Rom e Sinti da tutto il mondo

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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 21/03/2013 @ 09:07:30, in Europa, visitato 1389 volte)

di Carlotta Sami - direttrice generale di Amnesty International Italia
"Spesso subiscono le conseguenze più pesanti delle politiche di segregazione e sgomberi. Ma sono anche tra le più attive per rivendicare un miglioramento delle condizioni di vita"

Amnesty International è impegnata da anni nella difesa dei diritti delle donne e in una campagna europea contro la discriminazione delle persone rom, inoltre a Gennaio ha lanciato una grande campagna sui Diritti umani in Italia: Ricordati che devi rispondere, www.ricordatichedevirispondere.it. Uno dei 10 punti riguarda proprio i diritti dei rom nel nostro Paese.
Vogliamo mettere insieme questi due temi evidenziando il ruolo, fondamentale, che le donne hanno nell'attivismo per i diritti umani - questo è vero sempre, ed è vero anche per le persone rom, che in Italia e in tutta Europa hanno di fronte a sé un impegnativo cammino di rivendicazione e conquista dei propri diritti.

Un impegno e un attivismo che avrà l'obiettivo di una maggiore rappresentanza, anche politica.
Le informazioni e le analisi sulle quali si basa la nostra campagna europea per i diritti dei rom emergono dalla ricerca sul diritto a un alloggio adeguato e sugli sgomberi forzati che abbiamo svolto in Italia, Francia, Macedonia, Romania, Serbia e Slovenia. L'impatto delle violazioni che i rom subiscono è particolarmente grave per le donne, spesso vittime di discriminazione multipla, a causa del genere e dell'appartenenza etnica, e costrette a sormontare ostacoli altissimi per accedere all'alloggio, all'assistenza sanitaria, all'istruzione e al lavoro.
La loro condizione va a inscriversi infatti in un contesto - quello Europeo - in cui le comunità rom affrontano un sistematico pregiudizio e politiche inadeguate, quando non palesemente discriminatorie, da cui derivano rischi altissimi per i diritti e talvolta la stessa incolumità personale di adulti e bambini.

Fanno parte di questo contesto i frequenti sgomberi forzati, spesso in mancanza di alternative abitative accettabili, e una sistematica difficoltà di accesso a un alloggio adeguato. Milioni di persone rom in Europa sono di fatto costrette a vivere in baraccopoli, senza accesso ad acqua corrente o elettricità, a grande rischio di malattie e senza assistenza sanitaria. Nei casi in cui, durante gli sgomberi, le autorità offrano alloggi alternativi, essi sono spesso costruiti in condizioni molto precarie e privi di servizi essenziali quali l'acqua, il riscaldamento, l'energia elettrica. Ciò ha un particolare impatto sulla vita delle donne rom le quali, a causa del loro ruolo all'interno della comunità, hanno di fatto la responsabilità primaria della cura dei bambini e delle attività domestiche come la pulizia della casa e la cucina.

Alle cattive condizioni abitative si accompagna spesso la collocazione dei rom in campi lontani dai centri abitati, con quanto ne segue in termini di isolamento e segregazione. Secondo le testimonianze di donne rom che i nostri ricercatori hanno raccolto a Roma, ad esempio, una particolare difficoltà deriva dal fatto che i campi siano scarsamente collegati ai quartieri abitati, ai negozi e ai servizi tramite i mezzi pubblici o strade con marciapiedi sicuri su cui camminare. I negozi di generi di prima necessità, i medici e le scuole e strutture per l'infanzia sono difficili da raggiungere e questo rende la vita delle donne rom che li abitano e dei loro bambini ancora più difficile.

La segregazione in aree periferiche isolate rende, inoltre, ancora più difficile la ricerca di un lavoro e può aumentare il rischio di violenza sulle donne e sui loro bambini, perché esse vengono a perdere le proprie reti di sicurezza e solidarietà.

Vivere in insediamenti informali a rischio di sgombero forzato provoca, nel complesso, grande incertezza e sofferenza. La stessa salute psicologica delle donne rom viene segnalata come significativamente peggiore di quella del resto della popolazione femminile dei paesi europei, proprio a causa delle condizioni di vita inadeguate, alloggi disagiati, della povertà e della posizione svantaggiata delle stesse nel loro ambiente domestico.

Amnesty International lavora al fianco delle donne rom che vivono nei campi e negli insediamenti informali in Europa. In molti casi, le donne rom sono impegnate in prima persona nelle campagne di sensibilizzazione per porre fine a sgomberi forzati e alla segregazione, e dovrebbero essere, a nostro avviso, ulteriormente sostenute in questo loro impegno, perché nessun vero cambiamento e miglioramento per i diritti umani è possibile senza un ruolo centrale e determinante delle donne.

Alle donne occorre dare accesso al credito e opportunità di indipendenza economica: solo in questo modo si cancellerà la violenza e sarà possibile garantire ai bambini e alle bambine l'accesso all'istruzione.

Dobbiamo credere nelle enormi potenzialità di queste donne e abbiamo, da loro, molto da imparare.

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Di Fabrizio (del 20/03/2013 @ 09:04:38, in Italia, visitato 1727 volte)

Relazione consegnata il 16 marzo scorso a Daniela Benelli (Assessore milanese all'Area metropolitana, Decentramento e municipalità, Servizi civici), durante il convegno Oltre via Padova

Premesse

  1. Quella di via Idro è una comunità rom storica della zona 2, per niente incline al nomadismo visto che nell'arco di oltre 40 anni si è spostata di soli 2 km. (in accordo con l'Amministrazione Comunale).
  2. La sua partecipazione alla vita di zona non è una novità degli ultimi anni, ma risale ad almeno 30 anni fa. I primi tentativi di scolarizzazione risalgono alla metà degli anni '80. Già con il trasferimento nell'attuale campo di via Idro, partecipavano alle sedute del Consiglio di Zona (allora in via Padova), a iniziative in quartiere, organizzandone loro stessi al campo.
  3. Il nostro gruppo è composito e assolutamente non gerarchizzato, con una caratteristica che lo distingue da esperienze precedenti di lavoro con i rom: siamo persone impegnate a vari livelli nell'attivismo di zona, e quindi la "questione rom" non è un ghetto mentale in cui ritagliare il nostro spazio, ma una delle molte tematiche che riguardano le periferie, da affrontare congiuntamente alle altre.

Primi contatti e iniziative
L'insediamento per lungo tempo è stato indicato come "un campo modello per la realtà milanese", nonostante ci siano sempre stati problemi di vario tipo. La situazione inizia a deteriorarsi dal 2000, in parte per la caduta di sbocchi lavorativi della cooperativa LACI BUTI, fondata dagli stessi rom all'inizio degli anni '90, in parte perché i rapporti con le istituzioni comunali, che sono continuati anche con le prime amministrazioni di centro-destra, vanno via via diradandosi. Il rapporto col mondo esterno continua quasi esclusivamente tramite la scuola, non a caso la prima istituzione che li ha accolti.

Occorre dire che nello stesso tempo anche per gli altri insediamenti (comunali e non) inizia una stagione travagliata, che dipende in parte dal passaggio di competenze dall'amministrazione centrale ad associazioni esterne, in parte dal fatto che nello stesso periodo si inizia a mettere in discussione l'esistenza stessa dei campi sosta, anche se con segnali contraddittori (vedi l'istituzione dei campi di Triboniano e via Novara).

Attorno al 2006, un primo nucleo di volontari riprende il contatto con gli abitanti di via Idro. A farlo, inizialmente, sono alcuni membri del comitato Vivere in Zona 2, già impegnato su altre tematiche del mondo di via Padova e dintorni. Dopo le prime diffidenze reciproche, il clima si fa più disteso e si prendono le prime iniziative comuni:

L'altro scopo di iniziative simili è creare un ponte con quanto si va risvegliando attorno a via Padova, e di creare i presupposti per un lavoro condiviso.

Questi sforzi rischiano di interrompersi bruscamente nel settembre 2010, quando al campo arrivano una ventina di lettere di sfratto che coinvolgono un centinaio di persone, quasi la totalità degli abitanti.

In questa situazione di crisi effettiva, al nucleo iniziale del gruppo si aggiungono (continueranno a farlo in seguito) associazioni, volontari, cittadini, anche esponenti di partito. Il gruppo non perde la sua caratteristica di informalità e continua a essere composito e non gerarchizzato.

Altri punti caratterizzanti l'esperienza del gruppo sono:

  • l'attenzione al diritto ad abitare, coniugata con il NO unitario al paventato campo di transito;
  • il coinvolgimento attivo della comunità rom, o quantomeno di chi è disposto a farsi coinvolgere, e l'attenzione alla sua autodeterminazione (come gruppo discutiamo di continuo con gli abitanti del campo e sosteniamo le loro scelte, ma in caso di divergenze non imponiamo la nostra volontà);
  • la rivalutazione dell'insediamento esistente;
  • l'attenzione al nesso tra abitare, lavoro e sostenibilità delle soluzioni individuate;
  • il contrasto alle politiche anti-rom;
  • il contatto con analoghe esperienze cittadine;
  • infine, un rapporto stretto col Consiglio di Zona e con il quartiere.

Su queste basi, seguono altre iniziative pubbliche:

  • febbraio 2010: l'incontro pubblico "Oltre la paura. Dare cittadinanza alla questione rom", molto partecipato, che non si limita ai problemi della zona, ma offre un momento di confronto con varie realtà milanesi;
  • marzo 2011: denuncia degli sgomberi immotivati, che ottiene una discreta risonanza mediatica;
  • maggio 2011: festa pubblica al campo (la prima dopo quasi una quindicina d'anni), che diventa una specie di evento d'apertura della festa "Via Padova è meglio di Milano" e vede una partecipazione inaspettata da parte degli abitanti della zona.

Un sommario bilancio di questo primo periodo possiamo illustrarlo in questo modo, evidenziando i risultati ottenuti e i limiti del nostro intervento:

Pregi

  • Iniziative pubbliche;
  • sinergie col lavoro su via Padova;
  • coinvolgimento attivo di parte del campo;
  • ampia discussione in mailing list e presenza sul web.

Limiti

  • scarsa attenzione da parte dell'amministrazione centrale;
  • carenza di unitarietà tra i temi sollevati;
  • incapacità di coinvolgere nel dialogo tutti gli abitanti del campo.

Un nuovo quadro
Le votazioni di maggio 2011 vedono protagonisti anche i rom dell'insediamento di via Idro (chi ha detto che i rom non votano?), complici anche le dichiarazioni del sindaco Moratti e del vicesindaco De Corato, che per tutta la campagna elettorale ripetono che il campo è destinato a chiudere, dimenticandosi di precisare come, quando e soprattutto perché.

È da precisare che gli abitanti dell'insediamento sono tutti cittadini italiani, e questo pone difficoltà alle autorità nell'adoperare gli strumenti classici dello sgombero e del rimpatrio; quindi la tattica adottata è quella del "non ti mando via, ma ti rendo la vita impossibile".

Il cambio di giunta suscita aspettative tra gli abitanti dell'insediamento, come nel nostro gruppo, e la prima reazione da parte dei rom è quella di inviare ai nuovi amministratori un promemoria sugli interventi attesi da anni e sul tipo di collaborazione che si può instaurare tra campo ed istituzioni.

Nel contempo, da questa lettera nasce nella primavera del 2012 un progetto partecipato tra abitanti del campo e un decina di associazioni, che pone le basi per il mantenimento e la riorganizzazione dell'insediamento, a cavallo tra la città e il costituendo Parco della Media Valle del Lambro.

A maggio 2012 il campo si propone come un vero e proprio polo della festa "Via Padova è meglio di Milano", con una due giorni di balli, spettacoli per bambini, cinema, musica, presentazioni di libri.

Dopo quest'esperienza, il campo presenta una propria programmazione estiva per i concittadini, dove alle attività "culturali" si affiancano momenti conviviali. Il conoscersi, la coesione sociale, si realizza quindi non solo attraverso la cultura come la intendiamo noi, ma mangiando e chiacchierando assieme (la cultura come la intendono i rom).

Infine, parte agli inizi del 2013 il progetto Social Rom-cittadinanza attiva, con l'obiettivo di stimolare i giovani a diventare "cittadini attivi", protagonisti del cambiamento della società, e anche a sviluppare una mentalità interculturale attraverso un lavoro di gruppo. Il progetto prevede la partecipazione di giovani italiani, rom harvati, figli di immigrati a tre laboratori creativi:

  1. workshop artistico-performativo;
  2. workshop fotografico;
  3. workshop narrativo.

Prospettive
Come gruppo, non solo abbiamo agito per praticare quella "coesione sociale" che auspichiamo, ma ci siamo accollati anche, forse sbagliando, compiti spettanti all'amministrazione pubblica e ai gestori. Il ruolo di un sano volontariato dovrebbe essere quello di stimolo verso le istituzioni e la politica, e non quello di un delegato a costo zero. Riteniamo che questo sia un argomento portante non solo per la nostra piccola ridotta di via Idro, ma riguardi più in generale tutto ciò che si sta muovendo attorno a via Padova.

Purtroppo, le aspettative sollevate dal cambio di giunta non sono state soddisfatte e non uno dei punti sollevati nella lettera inviata dalla comunità quasi due anni fa è stato affrontato. Nel frattempo sono intervenute nuove emergenze. Non staremo a ripetere l'elenco degli interventi necessari e di quelli richiesti, perché gli assessorati competenti sono stati puntualmente informati, da noi, dal Consiglio di Zona, dagli abitanti stessi ogni volta che si è presentata l'occasione.

I problemi che d'ora in avanti si pongono, tanto all'amministrazione che al prosieguo della nostra attività sono:

  1. i fondi: ci sono problemi ineludibili, nel senso che la situazione ambientale al campo va deteriorandosi, e sono possibili incidenti anche gravi. La responsabilità penale è del comune. A gennaio è stata evitata per poco il rischio di emergenza sanitaria, che si sarebbe propagata anche nell'abitato attorno. Il prossimo rischio è che la situazione di emergenza attuale, legata anche a questioni di sicurezza, travalichi i confini del campo;
  2. dopo quasi due anni, la fiducia degli abitanti è nuovamente ai minimi termini e si stanno deteriorando anche i rapporti tra i gruppi familiari. È così diventato un ostacolo anche per noi persone esterne al campo avere un rapporto propositivo con i suoi abitanti. Inutile nascondersi che questa situazione è stato favorita dall'inerzia dell'Amministrazione, che, vogliamo ricordarlo, ha preso precisi impegni nel corso della campagna elettorale ed è la prima responsabile della situazione del campo, che è regolare e si trova su un terreno comunale;
  3. il terzo punto è la sintesi degli altri due. Se il linguaggio adottato da questa amministrazione verso i rom è, fortunatamente, cambiato in meglio, nel quotidiano rimane la stessa sensazione di distanza provata negli anni scorsi. Non solo per gli impegni assunti pubblicamente e rinviati sine die, ma anche riguardo alle possibilità di dialogo. Da un anno e mezzo si parla di colloqui individuali con le famiglie per verificarne stato e aspettative, che però non sono mai iniziati. Per capire quale possa essere il livello attuale di fiducia, si consideri che la stessa promessa era stata fatta quasi otto anni fa dall'allora assessore Moioli, con il medesimo risultato.

Rete degli Amici della Comunità Rom di Via Idro

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Di Fabrizio (del 19/03/2013 @ 09:08:53, in Italia, visitato 2338 volte)

ilReferendum di Valentin Ipuche

"Sporchi. Ladri. Criminali. Sempre pronti a portarci via i nostri bambini, nascondendoli sotto una lunga gonna di stracci, non appena distogliamo lo sguardo. Non serve neanche esplicitare il soggetto, perché questi pregiudizi rimandano senza esitazione all'idea comune dello zingaro."
Così recitava il volantino di invito all'incontro sull'antiziganismo tenuto dal docente di antropologia culturale Leonardo Piasere al primo piano dell'Università di Verona.

In un'aula piccola ma gremita i ragazzi del collettivo Studiare con lentezza, promotori dell'incontro, hanno fatto riferimento alle problematiche dell'Aula Zero, un'aula autogestita aperta a tutti gli studenti. Lo spazio rischia infatti di essere chiuso dopo i fatti del 12 febbraio, quando in occasione di un incontro sulle foibe i ragazzi del collettivo hanno subito un'aggressione da parte di formazioni neofasciste veronesi.

Il tema"antiziganismo" molto articolato e complesso è stato affrontato in modo dialettico, rispondendo alle domande piuttosto che con l'uso del monologo.
Il concetto dell'identità nelle diverse realtà rom, la storia dei movimenti migratori dei più grandi gruppi come i sinti, i calderas, etc e il ruolo della tradizione sono elementi chiave per comprendere il razzismo condiviso nei loro confronti. Elementi comuni ma anche di diversità come il tema dell'omosessualità all'interno di tali comunità, tenendo sempre presente che non si può generalizzare: le popolazioni romanì in Europa sono composte da 11 milioni di persone. Questo vuol dire che se fossero la popolazione di uno Stato ufficiale sarebbe il 12esimo all'interno dell'UE per numero di abitanti, e avrebbe diritto a 22 rappresentanti nel Parlamento comunitario. Tanti quanti l'Olanda.

Il relatore, che ha vissuto a lungo all'interno di comunità rom, ha discusso dei problemi con cui questa convive. Uno su tutti è lo stato di invisibilità totale in cui vivono molte persone, in condizioni di apolidi di fatto, senza nemmeno il riconoscimento di apolidia. Ma come gli zingari vedono le popolazioni che li circondano?

La figura dello zingaro è estremamente stereotipata ed è colma di luoghi comuni che circondano queste popolazioni. L'alone romantico di mistero esotico che circondava lo zingaro ha fatto in modo che non troppi decenni fa nella bassa veronese i bambini "stregati" venissero fatti allattare da balie gitane. Oggi è totalmente svanito.
Gli zingari lasciano segni segreti sui cancelli, sulle porte: per malocchio o per segnalare ai complici di una possibilità di furto. Questa è una leggenda metropolitana nata da un racconto di un autore tedesco risalente agli inizi del XIX secolo, che tra l'altro parlava di una singola donna che praticava quest'usanza a scopi mnemonici e non di una comunità.

Nato invece da una commedia veneziana è un altro mito razzista: gli zingari rapiscono i bambini.
Leonardo Piasere fa chiarezza: quando uno zingaro rapisce un bambino della comunità locale è rapimento mentre quando lo Stato sottrae alla comunità rom i suoi bambini è "difesa dell'infanzia". In tale ottica lo studioso ha esaminato tutti i casi di presunti rapimenti di bambini degli ultimi vent'anni, scoprendo che in tutti i casi la storia si sgonfiava, tranne in due in cui si è arrivato a giudizio e ci sono state due condanne, secondo il relatore inconcepibili stando agli atti.
Nello stesso lasso di tempo lo Stato Italiano ha dichiarato adottabili 300 bambini rom. La probabilità che un bambino rom sia dichiarato adottabile è 17 volte maggiore rispetto a un bambino "comunitario".

In Italia non esiste una politica nazionale in questo ambito, ma solo qualche regolamento regionale.

Ironico è anche il fatto che per la comunità europea le priorità sono in quest'ordine l'educazione, il lavoro, la salute e l'alloggio. Per le comunità romanì l'ordine è specularmene invertito.

La storia del rapporto dell'Italia con queste comunità non è dei più felici. Ci sono stati campi di concentramento istituiti esclusivamente per gli zingari, all'interno di un piano studiato a partire dal '36. Un atteggiamento ostile che non ha mai smesso di perpetuarsi, e che vede la sua massima espressione nei partiti di estrema destra e nella Lega Nord. Quando Roberto Maroni è stato per seconda volta ministro dell'Interno sotto Berlusconi ha istituito 5 commissari straordinari per supervisionare gli zingari, provvedimento bocciato dal Consiglio di Stato che ha accolto i ricorsi dell'associazione European Roma Rights Centre Foundation.

Zoomando ancora di più sul locale, Flavio Tosi sindaco di Verona è stato condannato nel 2009 in via definitiva per propaganda razzista per una raccolta firme nel 2001. Insieme a lui la sorella Barbara Tosi (consigliere comunale), Matteo Bragantini (Commissario Federale della Lega Nord Südtirol e componente del Direttivo Nazionale Veneto della Lega Nord), Enrico Corsi (assessore), Luca Coletto (assessore) e Maurizio Filippi (altro esponente del partito).
I leghisti avevano avviato una pesante campagna mediatica per la raccolta di firme per cacciare gli zingari dalla città, in particolare nei confronti di un gruppo di famiglie sinti che tra l'altro avevano residenza a Verona, ed erano quindi incacciabili.

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Di Sucar Drom (del 18/03/2013 @ 19:23:03, in Italia, visitato 1420 volte)


A Mantova, Giovedì 21 marzo 2013, per la GIORNATA MONDIALE CONTRO IL RAZZISMO, dalle ore 17.00, sarà presentato il 5° Rapporto annuale di Articolo 3 Osservatorio sulle discriminazioni.

In concomitanza sarà presentato il Rapporto ENAR sul razzismo in Italia e sarà aperto un dibattito sul futuro dell'antidiscriminazione in Lombardia con i neo eletti in Consiglio regionale.

A tutti i presenti all'evento sarà donata copia del Rapporto 2012

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Di Marylise Veillon (del 18/03/2013 @ 09:05:24, in Europa, visitato 1508 volte)

A Nantes i taxiphone per ascoltare i Rom hanno suonato più di 700 volte - 14 febbraio 2013

Installazione tanto artistica quanto militante, "Lo strano taxiphone" dell'associazione "Etrange Miroir" mira a far cadere i luoghi comuni sui Rom. Ritorno su un'esperienza che ha saputo interrogare il pubblico sulla tematica dell'altro e dei pregiudizi.

Circa 700 persone, da febbraio 2012, hanno ascoltato nelle cinque cabine telefoniche create dall'associazione "Etrange Miroir", documenti audio destinati a fare cadere i luoghi comuni e i timori circa la popolazione Rom.

"All'origine, si trattava di un progetto allestito nel quartiere "Montaigu", dove dimorano dei Rom sedentarizzati", spiega Marie Arlais, incaricata di progetti in seno all'associazione. "Benché siano installati da due anni a Montaigu, restano ancora confrontati a tabù, timori, perfino reazioni non sempre comprensive".

Essendo destinato inizialmente a un pubblico giovane (15-17 anni), spostato in seguito in due festival ("Spot" a Nantes, e "L'oeil du bouillon" a Clisson), poi durante una quindicina di giorni a "L'espace international nantais Cosmopolis" nello scorso ottobre, l'ingegnoso taxiphone ha fatto sentire dei suoni che hanno permesso di fare, o rifare, il legame sociale con questa popolazione sempre poco o per nulla ostracizzata.

Abbelliti con delle musiche originali di Raphael Rialland e David Rambaud, i documenti audio della durata di 3 a 7 minuti, comportano tanto delle registrazioni di suoni ambientali – momenti di vita – quanto testimonianze o spiegazioni "pedagogiche" formulate da una collaboratrice sociale.

Un mezzo di espressione per i Rom
Questo progetto di esposizione audio, da voce a una decina di queste persone. I montaggi audio approcciano non solo le discriminazioni subite da questa popolazione (economiche, sociali, culturali, civiche) ma permettono di apportare uno sguardo umano sulla vita quotidiana di questi nuovi residenti, il loro itinerario particolare e il loro paese d'origine.

Il progetto ha beneficiato di un aiuto della Regione, di 1.000 euro. Una fiducia da quel momento rinnovata per l'associazione, la quale da allora, si è lanciata in un altro progetto, forte di un ulteriore aiuto di € 5'000: "Mother Border", un documentario muto che deve essere "diffuso e recitato in live", da quattro musicisti e una lettrice. Una creazione sempre situata in mezzo all'ambizione di "legare la pratica artistica a una riflessione sociale e cittadina, vicina a una strategia di educazione popolare". Si tratta questa volta di un lavoro sulla condizione dei giovani tunisini arrivati in Francia, in seguito alla "Rivoluzione dei Gelsomini" del 2010-2011.

Per saperne di più: http://etrangemiroir.org/

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Di Fabrizio (del 17/03/2013 @ 09:02:39, in scuola, visitato 1279 volte)
CORRIERE IMMIGRAZIONE 10 marzo 2013 | Cesare Moreno

Nadia, giovane rom, non vuole saperne dei libri... Appunti e riflessioni di uno storico "maestro di strada".

Lunedì pomeriggio mi trovavo a Cosenza nel Circolo di via Popilia mentre erano in corso le ultime attività del "doposcuola" frequentato da molti bambini dei campi Rom. C'è anche Pamela (nome di fantasia, molto diffuso in quella comunità), madre di Nadia (altro nome di fantasia) che in prima media ha smesso di andare a scuola prima di dicembre e ora sembra, insieme alla madre, essere ritornata sui suoi passi. Per sommi capi conosco la sua storia e c'è qualcosa che non torna nel racconto che mi è stato fatto; quasi distrattamente, ma con intento provocatorio le dico:

"Perché Nadia non vuole andare a scuola, è lei che non vuole mandarcela!".
Pamela non si scompone:
"Ma no, è lei che da sempre la scuola non gli entra in testa".
"Allora significa che il suo errore è cominciato da molti anni!".
Ancora non si scompone:
"Già alla scuola materna non voleva andare".
"Se è per questo anche mio figlio non voleva andarci, alla fine ha vinto lui, però poi alla scuola elementare c'è andato. So che anche sua figlia c'è andata".
"Sì ma sempre senza voglia, non l'ha mai accettata".

Interloquisce Franca:
"Ma no! Fino alla quinta andava tutto bene, poi in quinta è successo qualcosa che non so ed è cambiata".
"Allora, - insisto - è lei che non vuole mandarla, e cosa fa tutto il giorno?".
"Si alza tardi, verso le nove e mezza, poi passa il tempo così. Devo dire che nei lavori di casa è coscienziosa, li fa volentieri".

Nel frattempo vedo sgusciare all'esterno una ragazzina che intuisco essere lei: è alta, slanciata, capelli lunghi sciolti, una figura che per quel poco che ho visto mi sembra di portamento elegante.
Finalmente Pamela reagisce:
"Io ho fatto fino alla prima elementare, poi ho abbandonato. Vorrei che lei facesse la scuola perché solo le scuole danno il pensare" e si tocca la fronte con le dita della mano riunite: il gesto che indica il pensare. "Ma lei con la scuola proprio non si trova".
Poi ripete interrogativamente: "Perché solo la scuola dà il pensare".

Franca ripete che è successo qualcosa in quinta. Io invece resto senza parole; è la prima volta che sento riassunto in una sola frase ciò che faticosamente, da anni cerco di ripetere a tanti miei colleghi e compagni di lotta per l'educazione: la scuola serve innanzitutto a se stessi, a costruirsi gli strumenti di pensiero. E questa scena non mi esce di mente e continuo a pormi delle domande, la prima delle quali vi giro: perché Pamela insiste a voler retrodatare il disimpegno scolastico della figlia, nonostante evidenti prove contrarie? E lo chiedo perché in migliaia di incontri avuti con i genitori di allievi "difficili" è una affermazione piuttosto frequente.

La seconda domanda è cosa è successo in quinta, ma soprattutto - mi capita spesso di fare questa domanda durante incontri formativi con docenti ed educatori - perché vi interessa tanto il saperlo, perché abbiamo un bisogno direi ossessivo di sapere "cosa c'è dietro"; non possiamo limitarci a vedere Nadia come è oggi, a immaginare una figura elegante, mentre invece forse è sguaiata; a immaginarla silenziosa e discreta quando invece, magari, urla al disopra di tutte le compagne. Se vogliamo incontrare l'allievo dobbiamo avere innanzitutto uno sguardo contemplativo, uno sguardo non analitico, che non si separa da ciò che guarda, che si confonde in esso così come facevano i mistici nei confronti di Dio: un'assenza di pensiero, uno stato fusionale. Senza questa contemplazione iniziale ogni altra conoscenza sarà raccolta come dato che inchioda la persona ai propri parametri oggettivi, ossia ad uno stereotipo costruito con i paludamenti della scienza che non è scienza e non è neppure conoscenza personale: è una costruzione mentale artificiosa che deve creare l'illusione del controllo su una realtà che ci sfugge e ci inquieta.

La terza domanda è cosa significa "alleanza educativa" nel caso di Pamela. Io credo che la frase: "solo la scuola dà il pensare" è il nucleo di una possibile alleanza, è il punto in cui Pamela ha espresso un suo sogno. Forse appena cinque minuti dopo avrà fatto qualcosa per smentire questo nobile proposito. Forse farà molte cose per smentirsi. Ma il senso di una alleanza è proprio quello di custodire in due una buona intenzione e di potersi appellare a quella intenzione condivisa, il poter ricordare l'uno all'altro il comune intento. Alleanza significa che da quel punto può cominciare una narrazione condivisa.

Quando parlo di queste cose vedo che spesso non ci si capisce, molti dicono che l'alleanza c'è, ma poi non sanno esemplificare, è più implicita che esplicita, non è stata formalizzata, non c'è stato un rito officiante. Perché un'alleanza che non sia sufficientemente condivisa dalle parti non è un'alleanza, ma una dichiarazione unilaterale che trasforma l'asimmetria di una relazione in una struttura di potere. E quindi insisto che l'alleanza deve avere dei riti appropriati, una enunciazione davanti ai testimoni giusti, una scrittura, un simbolo che ce ne faccia ricordare. Dobbiamo potere in ogni momento ricordare a noi educatori e ai nostri interlocutori quella parte buona di sé che nell'alleanza si è impegnata.
La quarta domanda è cos'è che impedisce all'istituzione scuola un dialogo umano con Pamela? Perché nei confronti di Pamela o c'è il disinteresse o si attiva una catena persecutoria che le contesterà - come ho fatto io provocatoriamente - di essere una madre sciagurata, di violare i diritti dei bambini, di eludere le leggi dello Stato e quant'altro. Cos'è che impedisce alle tante donne che di mestiere fanno le docenti e le educatrici di empatizzare con questa donna, di capire che non è all'altezza dei suoi sogni perché è sopraffatta dai bisogni, perché la sua mente non è libera, perché nessuno le riconosce il pensare - neppure lei stessa - ed il nostro compito non è inchiodarla al suo piatto realismo, ma sostenerla con i mezzi del pensiero e della riflessione a migliorare se stessa. Ecco cosa potrebbe significare fare un lavoro educativo con i genitori degli allievi 'che la scuola non gli è mai piaciuta'.

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Di Fabrizio (del 16/03/2013 @ 09:06:25, in Regole, visitato 1650 volte)

COMUNICATO STAMPA SPOSA BAMBINA: LA MONTAGNA PARTORI' UN TOPOLINO
ROM ASSOLTI DAI REATI DI VIOLENZA SESSUALE DI GRUPPO, RIDUZIONE IN SCHIAVITU' E MALTRATTAMENTI


Nessuna violenza sessuale di gruppo. Nessuna riduzione in schiavitù, né alcuna tratta degli esseri umani. Nessun maltrattamento su minorenne. Nessun matrimonio forzato. E' netta la sentenza pronunciata oggi dal Tribunale di Pisa nel processo cosiddetto "della sposa bambina".

Ricordiamo brevemente i fatti. Nel 2010 vengono arrestati sette rom del campo di Coltano: secondo l'accusa, avevano portato in Italia una minorenne kosovara, costringendola a sposarsi, riducendola in schiavitù e compiendo su di lei abusi e violenze sessuali. Nel corso del processo, il Pubblico Ministero ha ipotizzato anche forme di pressione e di violenza psicologica.

La sentenza di oggi ha demolito questo castello di accuse: a carico degli imputati resta solo il reato di immigrazione clandestina, per il quale la difesa ricorrerà in appello.
Si tratta però, è bene dirlo, di una condanna che cambia radicalmente il senso del processo. Era stato disegnato un quadro fatto di rom primitivi e violenti, dediti allo sfruttamento dei minori e al maltrattamento delle donne; una comunità in cui i matrimoni sono forzati e la volontà delle spose è calpestata. Un vero e proprio catalogo dei peggiori pregiudizi sui rom.
Oggi, quel che resta di queste accuse è il semplice ingresso irregolare in Italia. Un reato che non configura una violenza sulle persone, e che dipende da semplici fatti amministrativi: solo per fare un esempio, se la ragazza fosse stata cittadina albanese anziché kosovara, non esisterebbe reato (l'entrata dall'Albania, infatti, non richiede visto di ingresso).

Ma ciò che è più grave in questa vicenda è il coinvolgimento del Comune di Pisa e della Società della Salute. Sin dall'inizio, gli amministratori di questa città hanno utilizzato il processo per diffondere veleni sulla comunità rom. Il Comune ha condannato gli imputati prima ancora della sentenza: ricordiamo che una giovane donna è stata sfrattata con i suoi cinque figli (l'ultima di appena sei mesi) perché coinvolta nella vicenda processuale.

Noi chiediamo che sia restituita la dignità a persone che per mesi sono state ingiustamente umiliate. Chiediamo al Comune di rispettare la Costituzione, e quindi di revocare tutte le misure punitive a carico degli imputati (a partire dagli sfratti), finché non si giungerà alla fine dei tre gradi di giudizio: è l'unico modo per rimediare ai gravi danni, materiali e morali, inflitti a queste famiglie.
Il nostro pensiero e la nostra solidarietà vanno alle persone ingiustamente accusate di crimini odiosi, ma anche alla giovane minorenne kosovara (la cosiddetta "sposa bambina"): vittima di una vicenda più grande di lei, vittima di vergognose strumentalizzazioni politiche da parte del Comune.

ASSOCIAZIONE AFRICA INSIEME


Da Agostino Rota Martir

La sentenza di oggi della Corte d'Assise di Pisa sul caso "la sposa-bambina", assolve tutti e quanti i Rom accusati di quelle pesanti accuse: rapimento, riduzione in schiavitù, violenza sessuale di gruppo e maltrattamento. In 15 udienze è stato possibile dimostrare la falsità di tali accuse e la loro inconsistenza, questo grazie anche al lavoro paziente e attento degli avvocati, che hanno saputo smontare il castello accusatorio.

Ricordo che fin dall'inizio di questa triste vicenda, i rom del campo hanno sempre sostenuto l'assurdità di tali accuse, ma pochi ci hanno creduto qui a Pisa, eccetto coloro che hanno voluto conoscere e ascoltare la voce dei Rom. Anche alcune Associazioni Rom Italiane hanno preferito prendere le distanze!
La stampa locale, diversi operatori del comune, assistenti sociali (quasi tutti) e amministratori fin dall'inizio hanno sentenziato, condannato, mantenendo anche un atteggiamento di tortura psicologica verso i rom coinvolti.
L'opinione pubblica è stata infettata dal virus dell'intolleranza, attraverso gli articoli dei giornali, sopratutto quelli a firma di Candida Virgone, apparsi su Il Tirreno di Pisa.
Alla luce dell'odierna sentenza sarebbe interessante ed educativo andare a rileggersi quei "racconti fantascientifici" (orrendi) della giornalista: una vera vergogna che disonora e offende chi onestamente e con competenza si dedica a tale attività. (ne tengo copia di questi orrendi articoli)

Gli artefici di questa assurda follia non sono i Rom, come si è voluto far credere, (giornali parlavano di orrore), ma altri e sopratutto chi era incaricato di lavorare per la cosi detta "integrazione". Questa follia ha un nome si chiama "Città Sottili", che in un certo senso ha permesso, incubato, ha sollecitato e partorito il mostro del pregiudizio, sono molti i complici che a titolo diverso vi hanno preso parte. Una delle loro colpe è la disumanità che hanno perseguito per tutto questo tempo, ma ce ne sarebbero altre, altrettanto gravi..che a suo tempo verranno elencate e discusse.

Di tutto questo è rimasto "solo" il reato di immigrazione clandestina, con il massimo della pena previsto dalla Legge Bossi-Fini, 5 anni. Sono tanti e questo ha un po' spento la gioia e la soddisfazione dei Rom e loro famigliari.

[...]

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Di Fabrizio (del 15/03/2013 @ 09:09:08, in Europa, visitato 1286 volte)

Criticato il percorso d'integrazione sostenuto da Bourgeois - 10/03/13 - 18h01 Source: belga.be - édité par: Michael Bouche

Geert Bourgeois (N-VA), ministro fiammingo all'immigrazione, vorrebbe ottenere dall'Unione Europea l'autorizzazione ad imporre ai Rom di seguire il percorso fiammingo d'integrazione ("inburgering") anche in caso avessero la nazionalità di uno degli stati membri. Riportata sabato dalla stampa, l'idea è stata criticata domenica dal Centro per le Pari Opportunità.

Il direttore del centro, Jozef De Witte, ha giudicato "poco intelligente", vale a dire discriminatorio, obbligare i Rom a seguire il percorso sulla base di una selezione etnica. "Se il ministro vuole imporlo ai soli Rom, dovrà individuarli ed operare su selezione razziale", ha detto durante la trasmissione De Zevende Dag.

Il ministro ha risposto di non riferirsi specificatamente ai Rom, ma a tutti i cittadini dell'Unione Europea. Tuttavia, la sua proposta ha scarse probabilità di essere autorizzata, viste le norme europee in materia di libera circolazione delle persone.

Ha anche difeso la politica fiamminga sull'integrazione dalle critiche, in particolare quelle sul suo carattere vincolante. Ha detto: "Vogliamo rendere le persone più forti e dar loro una possibilità".

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Di Sucar Drom (del 14/03/2013 @ 09:05:58, in Regole, visitato 1390 volte)

Abruzzo INDEPENDENT di Marco Beef - mercoledì 06 marzo 2013, 21:38 (vedi anche L'angolo del cretino, 24 maggio 2012)

Marco Romandini (Lega Nord) e Lorenzo Sospiri (Pdl) denunciati da famiglie rom per discriminazione razziale

PDL E LEGA NORD DENUNCIATI PER XENOFOBIA. L'onorevole della Lega Nord Marco Rondini e il responsabile del coordinamento del Popolo delle Libertà di Pescara Lorenzo Sospiri - anche se all'epoca dei fatti era Federica Chiavaroli - saranno in tribunale, tra poche ore, per la citazione in giudizio da parte di alcune famiglie rom (Guarnieri, Spinelli, Di Rocco) e le associazioni Rom Sinti@Politica Abruzzo e Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione) per discriminazione razziale.
Gli avvocati che hanno presentato la denuncia querela sono Nazzarena Zorzelli, Daniela Consoli e Michela Manente. La vicenda risale ai fatti successivi l'omicidio di Domenico Rigante, avvenuto la sera del primo maggio del 2012, per mano di un commando di rom.

LA MANIFESTAZIONE ANTI-ROM, I COMUNICATI E I MANIFESTI. Il sabato successivo venne indetta una manifestazione, subito definita "Anti-Rom", a Pescara alla quale parteciparono, oltre agli ultras del Pescara (Domenico Rigante era membro dei Pescara Rangers), 2mila persona. Nell'occasione vennero esposti manifesti contro la popolazione rom, come, ad esempio, quello con la scritta "avete cinque giorni per cacciarli". L'ufficio stampa della Lega Nord Abruzzo diramò un comunicato "per l'allontanamento degli zingari da Pescara". Nella denuncia/querela si fa riferimento anche ai manifesti 6x3, affissi da parte del Popolo delle Libertà, sui cartelloni del territorio comunale: "Abbiamo mantenuto gli impegni. Via i rom dalle case popolari".

LA REAZIONE DI AMNESTY INTERNATIONAL. Il fatto sollevò l'indignazione della comunità internazionale, tanto che anche Amnesty International è intervenuta sulle autorità italiane affinché venissero prese tutte le misure necessarie per proteggere la comunità dei rom da intimidazioni e attacchi violenti. L'organizzazione per i diritti umani ha condannato pubblicamente la violenza razzista, l'incitamento all'odio razzista e all'odio razziale, ed ha chiesto alle autorità di avviare immediate indagini e su atti di violenza a stampo razzista.

LA LEGGE MANCINO. La legge Mancino, dal nome dell'allora ministro dell'interno che ne fu proponente, condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista, e aventi per scopo l'incitazione alla violenza e alla discriminazione per motivi razziali, etnici religiosi o nazionali. Il dispositivo all'art.1 prevede: la reclusione fino a un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro per chi propaga idee fondate sulla superiorità o sull'odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi; la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi, in qualsiasi modo, incita a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. È vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l'incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell'assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.

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Di Fabrizio (del 13/03/2013 @ 09:07:06, in Italia, visitato 1295 volte)

Corriere Immigrazione di Stefano Galieni, 10 marzo 2013

Nel lato oscuro dei grandi eventi che modificano il volto delle città ricade anche la finanziarizzazione dei rom. Ne parla Alessia Candito nel suo libro Chi comanda a Milano.

Chi comanda a Milano è un'inchiesta vecchio stile che si snoda attorno agli aspetti visibili, gli intrecci opachi o letteralmente mafiosi e criminali che gravitano attorno a Expo 2015. Nel libro, edito da Castelvecchi, Candito ricostruisce sette anni di azione politica, si fanno nomi e cognomi dei personaggi che sono stati e sono parte di speculazioni immobiliari, progetti di cementificazione, devastazione ambientale e urbanistica. Ma in queste pagine si parla anche dell'utilizzo cinico di rom e migranti.

Cos'è la finanziarizzazione dei rom cui dedica un capitolo del libro?
"La fortunata espressione non è mia, ma di Mario De Gaspari, ex sindaco di Pioltello e voce critica della sinistra milanese. È stato lui per primo a denunciare come per trasformare terreni agricoli o vincolati in edificabili siano stati utilizzati anche gruppi di rom, volutamente tenuti nel degrado più assoluto e trasformati in bomba sociale per rendere possibile la trasformazione di destinazione d'uso di un'area o la “ristrutturazione” o “riqualificazione di una struttura”. Queste paroline magiche devono sempre mettere sull'avviso: nella maggior parte dei casi nascondono sempre grandi speculazioni a beneficio dei soliti noti. In più, in omaggio, il centrodestra meneghino otteneva anche consenso alimentato dalla paura, indotta e relativa al presunto allarme rom".

A suo avviso, c'è un legame strutturale fra la demonizzazione dei rom, che si è fatta a Milano e in altre città, e le speculazioni edilizie?
"Non ho dati per affermarlo, ma non mi stupirebbe scoprirlo. Del resto, si tratta di un metodo collaudato. E i grandi costruttori italiani non si sono mai dimostrati schizzinosi al momento di fare affari: soci improbabili, metodi ingiustificabili e devastazioni ambientali sono una costante".

Oltre che contro i rom, per anni a Milano sono state emesse ordinanze che avevano come obiettivo gli immigrati in base a un'idea securitaria della città. Cosa ne pensa?
"E' paradossale che Letizia Moratti e il suo vicesindaco Riccardo De Corato per anni abbiano declinato la parabola sicurezza a forza di ordinanze anti kebabbari, coprifuoco e sgomberi, proprio negli anni in cui più palesemente Milano si è riscoperta totalmente infiltrata, o meglio colonizzata dalla criminalità organizzata, in particolare dalla 'ndrangheta. Gli uomini delle 'ndrine – e lo dicono la cronaca e le inchieste – non solo sono radicati da decenni a Milano e in Lombardia, ma sono ospiti fissi di salotti buoni e grandi appalti. Del resto, sono gli unici oggi che abbiano liquidità cash. E per questo risultano molto graditi".

Oltre alla questione rom, lei accenna al fatto che in molti cantieri si utilizza manodopera irregolare spesso immigrata. Hai esempi concreti di tale sfruttamento?
"Ci sono diversi esempi di cui accenno, sono troppe le storie in proposito su cui vale la pena continuare a indagare, ma non è un'esclusiva milanese. Basta entrare in un qualsiasi cantiere da Canicattì a Bolzano per vedere come sono sempre i lavoratori migranti, volutamente tenuti in condizioni di clandestinità, a doversi sobbarcare i lavori più onerosi per paghe da fame. È in fondo il senso della Bossi-Fini: creare una manodopera a basso costo, prona ed estremamente ricattabile".

Che ruolo gioca in tale contesto la presenza delle grandi organizzazioni criminali?
"Il radicamento delle organizzazioni criminali e della 'ndrangheta, in particolare a Milano, non è recente, sono più di 40 anni che attraverso l'istituto del soggiorno obbligato, numerose famiglie si sono stabilite in Lombardia e in tutto il nord. Hanno avuto a disposizione numerosa liquidità e sono entrate nell'economia come attori economici, come Mani Pulite insegna. Molte persone più preparate di me hanno scritto testi molto validi e argomentati in proposito. Su un dato credo si possa essere tutti concordi. In questo sistema politico ed economico le 'ndrine giocano un ruolo da protagonista che solo mettendo in discussione il sistema si potrà modificare".

Cosa è cambiato con la giunta Pisapia?
"Nonostante le elevatissime aspettative, la situazione è cambiata poco o nulla. Le operazioni cosmetiche non possono bastare".

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