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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 11/04/2012 @ 09:03:25, in Kumpanija, visitato 1385 volte)

E' venuta a mancare prematuramente Giuseppina "Rumanì" Ciarelli, romnì italiana tra le prime a Milano a diventare mediatrice culturale e attivista per i diritti dei rom e dei sinti. Rumanì ha iniziato il suo impegno come mediatrice a favore delle donne e dei minori rom e sinti nei consultori famigliari, insieme ai mediatori e alle mediatrici di Sucar Drom alla fine degli Anni Ottanta. E' stata una delle prime mediatrici sanitarie italiane, ci mancherà il suo sorriso e ci mancheranno le sue capacità. Pubblichiamo il ricordo della Consulta Rom e Sinti di Milano a firma di Giorgio Bezzecchi, Dijana Pavlovic e Paolo Cagna Ninchi

"Noi siamo belli", questo diceva Rumanì di noi rom, questo è quello che sentiva, che pensava e che diceva quando incontrava, anche in incontri ufficiali i "gagi". Questo ci ha insegnato Rumani, a credere che i rom sono belli, perché liberi, perché portano qualcosa di bello in questo mondo con il loro modi di vedere la vita, con la gioia capace di esprimersi in ogni momento, anche il più difficile.

Rumanì era libera e capace di raccontare la LIBERTA', capace di cancellare i pregiudizi con le sue parole semplici e forti. Traduceva il suo nome RUMANI' in "donna libera". Così noi pensiamo a lei, sorridente e orgogliosa.

E' stata una delle prime attiviste e leader del movimento per i diritti Civili di Rom e Sinti a Milano. Ciarelli Giuseppina nata Avezzano il 7 Giugno 1957, detta "Rumanì" dalle donne delle Comunità Rom e Sinti di Milano.

Rumanì è stata una delle prime attiviste dell'Opera Nomadi di Milano, iniziava la sua attività già alla fine degli anni '80, nei primi anni '90 seguì un corso di Mediatori Sanitari andando a lavorare per anni nel Consultorio familiare di via Fantoli svolgendo la propria importantissima funzione a favore

Nella prima metà degli anni '90 ritirò a nome dell'Opera Nomadi di Milano l'Ambrogino d'Oro testimoniando orgogliosamente e caparbiamente il desiderio delle Comunità rom e sinte di superare le difficoltà legate alla lotta alla discriminazione e al riconoscimento dei propri diritti. Aveva un grande ruolo all'interno della Comunità e per noi era un punto di riferimento, non solo una grande amica.

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Di Fabrizio (del 10/04/2012 @ 09:20:46, in casa, visitato 1434 volte)

OPERA NOMADI DI REGGIO CALABRIA - COMUNICATO STAMPA

Il razzismo contro i rom continua ad essere esercitato nel territorio della nostra provincia per ostacolare l'inserimento abitativo di questi cittadini e quindi il superamento dei ghetti.

Nell'ambito dell'operazione di equa dislocazione delle famiglie rom, pochi giorni fa, il Sindaco del Comune di Melito Porto Salvo ha assegnato un alloggio popolare ad una famiglia rom che abita in una baracca con una bambina affetta da una grave malattia congenita. Ma prima che il Comune potesse consegnare l'alloggio l'immobile è stato occupato abusivamente da un'altra famiglia melitese per impedire l'insediarsi dei rom.

Il sindaco di Melito Porto Salvo è intervenuto tempestivamente sfrattando gli occupanti, ma questi hanno cominciato a protestare contro la famiglia rom e contro l'Amministrazione comunale dichiarando che non intendono accettare dei rom nel loro quartiere. Questa famiglia, che dopo tanti anni è riuscita ad avere un alloggio adeguato dove poter curare la figlia, ora si trova a dover affrontare il rifiuto di questi concittadini con la preoccupazione per quanto potrebbe accadere.

Purtroppo queste azioni razziste sono un copione che si ripete ormai da anni. Altre occupazione abusive di alloggi destinati alle famiglie rom si sono verificate nei mesi passati nel comune di Gioia Tauro e qualche anno fa anche a Reggio Calabria è avvenuta la stessa cosa in concomitanza con l'operazione di equa dislocazione. Nella stessa città di Melito Porto Salvo, pochi anni fa, sei alloggi destinati alle famiglie rom sono stati incendiati. Queste azioni sono state contrastate adeguatamente sia dalle Amministrazioni comunali che dalle stesse famiglie rom e dall'Opera Nomadi e quindi anche se hanno rallentato i progetti di inserimento abitativo non hanno impedito che si raggiungessero dei risultati. Tuttavia è mancata una condanna di queste azioni da parte della comunità civile nel suo complesso. E' chiaro che queste azioni di discriminazione non sono casi isolati, come spesso si vuole lasciare intendere, ma sono l'espressione di un pensiero diffuso nella nostra società secondo il quale i rom sono dei cittadini “inferiori” che non possono vivere insieme alle altre persone. Questo è il motivo della mancata condanna. Nonostante da anni abbiamo recepito le leggi europee contro il razzismo, abbiamo un Ufficio Nazionale contro il Razzismo che dipende dal Governo nazionale, vengono realizzate continue iniziative di contrasto alla discriminazione e dal 28 febbraio 2012 l'Italia ha una strategia nazionale per l'inclusione delle comunità rom che prevede il superamento dei ghetti, in alcuni comuni ( Cosenza, Roma, ecc..) si progettano ancora campi ghetto e si continuano a realizzare azioni razziste.

Qualcosa non ha funzionato. A differenza di quello che si dice nei dibattiti e sui media il razzismo fa parte integrante della nostra cultura locale e nazionale. La nostra cultura, come tutte le culture occidentali, contiene come suoi elementi interni sia il razzismo che l'antirazzismo. Pertanto il razzismo si potrà combattere adeguatamente solo dopo che avremmo ammesso la sua esistenza effettiva nella nostra cultura, e quindi non più come elemento estraneo che sporadicamente interessa la nostra società ( Bauman Z., Modernità e Olocausto, 1992) ma quale elemento costituente che va estirpato lavorando dall'interno.

Nonostante il limite esistente nella strategia di lotta al razzismo, nella provincia di Reggio Calabria dei risultati sono stati raggiunti. Negli ultimi 10 anni attraverso il progetto di equa dislocazione circa 20 famiglie rom sono state inserite nel tessuto urbano del comune di Melito Porto Salvo ed oggi abitano civilmente accanto alle famiglie non- rom. Nello stesso periodo, nel comune di Reggio Calabria, circa 102 famiglie sono state inserite in 80 condomini diversi che si trovano su tutto il territorio comunale da Gallico a Pellaro. Anche questi rom di Reggio Calabria vivono bene accanto alle famiglie non rom. Questo ci fa capire che l'opposizione che quasi sempre caratterizza il primo momento dell'inserimento nel quartiere è condizionato dal pensiero razzista comune, ma viene superata gradualmente con il contatto personale e diretto tra rom e non-rom (Teoria del contatto di G. Hallport). Queste 122 famiglie vivono bene con i loro vicini di casa i quali hanno finalmente capito che i rom sono persone come loro, che gli stereotipi negativi diffusi non corrispondo alla realtà e che con loro ci si può vivere assieme nello stesso condominio. Il progetto di equa dislocazione realizzato nei due comuni attraverso la collaborazione tra Amministrazioni comunali, Opera Nomadi e famiglie rom ha quindi permesso a ben 122 famiglie di uscire dai ghetti e di inserirsi nella società. Da pochi mesi anche il comune di Gioia Tauro ha avviato il progetto di equa dislocazione per le famiglie rom e ha già dislocato la prima famiglia.

Alla luce della buona esperienza realizzata a Melito Porto Salvo l'Opera Nomadi prega la comunità del luogo, la Chiesa, le associazioni del terzo settore, i candidati a sindaco e tutta la società civile, da sempre molto sensibile verso i problemi sociali, a prendere una posizione su questo caso di non accoglienza per far capire alle persone che si ostinano a non accettare i rom che bisogna abbandonare i pregiudizi perché i rom sono persone come loro e che respingerli significa respingere se stessi.

Reggio Calabria, 7 aprile 2012
Opera Nomadi di Reggio Calabria
Il presidente Antonino Giacomo Marino

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Di Fabrizio (del 10/04/2012 @ 09:18:29, in Regole, visitato 1385 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Tanjug

BELGRADO - Circa 30.000 persone in Serbia, soprattutto Rom, non hanno documenti personali. mentre 6.500 non sono iscritti al registro delle nascite, il ché li rende giuridicamente invisibili.

Il responsabile ACNUR in Serbia, Eduardo Arboleda, ha dichiarato lunedì che la Serbia è cosciente di questo problema con gli apolidi, ed assieme all'ACNUR sta lavorando ad una soluzione, aggiungendo che con l'adesione di emendamenti al codice di procedura civile, la Serbia potrebbe essere la prima nella regione a risolvere la questione.

Secondo Arboleda, l'apolidia è un grave problema, con serie conseguenze sulla vita delle persone, dato che impedisce di ottenere i certificati di nascita, limita l'accesso al lavoro, all'assistenza sanitaria ed al rispetto ai diritti umani fondamentali.

Ha detto a Tanjug che questo problema è presente soprattutto per i Rom che vivono nelle baraccopoli,, che non hanno permesso di residenza o nessuna conoscenza delle procedure d'accoglienza, [...].

Secondo i dati di uno studio recente sulla situazione in Serbia, risulta che il 6,5% dei Rom non abbia documenti personali, mentre l'1,5% non è nemmeno presente nei registri delle nascite, dice Arboleda.

Ha aggiunto che da almeno cinque anni l'ACNUR sta lavorando sul problema delle baraccopoli rom e della loro registrazione, sinora in 20.000 hanno ottenuto documenti adeguati.

"Credo che assieme al governo serbo possiamo risolvere questo problema," ha detto Arboleda, aggiungendo che l'ACNUR sta per firmare un memorandum d'intesa col ministero competente, sull'impegno comune nella risoluzione della questione.

A dicembre 2011, la Serbia ha aderito alla Convenzione del 1961 sulla Riduzione dell'Apolidia, e a marzo 2012 il difensore civico Sasa Jankovic ha presentato il rapporto sulla posizione delle persone legalmente invisibili in Serbia.

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Di Fabrizio (del 09/04/2012 @ 09:33:22, in Regole, visitato 1407 volte)

(foto Keystone) Corriere del Ticino AI: vietato discriminare gli zingari
Secondo il TF bisogna tenere conto del loro particolare modo di vita 5.04.2012 - 12:01 ats

LOSANNA - Gli zingari non devono essere discriminati nei riguardi dell'assicurazione invalidità (AI): il Tribunale federale (TF) ha accolto il ricorso di una donna a cui è stata rifiutata una rendita, col motivo che i suoi problemi di salute non le impediscono di svolgere un'attività sedentaria.

La donna, appartenente alla comunità svizzera degli zingari, vive nella regione di Ginevra nei mesi invernali e si sposta il resto dell'anno in Francia, Germania e nella Svizzera tedesca. Dopo essere stata impiegata dall'impresa del marito rigattiere, dal 2006 non è più in grado di lavorare a causa di una lombalgia cronica. Le autorità ginevrine le avevano tuttavia negato una rendita AI.

La valutazione del grado d'invalidità - rilevano i giudici federali - deve tener conto del modo di vita degli zingari. Nel loro caso, i dati statistici sui quali è basato il calcolo del reddito che la persona potrebbe conseguire non sono adeguati.

Per aver omesso di tener conto dell'itineranza della donna, il rifiuto opposto dalle autorità ginevrine è contrario al divieto di qualsiasi discriminazione, diretta o indiretta, previsto dalla Costituzione federale e agli impegni, relativi alla protezione delle minoranze, sottoscritti dalla Svizzera sul piano internazionale, sentenzia la Corte suprema.

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Di Marylise Veillon (del 08/04/2012 @ 09:57:06, in Kumpanija, visitato 1640 volte)



La fortuna, la provvidenza, il destino o come lo si voglia chiamare, ha fatto sì che fossi presente a Londra, nella settimana dell'otto aprile 1971. Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti. Sono trascorsi 41 anni. Ero quasi un bambino. Il mio viaggio a Londra, appena dopo il franchismo, fu il mio battesimo riguardo alla conoscenza della realtà gitana mondiale, della quale fino allora, avevo soltanto vaghe conoscenze.

Gitani e gitane provenienti da 25 paesi si erano dato appuntamento a Londra. Ci sono andato senza conoscere nessuno, e senza avere ben chiaro in mente di cosa trattava quella riunione. La mia prima sorpresa fu di constatare che quelle giornate erano state convocate, programmate e dirette dai gitani stessi. Neanche un solo "gachó" (payo) intervenne nei dibattiti, né assolutamente condizionò gli accordi lì presi. I ricordi vengono alla mia memoria con la stessa forza con la quale appaio nelle foto che accompagnano questo commento, le quali mi sono state regalate l'anno scorso, nel Regno Unito.

L'otto aprile del 1971, sapevo che nel mondo vivevano più gitani di quelli che conoscevo in Andalusia, però non li avevo mai visti. L'otto aprile 1971 ho sentito parlare per la prima volta in romanì. A casa mia, la mia famiglia chiacchierava in gergo. Non era lo stesso, ma era simile. Ho potuto scoprire stupito, come gitani che vivevano dietro la cortina di ferro - gitani che non si erano mai neanche sognato che le autorità comunista del loro paese avrebbero potuto mai autorizzarli a uscire verso il mondo capitalista - si capivano perfettamente con gli altri gitani arrivati dalla Francia, dalla ex Iugoslavia, o dalla temuta Germania. L'otto aprile 1971, sono stato invaso da brividi di commozione quando ho sentito sulla mia pelle i baci calorosi di tanti gitani che mi abbracciavano, emozionati per avere trovato il figlio perduto, il fratello sconosciuto che veniva dalla vecchia Spagna dove - loro lo sapevano - vivevano centinaia di migliaia di gitani separati dal resto del loro popolo, disperso in milioni per tutto il mondo.

L'otto di aprile 1971 mi sono sentito più libero che mai. Ho partecipato alla votazione che ha ufficializzato la nostra bandiera e poi ho percepito la liberazione che si prova tenendo come tetto l'azzurro del cielo e come pavimento il verde dei campi. Poi ho capito con chiarezza assoluta perché mio nonno Agapito ci augurava sempre salute e libertà.

L'otto aprile 1971 ho visto per la prima volta una balalaica. Ho ascoltato il suo suono nelle mani di Jarko Jovanovic. Alla sua melodia si è unita la musica soave, triste e melancolica di alcuni violini, e mentre dalle corde della balalaica saltano fuori le note infuriate, che imitano il crepitio delle fiamme assassine che hanno distrutto la vita di tanti innocenti nei campi nazisti, i violini con la loro dolce melodia, fanno strada a fiumi di lacrime, mentre giocano con il ricordo di tanti anziani ingiustamente gasati, decine di migliaia di bambini massacrati e centinaia di uomini e donne che, nel fior della vita, non capirono mai perché li svestirono prima di introdurli nelle camere a gas. Così è nato il "Gelem Gelem".

L'otto aprile 1971, come lo sbocciare di un fiore, nella vecchia Europa è apparso il germe di una coscienza collettiva addormentata per tanti secoli. Gitani e gitane provenienti da 25 stati, residenti nei paesi comunisti dell'eterno freddo, o nella geografia spesso disumana del capitalismo più feroce, hanno messo al di sopra di qualsiasi ideologia il rispetto per la nostra comune condizione di gitani. Poi ci siamo resi conto che eravamo un popolo, che aveva saputo conservare leggi e costumi e che dovevano essere difesi. Il rispetto verso le persone più grandi, l'autorità indiscussa degli anziani, il valore della parola data, la venerazione suprema della famiglia, sono l'espressione palpabile della nostra massima istituzione e dell'amore supremo e incorruttibile nei confronti della libertà.

Oggi non ci sembra il giorno adatto per parlare delle nostre miserie. Dell'emarginazione della quale siamo vittime e degli attacchi razzisti che patiamo. Per denunciare queste situazioni abbiamo tutti i giorni dell'anno, e così facciamo. L'otto aprile è la Giornata Internazionale del Popolo Gitano è ha una vocazione di fraternità e di rispetto per tutto il mondo. Così come in questo giorno i gitani e le gitane del pianeta si avvicinano ai fiumi per depositare sulle loro acque le candele del ricordo e i fiori della libertà, nelle quali sta il simbolo del nostro desiderio di convivere con il resto dei cittadini in pace e armonia, in quanto una celebrazione che racchiude il ricordo del passato e l'amore per la libertà dovrebbe essere patrimonio di tutta l'umanità.

Juan de Dios Ramírez Heredia
Presidente de Unión Romani
Abogado y periodista

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Di Fabrizio (del 08/04/2012 @ 09:17:23, in musica e parole, visitato 1293 volte)

Prosegue la V edizione di StranItalia con una serata che va "Oltre i luoghi comuni".
Recuperare la curiosità e l'apertura verso l'altro, ribaltare i luoghi comuni, i pregiudizi per costruire e proporre luoghi in comune...

SABATO 14 APRILE

19:30 TESTIMONIANZE di Bianca Stancanelli
Rebecca Covaciu
Roberto Malini
20:30 APERITIVO preparato da Operazione Mato Grosso
e CONCERTO Roberto Durkovic e i fantasisti del metrò

c/o SALA RIUNIONI PARROCCHIA SANTA TERESA (FRATI)
Piazza Montegrappa, 1 - LEGNANO

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Di Fabrizio (del 07/04/2012 @ 09:32:01, in Italia, visitato 1959 volte)

Da circa un mese, i due fratellini Libero e Il Giornale stanno battendo la grancassa, ripetendo la notizia che con Pisapia (ed in assenza di sgomberi) a Milano sono in aumento i "nomadi". E' il loro marchio di fabbrica: si alternano nel ripetere la cosa, finché qualche altro media, per sfinimento o in mancanza di altro da scrivere, si unisce al coro.

    Leggendo le cronache dalle altre città (grandi e piccole) in Italia, ho invece la sensazione che i cosiddetti "nomadi percepiti" (cioè: mendicanti, lavavetri, mariuoli di vario calibro) siano in aumento un po' dovunque. Figli di questi tempi, credo: nell'attuale situazione economica, non siamo solo noi a perdere il lavoro, fare più fatica a fare la spesa o mandare i figli a scuola. Ma si sa, che il compito della maggior parte dei giornali non è tanto fare informazione, quanto trovare il colpevole, e a Milano si preferisce dare la colpa a Pisapia, piuttosto che a Monti (o al suo predecessore, nessuno ricorda come si chiamasse?)

La soluzione per Milano, apripista Libero e il Giornale, sarebbe riprendere la vecchia e sana politica degli sgomberi ad oltranza che, a detta loro (ma anche del prefetto Gian Valerio Lombardi), in passato aveva ridotto le presenze nomadi in città.

Sarebbe utile ragionare sulle cifre riportate, e capire come vengano fornite. Ad esempio, sulle stesse pagine dei quotidiani da anni si parla si situazioni al limite dell'invivibile dentro TUTTI i campi rom cittadini, dove polizia e carabinieri non riuscirebbero nemmeno ad entrare. Io al contrario posso testimoniare che le loro pattuglie vi entrano regolarmente, anche una volta al giorno, fanno il loro giro ed escono senza problema. Che quelle stesse pattuglie con frequenza quasi mensile compiano una sorta di censimento (rigorosamente prima delle 7.00 e non capisco il perché), ma che nonostante ciò in comune da anni non sanno con quanti rom e sinti hanno a che fare. Quello che ricordo degli sgomberi di De Corato, non è che portarono ad una riduzione delle presenze nomadi in città, ma che si creò un'ondata di "nomadi di ritorno": sempre gli stessi sgomberati ogni volta. I due giornali, con dietro il coro, dimenticano che quella politica ebbe come risultato almeno una cinquantina di insediamenti di fortuna, diffusi in tutta la periferia, dove venivano rimbalzati gli sgomberati.

L'incendio questa settimana nel campo di via Sacile, ha risvegliato il dibattito sul destino di questi insediamenti, e come porvi rimedio. Se l'ex vicesindaco De Corato nostro ne approfitta per ribadire quanto lui era bravo, l'attuale maggioranza -ormai da mesi- prosegue con dichiarazioni (tante) ed atti concreti (meno), apparentemente contraddittori tra loro che, almeno riguardo alla questione degli insediamenti abusivi, sta portando al risultato di avere le stesse presenze di prima, ma più concentrate e periferiche rispetto al passato.

Occorre capire meglio cosa passi per la testa degli attuali amministratori: sicuramente una delle cause della loro indeterminatezza è data dal buco in bilancio della giunta precedente, già denunciato il luglio scorso. La seconda causa è dovuta al fatto che dichiarando la Corte Costituzionale illegittimo il Piano Maroni, sono scomparsi i fondi superstiti. In questa situazione, non conoscendo quanti possano essere i soldi disponibili, le tante e contraddittorie dichiarazioni sono fatte non tanto a ragion veduta, quanto per motivi di propaganda a corto respiro.

    Apro una parentesi: domenica scorsa ero all'insediamento di via Sacile. In quel campo che TUTTI indicano come una bomba ad orologeria sociale, gli abitanti mi mostravano le loro carte d'identità italiane (dato che sono arrivati lì dopo innumerevoli altri sgomberi) - carte d'identità andate bruciate con l'incendio. Buona parte dei maschi adulti ha un lavoro (per quanto in nero), i bambini hanno iniziato ad andare a scuola. Quindi esistono anche dei Rom "abusivi" che sono già sulla via dell'integrazione. Se fosse quello l'obiettivo, sarebbe DOVERE dell'amministrazione aiutarli, trovare qualche modo meno infernale di poter vivere. Ma le risposte ottenute dal comune spesso sono state del tono "vogliamo aiutarvi, ma dovete andarvene".

    Un esempio di cosa manca: il campo è (ovviamente) una gigantesca discarica, il comune non effettua la raccolta dell'immondizia, per paura di trattare TROPPO BENE questa gente (poco importa se le infezioni sono per loro natura antirazziste, e attaccheranno tanto loro quanto il resto degli abitanti). In Francia, anche se un insediamento è abusivo o a rischio sgombero, le municipalità (di destra o sinistra) mettono sempre a disposizione dei cassonetti per la raccolta rifiuti. In via Sacile sono gli OCCUPANTI ad autotassarsi per poter pagare una compagnia privata che provveda.

    Altro esempio: nel campo manca l'acqua, e più volte al giorno le donne fanno un lungo percorso sino ad un parchetto cittadino munito di fontanella, sollevando spesso il ribrezzo degli altri frequentatori del parco. Alcuni OCCUPANTI avevano raggiunto un accordo col proprietario di una casa abbandonata accanto al campo, per ripristinare il collegamento idrico. Ora bastava superare una recinzione divelta per rifornirsi senza scandali. Dopo qualche giorno, è intervenuta la polizia municipale per chiudere il rifornimento dell'acqua così ottenuto.

Questo il panorama di un'integrazione che (discorsi a parte) viene resa impossibile. La giunta attuale non chiede sgomberi, ma il "superamento dei campi"; cosa cambi non è chiaro, in assenza di proposte su dove può finire questa gente. L'alternativa pratica ai disastrosi campi attuali sembrano essere campi ancora più disastrosi.

Luoghi disastrosi per gente altrettanto disastrosa. E qua, occorre misurare l'approccio che si vuole avere con chi ci abita. Se UNA PARTE è gente come quella che descrivevo sopra, quando si tratta di cercare un dialogo con l'amministrazione, i toni tornano a quelli di anni fa: spaccio, prostituzione, ricettazione, furti, ecc. (qualche volta gradirei anche dati e cifre, please), diventano SCUSE per bloccare qualsiasi scelta che non vada oltre la pura emergenza. Scuse, di cui gli house organ comunali, le pagine cittadine del Corriere e di Repubblica, si fanno volentieri altoparlanti.

Con un'aggravante, per tornare al panorama dell'informazione: il progressivo "superamento dei campi", dietro il paravento del ripristino della legalità e del decoro, nasconde ancora, a distanza di anni e di giunte passate, i vecchi appetiti che si chiamano Expo, speculazioni immobiliari varie e, nel caso di via Sacile, i lavori di prolungamento della Paullese che, guardacaso, Pisapia in campagna elettorale si era impegnato a bloccare. Ma, visto che Pisapia per i suoi fan rimane intoccabile (e spesso inavvicinabile), il "lavoro sporco" viene delegato ai Granelli ed ai Majorino del caso.

Quindi: Pisapia come Moratti e sgomberi come "pensiero unico"? Leggo, nelle cronache romane, una descrizione della situazione nella capitale, governata da una maggioranza diversa che sta investendo una marea di soldi per costruire nuovi campi piazzati praticamente nel deserto: Rom, 21 luglio: "Con gli sgomberi i campi sono aumentati da 80 a 269". La gente anche lì rimane sempre quella, cambia il numero e la dimensione degli insediamenti di fortuna (diteglielo voi a De Corato).

E, permettete, destra e sinistra non usciranno da questo pantano (qualsiasi cosa proclamino), se non troveranno il coraggio di "prendere il toro per le corna", anche a costo di scelte impopolari. Scelgano una buona volta: la repressione dura e pura, con la PULIZIA ETNICA delle città. Oppure, prendano atto (magari non lo sanno...) che ci sono centinaia di edifici abbandonati sul territorio, potrebbero risolvere una buona parte del problema o, se restano abbandonati, prima o poi verrà qualche sgomberato ad occuparli. Io non ero ancora nato, ed in un'Italia sicuramente più povera di quella odierna, i vecchi politici di un vecchio centro (poi centro-sinistra), avevano già iniziato a smantellare le coree (molto più estese dei campi attuali), a favore di una politica della casa per le masse di immigrati che si erano riversate a Milano, Roma, Torino ecc.

Sappiate, signori amministratori, che quel che dovreste fare voi (scolarizzazione, facilitare l'accesso al lavoro, ai servizi pubblici e sanitari, dialogare con Rom ed altri cittadini) a Milano ed altrove lo stanno facendo da anni nuclei di volontari, sempre più numerosi e coscienti. Sono il capitale di un'amministrazione senza soldi, signori amministratori, sono i vostri votanti. Non fate la faccia offesa se vi chiedono ASCOLTO e RISPETTO.

E sulle stesse note, vi chiedo di aderire al progetto elaborato da un'altra comunità rom, con la medesima pratica di mediazione sociale diffusa. GRAZIE.


Nel frattempo: Matteo Salvini è sempre stato un ragazzo sveglio ed attivo, uno che la città se la gira da cima a fondo. Giovedì mattina era con i suoi in via Sacile, per dire ai Rom che dovevano andarsene. Mi dicono che la sera sia apparso contemporaneamente in televisione su Matrix, prendendosela con gli zingari ladri, e a Porta a Porta, piangendo sui (presunti) furti della Lega. Schizofrenico grave.

Fonti:

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Foto di Paul Polansky - MilanoInMovimento: A breve l'intervista integrale a Paul Polansky su questo sito.

All'alba di mercoledì un incendio ha distrutto metà del campo Rom di via Sacile angolo via Bonfadini a Milano. L'area sotto sgombero è destinata alla costruzione di uno svincolo della Statale Paullese e di un tratto di una rete fognaria.

Attualmente la versione ufficiale dei fatti parla di un incendio non doloso provocato da una candela situata all'interno del campo.

Il poeta Paul Polansky, già intermediario per l'Onu e premiato con lo Human Rights Award nel 2004, si trovava nel campo durante la notte in cui le baracche hanno preso fuoco e in un'intervista esclusiva rilasciata a Milano In Movimento dà una versione radicalmente diversa dell'accaduto e in particolare delle cause dell'incendio.

 Guarda la VIDEO intervista in esclusiva di Milano In Movimento.

Ndr: L'intervista è stata concordata e realizzata in collaborazione con la redazione di Mahalla


Nota:

Saluti a tutti,

Volevo scrivere oggi un rapporto su come e perché ci fosse stato un incendio nel campo rom a Milano dove vivevo, ma al suo posto troverete qui sopra un intervista con me in inglese ed italiano che spiega tutto.

Vi chiedo di girare l'intervista a tutti quanti siano interessati ad aiutare questi Rom.. Almeno venti famiglie nel campo ora non hanno un tetto. Stanno scavando tra i resti bruciati in cerca di materassi a molle per farsi nuovi letti. Il comune non ha portato loro nessuna tenda e neanche nuove baracche, come aveva promesso. L'unico aiuto è stato una tazza di Nescafe dopo che l'incendio è stato spento.

Ora all'ingresso del campo ci sono 24 ore su 24 due macchine della polizia. Perché, se è stata solo una candela a far scoppiare l'incendio? Ho intervistato i poliziotti e chiesto loro perché erano lì. Mi hanno detto [che era] per tenere lontani i Rom dal terreno intossicato (bruciato). Ma la polizia permette loro di piantare le tende che si sono procurati su quel terreno tossico, limitandosi ad osservarli dalle loro macchine, dato che i Rom passano tutto il giorno su quel terreno in cerca di quello che hanno perso nell'incendio.

Spero che possiate dare una mano, appellandovi al sindaco di Milano.

Grazie,

Paul

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Di Fabrizio (del 06/04/2012 @ 09:20:36, in Regole, visitato 1316 volte)

VITA di Gabriella Meroni - 04 aprile 2012

Il governo attuale difende le decisioni del precedente sull'emergenza rom. E l'Asgi si chiede perché

L'Asgi (Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione) esprime "sconcerto e perplessità" per la scelta del governo Monti di impugnare davanti alla Corte di Cassazione la sentenza del Consiglio di Stato che, con riguardo ai decreti sull'emergenza nomadi emanati dal Governo Berlusconi nel maggio 2008, aveva negato che esistessero i presupposti legali per la dichiarazione dello stato di emergenza.

La sentenza del massimo giudice amministrativo, che risale al novembre scorso, "seguiva quella del Tar del Lazio del 2009 - ricorda l'Asgi - che, pur riconoscendo invece la legittimità della proclamazione dell'emergenza, aveva comunque censurato l'operato del governo che aveva imposto il "censimento" etnico e che aveva regolamentato impropriamente i cosiddetti campi nomadi di Roma". L'Asgi chiede dunque che il Governo Monti desista dall'azione giudiziaria intrapresa, "così dimostrando di discostarsi dalla politica discriminatoria del precedente esecutivo e riconoscendo piena dignità alle popolazioni rom e sinte".

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Di Fabrizio (del 06/04/2012 @ 09:00:09, in casa, visitato 1460 volte)

Amnesty International Data di pubblicazione dell'appello: 02.04.2012 - Status dell'appello: aperto

Dal 19 marzo circa 1500 famiglie rom sono a rischio sgombero forzato dall'insediamento informale di Belvil, Belgrado, capitale delle Serbia. Le famiglie non sono state informate su dove saranno rialloggiate e potrebbero essere reinsediate in condizioni inadeguate o rimanere senza casa.

Lo sgombero dell'insediamento era stato precedentemente minacciato dalle autorità di Belgrado nel marzo 2010. Le autorità locali avevano affermato che la maggior parte dei residenti dell'insediamento di Belvil sarebbero stati sgomberati per far posto a strade di accesso ad un nuovo ponte sul fiume Sava. Non era stato predisposto alcun piano di reinsediamneto ne era stata avviata una consultazione con i residenti.

A seguito alla campagna di Amnesty International e delle organizzazioni locali per i diritti umani, lo sgombero era stato sospeso. Come risultato della pressione esercitata, la Banca Europea degli Investimenti (Bei), uno degli finanziatori del progetto del ponte di Sava, ha dichiarato che lo sgombero sarebbe dovuto avvenire in conformità con gli standard internazionali.

Nell'aprile 2011, le autorità cittadine, coadiuvate dalla Bei, convocarono una riunione con i residenti di Belvil che vivono lungo la strada di accesso (circa 100 famiglie) e promisero che lo sgombero sarebbe avvenuto nel rispetto degli standard internazionali sui diritti umani. Le autorità promisero che avrebbero elaborato un dettagliato piano d'azione per il reinsediamento in accordo con le persone coinvolte. Ai residenti sarebbero state assegnate delle case prefabbricate, considerate da Amnesty International un alloggio adeguato.

Tuttavia i residenti di Belvin non sono più stati contattati dalle autorità cittadine fino al 15 marzo 2012 quando gli è stato comunicato che sarebbero stati sgomberati al più presto.

Nonostante le assicurazioni da parte della Bei e delle autorità cittadine, il 16 marzo le autorità della città di Belgrado hanno distribuito la notifica di sgombero ai residenti di Belvil. Gli è stato chiesto di distruggere e lasciare le loro case, senza alcuna consultazione preventiva e senza ricevere alcuna informazione su possibili piani di reinsediamento.

Egregio Sindaco,

Sono un simpatizzante di Amnesty International, l'Organizzazione non governativa che dal 1961 agisce in difesa dei diritti umani, ovunque nel mondo vengano violati.

Sono molto preoccupato per il rischio di sgombero di 1500 famiglie rom a Belvil, un insediamento informale di Belgrado.

Il 16 marzo le autorità della città di Belgrado hanno distribuito la notifica di sgombero ai residenti di Belvil. Gli è stato chiesto di distruggere e lasciare le loro case, senza alcuna consultazione preventiva e senza ricevere alcuna informazione su possibili piani di reinsediamento.

Essendo la Serbia uno Stato parte dei trattati internazionali e regionali che vietano gli sgomberi forzati, Le chiedo di:

  • fermare lo sgombero delle famiglie rom che vivono a Belvil e altrove a Belgrado;
  • avviare una consultazione reale con tutte le persone interessate per trovare tutte le possibili alternative agli sgomberi;
  • fornire alle persone interessate un piano per il loro reinsediamento, compresa la fornitura di un alloggio adeguato;
  • assicurare che gli sgomberi siano eseguite come ultima risorsa e dopo che siano state prese tutte le tutele legali e le garanzie, compreso un reinsediamento completo e un piano di compensazione per tutte le persone interessate.

La ringrazio per l'attenzione.

Scarica l'appello in favore dei rom in Serbia (.pdf 14.21 KB)

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