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Quando la memoria fa del passato un tempo presente
Di Marylise Veillon (del 08/04/2012 @ 09:57:06, in Kumpanija, visitato 1646 volte)



La fortuna, la provvidenza, il destino o come lo si voglia chiamare, ha fatto sì che fossi presente a Londra, nella settimana dell'otto aprile 1971. Da allora, ne è passata di acqua sotto i ponti. Sono trascorsi 41 anni. Ero quasi un bambino. Il mio viaggio a Londra, appena dopo il franchismo, fu il mio battesimo riguardo alla conoscenza della realtà gitana mondiale, della quale fino allora, avevo soltanto vaghe conoscenze.

Gitani e gitane provenienti da 25 paesi si erano dato appuntamento a Londra. Ci sono andato senza conoscere nessuno, e senza avere ben chiaro in mente di cosa trattava quella riunione. La mia prima sorpresa fu di constatare che quelle giornate erano state convocate, programmate e dirette dai gitani stessi. Neanche un solo "gachó" (payo) intervenne nei dibattiti, né assolutamente condizionò gli accordi lì presi. I ricordi vengono alla mia memoria con la stessa forza con la quale appaio nelle foto che accompagnano questo commento, le quali mi sono state regalate l'anno scorso, nel Regno Unito.

L'otto aprile del 1971, sapevo che nel mondo vivevano più gitani di quelli che conoscevo in Andalusia, però non li avevo mai visti. L'otto aprile 1971 ho sentito parlare per la prima volta in romanì. A casa mia, la mia famiglia chiacchierava in gergo. Non era lo stesso, ma era simile. Ho potuto scoprire stupito, come gitani che vivevano dietro la cortina di ferro - gitani che non si erano mai neanche sognato che le autorità comunista del loro paese avrebbero potuto mai autorizzarli a uscire verso il mondo capitalista - si capivano perfettamente con gli altri gitani arrivati dalla Francia, dalla ex Iugoslavia, o dalla temuta Germania. L'otto aprile 1971, sono stato invaso da brividi di commozione quando ho sentito sulla mia pelle i baci calorosi di tanti gitani che mi abbracciavano, emozionati per avere trovato il figlio perduto, il fratello sconosciuto che veniva dalla vecchia Spagna dove - loro lo sapevano - vivevano centinaia di migliaia di gitani separati dal resto del loro popolo, disperso in milioni per tutto il mondo.

L'otto di aprile 1971 mi sono sentito più libero che mai. Ho partecipato alla votazione che ha ufficializzato la nostra bandiera e poi ho percepito la liberazione che si prova tenendo come tetto l'azzurro del cielo e come pavimento il verde dei campi. Poi ho capito con chiarezza assoluta perché mio nonno Agapito ci augurava sempre salute e libertà.

L'otto aprile 1971 ho visto per la prima volta una balalaica. Ho ascoltato il suo suono nelle mani di Jarko Jovanovic. Alla sua melodia si è unita la musica soave, triste e melancolica di alcuni violini, e mentre dalle corde della balalaica saltano fuori le note infuriate, che imitano il crepitio delle fiamme assassine che hanno distrutto la vita di tanti innocenti nei campi nazisti, i violini con la loro dolce melodia, fanno strada a fiumi di lacrime, mentre giocano con il ricordo di tanti anziani ingiustamente gasati, decine di migliaia di bambini massacrati e centinaia di uomini e donne che, nel fior della vita, non capirono mai perché li svestirono prima di introdurli nelle camere a gas. Così è nato il "Gelem Gelem".

L'otto aprile 1971, come lo sbocciare di un fiore, nella vecchia Europa è apparso il germe di una coscienza collettiva addormentata per tanti secoli. Gitani e gitane provenienti da 25 stati, residenti nei paesi comunisti dell'eterno freddo, o nella geografia spesso disumana del capitalismo più feroce, hanno messo al di sopra di qualsiasi ideologia il rispetto per la nostra comune condizione di gitani. Poi ci siamo resi conto che eravamo un popolo, che aveva saputo conservare leggi e costumi e che dovevano essere difesi. Il rispetto verso le persone più grandi, l'autorità indiscussa degli anziani, il valore della parola data, la venerazione suprema della famiglia, sono l'espressione palpabile della nostra massima istituzione e dell'amore supremo e incorruttibile nei confronti della libertà.

Oggi non ci sembra il giorno adatto per parlare delle nostre miserie. Dell'emarginazione della quale siamo vittime e degli attacchi razzisti che patiamo. Per denunciare queste situazioni abbiamo tutti i giorni dell'anno, e così facciamo. L'otto aprile è la Giornata Internazionale del Popolo Gitano è ha una vocazione di fraternità e di rispetto per tutto il mondo. Così come in questo giorno i gitani e le gitane del pianeta si avvicinano ai fiumi per depositare sulle loro acque le candele del ricordo e i fiori della libertà, nelle quali sta il simbolo del nostro desiderio di convivere con il resto dei cittadini in pace e armonia, in quanto una celebrazione che racchiude il ricordo del passato e l'amore per la libertà dovrebbe essere patrimonio di tutta l'umanità.

Juan de Dios Ramírez Heredia
Presidente de Unión Romani
Abogado y periodista