Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
-

\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 01/05/2007 @ 10:26:05, in Europa, visitato 2519 volte)

Da Czech_Roma

Strasbourg, France, April 18 (CTK) - Il rapporto del Consiglio d'Europa (CE) sullo stato dei diritti umani in 46 stati, critica la Repubblica Ceca e la Slovacchia per il trattamento riservato ai Rom.

I principi della CE richiedono l'azione giudiziaria in periodi ragionevoli. Giustizia dilazionata significa giustizia negata, dice il rapporto.

Oltre a Cechi e Slovacchi, vengono criticati altri 19 paesi, inclusi Francia, Germania, Bretagna, Italia, Grecia e Polonia.

Casi di spostamenti forzati di famiglie rom sono registrati in numerosi paesi CE [...] Il rapporto aggiunge che il Tribunale Europeo sui Diritti Umani riguardo la Repubblica Ceca e la Slovacchia è particolarmente preoccupato per la segregazione scolastica dei bambini Rom nelle scuole ceche e per la sterilizzazione forzata o senza consenso in Slovacchia.

Il rapporto ricorda che esistono tre priorità CE, che si applicano anche per i Rom, e che sono la protezione delle minoranze, la lotta al razzismo e all'intolleranza, e la lotta contro il mantenimento ai margini della società.

Il paese che ha ottenuto più critiche è stato la Russia.

 
Di Fabrizio (del 11/05/2007 @ 10:33:41, in Europa, visitato 2350 volte)

Cinque magistrati del Tribunale Costituzionale negano la pensione d'anzianità ad una gitana, anche se suo marito ha usufruito della sicurezza sociale per vent'anni.

Unión Romaní denuncerà questa violazione al Tribunale Europeo dei Diritti Umani come pure davanti al Tribunale della Giustizia dell'Unione Europea.

Ugualmente si rivolgerà al Presidente del Governo ed al resto dei leaders parlamentari per affrettare una riforma legislativa che renda possibile il riconoscimento del matrimonio celebrato secondo le tradizioni gitane.

Oggi è un giorno particolarmente triste per la comunità gitana spagnola, perché cinque Magistrati del Tribunale Costituzionale hanno rifiutato il ricorso di Amparo perché potesse essere girata a María Luisa Muñoz Díaz  la pensione d'anzianità che le era negata dalla Sicurezza Sociale. Di fronte a questa triste e deludente sentenza un altro Magistrato, tra i sei che integrano l'Alto Tribunale, ha votato a favore di Maria Luisa, con un tipo di voto particolare che costituisce un testo di gran valore per tutti noi.

Al fine di ricordare quanto è avvenuto nella storia della marginalizzazione gitana, ricordiamo i Magistrati che hanno lasciato questa povera gitana senza pensione: don Pablo Pérez Tremps, che è stato l'autore materiale di questa disgraziata sentenza. Assieme a lui hanno votato contro gli interessi di Maria Luisa e dei suoi figli, doña María Emilia Casas Baamonde, don Javier Delgado Barrio, don Roberto García-Calvo y Montiel, e don Manuel Aragón Reyes.

Chi si è opposto alla Sentenza è stato il Magistrato don Jorge Rodríguez-Zapata Pérez, - che Dio doni alla sua famiglia salute e libertà - che da oggi occuperà un luogo di affetto e rispetto tra tutti i gitani spagnoli e del mondo.

La Commissione Permanente della Unión Romaní, riunita con carattere di urgenza, ha ritenuto di rendere pubblico il proprio dolore e malessere per quello che considera un peso ingiusto e non necessario, realizzato da quanti dovrebbero manifestare un maggior grado di sensibilità per la legittima difesa degli interessi dei più deboli. La Camera Alta del Tribunale Costituzionale non è stata all'altezza dei tempi correnti e la Sentenza si iscriverà tra i testi più riprorevoli contro il nostro popolo.

Osserviamo, come non potremmo fare altrimenti, questa infame Sentenza, sapendo che oggi i nostri figli e domani i nostri nipoti, studieranno questo testo e lo situeranno tra le pratiche che durante i secoli hanno impedito la piena incorporazione del nostro popolo nel resto della società. 500 anni fa le autorità di allora ci condannavano alla galera, cercando il nostro sterminio. Oggi, cinque Magistrati del Tribunale Costituzionale hanno condannato a morire di fame una povera vedova gitana perché essendosi sposata con rito gitano, non ha diritto alla pensione d'anzianità.

[...]

Noi, membri della Giunta Direttiva di Unión Romaní, facciamo nostro il voto del Magistrato don Jorge Rodríguez-Zapata Pérez, di cui vogliamo sottolineare alcuni passaggi:

RIASSUNTO del voto del Magistrato don JORGE RODRÍGUEZ-ZAPATA PÉREZ, sentenza del 16 aprile 2007, ricorso di amparo n. 7084/2002 interposto da doña María Luisa Muñoz Díaz

Questa è la realtà

1.- Doña María Luisa Muñoz Díaz è di nazionalità spagnola, però appartiene all'etnia gitana. Reclama la pensione d'anzianità del suo defunto sposo, don Mariano Dual Jiménez, con cui si sposò in territorio spagnolo con rito ancestrale gitano nel novembre 1971. Don Mariano era muratore e lavorò per conto terzi sino alla sua morte nel dicembre 2000. Usufruì della Sicurezza Sociale per 19 anni, tre mesi e otto anni, che corrisponderebbero per doña María Luisa a 903,29 € mensili di pensione, riconosciuti da Sentenza, poi revocata, dal Giudicato Sociale nº 12 di Madrid. Doña María Luisa e don Mariano erano titolari di un Libretto Familiare dall'11 agosto 1983, che constatava la nascita dei loro sei figli nati nei quasi trent'anni della loro relazione coniugale; ad ottobre venne loro riconosciuto il titolo di famiglia numerosa nº 28/2220/8 della categoria 1ª. Don Mariano era titolare della cartella della Sicurezza Sociale nº 28/2098958/66, da cui figurano senza dubbio come beneficiari tanto doña María Luisa come i loro sei figli.

 
Di Fabrizio (del 13/05/2007 @ 10:19:33, in Europa, visitato 1862 volte)

Da Roma_Daily_News

La moglie di Sarkozy ha parzialmente origini Rom

Sembrerebbe che il padre di Cecilia Ciganer-Sarkozy fosse un Rom di Balti (attuale Repubblica di Moldavia) con cittadinanza rumena, come riportato nella stampa di Romania e Moldavia. Wikipedia (versione inglese) riporta che era di una famiglia mista rom e rumena.

Biografia

Cécilia Sarkozy (nome originario Cecilia María Sara Isabel Ciganer-Albéniz, è nata il 12 novembre 1957 a Boulogne-Billancourt) è la moglie del neo-eletto presidente francese Nicolas Sarkozy.

Suo nonno era Rumeno e Rom (da qui il soprannome spagnolo di Ciganer)...

continua

 
Di Fabrizio (del 21/05/2007 @ 09:46:42, in Europa, visitato 3693 volte)

Da Roma_Shqiperia

POLITEIA

Il popolo Rom vive in Albania da 600 anni. Originario dell'India, si ritiene che siano arrivati da tre strade differenti: dalla Turchia, dalla Grecia e dal Montenegro. Ci sono in Albania tre ceppi differenti, che parlano la stessa lingua ed hanno medesime tradizioni e cultura. In Albania esiste tolleranza etnica e religiosa ed è per questo che qui i Rom vivono pacificamente. Si stima in 120/150.000 la loro popolazione, con una concentrazione nel sud-est del paese. Non esistono dati ufficiali o studi sul popolo rom.

Prima del 1990 la situazione dei Rom era simile al resto della popolazione albanese. Lavoravano in diversi settori dello stato e il reddito delle loro famiglie era sullo stesso livello del resto della popolazione. D'altra parte, dopo il 1990 la situazione dei Rom è via via diventata critica; la maggior parte ha perso il lavoro a causa delle privatizzazioni dell'industria statale. Il processo di democratizzazione che si è sviluppato in Albania nel periodo di transizione ha causato una catastrofe economica per le famiglie rom. Tra i fattori che hanno influenzato la condizione dei Rom, la competizione nel mercato commerciale e lavorale e la migrazione. Attualmente il 90% dei Rom in Albania è disoccupato. Alcuni di loro lavorano in proprio nel commercio [...]. La Banca Mondiale mostra che la spesa media mensile di una famiglia Rom è di $ 199, che il 40% delle famiglie vive in cattive condizioni e che soltanto il 20% ha un'entrata sufficiente a comperare medicine. Esistono poi difficoltà nel beneficiare della politica assistenziale.

Una delle principali ragione sull'incapacità di competere nel crescente mercato libero è il basso livello di scolarizzazione. L'analfabetismo tra i Rom è cresciuto nel periodo di transizione. La percentuale di analfabetismo è del 52,4%; tra le donne è del 56,5% e tra gli uomini del 48,3%. Circa il 40% delle famiglie chiede ai loro bambini di lavorare per assicurare i bisogni primari ed è questa la principale ragioni per cui non frequentano la scuola.

Un altro problema emergente sono le cattive condizioni abitative. Parte delle loro case sono state distrutte dal governo con la promessa di ricostruirle, ma sinora questo tema non è stato risolto. Il risultato è che vivono in case di fortuna o direttamente per strada.

[...] Durante il periodo di transizione i Rom hanno avuto diversi problemi messi in evidenza dai media. In genere i media trattano i Rom in maniera positiva, ma ci sono anche stati casi di disinformazione; i Rom sono accusati per atti di criminalità, per esempio, perché sono un soggetto facile, incapace di difendersi adeguatamente.

Sulla base di una ricerca condotta dalla Banca Mondiale, il governo albanese ha approvato una Strategia Nazionale per il periodo 2003-2015 per innalzare le condizioni di vita dei Rom. Questa Strategia opererà in campi differenti [...] Diverse OnG rom hanno approvato ed accettato questa Strategia, e contribuito alla sua implementazione. Ma diversi Rom sono disillusi del Ministro responsabile, perché intanto sono passati quattro anni e il budget disponibile è insufficiente. Le OnG stanno facendo pressione perché il budget sia assicurato per i prossimi 8 anni. Un'altro problema che ha sollevato proteste è che alcune associazioni hanno abusato del sistema chiedendo per loro denaro a nome dei Rom.

[...]

Ramazan Mile and Alma Lleshi, Albanian Roma Union ‘Amaro-Drom’, Tirana

 
Di Daniele (del 30/05/2007 @ 09:00:40, in Europa, visitato 2853 volte)

Da La Stampa

Italia, arriviamo
In viaggio con i Rom

In Romania vivo con due euro al giorno. "Con mezz'ora di elemosina guadagno di più"

BRUNO VENTAVOLI
INVIATO A CRAJOVA (ROMANIA)
Violeta ha trentanove anni ed è già nonna. E’ stata espulsa dall'Italia perché il «permesso di soggiorno era scaduto». Avrebbe voglia di ritornare, e se riuscirà a mettere da parte un po’ di soldi ritenterà l’avventura. Ma più di 2-3 euro al giorno, con lavori saltuari, non tira su. Bastano appena per sfamarsi. Violeta è una rom, una di quei due milioni e mezzo che vivono sparsi per la Romania, dalle profonde campagne alle metropoli. Abita a Crajova, nel sud, città della Valacchia circondata da una pianura piatta e immensa. Gli abitanti sono oggetto barzellette, come da noi i carabinieri. E il 5% circa appartengono alla minoranza rom. Di qui partono quelli che arrivano a Roma, perché ogni zona della Romania alimenta un flusso migratorio verso una particolare città italiana.

Senza frontiere
Un tempo venire all’Ovest era arduo. Prima bisognava bucare la cortina di ferro, poi i confini di Schengen. Ora che non ci sono più frontiere basta avere i soldi per il viaggio. I rom del duemila sono infatti cittadini dell’Unione, che votano, che aspirano ad avere diritti, a coltivare la propria identità, anche se non hanno mai posseduto una patria loro e non hanno mai combattuto (forse unici al mondo) guerre per conquistarla o difenderla. E possono muoversi liberamente, come qualunque abitante della nuova Europa, di quella povera, che spera in un futuro migliore in Occidente e crea allarme sociale per i difficili processi di integrazione nelle nostre metropoli che scoppiano di stranieri. Hanno un passaporto romeno, che oggi, nel bacino carpatico, vale moltissimo. Ma null’altro. Perché nella Romania che corre selvaggia verso il capitalismo, dove vedi capre che pascolano accanto a concessionarie di Porsche, spesso sono più poveri dei poveri romeni. Naturalmente ci sono anche gli intellettuali, i politici, i sindaci, gli imprenditori rom. Ma sono ancora pochissimi. E se in Italia va male, in mezz’ora a lavare vetri, si guadagna come un mese.

I soldi
Per arrivare in Italia servono 250-300 euro. Racimolarli, qui, non è facile. Spesso te li fai prestare da un amico. E poi glieli restituisci. «Senza interessi», ci assicurano. Quando hai la somma parti. E se qualcuno pensa ancora alle carovane degli «zingari» (termine politicamente scorretto e offensivo), che si spostano nomadi con carabattole e misteri, si sbaglia di grosso. Ora si viaggia in auto o nei pulmini. L'appuntamento è in qualche piazza della città. Poi via, lungo le strade strette, malsicure, che reggono tutto il traffico tumultuoso della Romania (ancora povera d’autostrade), tra lenti tir inquinanti e Suv che sfrecciano in sorpassi pericolosi.

La prima tappa è l'Ungheria. «Ogni tanto c'è qualche problema al confine - dice Ion, esperto di viaggi italiani -. Magari trovi un poliziotto che fa storie. Se vogliono, qualcosa che non funziona c'è sempre e ti fanno aspettare anche 24 ore. Ma se allunghi 50 euro le grane scompaiono. E fino all’Italia fila tutto liscio». Perché i rom vogliono venire nel nostro Paese? Non servono sociologi per capirlo. Basta andare alla periferia di Crajova, dove vivono i rom più poveri. Non ci sono «campi», né nomadi, né roulotte, come molti potrebbero pensare guardando le sistemazioni precarie dell’Italia, ma una lunga teoria di piccole casette d’un paio di stanze. Costruite con materiali di recupero, misere, sbreccate, ma anche colorate e pulite nell'interno. Le strade sterrate s'insinuano tra palizzate di legno. Di automobili non c’è quasi traccia, solo cavalli e carretti di legno.

La parabola sul tetto
Alcune abitazioni hanno la parabola della tv, molte invece sono prive di elettricità e acqua corrente. Chi è fortunato scava dei piccoli pozzi intorno a casa. Non ci sono gabinetti, ma buchi nella terra coperti da gabbiotti d'assi. Mihai ha quattro figli, una moglie, due figli. In questo periodo va nei campi, è un bracciante tuttofare. Sette o otto ore di lavoro per 3 euro al giorno. «L'Italia? Certo che ci vorrei andare. Perché lì mangerei tutti i giorni». Graziano, invece, vive bene. Fa il macellaio, ha un buon stipendio. Ha fatto studi economici, adora il «suo» paese, la Romania, e non pensa ad emigrare. In Italia c'è stato, ma solo per andare a matrimoni o «per vedere il Colosseo e il Vaticano». «Per i rom poveri, però, non è così - spiega -. Loro vivono in condizioni pietose. Sanno che in Italia la vita nei campi è dura. Ma una roulotte laggiù, per quanto distrutta, è meglio che qui».

Pitei, suo cugino, è stato in Italia qualche mese. Ora è tornato a Crajova. «Perché qui vivono i miei figli e i miei parenti - spiega -. Molti della mia gente vorrebbero svegliarsi al mattino sapendo di avere un lavoro. Se ci aiutassero ad avere case decenti, ad avere un lavoro in Romania, nessuno partirebbe per andare all'estero. Io guadagno bene, ho comprato una bella macchina, ma quando esco resto soltanto un rom e questo certe volte pesa».

La legge
I rom sono una minoranza tutelata formalmente dalla legge romena, come quella magiara in Transilvania. Esistono organi istituzionali per garantire diritti, accesso al mercato del lavoro (con «quote rom»), all’università, ma nonostante i tentativi del governo, persistono grandi differenze socioeconomiche. E questo, mescolato alla secolare diffidenza verso quel popolo senza terra che andava contro tutte le certezze e i valori dell'Occidente, aumenta l'emarginazione, i sospetti, le tensioni nella pratica quotidiana.

«Non possiamo entrare nei locali - ci dice Graziano - su 60 ristoranti, possiamo frequentarne appena tre. Niente piscine e neppure discoteche. E i giovani questa situazione non la tollerano». Per un bisticcio tra una guardia privata e un rom all'entrata di un locale, qualche mese fa, c'è stata anche una notte di proteste e risse. Ovviamente i romeni smentiscono le discriminazioni. Il governo lo fa ufficialmente, temendo bacchettate dalla Ue. I cittadini che trovi per strada, o ai tavolini di un McDonald's, lo fanno invece con ardore e aneddoti. E per convincerti ti portano a vedere le strade dove vivono i rom ricchi, che hanno aperto negozi e imprese, o sono tornati dall’estero con i soldi, e poi si costruiscono grandi ville «che nemmeno i romeni hanno».

I rom di Crajova sono in stretto contatto con i parenti di Roma. Li sentono almeno tre volte la settimana tramite cellulari. Sanno che l'Italia non è un paradiso? E che cresce l'insofferenza dopo i fattacci di cronaca nera che hanno visto i rom protagonisti in negativo? «Be' forse siamo troppi e gli italiani hanno ragione ad essere arrabbiati perché quello è il loro Paese - dice Graziano -. Però noi abbiamo il diritto di muoverci, la nuova Europa non ha barriere. La maggior parte di noi vuole venire in Italia per lavorare. Chi vive qui in miseria ha diritto di sognare una vita migliore, di provarci. I criminali esistono dappertutto, tra i rom, ma anche tra i romeni e gli italiani».


5 DOMANDE A MASSIMO CONVERSO, OPERA NOMADI

Massimo Converso, presidente dell’Opera nomadi, ci sono oltre due milioni di Rom - solo dalla Romania - liberi di venire all’Ovest. Per l’Italia sarà un problema?
«Sì, perché il governo si è fatto trovare impreparato. Non dispone di consulenti nelle comunità Rom, malgrado l’Opera nomadi insista da anni sulla necessità di avviare un dialogo».

La soluzione dei «grandi campi» di accoglienza funzionerà?
«I megacampi aumenteranno i fenomeni di devianza. Si è visto chiaramente, a Roma, sulla via Pontina: favoriscono la criminalità, l’evasione scolastica, la tossicodipendenza».

Che cosa suggerite, voi dell’Opera nomadi, per affrontare il problema?
«Lo Stato italiano dovrebbe intervenire sul fronte degli affitti agevolati, aiutare i Rom dell’est, che sono abituati da decenni a vivere in case monofamigliari, a trovare abitazioni. La cosa peraltro già avviene, da Mazara del Vallo a Merano, con una buona integrazione con la popolazione italiana. In Italia, soprattutto nel sud, ci sono vecchi paesini quasi abbandonati. Potrebbero essere ripopolati dai Rom. La possibilità esiste, occorre la volontà politica. Bisogna anche offrire ai Rom la possibilità di lavorare. Noi suggeriamo di sostenere la nascita di cooperative, di sviluppare il commercio ambulante e i mercati dell’usato che appartengono alla loro tradizione, legalizzare i musicisti di strada, aiutare i gruppi che fanno la raccolta dei rifiuti differenziata».

Insistete anche su interventi all’estero.
«L’Italia dovrebbe investire nei Paesi d’origine, come la Romania, per migliorare le condizioni di vita, per aumenti mirati dei salari. Naturalmente serve l’aiuto di consulenti locali, altrimenti sono soldi sprecati».

E’ aumentato il pericolo sociale degli «zingari» in arrivo dall’Est?
«La stragrande maggioranza dei rom dell'Est si dedica alla questua o svolge lavori in nero nell'edilizia. Anche se nell'immaginario collettivo “tutti” gli zingari sono delinquenti, solo il 10% compie attività illegali. Purtroppo ci sono minoranze aggressive che occupano spazi criminali,come prostituzione e rapine. E in alcuni campi non c'è stata resistenza alla pressione dei pedofili. Ma mi creda, se avessero la possibilità di lavorare, i Rom preferirebbero farlo. Anche perché le attività criminali non sempre sono così redditizie. L'arresto di un rom costa alle famiglie migliaia di euro in avvocati».
 
Di Fabrizio (del 31/05/2007 @ 13:47:02, in Europa, visitato 2385 volte)


E' uscito l'aggiornamento di maggio 2007 di PICUM.org con le notizie e l'evoluzione politica riguardanti i diritti sociali fondamentali degli immigranti non documentati in Europa. Disponibile nel formato Word nelle seguenti lingue: inglese, tedesco, olandese, spagnolo, francese, italiano e portoghese. 

 
Di Fabrizio (del 04/06/2007 @ 09:21:16, in Europa, visitato 2101 volte)

Tommaso Vitale segnala questo articolo di Repubblica

Viaggio nei paesi europei alla ricerca di un'integrazione possibile
Nel continente sono tra i 9 e i 12 milioni: ma non esistono censimenti
I rom e l'Europa, dal rigore tedesco alla Francia modello "bastone e carota"
I Rapporti della Divisione Roma and Travellers del Consiglio europeo
L'Italia ha la maglia nera. Ovunque esistono Uffici centrali nazionali
di CLAUDIA FUSANI

ROMA - Sono "qualcosa" che non può essere ignorato. "Esistono" e devi farci i conti. Sono, spesso, un "problema" per gli altri, cioè "noi"; ma soprattutto per se stessi: condizioni igienico sanitarie pessime, massimo della devianza, nessuna integrazione. Tutto vero. Eppure se cerchi di capire come l'Europa affronta la questione rom e zingari rimbalzi in un muro di vaghezza e pressapochismo. Nonostante gli sforzi del Dipartimento Roma and Travellers (Rom e camminati, due delle varie etnie zingare), l'ufficio nato nel 1993 a Strasburgo nell'ambito del Consiglio Europeo per fronteggiare la questione rom e che ogni anno produce pagine e pagine di relazioni, rapporti internazionali, raccomandazioni, manca totalmente un progetto esecutivo. Dalle parole non si riesce a passare ai fatti. Risultato: se l'Italia non sa da che parte cominciare per affrontare la questione rom, l'Europa è messa più o meno nelle stesse condizioni.

"Purtroppo non esiste un modello unico per affrontare la questione" dice Maria Ochoa-Llido, responsabile del Dipartimento rom e migranti del Consiglio di Europa. "La situazione varia da paese a paese e ogni governo affronta la questione con un proprio approccio politico. Negli ultimi venti anni le cose stanno cambiando e il Consiglio d'Europa se ne sta facendo carico sul fronte dei diritti umani, dei diritti delle minoranze e in funzione dell'integrazione sociale".


Negli anni, attraverso numerose Raccomandazioni - ad esempio sulle condizioni abitative (2005), sulle condizioni economiche e lavorative (2001), sui campi e sul nomadismo (2004) - si è cercato di dare almeno una cornice di riferimento, linee guida ai vari stati per gestire la continua emergenza rom. Buone intenzioni, quindi, ma scarsi risultati. Secondo il Rapporto annuale della Commissione europea contro il razzismo e le intolleranze presentato al Parlamento Europeo il 23 novembre 2005, i Rom risultano la popolazione più discriminata d'Europa. Svantaggiati nel lavoro, nell'alloggio, nell'istruzione e nella legislazione ma anche vittime regolari di continue violenze razziste. Il Rapporto - va detto - non si occupa dell'aspetto devianze, cioè criminale, che caratterizza da sempre la popolazione rom e che tanto pesa nel non-inserimento sociale degli zingari.

Una minoranza di 9-12 milioni di persone - Uno dei file più aggiornati della Divisione Roma and Travellers sono i numeri. Che vista l'assenza di censimenti della popolazione rom - per il timore che possano diventare strumenti discriminatori - è già tantissimo. In Europa si calcola che viva un gruppo di circa 9-12 milioni di persone, in qualche paese del centro e dell'est europa - Romania, Bulgaria, Serbia, Turchia, Slovacchia - arrivano a rappresentare fino al 5 per cento della popolazione. Scorrendo i fogli delle statistiche ufficiali europee (aggiornate al giugno 2006), colpisce come nei paesi della vecchia Europa, nonostante la presenza e l'afflusso continuo di popolazione rom, manchi del tutto un loro censimento. Eppure conoscere i contorni del problema dovrebbe essere il primo passo per approcciarlo. Sono censiti solo gli zingari che vivono nei paesi dell'est Europa, dal 1400 la "casa" dei popoli nomadi in arrivo dall'India del nord est.

La Romania guida la classifica dei paesi con maggior numero di gitani: l'ultimo censimento ufficiale del 2002 parla di una minoranza che si aggira tra il milione e 200 mila e i due milioni e mezzo. Seguono Bulgaria, Spagna e Ungheria a pari merito (800 mila), Serbia e Repubblica Slovacca (520 mila), Francia e Russia (tra i 340 e 400 mila; ma secondo il rapporto di Dominique Steinberger del 2000 in Francia vivrebbero almeno un milione di zingari), Regno Unito (300 mila), Macedonia (260 mila), Repubblica ceca (300 mila), Grecia (350 mila). L'Italia è al quattordicesimo posto con una stima, ufficiosa in assenza di un censimento, che si aggira sui 120 mila. Sappiamo che oggi quel numero è salito fino a 150-170 mila. Facendo un confronto con i paesi della vecchia Europa, è una stima inferiore rispetto a Spagna e Francia, Regno Unito e Germania. Sui motivi di queste concentrazioni la Storia conta poco: se è vero che la Germania nazista pianificò, come per gli ebrei, lo sterminio degli zingari (Porrajmos) e nei campi di concentramento tedeschi morirono 500 mila rom, in Spagna la dittatura di Franco ha tenuto in vigore fino agli anni settanta la legislazione speciale contro i gitani eppure gli zingari continuano ad essere, e sono sempre stati, tantissimi.

Il caso italiano - A scorrere i Rapporti del Consiglio europeo, l'Italia sembra avere la maglia nera nella gestione della questione rom. La lista delle "mancanze" italiane è lunghissima. Contrariamente agli altri paesi della vecchia Europa, non abbiamo una politica certa sui documenti di identità e di soggiorno mentre in altri paesi hanno la carta di soggiorno e anche i passaporti. Nonostante molti Rom e Sinti vivano in Italia da decenni, non hanno la cittadinanza col risultato che migliaia di bambini rom nati in Italia risultano apolidi; gli stessi bambini non vanno a scuola e non hanno accesso all'educazione; non sono riconosciuti come minoranza linguistica. L'Italia, soprattutto, continua ad insistere nell'errore di considerare queste persone nomadi segregandole in campi sprovvisti dei servizi e diritti basilari mentre invece sono persone a tutti gli effetti stanziali. Si legge a pag. 29 del rapporto: "Non si riscontra a livello nazionale un coordinamento. E in assenza di una guida a livello nazionale, la questione non potrà mai essere affrontata in modo valido". Bocciati, su tutta la linea. Persino "puniti" nel dicembre 2004 per la violazione della disposizione sul diritto alla casa. "Puniti" anche Bulgaria e Grecia.

Gli Uffici centrali - Il nome di per sé evoca scenari da tragedia, liste, schedature, concentrazione di informazioni. Nel 1929 a Monaco nacque "L'Ufficio centrale per la lotta contro gli zingari in Germania", furono schedati, nel 1933 furono privati di tutti i diritti, poi lo sterminio. Eppure un Ufficio centrale sembra essere l'unico modo per affrontare seriamente la questione rom, capire quanti sono, dove vivono, di cosa hanno bisogno, tenere sotto controllo arrivi, partenze, doveri e responsabilità oltre che diritti. All'estero esiste un po' ovunque qualcosa di simile, in Germania, in Francia, in Olanda, Belgio e in Spagna. "In questi uffici - racconta Massimo Converso, presidente dell'Opera nomadi - lavorano anche i rom, sono mediatori culturali, parlano la lingua e i dialetti, conoscono le abitudini dei vari gruppi, dettagli per noi insignificanti e invece per loro fondamentali. Non si può prescindere da questo se si vuole affrontare il problema con serietà e concretezza". Ministero dell'Interno e Solidarietà sociale hanno avviato dei "tavoli tecnici" con esperti e rom. Ma il ministro Giuliano Amato sta pensando a qualcosa di più: un Ufficio governativo e una conferenza europea per avere gli strumenti e il luogo dove fronteggiare la questione.

Lo statuto francese - Nonostante "la grande preoccupazione" del Consiglio europeo "per i ritardi e l'emarginazione", la Francia (con 340 mila o un milione di manouche) sembra aver adottato il modello migliore sul fronte dell'accoglienza per i rom. Un modello che si muove tra l'accoglienza e la tolleranza zero, due parametri opposti ma anche complementari: da una parte la legge Besson (la prima versione risale al 1990, una successiva è del 2000) che prevede che ogni comune con più di cinquemila abitanti sia dotato di un'area di accoglienza; dall'altra la stretta in nome della sicurezza dell'ex ministro dell'Interno, attuale presidente, Nicolas Sarkozy che nel febbraio 2003 ha voluto la stretta e ha previsto (articoli 19 e 19 bis della legge sulla sicurezza interna) sanzioni particolarmente pesanti contro le infrazioni allo stazionamento. Chi non rispetta le regole dei campi e dell'accoglienza è fuori per sempre. E chi occupa abusivamente un'area può essere arrestato e il mezzo sequestrato. La legge Besson immagina i campi come una soluzione di passaggio e prevede, contestualmente, un programma immobiliare di case da dare in affitto ai gitani stanziali e terreni familiari su cui poter costruire piccole case per alcune famiglie semistanziali e in condizioni molto precarie.

Di tutto ciò è stato realizzato poco ma comunque qualcosa. Nella regione di Parigi sono stati creati campi per 560 posti in dieci anni (ne servirebbero tra i 6 e gli 8 mila) e in tutto il territorio francese ce ne sono 10 mila, un terzo di quelli necessari. Ma molti gitani e manouche vivono in case popolari e in vecchi quartieri. Pagano affitto, luce e acque. "Siamo responsabilizzati - racconta Arif, rom kosovaro, un pezzo della cui famiglia vive in Francia - viviamo nei centri abitati, non siamo emarginati, facciamo lavori come facchino, gommista, piccolo trasporto, pulizie, guadagniamo e firmiamo un Patto di stabilità per cui i ragazzi sono obbligati ad andare a scuola ed è vietato chiedere l'elemosina. Se siamo disoccupati per sei mesi abbiamo il sussidio - un mio parente prende 950euro al mese - e abbiamo anche gli assegni familiari. Certo chi sbaglia, chi delinque, chi ruba, chi non manda i figli a scuola, viene cacciato dalla Francia. E su questo punto siamo noi i primi ad essere d'accordo". Un altro risultato, visibile, è che in Francia difficilmente si vedono zingari in giro, ai semafori o nelle vie dei centri cittadini. E' vietata l'elemosina e l'accattonaggio. Recentemente l'ex ministro dell'Interno Sarkozy ha sottoscritto un piano con la Romania per il rimpatrio dei rom romeni.

Il caso tedesco - Il Rapporto del Consiglio europeo, datato 2004, parla di "svantaggi sociali, pregiudizio, discriminazione per quello che riguarda la casa, il lavoro e la scuola e di casi clamorosi di razzismo" . Detto tutto ciò in Germania i 130 mila circa tra Rom e Camminanti sono considerati per legge "minoranza nazionale". Hanno diritti e doveri. "Dagli anni sessanta, con la caduta del modello socialista titino - racconta Massimo Converso, presidente dell'Opera nomadi italiana - e con le prime diaspore rom dall'est europeo verso l'occidente europeo che poi si sono ripetute negli anni ottante e novanta con le guerre nei Balcani, la Germania ha accolto queste migliaia di persone in fuga con un progetto di welfare. Sono state assegnate case, singole o in palazzine popolari, hanno avuto il sussidio per il vitto, chi ha voluto è stato messo in condizione di lavorare. Tutto questo - continua Converso - al prezzo di rispettare i patti e la legge. Altrimenti, fuori per sempre. Ci sono stati anni in cui interi gruppi stavano per lunghi periodi in Germania, poi venivano in Italia dove invece non è mai stato pensato un vero, severo e anche rigido piano di accoglienza e dove gli zingari hanno avuto da sempre maggiori e diverse fonti di reddito, ben più remunerative perché spesso illegali".

La Spagna come la Bulgaria - Nonostante Franco, le leggi speciali e le persecuzioni, la Spagna ha una delle comunità gitane più popolose e in Europa occupa il terzo posto dopo Romania e Bulgaria con 800 mila presenze. Dalla fine degli anni Ottanta il governo centrale ha elaborato un Programma di sviluppo per la popolazione rom anche se il budget annuale sembra abbastanza ridotto (3,3 milioni di euro a cui però si aggiungono i finanziamenti delle singole regioni e delle ong). Anche in Spagna ogni regione ha un Ufficio centrale che coordina gli interventi e le politiche per gli zingari in cui lavorano sia funzionari del governo che rom con funzioni di mediatori culturali. Il risultato è che non esistono quasi più campi nomadi, quasi tutti - chi non lavora ha un sussidio di circa 700 euro al mese per sei mesi - vivono in affitto nei condomini popolari o in case di proprietà, nelle periferie ma anche nelle città. Dipende dal livello di integrazione. Che è in genere buono anche se resta alto il tasso di criminalità: furti ma soprattutto spaccio di droga. Sono zingare il venti per cento delle donne detenute nelle carceri spagnole. Negli ultimi mesi nelle periferie delle grandi città, a Barcellona come a Madrid, a Siviglia e a Granada, stanno rispuntando baraccopoli e favelas: sono gli ultimi arrivati, i rom della Romania, la nuova emergenza.

La ricetta del "politico" gitano - La Spagna ha saputo produrre, finora, l'unico europarlamentare gitano: si chiama Juan de Dios Ramirez Heredia, è stato rappresentante dell'Osservatorio europeo contro il razzismo e la xenofobia e nel 1986 ha fondato la Union Romanì, federazione della associazioni gitane spagnole. Heredia , in un'intervista rilasciata al magazine europeo Cafè Babel, immagina il futuro della comunità rom: "Potrà essere migliore solo se sapremo mantenere una certa dose di sopravvivenza e riusciremo ad essere presenti dove si prendono decisioni politiche. Non ha senso che in paesi come la Spagna, dove siamo 800 mila, non ci sia un solo gitano deputato o senatore". A gennaio scorso, per la prima volta, la Serbia - 600 mila rom ufficiali senza contare quelli partiti negli anni e ora in giro per l'Europa senza documenti - ha accettato in Parlamento due deputati dei partiti delle minoranze gitane, l'Unione dei rom e il Partito dei rom.

Sono 36 milioni gli zingari nel mondo. Diciotto milioni vivono ancora in India. Un milione circa è riuscito ad arrivare anche negli Stati Uniti. A parte poche migliaia di loro che sono riusciti ad avere una vita normale e ad emergere, ovunque sono rimasti gli ultimi nei gradini della società.
(3 fine)

(3 giugno 2007)

 
Di Fabrizio (del 06/06/2007 @ 09:37:31, in Europa, visitato 2286 volte)

Un brano appena apparso su Redattore Sociale, subito segnalatomi da diversi lettori. Grazie

05 - 06 - 2007
''Al Parlamento Europeo dovrebbero sedere 16 membri rom''
''In un mondo ideale'': è invece estremamente scarsa la rappresentanza politica nell'Ue di rom e sinti, dice il nuovo rapporto di Enar e di Erio.
La prima barriera? I partiti politici


BRUXELLES - "In un mondo ideale, il mondo politico dovrebbe riflettere fedelmente la propria base di rappresentanza. Se così fosse, i dieci milioni di rom presenti in europa dovrebbero godere di una rappresentanza del 2% negli organi decisionali. Ad esempio, al Parlamento Europeo dovrebbero sedere 16 membri rom, ma è una cifra molto lontana dalla realtà": questo brano, tratto dal 'fact sheet' congiunto di Enar (European Network Against Racism) e di Erio (European Roma Information Office) "Partecipazione politica di rom, nomadi, e sinti", rende bene l'idea di quanto queste comunità subiscano una spiccata sottorappresentazione, nonostante i regimi democratici vigenti ovunque in Europa. Rom, sinti e nomadi costituiscono la minoranza etnica più numerosa nel Vecchio Continente, in particolare nei paesi dell'Europa centrale e orientale. Dappertutto però il loro livello di rappresentanza è basso.

Le cause di ciò sono molteplici, e inserite in un circolo vizioso costituito da pregiudizi da parte degli organi politici (partiti e istituzioni), povertà e ignoranza da parte di queste minoranze. La partecipazione alle elezioni per queste comunità è molto bassa, indicando un grado elevato di disillusione per ciò che il potere politico può fare per loro. D'altra parte però molti sistemi elettorali alzano verso queste minoranze barriere insormontabili, richiedendo ad esempio una localizzazione geografica per essere iscritti nei registri degli elettori. A questo si deve aggiungere che spesso i membri di questi gruppi etnici sono sprovvisti di uno status civico: molti di loro non hanno nemmeno una carta d'identità, e atti come matrimoni o nascite non sempre vengono fatti registrare. Ma anche nel caso si abbiano questi documenti, capita che non vengano riconosciuti come validi passando da uno Stato all'altro, fatto frequente nel nomadismo.

Venendo al dettaglio dei meccanismi di esclusione, i partiti politici sono la prima barriera individuata nel rapporto all'inclusione dei rom nella vita politica. C'è una generale riluttanza da parte dei partiti più importanti nel fare proprie le istanze di rom, nomadi e sinti, di candidarli nelle proprie liste, o comunque di dimostrare vicinanza a questi gruppi, dato che non sono generalmente ben visti dall'opinione della massa. E quando un rom ce la fa a farsi candidare, ciò avviene sempre in posizioni di lista che lo rendono ineleggibile. Nemmeno la creazione di partiti politici su base etnica aiuta, a causa della scarsa attenzione che i nomadi stessi riservano alla vita politica. Ad esempio in Bulgaria, il paese con la comunità più numerosa, nel 2005 il partito Euroma non ha piazzato nemmeno un eletto. Vi chiaramente sono eccezioni, come le due europarlamentari rom Viktoria Mohacsi e Livia Jaroka, ma nella maggior parte dei casi sui tratta di successi alle elezioni locali. Questo è un ambito più vicino agli interessi diretti di queste minoranze, e a una maggior partecipazione si lega un maggior successo.

Nel documento di Erio e Enar vengono individuate alcune buone pratiche per contrastare questo stato di cose, come lo sono ad esempio gli organismi di autogoverno per i rom ungheresi. Nonostante le critiche a questa iniziativa (mancanza di poteri effettivi, di fondi, di competenze, esclusione dalla vita politica dominante), questi organismi si sono rivelati un'ottima palestra per promuovere la coscienza di comunità e dei propri diritti, incoraggiando una partecipazione politica che può fuoriuscire dai limiti dell'iniziativa. In questo processo, il ruolo delle ONG e le risorse offerte dal loro lavoro vengono visti come preziosissimi, ad esempio incentivando al partecipazione al voto o le candidature. Incontri e tavole rotonde tra politici, amministratori e rappresentanti di questi gruppi offrono un'ulteriore piattaforma di confronto e di partecipazione. Alcuni partiti si sono poi impegnati a includere nei loro ranghi delle minoranze.

Ma tutto questo non basta. A discapito della complessità del problema e del circolo vizioso che lo alimenta, fondamentale resta - sottolineano Erio e Enar - la partecipazione attiva e diffusa i rom, sinti e nomadi alla vita politica. Ai governi e a i partiti invece si chiede di attuare strategie che creino un terreno fertile per un loro coinvolgimento effettivo, cominciando anche ad assumere rom nelle amministrazioni pubbliche, a partire dal livello locale. Un occhio di riguardo viene richiesto poi per l'inclusione di frange marginalizzate nell'emarginazione, come le donne e i giovani. (matteo manzonetto)

© Copyright Redattore Sociale

 
Di Fabrizio (del 11/06/2007 @ 09:54:06, in Europa, visitato 1863 volte)

Da Czech_Roma

TRANSITIONS ONLINE: Czech Republic: Time Bomb for Roma by Mia Malan and Jayalakshmi Shreedhar - 31 May 2007

Alti livelli di uso di droghe e sesso senza protezione creano una crisi indefinita per le comunità ceca

PRAGA Milan Horvat si sveglia ogni mattina ed esce in strada per incontrare i suoi "clienti".

E' un uomo di mezza età sempre vestito alla stessa maniera: vestito e scarpe nere, camicia bianca con i primi due bottoni slacciati. Quattro anelli d'oro, due per mano, brillano [...]. Ha l'aria di un uomo d'affari. Ma il suo lavoro a Praga non è affatto normale.

Ogni giorno. Horvat incontra tossicodipendenti nei vicoli della città. Molti di loro sono Rom. Vuole aiutarli ad uscire dal vizio, ma è un compito complesso e talvolta senza speranza. Nel contempo, fornisce nuovi aghi e siringhe al posto di quelle usate. Se proprio devono iniettarsi droghe, gli strumenti che usano siano almeno puliti, questa è la sua attitudine.

SIAMO IN ATTESA DI UN'EPIDEMIA?

[...] "Anch'io vengo dalla strada, sono Rom e qui mi sento a casa, anche se non ho mai fatto uso di droghe," brontola. "Ma so cosa significa la droga."

Horvat ha esperienza personale sull'abuso di droga: lui e la sua famiglia hanno lottato per anni per aiutare suo fratello tossicodipendente. Ebbero successo e suo fratello smise di drogarsi. [...]

"Quando leggo sul giornale, 'Cerchiamo Rom per lavoro di strada', [...] so che il mio lavoro può essere importante."

Horvat è uno dei due lavoratori di strada dell'organizzazione Romodrom, che raggiunge i tossicodipendenti in questa comunità praghese. Crede che il problema tra i Rom sia uno dei più grandi in quanto non ci sono stime.

Ci sono circa 5.000 tossicodipendenti nella città registrati da Romodrom. L'organizzazione ritiene che almeno il 40% sono Rom - anche se si stima che siano il 2% della popolazione globale dei 10 milioni di cittadini cechi. L'anno scorso , Romodrom ha contattato circa 6.000 clienti e distribuito 25.000 aghi puliti.

Horvat dice che circa 140 Rom cercano ogni giorno il centro.

Romodrom ha un programma speciale rivolto ai tossicodipendenti, per proteggere dalle infezioni con vari agenti di trasmissione, come epatite ed HIV.

Nella Repubblica Ceca nel 2004, circa il 9% delle persone con HIV si è infettata assumendo droghe, secondo l'agenzia AIDS delle Nazioni Unite. D'altra parte, nessuno conosce quanti di loro siano Rom, perché la legge ceca non permette di raccogliere dati sanitari su base etnica.

Uno studio bel Programma ONU di Sviluppo del 2004 su Rom e HIV/AIDS ha trovato un incremento drammatico del tasso di infezione da HIV in Europa Centrale. Secondo lo studio, HIV/AIDS affliggono gruppi con alti tassi di povertà, alta mobilità e accesso limitato ai servizi sociali. Anche se il numero totale di quanti nella Repubblica Ceca vivono con l'HIV è basso, circa lo 0,1% della popolazione, secondo una stima del 2005 di UNAIDS, i Rom paiono possedere tutti i tratti che rendono le persone vulnerabili nel contrarre l'HIV: poveri, le donne generalmente sono disoccupate, genitori e figli raramente parlano di questioni sessuali, alto abuso di alcool, molto basso uso del condom.

VITA SUL LATO SBAGLIATO DELLA STRADA

Quello che rende la situazione ancora più terribile è che molti Rom non hanno documenti d'identità, avendo così un accesso limitato ai servizi sanitari. Per questo sono meno capaci di ricevere informazioni preventive sul virus o di essere controllati. E quanti hanno accesso ai servizi e all'informazione sanitaria hanno una forte sfiducia nel sistema sanitario - soprattutto le donne rom, che in passato vennero spesso sterilizzate senza consenso, per paura del governo dei loro alti tassi di nascita.

Esistono pochissimi dati ufficiali sui problemi di droga e sanitari dei Rom cechi - specialmente riguardo all'HIV. E questa mancanza la potenzialità di una situazione già pericolosa.

Pochi chilometri fuori Praga, una stretta pista costeggia la ferrovia e si arrampica su una desolata collina. [...] L'asfalto si interrompe al limite di una serie di piccole case. Le case sono di fango e con le porte sfondate, i vetri delle finestre rotti e i fili elettrici partono da una cabina come serpenti. Ogni edificio ha due piani, non ci sono bagni. Le famiglie condividono uno sporco bagno comune senz'acqua calda.

Qui è dove vivono i Rom - isolate enclave "sul lato sbagliato della strada" nella piccola cittadina di Libcice nad Vltavou.

Dei 150 Rom che vivono qui, soltanto 8 su 80 adulti hanno mai avuto un lavoro. Gli altri 70 sono bambini.

Disoccupazione e povertà sembrano seguire i Rom dovunque vadano. Uno studio dell'Istituto di Ricerca per gli Affari Lavorali e Sociali di Praga stima in 70% il tasso di disoccupazione tra i Rom. Molti tra quanti hanno trovato lavoro tra quelli poco specializzati. Come risultato, la maggior parte campa con gli assegni sociali direttamente o tramite familiari.

INTEGRAZIONE ATTRAVERSO LE DROGHE

Jozef, un uomo vigoroso di circa trent'anni, è uno dei pochi nel villaggio con un lavoro. La sua casa è arredata meglio delle altre ed ha più cibo dei suoi vicini. Ma è rabbioso e cammina avanti e indietro. Vuole parlare del problema droga nella sua comunità. Suo padre interviene per fermarlo; è preoccupato delle ripercussioni sulla famiglia se parlano di questo problema.

"Possono succedere cose" ammonisce. Ha paura che comincino a chiamarlo traditore e creatore di problemi. Parlando, puoi mettere i tuoi amati nei guai, dice.

"I Rom vedono l'uso della droga come una via er integrarsi nella società maggioritaria" dice Ivan Vesely, che dirige Dzeno, uno dei gruppi Rom di supporto legale più vasti di Praga. "E' più difficile integrarsi attraverso lo studio e il lavoro - c'è molta discriminazione in questi campi. Assumendo droghe, i Rom imitano i non-Rom nel loro stile di vita," dice.

I Rom nelle città fanno uso di eroina e pervitina, una forma locale di anfetamina, dice Horvat. Nelle aree rurali, inalano toluene, un colorante, e colla, soprattutto i più giovani, secondo Marta Hudeckova, direttrice di Manusa (Gente), un'organizzazione Rom femminile.

Horvat asserisce che la situazione è talmente seria che "madri disperate denunciano alla polizia i loro figli per falsi furti purché stiano in prigione un anno o due" sperando che l'accesso alla droga sia più difficile dietro le sbarre.

Bambini di 12, 13 anni hanno problemi con le tossicodipendenze," dice Horvat. "Ma non si può aiutarli - secondo la legge le OnG possono lavorare con ragazzi sopra i 15 anni, i minri di quell'età devono avere un rappresentante legale.

Le OnG come Romodrom e Manusha hanno risposto facendo partire campagne informative nelle scuole per portare attenzione al problema droga tra i bambini rom. Per le classi hanno inscenato una satira drammatica che spiega come fare quando qualcuno offre loro droga o come dirlo ai genitori.

"Vogliamo cambiare realmente qualcosa per la nostra gente" dice Marie Gailova, presidente di Romodrom. "Lavoriamo dalle 13 alle 14 ore al giorno per aiutare giornalmente 300 Rom in 5 regioni diverse dove operiamo."

Il non parlare apertamente di droga nelle comunità non è la sola sfida. E' altrettanto inaccettabile parlare di sesso.

"NOI NON USIAMO QUELLE BUFFE COSE"

La compagna di Jozef, Gabriela (29 anni), stringe fra le braccia il figlio di due anni. E' chiaramente il suo tesoro.

Jozef e Gabriela non sono sposati. Non ne vedono la necessità. La loro relazione è basata sulla fiducia - una relazione che esclude categoricamente discussioni sul sesso o l'HIV.

"Ho mai usato un condom, perché posso fidarmi del mio partner," dice Gabriela. "Non so se le mie amiche usino il condom, perché di sesso non si parla. Ma non penso lo usino."

Gabriela e Jozef non hanno mai fatto un test HIV.

Un recente studio del Wisconsin Medical College negli Stati Uniti ha trovato che l'uso del preservativo tra i Rom nell'Europa Centrale ed Orientale e raro principalmente associato alla contraccezione. A partire dagli anni '50 le autorità cecoslovacche hanno usato la sterilizzazione, accompagnata a volte con somme di denaro, per rallentare la crescita della popolazione rom. Molte donne hanno citato in giudizio i governi ceco e slovacco per essere state sterilizzate senza il loro consenso.

Una volta sterilizzate, le donne spesso rifiutano l'uso del preservativo, in quanto lo intendono come una protezione contro la gravidanza ma non contro le malattie trasmesse sessualmente. La ricerca mostra anche che gli uomini hanno una maggior libertà sessuale prima e durante il matrimonio. Hanno possibilità di pratiche sessuali con sconosciuti/e e più potere di relazione delle donne. Lo studio mostra che i Rom in Europa sono a conoscenza dell'HIV, ma non se ne sentono personalmente minacciati.

"Il sesso è qualcosa che tutti fanno, ma di cui nessuno parla," dice Lida Polackova, consulente romani del dipartimento affari sociali della città di Ostrava, città industriale nella Repubblica Ceca dell'est, dove vivono molti Rom. "Circa nessuno nelle comunità Rom sa se sia positivo o negativo all'HIV. E il sesso prematrimoniale è completamente naturale,a  partire dai 13 o 15 anni di età."

Tornando a Libcice nad Vltavou, due teenagers in jeans attillati bisbigliano di sesso fumando fuori da una casupola. [...] "Noi non usiamo quelle buffe cose," dice una. "I condom non sono per noi."

Un lungo treno passa accanto, rendendo impossibile la conversazione. Tutt'attorno non c'è niente. Al posto di un luogo dove vivono dozzine di persone, potrebbe essere scambiato per un deposito merci della ferrovia.

La prevenzione dell'HIV, dice Horvat, non può avvenire nell'isolamento.

Migliorare l'accesso ai servizi sanitari, alla scuola, all'impiego, è parte della soluzione, secondo le stime di tutti: dagli operatori di strada agli esperti dell'Unione Europea e della Banca Mondiale. Nessuno degli innumerevoli problemi che i Rom affrontano in posti come Libcice può essere affrontato da solo. Horvat e quanti altri conoscono la comunità ritengono irrealistico che i Rom lascino le droghe e così smettano di essere vulnerabili all'HIV/AIDS, quando le droghe offrono l'unica via di fuga da una dura realtà di povertà, discriminazione e segregazione di ogni giorno.

E mentre molti Rom continuano a vivere in ghetti senza igiene adeguata, non ci si può aspettare che si preoccupino del sesso sicuro, anche quando siano informati sulle malattie trasmesse sessualmente.

Nel suo ufficio di Praga, un agitato Horvat si irrita mentre analizza le strategie per aiutare la sua gente.

"Per me il momento migliore nel mio lavoro sarebbe quando non ci saranno più tossicodipendenti o affetti da HIV," dice. "Quando i servizi come il mio non saranno più necessari perché tutti avranno accesso ai servizi che possono aiutarli."

Sospira, e ritorna al suo lavoro. La sovrabbondanza sembra ancora un percorso molto lungo per persone come Milan Horvat.

Mia Malan is the Internews Senior Health Journalism Adviser in Washington, D.C. Jayalakshmi Shreedhar is the Internews Project Director of the Local Voices Project in India.

Lucia Curejova, Maria Husova, Petrana Puncheva, Petru Zoltan, and Susan Mathew contributed to this article, which was produced during a TOL health reporting seminar.

 
Di Fabrizio (del 23/06/2007 @ 10:24:55, in Europa, visitato 1915 volte)

Attivisti della Lega per i Diritti Umani lamentano un altro attacco a sfondo razziale. Secondo le informazioni fornite dal direttore della Lega, C. Igboanusi, cinque individui incappucciati e mascherati vestiti di nero si sono introdotti nella casa di una famiglia rom, i Sarközys di Záhorská Ves. I cinque erano armati di mazze di legno e di ferro e hanno gridato "Siamo della polizia, svegliatevi!". Gli assalitori hanno malmenato l'intera famiglia e distrutto la mobilia. Una delle donne picchiate testimonia: "Piangevo che c'era un bambino piccolo, che dovevano lasciarci in pace, ma continuavano a picchiarci lo stesso. Mi hanno dato bastonate in testa e tutto il mio torace è blu per le botte. Mio marito che è disabile - ha una pensione di disabilità - è finito in ospedale per contusioni ed una frattura al polso. Mi hanno detto che il mio bambino ha subito uno shock psicologico." La famiglia era già stata attaccata da persone mascherate nel 2003. Igboanusi nota che l'investigazione su quel fatto è ancora incompleta. "Dato  che gli attacchi razzisti a questa famiglia continuano senza che lo stato intervenga, saremo costretti a ricorrere al Parlamento Europeo appena possibile, chiedendo che si occupi della situazione della famiglia." Un portavoce della polizia di Bratislava dice che scoperti chi fossero gli assalitori, l'azione legale partirebbe immediatamente.

 

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