato dalle nostre vite."

Successivamente, l'autore del blog ha proseguito verso una casa di amici.

La casa si trovava lungo il percorso dei manifestanti, che sono arrivati poco dopo. "Stavano gridando diversi slogan razzisti ed intimidatori, il mio braccio destro è stato colpito prima da una bottiglia d'acqua e pochi secondi dopo da un più grande pezzo di cemento. Mi sono fatto da parte prima di essere colpito alla testa... Siamo entrati nella casa attraverso il cortile. Nel frattempo, attorno a noi piovevano letteralmente altri pezzi di cemento e bottiglia d'acqua. Entrati in casa abbiamo dovuto chiudere le persiane, perché anche le finestre erano un obiettivo. In casa c'erano molti bambini.

"Una volta che se ne furono andati, ci siamo avventurati fuori dalla casa, scoprendo che avevano fatto lo stesso a molte case abitate dagli zingari." Anche Ferenczi, deputato Jobbik, era tra i feriti. "Davanti alle abitazioni c'era molta polizia, ma è successo lo stesso."

Ne filmato seguente viene ripreso l'incidente all'esterno della casa dove vive la famiglia rom. Lunedì sono stato in grado di vedere un versione più lunga del filmato, preparata da una delle derivazioni di estrema destra - ma quel video (della lunghezza di circa 6') sembra essere stato rimosso da internet. Tuttavia, grazie al blog Egyenlítő si possono ancora guardare su internet i 25 secondi riguardo all'incidente:

Quanto sopra è stato confermato in seguito da un mezzo d'informazione di estrema destra.  Quanto registrato effettivamente non comprende alcune delle citazioni peggiori. Se si dovesse presentare una causa penale per istigazione al conflitto etnico, si dovrebbe far valere questa interazione, disponibile sul video realizzato da ATV. Anche se non si riesce a rendersi conto della dimensione reale della folla, a partire dal minuto 1.08 il discorso si traduce così:

"Che ne pensate, secondo voi ci sono segni di una guerra razziale in questo paese?" - chiede l'oratore alla folla (Zsolt Tyirityánof di Esercito Fuorilegge).
"Sì!" urla la folla dietro di lui.
"Secondo voi, ci sarà un'escalation del conflitto in base alla razzia o all'etnia?"
"Sì!"
"Allora mandiamogli un messaggio!"

Ed i fatti contestati non riguardano, difatti, i partecipanti alla manifestazione! Sono orgogliosi del "successo" della loro protesta unificata. Come scrivono nel titolo di un loro rapporto: "Siamo stati noi ad attaccare gli zingari, e ne siamo fieri."

Questo è quanto è avvenuto a Devecser, nelle parole dell'estrema destra:

"La marcia era guidata dai selvaggi combattenti di Betyársereg, che non conoscono paura, con le loro impressionanti bandiere nere, che non mancano mai di incutere paura al nemico. Dietro di loro seguivano le file disciplinate delle [64] Contee. Il corpo principale era composto da civili e membri di Jobbik, mentre il corteo terminava con Migliore Futuro e le Guardie. Gli ungheresi hanno fatto scappare gli zingari più volte. Prima, presso la casa dove è avvenuto lo scontro [si parla di fine luglio]. C'era un cordone di poliziotti a tutela della strada degli zingari e, dietro di loro, 5-6 zingari erano fermi ad osservare gli ungheresi, ma quando i Fuorilegge hanno caricato - passando attraverso il cordone poliziesco- gli zingari sono fuggiti. I mezzi della polizia hanno bloccato gli ungheresi penetrati nella via degli zingari. Il corteo è proseguito, ma in un'altra strada con molti zingari, ci sono stati ulteriori scontri."

"Gli [epiteto razziale] facevano capolino da dietro il recinto di pietra di una casa abitata da zingari. Stavano registrando lo svolgimento del corteo con una cinepresa rubata chissà dove. E' seguita una discussione tra loro e i manifestanti. Infine, è stata lanciata una bottiglia d'acqua, che ha colpito uno [epiteto razziale] in testa, dopodiché da dietro il recinto hanno lanciato una pietra contro la folla. Ne è seguita una tempesta di pezzi di mattoni, pietre e cemento, che hanno cacciato gli zingari dentro casa. Gábor Ferenczi, membro del parlamento per Jobbik, è stato ferito durante l'incidente - probabilmente colpito alla testa da uno zingaro (ha richiesto le cure nel vicino ospedale di Ajka).

"La polizia non era sul posto, è arrivata dopo, non sono riusciti a gestire la situazione, molti di loro avevano paura. Se il pogrom non c'è stato, non è dipeso da loro. Al momento, gli ungheresi erano assolutamente superiori."

La questione dell'autodifesa e della ferita a Ferenczi è importante per i media: in quanto parlamentare, richiama sufficientemente l'attenzione delle redazioni (con la sua testa ferita, è l'immagine perfetta per un rapporto accattivante). Secondo l'estrema destra, è stato ferito da una bottiglia d'acqua. Sempre secondo la ricostruzione dell'estrema destra, c'è stata una pietra lanciata dalla casa dove si erano prima rifugiati gli abitanti, quando il recinto era stato assalito. Osservando il video, prima che sparisse da internet - tranne il frammento riportato, dall'interno non sono state lanciate pietre. Ma l'incidente, tutto sommato, è un atto di autodifesa: un atto istintivo che si è tradotto in un'azione cosciente e coordinata. Difesa: dalla criminalità codificata geneticamente degli zingari, naturalmente. Cercando un buco in questo solido argomento.

Si potrebbe pensare che quanto sopra potrebbe far riflettere qualsiasi organizzazione attenta al rispetto delle notizie. Tuttavia la storia termina con le tristi note degli eventi che hanno avuto luogo il 5 agosto a Devecser, nell'interpretazione dei principali giornali, tanto governativi che di opposizione.

Quanto segue, ora, è la traduzione parola per parola del rapporto completo su questo "incidente" pubblicato dal più diffuso quotidiano di sinistra in Ungheria:

Il deputato Gábor Ferenczi, rappresentante Jobbik per il distretto di Veszprém, ha chiesto il ripristino della pena capitale, durante un evento organizzato domenica dal suo partito a Devecser dove, secondo le stime del deputato, erano presenti un migliaio di persone.

La manifestazione, dal nome "Vivi e lascia vivere: manifestazione per la legittima autodifesa ungherese," si è tenuta con la partecipazione di Jobbik e di numerose organizzazioni della destra radicale. E' partita dalla piazza di fronte alla chiesa cattolica, dopodiché i manifestanti hanno marciato per le strade in cui pensavano vivessero gli zingari.

A Devecser, città diventata famosa durante il disastro dei fanghi rossi e che conta 5.000 abitanti, Gábor Ferenczi ha dichiarato che il loro obiettivo non è la discriminazione su base etnica, quello che vogliono a Devecser è pace, ordine e sicurezza. "Vivi e lascia vivere in questo comune: è quanto chiediamo ai nostri compatrioti zingari."

Il deputato ha chiesto il rafforzamento della stazione di polizia a Devecser, dopodiché ha sottolineato che nel paese avvengono sempre più brutali atti criminali. Ha dichiarato di chiedere il ripristino della pena di morte, "come deterrente per respingere e prevenire questi crimini."

László Toroczkai, presidente del Movimento Giovanile 64 Contee, ha richiamato i partecipanti a non lasciare il paese ed il loro suolo natale, e non farsi cacciare.

Sfilando dopo il comizio i partecipanti sono sfilati davanti alla casa dove alla fine di luglio avevano avuto luogo una discussione e una rissa, che hanno fornito il motivo della manifestazione.

La polizia ha messo in sicurezza la manifestazione con un cordone, che i dimostranti hanno cercato più volte di rompere. In un'occasione, hanno ingaggiato un lancio di oggetti con i locali, in questo frangente Gábor Ferenczi è stato ferito ad una tempia. Imre Orbán, vicepresidente di Jobbik per il distretto di Veszprém, ha informato l'Agenzia Ungherese delle Notizie che la ferita di Gábor Ferenczi è stata medicata nel locale ospedale di Ajka; la pietra che l'avrebbe colpito, secondo la loro versione, sarebbe stata lanciata dal cortile di una delle case."

Il giornale di sinistra ha preso la storia dal lancio di agenzia: non un giornalista è stato assegnato alla storia (questa sembra sempre più la strategia della stampa ungherese: seguire quanto pubblicato dall'Agenzia Ungherese delle Notizie). Parola su parola, il rapporto sopra riportato si ritrova altrove su diversi media.

Con l'eccezione di alcuni giornali pro-governativi, che fanno affidamento sulla controversa segnalazione di Hir TV. Nel suo resoconto, il canale televisivo conservatore afferma che la testa di Ferenczi è stata colpita da "fuoco amico": la bottiglia d'acqua che l'ha colpito proveniva dai suoi. Ma dato che ciò ha scatenato un grande chiasso da parte dei portali di estrema destra, hanno ritrattato la dichiarazione originale. Questa la versione stampata alla fine, nella sua interezza:

La manifestazione tenuta da Jobbik e dalle organizzazioni di estrema destra vicine, si è conclusa senza gravi incidenti. Due persone durante il corteo sono svenute per il caldo.

La folla ha marciato verso la casa dove nelle scorse settimane c'era stata una rissa tra due famiglie, una ungherese e l'altra zingara, legate tra loro da una lunga faida. Alcuni hanno gettato bottiglie d'acqua contro la casa, da cui sono usciti alcuni rom per strada, ma la polizia ha posto velocemente fine a questo. Gábor Ferenczi di Jobbik è stato colpito con un pezzo di cemento. Precedentemente, il parlamentare aveva tenuto un discorso, in cui dichiarava di essere venuto con intenzioni pacifiche, ma che se nel comune non fosse migliorata la sicurezza, sarebbero tornati. Il politico ha chiesto un rafforzamento della stazione di polizia nella città già colpita dalla catastrofe dei fanghi rossi. Le autorità hanno controllato l'evento con un significativo spiegamento di forze.

Andrebbe oltre lo scopo di questo post già troppo lungo, purtroppo, commentare la questione a portata di mano: quanto è avvenuto a Devecser è incitamento alla guerra etnica e razziale.

Il punto è esattamente sul come e perché l'estrema destra ungherese sta guadagnando terreno in Ungheria. Dalla sola lettura di media e giornali questa storia non esisterebbe quasi. Quando se ne fa menzione, viene distorta nel profondo: distante dalla furia liberata di gruppi razzisti in una lontana città ungherese, si racconta di un raduno con "intenzioni pacifiche".

Il compito appare difficile: non si tratta soltanto della lotta legale, politica e sociale contro l'estremismo, ma anche contro il silenzio e la disinformazione.

 
Di Fabrizio (del 30/07/2012 @ 09:17:21, in conflitti, visitato 1623 volte)

Famiglia Cristiana Furono almeno 500 mila i rom vittime della furia nazista. Un tema su cui esiste ancora un vuoto storico, denuncia l'Opera nomadi. La testimonianza di Goffredo Bezzecchi.
Goffredo Bezzecchi, rom originario di Postumia, porta la sua testimonianza.

27/01/2012 Porrajmos, in romanes, significa "devastazione": è il nome con cui rom e sinti ricordano lo sterminio, di cui anche loro sono stati vittime. Le cifre degli storici parlano di almeno 500 mila zingari uccisi, ma per qualcuno si può arrivare al milione. «Su questo tema c'è un enorme vuoto storico», sottolinea Maurizio Pagani, dell'Opera nomadi di Milano, «nessuno finora ha fatto un tentativo di ricostruzione seria e i testimoni diretti ormai sono pochissimi, poiché la vita media di un rom è inferiore rispetto a quella di un italiano».

Tra i sopravvissuti, c'è Goffredo Bezzecchi detto Mirko, rom harvato nato a Postumia di Grotte (Trieste), da madre rom e padre gagio (termine che in lingua romanes indica i non-rom) «sposati regolarmente in chiesa», ci tiene a sottolineare. Era bambino quando il padre partì soldato e non fece più ritorno, non riesce nemmeno a ricordarne il volto. Con la madre si trasferirono dal nonno, un fabbro stimato dai contadini della zona, che in cambio gli davano pane, patate e qualche soldo. «Una sera, uno di loro venne ad avvisarci di scappare, perché quella notte sarebbero venuti a bruciarci la casa. Facemmo appena in tempo: vedemmo la casa in fiamme». Dì lì iniziò una lunga fuga a piedi, fino a Udine, sotto i bombardamenti. «Ricordo le urla di mia madre, che mi nascondeva dietro la sua ampia gonna perché io non vedessi i cadaveri a pezzi. Una volta, hanno preso due dei nostri ragazzi, ci hanno obbligati a scavare una fossa, fuori da un cimitero, li hanno legati col fil di ferro, gli hanno sparato e li hanno buttati dentro. Una notte, io e il mio amico dormivamo sotto un carro, sono arrivati due tedeschi ubriachi e ci hanno sparato. Mia madre ha urlato vedendomi, ma il sangue che schizzava a frotte era del mio amico, che è morto dissanguato la mattina dopo... C'era anche gente che ci aiutava, qualcuno ci dava da dormire nella stalla, a proprio rischio, e ci offriva un po' di polenta».

A Udine, anche Goffredo e la sua famiglia vengono catturati. Finiscono alla Risiera di San Sabba, a Trieste, poi vengono mandati nel campo di Teramo. «Mia zia invece è finita ad Auschwitz. Č tornata, dopo la guerra, ma non era più normale; non si poteva parlare di ciò che era successo, perché lei cominciava ad urlare». A Teramo, Goffredo e i suoi vengono rinchiusi in baracche fetide, senza latrine, senza possibilità di lavarsi, senza cibo. «Eravamo pieni di pidocchi, arrivò anche il tifo». Da lì vengono spostati a Lipari, poi in Sicilia. Riescono a scappare, raggiungono Genova e nel frattempo la guerra finisce. «Ci cercavano perché siamo rom. Certo. Č come oggi. Non lo dicono, ma è come una malattia: tu, zingaro, sei sempre l'ultimo. Le mie figlie lavorano regolarmente, ma nessuno sa chi sono!».

Giusy Baioni

 
Di Fabrizio (del 11/07/2012 @ 09:20:03, in conflitti, visitato 1651 volte)

Uno degli arrestati (foto renna) Repubblica.it
I provvedimenti riguardano il clan dei Casella Circone. Il rogo risale al dicembre del 2010. Tra le accuse l'aggravante dell'odio razziale

Diciotto persone, appartenenti al clan camorristico Casella-Circone attivo nell'area orientale di Napoli, sono state arrestate in un'operazione congiunta di carabinieri e polizia. Sono ritenute responsabili, a vario titolo, di associazione di tipo mafioso, tentato omicidio, estorsione e danneggiamento seguito da incendio, reati aggravati dal metodo mafioso e da finalità di odio razziale.

Nel corso di indagini coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli i carabinieri della Compagnia di Poggioreale e gli agenti della squadra Mobile hanno documentato gli affari illeciti del clan, soprattutto estorsioni a imprenditori della zona, identificato personaggi dediti alla ricettazione e al riciclaggio di auto rubate, nonché accertato, scoprendone i responsabili, i motivi dell'incendio appiccato a un campo nomadi il 2 dicembre 2010 per finalità di odio razziale. Gli affiliati volevano infatti distruggere il campo per evitare che i bambini nomadi continuassero a frequentare le stesse scuole dei figli.

 
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