Rom e Sinti da tutto il mondo

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Richiediamo chiarezza. Di Rom si parla poco e male, anche quando il tema delle notizie non è "apertamente" razzista o pietista, le notizie sono piene di errori sui nomi e sulle località

La redazione
-

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 29/01/2010 @ 09:18:24, in Italia, visitato 1973 volte)

Segnalazione di Maria Grazia Dicati

La reazione esasperata degli immigrati a Rosarno ad un gravissimo episodio di razzismo e di mafia porta all’attenzione mediatica una vicenda che, aldilà degli evidenti fini elettorali, ricorda molto da vicino, con le opportune distinzioni, i gravi episodi di “razzismo elettorale ed affaristico” accaduti a Napoli, nel 2008, nei quartieri di Ponticelli e di Pianura.

Il dovere di non dimenticare e capire quello che accade, spesso sotto i nostri occhi, deve aiutarci a comprendere le cose, osservandole da vicino, e forse ricordare l’episodio più paradigmatico avvenuto negli ultimi due anni, può aiutarci a trovare le giuste coordinate.

Molti non lo ricorderanno ma il “pacchetto sicurezza” fu presentato nella prima seduta del consiglio dei ministri del governo Berlusconi a Napoli, il 23 maggio 2008 (nella stessa fu approvata anche la legge speciale per la militarizzazione dei siti di stoccaggio dei rifiuti), ad appena una settimana dal Pogrom dei “campi rom” di Ponticelli.

Le immagini dei roghi dei campi rom fecero il giro del mondo, accompagnate dalla narrazione giornalistica di una “ribellione popolare” causata dalla esasperazione dei residenti “costretti” a convivere da anni con i “reati “dei rom accampati nel quartiere, in realtà niente altro che dei miseri baraccamenti dove dal 2003 vivevano in stato di totale abbandono circa 1500 rom rumeni

Quello che non tutti videro invece fu il vistoso protagonismo dei clan della camorra che, utilizzando abilmente i media, riuscirono a coinvolgere parte della popolazione del quartiere per attaccare e sgomberare i rom, non a caso proprio quelli accampati a via Argine e via Malibran che insistevano su un’area interessata da un progetto di risanamento urbanistico per decine di milioni di euro, strumentalizzando una vicenda, il “tentativo di rapimento” di un bambino da parte di una minorenne rumena che non faceva nemmeno parte dei campi rom.
Del totale di 10 campi rom abusivi di Ponticelli, ne furono incendiati solo due, quelli che si trovavano nel posto sbagliato.

Emiliano Di Marco

www.emilianodimarco.splinder.com

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Di Fabrizio (del 28/01/2010 @ 09:39:12, in Italia, visitato 1933 volte)

Ricevo da Claudio Graziano

L'ammistrazione alemanno fa le le prove per le elezioni regionali e ha fretta di dare soddisfazione alle promesse fatte ai suoi elettori, partendo dalla questione "Casilino 900", il campo emblema della presenza rom nella capitale.

Si tratta di 600 rom, che vivono lì da oltre 30 anni, provenienti dalle varie regioni della ex Jugoslavia e dalla Romania, che secondo l'amministrazione alemanno, verranno sgomberati entro i primi di Febbraio. In tre giorni sono già state abbattute decine di baracche.

La tanto millantata collaborazione con la comunità rom non esiste (basta vedere la reazione dei 128 legittimi assegnatari del campo di Salone, deportati al centro per richienti asilo di Castel nuovo di Porto per far posto agli arrivi da Casilino, .a cui era stato promesso di tornare al campo dopo l'espletamento delle pratiche di permesso di asilo). E a quelle altrettanto preoccupate dei rom di Casilino 900. I rom questo sgombero lo subiscono e basta.

L'80 per cento dei bambini del campo frequenta le scuole del territorio, una percentuale molto alta indicatore di un livello altrettanto alto di inserimento sociale della comunità.

Questi bambini saranno i primi a pagare i costi del trasferimento, perché saranno costretti o a lunghissimi viaggi per tornare nelle loro scuole, o a cambiare del tutto scuola, amici, insegnanti.

Eppure la memoria dovrebbe tracciarci il sentiero: l'esperienza di Castel Romano ci insegna infatti le difficoltà di trasferire i bambini ad ore di distanza dalle scuole che frequentano.
Il Piano punta a chiudere 80 campi abusivi sparsi sul territorio, e ne indica 13 tra tollerati e autorizzati. Non ci viene spiegato, però, in che condizioni andranno a vivere i 7200 nomadi della capitale, di cui circa la metà bambini. A via Candoni, Roma Sud, vivono circa 700 persone, molte lavorano. L’amministrazione, senza coinvolgere il XV Municipio, ha fatto portare 24 container, che ospiteranno oltre 200 persone provenienti da Casilino. Il rischio è che questo diventi un campo sovraffollato. Si rischia di interrompere il prezioso lavoro di integrazione svolto, in questi anni, dalle associazioni insieme ai rom. . Si chiudono i campi abusivi e si costruiscono delle mega bidonville etniche, prodotto di un moderno progrom urbano (sull'esempio di Castel Romano).

Secondo il Piano verrà consegnato un documento, il "Dast", che dovrebbe permettere a chi lo possiede di sostare nei campi. Ad oggi, al di là dell'accanimento di una serie di identificazioni continue, svolte in modo ripetuto ed intimidatorio - anche 5 o 6 volte sulle stesse persone - a cui sono stati sottoposti i rom della città, ben pochi hanno visto questo documento. All'esigenza del lavoro, della casa, dei diritti, sembra venire contrapposta l'ossessione della schedatura, della ghettizzazione, della "soluzione finale". Intanto con la scusa dei cantieri, la giunta è riuscita a far passare un bando per la sorveglianza: 3 milioni di euro per le vigilanza privata, mentre in poco più di un anno, le risorse per progetti di mediazione culturali sono stati tagliate del 20 per cento

Non un accenno nel piano nomadi ad una soluzione alternativa che non sia il solito ammassamento dei rom in campi che è il primo motivo della loro emarginazione. Non un accenno a modalità alternative di inserimento socio abitativo - accesso alle case popolari o agevolazioni negli affitti.etc. -

Al contrario, le risorse stanziate, vengono in buona parte investite in proposte securitarie inutili nel promuovere l'autonomia delle popolazioni rom ma, al contrario, utilissime e spendibili per propaganda elettorale.

E' utile ricordare ai cittadini di questa città che le risorse dell'amministrazione saranno investite un'altra volta per costruire ancora campi rom, baraccopoli moderne utili solo, e per un breve periodo, in caso di gravi disastri naurali.

Insomma, rom terremotati a vita, per la giunta Alemanno.

Quindi, carente su una politica abitativa che sia progettuale, ma anche rispetto alle politiche di accoglienza, questa giunta, dietro il paravento di proposte di ordine e di polizia, sta accentuando il disagio della popolazione romana: pensiamo ai recenti sgomberi della fabbrica heineken e di Casilino 700, che hanno determinato la dispersione di molti rom nei territori circostanti aumentando i disagi anche per i residenti del territorio e dall'altra parte, hanno sradicato i rom dalle reti sociali territoriali in cui erano inseriti.

L'ARCI afferma con forza la sua contrarietà al piano nomadi e a come si sta attuando, agli sgomberi senza soluzioni alternative, alle operazioni preelettorali, al taglio delle spese di integrazione.

Claudio Graziano
responsabile immigrazione
ARCI di Roma
tel 3356984279-06417347 12
www.arciroma.it

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Di Fabrizio (del 28/01/2010 @ 09:25:15, in scuola, visitato 3658 volte)

Ricevo da Paolo Ciani

Lettera Istituto Comprensivo “via dell’Archeologia” Scuola frequentata dai bambini Rom di Via di Salone portati al "Cara" di Castel Nuovo di Porto
AL SINDACO DI ROMA Gianni Alemanno
AL PREFETTO DI ROMA
AL V DIPARTIMENTO Politiche sociali
AL XV DIPARTIMENTO politiche educative
AL CAPO DEI VIGILI URBANI Di Maggio

p.c. Alla Comunità di S. Egidio
Alla Casa dei Diritti sociali
A Ermes

Agli organi di stampa

“ Portati via! ”
I diritti degli invisibili
I docenti dell’Istituto Comprensivo di via dell’Archeologia, in considerazione degli esiti dell’attuazione del piano nomadi del comune di Roma - che implica in particolare lo spostamento di famiglie di alunni frequentanti l’Istituto dal campo di via di Salone al CARA di Castelnuovo di Porto - si interrogano, nello specifico scolastico, sull’opportunità di una azione che vanifica i risultati positivi conseguiti negli anni e gli sforzi delle parti coinvolte nell’obiettivo di un progressivo miglioramento dell’integrazione.

Le motivazioni sottese a quanto affermato sono le seguenti:
la distanza fra il CARA di Castelnuovo di Porto e l’istituto è tale da costituire impedimento alla fruizione del diritto allo studio dei bambini;
il trasferimento in altra scuola interromperebbe la fruizione di un percorso scolastico continuativo, predisposto ed attuato sin dalla scuola dell’infanzia, e potrebbe dar luogo a regressioni nell’apprendimento e nella relazione;
la progettualità di continuità richiede un’azione costante e lungimirante che si costruisce attraverso il confronto costante e la mediazione;
essere una comunità scolastica significa superare i limiti imposti dalle storie personali, attenti alla crescita degli alunni, promuovere progettualità di continuità, favorire una integrazione che lungi dall’essere omologazione sia conoscenza ed arricchimento reciproco

I docenti possono affermare che gli alunni oggi “portati via” dalle loro scuole hanno frequentato regolarmente, hanno maturato un atteggiamento positivo e motivato nei confronti della scuola, instaurando sereni e proficui rapporti con i compagni e con gli insegnanti; molti dei famigliari, inoltre, si sono sempre interessati al loro andamento scolastico.

Negli anni sono stati attuati percorsi, rivolti a tutti gli alunni, che hanno consentito, nel tempo l’instaurarsi di un clima di fiducia reciproca e l’acquisizione di risultati significativi nella crescita globale della personalità. Tutto ciò senza avvertire il bisogno, da parte dei docenti, di attirare l’attenzione sugli ottimi risultati raggiunti perché questo è il lavoro normale di una scuola che funziona.

I docenti notano con dispiacere che la scuola è chiamata in causa per ogni problematica, ma non è stata neanche presa in considerazione come interlocutore nell’attuazione del piano nomadi; è convinzione comune che interventi efficaci, soprattutto nel sociale, si realizzino attraverso azioni coerenti e sinergiche di più istituzioni. Perché allora la scuola non è stata consultata prima di procedere con le azioni predisposte? Ovviamente nella parte che riguarda le proprie competenze e cioè per valutare le possibili conseguenze e le ricadute di uno spostamento che avviene a metà anno scolastico e a metà di un percorso di vita per molti degli alunni iscritti.

I docenti chiedono che, nel tutelare i diritti umani di tutti, sia in particolare garantito il diritto dei minori alla frequenza scolastica in una situazione di continuità.

Ricordano che si parla di alunni, persone, esseri umani, non pratiche da sbrigare, nomi da depennare semplicemente da un elenco: sono sentimenti, emozioni, percorsi di una storia condivisa, che all’improvviso scompaiono. La scuola con loro ha conosciuto la diversità di un differente stile di vita, le difficoltà di inverni passati al freddo nei container, la dignità e lo sforzo fatto ogni giorno per stare insieme, e l’uguaglianza come quella di essere bambini come altri bambini, niente di più niente di meno.

Lungi dall’esprimere un giudizio politico o fare politica, i docenti vogliono unicamente essere messi in condizione di fare bene il proprio lavoro.
E’ in fondo un’esigenza normale. Niente di più e, viene da dire, “non uno di meno”.

Roma, 25 Gennaio 2010
Istituto Comprensivo
“via dell’Archeologia”
Roma

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Di Fabrizio (del 27/01/2010 @ 09:55:57, in Kumpanija, visitato 2092 volte)

Cielo rosso di sangue,
di tutto il sangue dei Sinti
che a testa china e senza patria,
stracciati affamati scalzi,
venivano deportati,
perché amanti della pace e della libertà,
nei famigerati campi di sterminio.
Guerra che pesi
come vergogna eterna
sul cuore dei morti e dei vivi,
che tu sia maledetta.

"Spatzo" Vittorio Mayer Pasquale

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Di Fabrizio (del 27/01/2010 @ 09:47:24, in scuola, visitato 1966 volte)

Ancora da Reggio Emilia

La Gazzetta di Reggio di Linda Pigozzi

Sono circa 200 i bambini sinti che frequentano la scuola dell’obbligo negli istituti reggiani. Molti di loro con frequenza regolare e risultati soddisfacenti. Un passo importante, quello della scolarizzazione, nel percorso d’inclusione.

Il percorso viene costantemente monitorato da operatori socio-educativi che a frequenza regolare si recano nei campi e si occupano di tenere i contatti con gli insegnanti. Per facilitare l’a ccesso scolastico, poi, il Comune mette a disposizione i libri di testo e, in alcuni campi, anche un servizio di trasporto verso la scuola.

Solo un esempio, quello relativo alla scolarizzazione di bambini e ragazzi sinti, di un progetto organico sul quale l’amministrazione comunale sta puntando ormai da tempo. E che punta al superamento della logica del confino che per decenni si è concretizzata con il «campo nomadi». Lo sforzo del Comune non riguarda soltanto bambini e ragazzi. In corso sono infatti progetti di formazione dei giovani e d’inserimento lavorativo per gli adulti. In tutto sono circa 800 i sinti che risiedono nel reggiano.

«Abbiamo adottato importanti politiche d’inclusione - sottolinea Matteo Sassi, assessore alle politiche sociali -. Il Comune porta quotidianamente avanti progetti e iniziative tramite operatori che ogni giorno si confrontano con questa realtà cercando di comprendere quali siano i bisogni reali e le strade più opportune da percorrere. Il percorso d’eccellenza è quello del superamento della logica del campo. Il nostro progetto della microarea è stato una scelta precisa in tal senso, che non siamo stati gli unici in Italia ad aver adottato. Microaree sono state allestite, ad esempio, nei comuni di Mantova, Venezia, Modena. Lo scopo è quello di superare un’anomalia tutta italiana e cioé quella del campo nomadi che non è presente in nessun altro paese europeo. Ora, a distanza di tempo dall’allestimento della prima campina, possiamo affermare come il bilancio sia positivo. Ci teniamo particolarmente a confrontarci con la cittadinanza, visto come era stata accolto il progetto della campina in un primo momento. Nella fase iniziale, infatti, si speculò molto e non dimentichiamo che ancora oggi c’è una parte politica che dice che i campi vanno superati e poi fa di tutto per mantenerli, per tenere in piedi un’assurda paura delle zingaro».
Il bilancio sulla microarea di via Felesino verrà steso nel corso del convegno organizzato per martedì 26 allo spazio Gerra di piazza XXV aprile dal significativo titolo «Percorrere strade nuove», proprio per indicare che esistono «percorsi nuovi e modalità di relazione fra la città e i sinti».

La campina è stata assegnata a una famiglia allargata che in precedenza era sistemata in un campo affollato. L’esperienza di questa famiglia, che in collaborazione con gli operatori del Comune ha colto la possibilità di modificare la propria condizione abitativa e sociale, è stata documentata attraverso immagini e parole nel libro «Dal campo alla città» che sarà presentato nel corso del convegno. Una seconda pubblicazione dal titolo «Percorrere strade nuove» dà invece voce a sinti e operatori coinvolti nei progetti di mediazione culturale promossi dal Comune negli ultimi 5 anni.

(24 gennaio 2010)

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Di Fabrizio (del 26/01/2010 @ 09:43:51, in Europa, visitato 2057 volte)

Da Roma_Benelux

Ginevra potrebbe forzare i bambini rom ad andare a scuola - Christian Lecomte

L'associazione di difesa dei Rom teme una messa sotto tutela

Ormai i bambini rom dovranno passare le loro giornate sui banchi di scuola invece che mendicare davanti ai grandi magazzini? Questa sembra la volontà delle autorità ginevrine. Scandalizzato dal rischio di vedere dei bambini morire di freddo per le strade di Ginevra, il consigliere amministrativo (socialista) Manuel Tornare in un primo tempo si era felicitato che i suoi servizi avessero aperto un rifugio notturno per questi bambini e le loro madri. Misura di protezione salutare che però ha avuto il dono di irritare una parte della classe politica - destra e sinistra insieme - , che teme che tutto si limiti ad "una bolla d'aria".

Sotto lo sguardo di James Fazy (nota ndr)

Manuel Tornare ora va oltre, volendo aprire loro le scuole ginevrine. "Nel paese di James Fazy, si deve assolutamente difendere il principio dell'istruzione, che è il mezzo migliore per uscire dalla miseria", dichiara. Essendo la questione di competenza cantonale, Charles Beer, consigliere di stato in carico al Dipartimento dell'istruzione pubblica (DIP), proporrà una comunicazione in questo senso mercoledì mattina al Consiglio di Stato.

Il capo del DIP, che venerdì scorso si è già intrattenuto a questo proposito con Isabel Rochat, consigliera di stato in carico al Dipartimento della sicurezza, della polizia e dello sviluppo, cosicché i servizi ai minori obblighino i minori ad andare a scuola.

I metodi ed i mezzi al momento non sono ancora conosciuti. Ma garantiamo che sarà arduo convincere le famiglie rom che mendicano per strada a "lasciare" i loro piccoli. "Si deve ai minori la protezione di un'istruzione," sostiene Charles Beer. Ed idealmente, "se sono presenti in maniera stabile a Ginevra, questi bambini devono essere scolarizzati. Ma so che, statisticamente, sarà difficile trovarne anche uno solo, perché i loro genitori non vogliono."

D'altra parte, il consigliere di stato che evoca possibili casi di maltrattamenti, vedendo questi bambini che vivono per strada in pieno inverno, parla di attivare la clausola di pericolo che può condurre al sequestro del bambino, "che sia rom o di qualsiasi altra origine".

Una minaccia giudicata "grave" dall'avvocato Dina Bazarbachi, dell'associazione Mesemrom, che difende i Rom a Ginevra. "Tutto ciò non serve a niente," dice. "Questa gente è qui solo di passaggio, non vivono qui. Se c'è una soluzione, è da trattare a livello rumeno ed in scala europea. E questi bambini non sono maltrattati, non sono in pericolo. La notte, sono al riparo, e strutture diarie possono accoglierli. Agitare il tema del pericolo, significa abbassare la guardia ed imporre una misura tutelare, cosa che è inaccettabile."

"Strumenti di mendicità"

L'eletto liberale al Gran Consiglio, Olivier Jornot, che è all'origine della legge cantonale contro la mendicità, da parte sua si felicita che ci sia una riflessione generale sui Rom perché, afferma, "questo inverno il loro numero sta crescendo. La clausola di pericolo, che permette l'intervento dei servizi sociali, è una buona cosa, perché questi bambini utilizzati come strumenti di mendicità non abbiano da noi posto sulla strada" .

Riguardo la loro scolarizzazione, il deputato ci tiene a porre un limite: "C'è una situazione paradossale: questi non sono immigranti, non sono installati da noi. Scolarizzarli, significherebbe incatenarli a Ginevra e questo non ha alcun senso per queste popolazioni. Il rischio è anche di vedere questi bambini confrontati ad un altro modo di vita ed essere rifiutati dalla loro stessa comunità."


Allegato: da Roma_Francais

ASSOCIATION MESEMROM
4, rue Micheli-du-Crest,
1205 Genève
contact@mesemrom.org

Lettera aperta al Consiglio di Stato della Repubblica e al Cantone di Ginevra

Ginevra, 21 gennaio 2010

Signor Presidente del Consiglio di Stato, Signore e Signori Consiglieri di Stato,

La presente fa seguito alla pubblicazione del vostro comunicato stampa di ieri, annunciante che il Consiglio di Stato incarica la polizia di interrogare e trattenere i mendicanti accompagnati da bambini o i mendicanti minori, di segnalare questi casi al Servizio di Protezione dei minori (SPMi), di condurre i minori con o senza i loro genitori in seno a questo servizio, che potrà pronunciarsi su una clausola di pericolo, cioè il ritiro immediato della patria potestà da parte dei loro genitori e l'adozione del minore da parte del servizio.

L'associazione MESEMROM intende denunciare vivamente queste misure incisive ed ingiuste prese contro i Rom di passaggio a Ginevra con i loro bambini.

Ci indigniamo che il Consiglio di Stato non abbia appreso le lezioni della storia, tornando sui passi della Pro Juventute, più precisamente quelli dell'Oeuvre des enfants de la grande route che ha imperversato dal 1926 al 1973.

Bisogna ricordare che sotto la copertura d' una motivazione sociale, centinaia di bambini zigani sono stati, all'epoca, strappati alla loro famiglia e messi in famiglie di accoglienza. Le attività dell'Oeuvre des enfants de la grande route sono state unanimemente qualificate in seguito come un genocidio culturale.

Deploriamo anche che questa decisione del Consiglio di Stato sia stata presa dall'alto senza alcuna concertazione con gli attori della società civile vicini alla popolazione interessata.

Partendo senza dubbio da buoni sentimenti, urta tuttavia il senso comune nella misura in cui si torna ad una nuova misura discriminatoria ed arbitraria che colpisce una popolazione che vive, in mancanza di interventi nazionali ed internazionali efficaci, in condizioni di precarietà e di miseria estreme.

Ricordiamo che i Rom mendicanti a Ginevra non soggiornano nella nostra città che per una durata molto limitata. Se vivono senza casa e lavoro, non è certo per una scelta deliberata. L'emigrazione, accompagnata dalla mendicità, costituisce un atto di sopravvivenza in risposta alle discriminazioni (tra cui l'accesso al mercato del lavoro) di cui sono vittime i Rom, soprattutto in Romania.

E' nel contesto delle istruzioni che voi avete data che questa mattina, alle 6.30, dei poliziotti del posto di polizia della Sevette sono all'intervenuti all'Armée du Salute ed hanno portato via tre bambini di 9, 6 e 3 anni, mentre stavano dormendo e si trovavano al sicuro con la loro madre.

Malgrado i nostri interventi nel corso della giornata, non abbiamo potuto sapere cos'era accaduto a quella madre e ai suoi bambini, mentre il loro padre è alla disperazione e non possiamo rispondere alle sue legittime domande.

In maniera più generale e forte di una visione pragmatica, chiediamo alle autorità ginevrine di precisare l'obiettivo reale - che non può essere un nuovo mezzo per tentare di escluderli dalla nostra città - e di esporre il seguito delle misure che si propongono, queste non che si possono riassumere a trattenere/detenere bambini o genitori.

Se le nostre autorità sperano, con un certo candore, di assicurare condizioni di vita ed un'educazione appropriata a questi bambini, converrà accordare loro il diritto ad un soggiorno a lungo termine, assieme ai loro genitori, cosa che presuppone anche alloggi e possibilità di lavoro.

Una volta di più, chiediamo l'attenzione delle autorità sul fatto che misure coercitive, come le sanzioni penali, non porteranno in nessun caso una soluzione ad una problematica legata alla miseria, che non può essere risolta che con la collaborazione attiva e positiva, sul posto, delle autorità dei paesi d'origine dei Rom che si trovano a Ginevra.

Solo con interventi politici efficaci, e appoggi finanziari, sul posto, mirati allo sradicamento delle ingiustizie sociali e delle discriminazioni in questo paese, che le autorità ginevrine contribuiranno perché questi bambini rom possano, a breve, essere scolarizzati e beneficiare dei frutti dell'istruzione.

Formuliamo infine il desiderio che la storia oscura della Svizzera non si ripeta con questa ultima presa di posizione che dispiega effetti di una ingiustizia inaccettabile e i cui aspetti pratici ed il seguito a lungo termine ci lasciano allibiti.

Vi ringraziamo per l'attenzione che porterete alla presente, vi preghiamo di credere, Signor Presidente del Consiglio di Stato, Signore e Signori Consiglieri di Stato, all'assicurazione della nostra alta considerazione.

Pour MESEMROM
Doris Leuenberger, Membre du comité
Dina Bazarbachi, Présidente

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Di Fabrizio (del 26/01/2010 @ 09:11:26, in Italia, visitato 1609 volte)

TerraNews.it a cura di Giuliano Rosciarelli
INTERVISTA. E’il vanto di una famiglia rom sfuggita dalla Bosnia. E dai campi nomadi di Roma e Milano. Romina ora ha un sogno: «Aiutare chi è più sfortunato».

Attrice, volontaria per Save the children, Romina ha 17 anni, è nata in Italia e i suoi genitori sono romnì xoraxanè, rom di origine bosniaca. Insieme ai suoi otto fratelli è una delle cosiddette migranti di seconda generazione: figli di immigrati, nati e cresciuti nel nostro Paese ma visti “dagli altri” pur sempre stranieri. Frequenta il quarto anno di un istituto professionale per assistenti sociali, il suo sogno è aiutare chi è stato meno fortunato di lei.

Ti sei mai sentita straniera a casa tua?
A volte. Negli occhi di chi mi fissa mentre passeggio con le mie amiche, nel rigore di una burocrazia che non mi riconosce italiana, nei media che alimentano stupidi stereotipi. Io sono comunque fortunata. I miei genitori non si sono mai rassegnati a vivere nei campi e questo mi permesso di integrarmi con più facilità. Mi sento a tutti gli effetti italiana perché sono nata e cresciuta qui, vesto e parlo come le mie coetanee ma sono anche rom perché lì affondano le mie radici, la mia cultura. Per chi è nato qui, come me, parlare di integrazione non ha senso.

Perché la tua famiglia è venuta in Italia?
I miei nonni erano bosniaci e sono arrivati a Milano tanti anni fa per scappare dalla guerra. Non c’era lavoro. I rom poi erano perseguitati da tutti. Bisognava scappare per sopravvivere. Mia madre aveva dieci anni quando sono arrivati. Venti li ha vissuti nei campi, prima a Milano poi a Roma (vicolo Savini). Ma non le è mai piaciuto stare lì. Voleva lavorare, farsi una vita e migliorare la propria condizione. Prima ha fatto l’insegnante di danza del ventre, poi è diventata imprenditrice, insieme a mio padre.

A scuola hai mai avuto problemi?
Non direi. Da piccola soffrivo per alcune cose che non capivo. A Natale, ad esempio, tutti i miei compagni parlavano dei regali ricevuti, noi però siamo musulmani e quindi pensavo che a casa mia Babbo Natale non arrivasse. Ora tante cose mi sono più chiare. Ma non tutti i rom la vivono in questo modo.

Cosa pensi dell’Italia?
E’ un Paese dove si vive tutto sommato bene. Ma c’è anche tanta ignoranza e superficialità. Ad esempio quando vado in giro con i miei compagni di classe italiani nessuno si accorge di me. Se invece esco con le mie amiche rom tutti mi guardano. Questa rimane comunque casa mia.

C’è qualcosa che rimproveri alla tua comunità?
La rassegnazione. Se vogliono qualcosa di meglio per la propria vita devono lottare, non rassegnarsi e stare seduti ad aspettare, anche se l’emarginazione e l’intolleranza molto spesso rappresentano degli ostacoli insormontabili.

Quando e come hai cominciato a fare cinema?
Al primo ruolo avevo otto anni. Mio zio lavorava a Cinecittà e conosceva un regista al quale procurava i personaggi. Dopo alcuni cortometraggi tra cui uno con Sergio Rubini è arrivato il film con Valeria Golino Prendimi e portami via, e la serie Ispettore Coliandro. Ora però mi sono dovuta fermare perché mia madre vuole che studi e non posso perdere l’anno. Se ne riparla dopo il diploma. Il mio sogno però è aiutare chi è stato meno fortunato di me.

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Di Fabrizio (del 26/01/2010 @ 08:57:43, in Italia, visitato 1795 volte)

Ricevo e porto a conoscenza:

All'attenzione di
Gianni Gianassi, Sindaco Comune di Sesto Fiorentino
Matteo Renzi, Sindaco di Firenze
Andrea De Martino, Prefetto di Firenze
Andrea Barducci, Presidente Provincia di Firenze
Gianni Salvadori, Assessore Politiche Sociali Regione Toscana

Gentili Signori,

l’Associazione MEDU conduce dal 2006 con il coinvolgimento partecipato della comunità Rom dell’insediamento di via Lucchese un lavoro di prevenzione, promozione alla salute ed orientamento al servizio sanitario pubblico nell’ambito del progetto “Camper per i diritti”, che coinvolge volontari con varie professionalità (medici, infermieri, ostetriche, psicologi, antropologi e giuristi). Tra gli obiettivi del progetto è prevista la collaborazione con le istituzioni nell’avvicinamento dei Rom al servizio sanitario pubblico, nella condivisione di dati sanitari e nella sorveglianza e segnalazione di gravi situazioni igienico-sanitarie.

La critica condizione dell’insediamento Osmatex e più in generale degli insediamenti dell’area era stata denunciata da tempo attraverso colloqui diretti con l’amministrazione comunale di Sesto Fiorentino, la consegna di report dell’attività e la diffusione di comunicati stampa. La mattina di venerdì 16 gennaio 2010 è stato effettuato senza alcun preavviso uno sgombero forzato di tale insediamento ad opera delle forze di Polizia. Le persone che lì vi abitavano sono state obbligate ad abbandonare la struttura e, senza la previsione di una soluzione di accoglienza né nell’immediato né a lungo termine, sono state costrette ad abbandonare i propri effetti personali e a trascorre alcune notti in strada.

A seguito dello sgombero, MEDU ha chiesto immediatamente un incontro ufficiale con il Sindaco di Sesto Fiorentino, senza avere risposta. Le persone sfollate hanno trovato nel frattempo riparo temporaneo grazie all’aiuto di alcune associazioni di volontariato e di istituzioni religiose.

In considerazione delle diverse versioni dei fatti espresse in questi giorni e della necessita’di assicurare comunque la massima tutela ai soggetti più fragili attraverso la continuità assistenziale, ci sembra opportuno mettere a disposizione delle istituzioni i dati e le rilevazioni in nostro possesso, affinché procedano ad attivare un tavolo di coordinamento per pianificare una soluzione definitiva dell’emergenza umanitaria che si è venuta a creare in questi giorni e, più a lungo termine, una programmazione per l’accoglienza e l’inserimento della comunità nel tessuto sociale comunale. MEDU, nel frattempo, continuerà ad operare negli altri campi rom abusivi e nei contesti di maggiore marginalità presenti nell’area fiorentina, con la sua azione di assistenza, testimonianza e denuncia.

Medu ha effettuato 110 visite a 86 pazienti (42 femmine e 44 maschi) nel corso del 2009 presso l'area Osmatex, dove vivevano circa 100 persone, tutti rom di cittadinanza rumena. L'età media dei pazienti è 32 anni. La distribuzione per età dei pazienti visitati è cosi rappresentata: 4 minori di 18 anni, di cui 2 minori di 5 anni; 3 pazienti > 60 anni; 28 pazienti con un'età compresa tra 18 e 29 anni e 46 pazienti con un età compresa tra 30 e 59 anni. Per 5 pazienti non è stato possibile determinare l'età. Sono state visitate 5 donne in stato di gravidanza. Le patologie più frequenti sono state quelle a carico dell'apparato digerente (23%) e di quello genito-urinario (20%). Seguono le affezioni dell'apparato respiratorio (18%) di quello cardiovascolare (13%) e osteomuscolare (13%). Le patologie a carico della cute e dei tessuti molli rappresentano l'8%, i tumori il 3% e le malattie infettive il 2%. Tutti i dati sanitari sono stati regolarmente censiti attraverso schede cliniche effettuate al momento delle visite con i pazienti e con un monitoraggio costante nel tempo. Le schede sono parte del materiale che il MEDU ha accumulato nel corso del tempo al fine di documentare la grave situazione umanitaria dell'ex-Osmatex con l'intenzione di informare la collettività e di denunciarne il rischio sanitario e sociale.

La sera dello sgombero (venerdì 16 gennaio 2010) Medu ha fatto un censimento a fini sanitari delle persone sfollate dall'area Osmatex. Erano presenti 16 nuclei familiari per un totale di 79 persone ( 43 femmine e 36 maschi). I minori erano 8 di cui 2 neonati (uno di 20 giorni e uno di 10). Una bambina di tre anni era seguita dall’Ospedale Meyer per frattura cranica parieto-temporale da caduta accidentale. Era presente una donna in gravidanza. C'erano molte persone anziane (circa 15). Tre persone anziane erano appena state dimesse dall'ospedale con terapia di mantenimento da proseguire fino al prossimo controllo: un paziente per ictus, un altro per broncopolmonite cronica riacutizzata e un altro per una patologia osteoarticolare agli arti inferiori. Una donna adulta era seguita da tempo dai nostri medici per ipertensione. Era presente una persona con handicap.

Restiamo a disposizione per ulteriori chiarimenti.

Grazie per l’attenzione e buon lavoro.

Distinti saluti,

Medici per i Diritti Umani

Medici per i Diritti Umani (MEDU), organizzazione umanitaria e di solidarietà internazionale, fa parte dell'International Federation of Health and Human Rights Organisations (IFHHRO).
Medici per i Diritti Umani onlus
www.mediciperidirittiumani.org  - info@mediciperidirittiumani.org
tel. e fax 0697844892 – cell. 3343929765, 3351853361

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Di Fabrizio (del 25/01/2010 @ 09:54:19, in media, visitato 1756 volte)

Scrive Ermelinda Coccia

Riguardo l'inizio dello Sgombero al Casilino 900, campo Rom nel quale cinque diverse comunità vivono da circa 40 anni, Alemanno dichiara «Questo campo esiste da 40 anni durante i quali non è stato fatto niente. Lo sgombero terminerà all'inizio di febbraio, quando porteremo le famiglie in campi attrezzati dove inizieranno un percorso di legalità e inserimento lavorativo. Per il Casilino 900 siamo ad un passaggio epocale». «Occorre cancellare le vergogne come i campi senza acqua, luce, pieni di rifiuti come era questo un anno e mezzo fa - ha proseguito il sindaco - Fornire loro un documento, il Dast, che riconosce identità e diritti. Lavorare con queste famiglie per trovare spazi di lavoro. Entro quest'anno non devono esistere più campi abusivi e tollerati. Tutti poi dovranno essere integrati e avere una casa».

Dall'altra parte Eugenio Viceconte, che da tempo affronta e sostiene l'argomento "Rom" attraverso un blog internet (http://noblogo.livejournal.com/), afferma che "Sarebbe giusto che chi c'ha vissuto in questi anni trovasse una condizione di vita diversa dall'eterna condanna al "campo nomadi", una casa vera e non un container. Fuori da un recinto presidiato da telecamere ... fuori dal pregiudizio. Ma questo non è permesso. Non qui a Roma."

Dal canto nostro, autori del documentario ME SEM ROM, che ci siamo occupati, dall'Aprile 2009, di raccogliere quante più informazioni possibili riguardo le procedure effettuate ad esempio durante gli svariati censimenti e/o durante il primo sgombero del Campo Rom di Via di Centocelle (i Rom del Campo hanno vagato di certo una notte intera per trovare un riparo), ci impegneremo a documentare quanto accadrà, cercando di fare emergere la verità obiettivamente. Le speranze sono ovviamente che i Rom del Casilino 900, possano godere realmente delle promesse fatte dall'Amministrazione, evitando così di sopportare ulteriori delusioni da parte del potere politico.

Per chi fosse interessato all'argomento, il 6 Febbraio 2010, alle ore 21.00, nella Sala Blu di Palazzo Gazzoli di Terni, in via del Teatro Romano, si potrà assistere, in anteprima, alla proiezione di un estratto di 20 minuti del documentario ME SEM ROM. Una proiezione che mette in luce, nel momento più caldo, anche la voce del popolo Rom.


Verità nascoste

"Il mio vicino è uscito a fare la spesa e quando è tornato non ha trovato più la sua baracca!" Mi dice una Rom del Casilino 900 "Ha trascorso la notte dentro quella tenda, senza una coperta, senza più niente!"
Seguo il suo indice. Ad un passo da ma c'è una tenda verde sul viale fangoso che nasconde un uomo anziano. Cerca di riposare infreddolito dalle basse temperature di Gennaio.
Sono le 8.30 del mattino. Sul piazzale principale del campo c'è un viavai di Polizia, Guardie Municipali e volontari della Croce Rossa Italiana. Qui tutto sembra rispecchiare ciò che in questi giorni abbiamo visto in tv o letto sui giornali. Uno sgombero pacifico e consenziente.
Al contrario, se ci si addentra nel campo la situazione degenera.
I bambini saltano da una maceria all'altra. Gli uomini fanno a pezzi ciò che resta delle baracche. Le donne raccolgono i loro vestiti in dei sacchi. "Non sono pronta!" Mi racconta una signora che dal 2000 vive al Casilino 900 "Mi hanno avvertita due giorni fa, ho quattro figli, come faccio da sola a sistemare tutto nelle valige in così poco tempo?".
La Croce Rossa in questo caso, potrebbe dare una mano a coloro che devono spostarsi, ma sono fermi al piazzale principale in attesa che i pullman si riempiano di gente. Uno di loro mi dice: "Mi chiedo cosa siamo venuti a fare!"
La signora che raccoglie i suoi averi mi fa entrare in casa "Guarda, ho dei mobili, questi non li posso portare in un container di pochi metri, devo lasciarli qui e farli distruggere dalle ruspe" "In un container in sei come ci stiamo? Ci hanno promesso una sistemazione migliore!"

Proseguendo incontro uno dei portavoce del Campo, è consenziente allo spostamento, ma infelice delle procedure poco chiare con le quali le autorità si stanno muovendo. "Ci vado felice in un campo attrezzato. Pago volentieri l'affitto del container che mi assegneranno. Il problema è che devono permettermi di lavorare. Io farei qualsiasi tipo di lavoro per pagare l'affitto a fine mese. Come ogni comune mortale. Ma a me, ad un Rom, il lavoro non lo dà nessuno. E' il Comune che deve impegnarsi a trovarcelo a questo punto, altrimenti come mantengo il container che mi assegnano?"
Il rappresentante mi dice inoltre che nei campi attrezzati è possibile vedere ogni giorno pullman comunali carichi di donne, che poi però vengono scaricate in centro. "Che cosa vuoi che facciano? Chiedono l'elemosina, è la sola cosa che è permessa loro. Che fai le porti a lavorare? Dove? In mezzo alla strada?" "Mia moglie non ha mai chiesto un centesimo ad un passante, ora che facciamo, ce ne andiamo in un campo attrezzato e dignitoso per poi andare ad elemosinare per strada?"

Se davvero si sta parlando dell'eliminazione dei campi abusivi, per inserire i Rom in un contesto più umano, perché sta accadendo tutto questo?
La parola "integrazione" acclamata dall'Amministrazione rispetto agli sgomberi che si stanno attuando, che significato ha?

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Di Fabrizio (del 25/01/2010 @ 09:47:44, in Italia, visitato 3140 volte)

viaEmilianet.it Integrazione culturale, scolarizzazione e anche nuove case per gli 800 residenti di etnia sinta. Posiitivo il bilancio della prima microarea di via Felesino.

Sono 810 i cittadini di etnia Sinta attualmente residenti a Reggio. Circa 300 vivono nei tre campi nomadi comunali: al Foscato, a Roncocesi e in via Gramsci a Pratofontana. La parte restante abita in aree private nelle zone di San Rigo, Codemondo, Pratofontana, Gavassa e Massenzatico. Cittadini reggiani a tutti gli effetti, a differenza dei Rom che sono invece rumeni, i Sinti comunque conservano uno stile di vita che fatica ad integrarsi e tende a formare ghetti, ovvero campi di sosta sovraffollati e in condizioni precarie.

Lo scorso anno una famiglia allargata, composta da una decina di persone, ha iniziato un percorso con il Comune, stabilizzandosi nella prima microarea in via Felesino. "Il primo bilancio è positivo - spiega Matteo Sassi assessore comunale alle politiche sociali - per il rispetto regole, del patto di cittadinanza e il livello di scolarizzazione ". Altre due famiglie hanno invece scelto una strada diversa, un passo ulteriore verso la stabilità. "Grazie anche al nostro lavoro - spiega Alfa Strozzi responsabile del progetto nomadi del Comune - due nuclei famigliari hanno deciso di vivere in casa, avevano i requisiti e sono assegnatari delle case popolari".

Di questo percorso di mediazione culturale e di nuove modalità abitative si parlerà in un incontro, il 26 gennaio allo Spazio Gerra. L'obiettivo del Comune, come richiesto dall'Unione Europea, è quello di superare gradualmente i campi nomadi. Ma le problematiche da affrontare sono ancora molte, a partire dalla scolarizzazione dei bambini. Sono circa 200 quelli che frequentano le scuole dell'obbligo.

Il 26 gennaio alle 13, nella Biblioteca delle Arti in piazza della Vittoria, sarà inaugurata anche una mostra sullo sterminio dei Sinti e dei Rom durante il periodo nazi-fascista. Resterà aperta fino al 7 febbraio, il sabato e la domenica dalle 15 alle 19.

di GIULIA GUALTIERI

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