Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 20/07/2007 @ 10:24:58, in Europa, visitato 1811 volte)

Rifugiati ex Bosniaci e Rom, deportati dall'Europa occidentale, sono ammassati nella regione più remota ed isolata della Serbia
By Zoran Maksimovic in Novi Pazar

Djijan Osmanovic, nove anni, conosce a malapena qualche parola della sua lingua madre rom. Non conosce nemmeno il serbo, la lingua del paese da cui arrivano i suoi genitori e dove ora vive.

Giocando tra le case in rovina nel quartiere di Savci a Novi Pazar, preferisce chiacchierare in tedesco, che ha appreso vivendo all'estero.

Nato da genitori rifugiati in Germania, la famiglia di Djijan si è poi spostata dopo in Danimarca. Ma nel 2004, quando aveva sei anni, la sua famiglia fu deportata indietro a Novi Pazar, la più grande città nella regione più isolata di Serbia, il Sangiaccato musulmano.

Nel quartiere di Savci, dove la sua famiglia vive con altre 37 rimpatriate, molti preferiscono parlare tedesco invece che serbo o romanes.

E' questo certamente il caso dei circa 80 bambini che frequentano la scuola elementare di Savci.

"Ho dovuto imparare il tedesco per parlare con i miei compagni," ci dice il piccolo Djijan in tedesco fluente. "Ora, sto cercando di imparare il serbo a scuola, ma è un grande problema perché non conosco la lingua e qui tutto è differente."

Suo padre, Saban, dice che Djijan e i suoi altri figli non hanno frequentato immediatamente al loro ritorno in Serbia, perché i bambini non conoscevano la lingua.

Nel Sangiaccato, una regione all'incrocio di tre confini di stato: Serbia, Montenegro e Bosnia, sono ritornate circa 50.000 persone dal 2000.

Molti lasciarono questa parte della Serbia negli anni '90 a causa delle guerre, della discriminazione di Belgrado contro le minoranze non-Serbe e del pervasivo sentimento di insicurezza sociale.

La maggior parte è ritornata a Novi Pazar, seguita dalla vicina Sjenica, dove secondo le statistiche un cittadino su quattro è un rimpatriato.

La maggior parte proviene dalla Germania - oltre il 70%. Il resto del grande numero arriva da Olanda, Svezia, Danimarca e Lussemburgo. Il più alto tasso di rimpatri è stato registrato nel 2003 e nel 2004, quando una media di 900/1.000 persone tornavano ogni mese.

Reintegrazione, un'organizzazione locale che agisce con queste persone, dice che un terzo di loro è stato deportato, cioè che non ha fatto ritorno volontariamente.

Kadrija Mehmedovic, presidente di Reintegrazione, ci ha detto che per i bambini l'ignoranza della lingua nazionale non è l'unico ostacolo che hanno i rimpatriati. "In media, queste famiglie sono rimaste all'estero per 12 anni," dice Mehmedovic.

"Almeno l'80% dei bambini di 12 anni o meno, sono nati all'estero, oltre la metà non parla serbo e oltre il 30% non è iscritta a scuola," aggiunge.

Mehmedovic dice che al ritorno in Serbia i rimpatriati affrontano povertà e disoccupazione, e specialmente lamenta il fallimento del governo nel predisporre programmi speciali per aiutare i bambini rimpatriati nel frequentare la scuola.

Le critiche appaiono ben fondate. La Serbia non ha una strategia sui rimpatri e non ha aperto centri per aiutarli. Molti hanno perso i loro documenti personali nel paese da cui arrivano. Un gran numero di cose è cambiato nel frattempo in Serbia.

Safet Osmanovic dice che quando ha fatto ritorno a Savci, ha trovato la sua casa distrutta e invasa dalla boscaglia. Lui e sua moglie sono disoccupati come la maggioranza dei rimpatriati.

"Soltanto il 2% dei rimpatriati ha un lavoro permanente e nessuno ha ritrovato il lavoro che aveva prima di partire," spiega Mehmedovic.

Hajrija Redzovic partì nel 1999 per la Germania, finendo nella città di Wilhelmhaven nel centro per richiedenti asilo.

In Germania, ottenne immediatamente i diritti da rifugiata per l'assistenza sociale e partorì una figlia. Ma sulle basi di un accordo che la Serbia ha firmato con 17 paesi dell'Europa occidentale lo scorso luglio, Redzovic fu deportata in Serbia assieme a suo marito e sua figlia Emma.

"Alle 6 di mattina quattro poliziotti entrarono nel mio appartamento e ci dissero che avevamo un'ora per sgomberare," ricorda. "Il bagaglio non poteva superare i 36 Kg., che è quello che abbiamo caricato sull'aereo. Sono tornata a casa con praticamente niente."

Al ritorno in patria, Redzovic ha affrontato diversi problemi. Non aveva documenti personali e sua figlia non aveva il certificato di nascita e così non è stata ammessa nel registro serbo delle nascite.

Numerosi Rom e Bosniaci al loro ritorno si sono insediati nel Sangiaccato anche se non erano originari della regione, ma del Kosovo. Il Sangiaccato è vicino al Kosovo ed il rimpatrio nello stesso Kosovo è fuori discussione per l'ostilità albanese.

Hamid Pepic è tra loro. Dopo che la sua casa in Kosovo fu distrutta nella guerra del 1999, ottenne asilo per diversi anni nei Paesi Bassi. Ma ora è stato rispedito in Serbia per vivere in Sangiaccato con i suoi sei familiari. Senza alcun legami con quest'area, non ha neanche alcuna fonte di sostentamento.

In base alla Convenzione di Ginevra, quanti dalla ex Yugoslavia lasciarono il paese per i paesi dell'Europa occidentale, dove ottennero lo status di rifugiati, perché erano stati violati i loro diritti umani e di minoranza ed erano chiaramente in pericolo.

Ma dopo vennero create le condizioni perché quei diritti fossero restaurati. La Serbia fu obbligata a riaccettare quei cittadini, in base agli accordi firmati con i 17 paesi occidentali.

Georg Einwaller, dell'ambasciata tedesca di Serbia, dice che sono necessari più lavori bilaterali per aiutare le famiglie di ritorno nel Sangiaccato, che hanno passato anni fuori dalla Serbia e dimenticato la loro lingua e cultura.

"Abbiamo lavorato assieme ai nostri colleghi in Serbia sulla loro reintegrazione e il miglioramento della loro posizione," dice. "Risolvendo il problema dei documenti, possiamo aiutarli nell'esercizio dei loro diritti sociali, sanitari e scolastici."

Ma Kadrija Mehmedovic enfatizza che dietro le istituzioni internazionali, le autorità locali e il settore OnG, è lo stesso governo serbo che necessità di essere assistito.

E' d'accordo Marija Vojinovic, assistente del direttore del Servizio Serbo per i Diritti Umani e delle Minoranze, l'unica organizzazione che agisce con i rimpatriati. Stima che almeno 150.000 possono tornare in Serbia tra quest'anno e il prossimo, la metà di loro Bosniaci del Sangiaccato.

Vojinovic reclama che il Servizio per i Diritti Umani e delle Minoranze ha prodotto una strategia ed un piano d'azione, il problema è che non sono stati implementati.

Hannelore Valier, capo della missione OCSE nel dipartimento democratizzazione in Serbia, dice che il tema dei rifugiati di ritorno non incontra una gran sensibilità. [...]Potrebbe essere "un pericolo per la stabilità della regione", ammonisce.

Zoran Maksimovic is a freelance journalist in Novi Pazar. Balkan Insight is BIRN`s online publication

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Di Fabrizio (del 21/07/2007 @ 09:17:49, in musica e parole, visitato 2325 volte)

Ricevo da Tommaso Vitale

Edita da Progetto cultura e Opera Nomadi, contiene 37 liriche composte da 22 poeti rom italiani e stranieri. ''Nei confronti dei nomadi ci sono tanti pregiudizi, ma è un popolo che vanta una tradizione culturale molto profonda''

MILANO - "In questo mondo/ io sono un albero/ e il vento canta/ dentro di me": Bruno Morelli, è un rom abruzzese, poeta e pittore. I suo versetti cantano i ricordi dell'infanzia nei campi nomadi e la natura. E non è l'unico poeta rom: in Europa sono decine. "Versi dal silenzio. La poesia dei Rom", (ed. Progetto cultura, 90 pagine, 12
euro; ndr), le cui stampe sono terminate da pochi giorni, è una piccola antologia della vasta produzione poetica romanì. Contiene 37 liriche composte da 22 poeti rom italiani e stranieri ed è stata curata da Francesca Innocenzi, 27 anni, laureata in lettere moderne e autrice di racconti e poesie. "Ho voluto raccogliere e far conoscere uno spicchio della vasta cultura rom - spiega Francesca Innocenzi -.Nei confronti dei nomadi ci sono tanti pregiudizi e molti ignorano che invece sia un popolo che vanta una tradizione culturale molto profonda".

I poeti rom raccontano spesso nei loro versetti le discriminazioni e le persecuzioni di cui sono vittime. Come Saip Jusuf, rom macedone, che in "Apolide" scrive: "A noi perché rom/ ci han rinchiuso/ solo perché siam neri". "In questi autori è centrale il ricordo e la memoria - sottolinea Francesca Innocenzi -. E spesso affiorano dalle loro parole tinte malinconiche e nostalgiche". Una persecuzione che ha avuto il suo apice durante il nazismo, quando circa 500 mila rom furono uccisi nei campi di sterminio. "Nella produzione poetica romanì -aggiunge la curatrice dell'antologia-, occupano un posto di rilievo anche gli elementi primordiali della natura come il fuoco, la terra, l'acqua e l'aria. La natura la sentono vicina".

La vita dei rom oggi è anche fatta di miseria ed emarginazione, di baracche nei campi abusivi o regolari. "Non so che cosa della cultura romanì rimanga in quelle condizioni di vita -sottolinea Francesca Innocenzi-. Ma è anche per questa ragione che è necessario che poesia, musica, pittura, racconti e tradizioni vengano valorizzate e salvaguardate". I proventi della vendita del libro serviranno per sostenere le attività dell'Opera nomadi di Milano. "Abbiamo collaborato alla stesura di questa antologia -afferma Maurizio Pagani, presidente dell'associazione-, perché oggi la questione rom viene affrontata solo dal punto di vista della sicurezza. Ci si dimentica che si hanno di fronte delle persone con una loro tradizione e cultura, con le quali in passato sono stati realizzati, soprattutto nel Centro e nel sud dell'Italia, buoni progetti di integrazione".

Per acquistare una copia di "Versi dal silenzio"
bisogna rivolgersi all'editore (www.progettocultura.it) oppure
all'Opera Nomadi di Milano (www.operanomadimilano.org). (dp)
© Copyright Redattore Sociale

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Di Fabrizio (del 21/07/2007 @ 10:10:48, in Italia, visitato 2110 volte)

Ricevo da Mariagrazia Dicati -da Rom Sinti e politica

Le comunità Rom della Capitale, e non solo, NON HANNO MAI avuto la possibilità di poter far conoscere PUBBLICAMENTE le proprie idee, la propria realtà ed i propri bisogni, ma IERI lo hanno fatto a Roma, hanno avuto la possibilità di esprimere pubblicamente, in una conferenza stampa presso l'Università La Sapienza, il proprio disagio.

Per aver osato tanto (!) Rom e Sinti, immediatamente si sono alzate le barriere difensive: prima con un ambiguo comunicato stampa dell'Arci solidarietà del Lazio ed oggi con le dichiarazioni del Sindaco Walter Veltroni.

Mi viene subito da pensare che la PARTECIPAZIONE ATTIVA di Rom e Sinti fa tanta paura e chi sà perchè?

Sindaco Veltroni a margine di una conferenza stampa in campidoglio, risponde ai rappresentanti di alcuni campi nomadi della capitale: "nomadi e forze politiche abbiano più senso di responsabilità. Nessuno trasferisce nessuno in ghetti, su questa materia vedo tanta insopportabile demagogia, di tutti i tipi: noi cerchiamo delle soluzioni, le stiamo realizzando, vorrei che tutti, Rom e forze politiche, avessero più senso di responsabilità. Vorrei che tutti, a cominciare dai Rom, ma anche da quelle forze politiche che vanno in giro in tutta Roma a dire in tutti i quartieri 'arriverà il campo Rom', seminando un po' di panico e razzismo, salvo essere stati magari quelli che qualche anno fa dicevano di portare in determinati quartieri campi Rom, avessero più senso di responsabilità

Caro sindaco dovrebbe provare con la sua famiglia a vivere per una settimana in un campo nomadi e forse solo così lei potrà capire.

Caro Sindaco non siamo "nomadi" ma siamo delle minoranze etniche denominate Rom e Sinte e la preghiamo di chiamarci con il nostro nome, anche se personalmente non mi dispiace essere chiamato " zingaro" e non certamente "nomade".

Nella intervista spiega Veltroni: "un problema molto serio e importante che va affrontato tutelando la sicurezza dei cittadini e garantendo ai nomadi la possibilità di vivere, di farlo nel rispetto delle leggi".

Caro sindaco è ora di finirla con la barzelletta della legalità e della sicurezza, pensata dall'ex sindacalista Sergio Cofferati ed imitata in molte città dell'Italia alla pari di una "moda", o di uno "status simbol" dell'amministratore pubblico.

Caro sindaco ascolti di più Rom e Sinti e molto meno le organizzazioni pro rom, certamente ne trarrà beneficio tutti i cittadini che lei amministra

Caro sindaco la questione rom è si legata ad un problema di sicurezza e di legalità, ma di sicurezza abitativa e di rispetto della legalità nell'applicazione delle norme e dei principi da parte di pubblici amministratori, non sono io a dirlo ma le diverse condanne all'Italia dalle Istituzioni Europee ed internazionali.

Non rovesciate le responsabilità ancora una volta, come è consuetudine fare quando si tratta di Rom e Sinti.

Nazzareno Guarnieri

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Di Sucar Drom (del 22/07/2007 @ 09:05:42, in blog, visitato 2034 volte)

Un habitat possibile per Sinti e Rom Italiani In Italia moltissime famiglie Rom e Sinte (in prevalenza: Sinti Piemontesi, Estrekarjia, Lombardi, Veneti, Teich, Gackane, Emiliani e Marchigiani; Rom Harvati, Lovara e Abruzzesi) hanno superato le logiche segreganti, discriminanti e assistenziali proprie dei cosiddetti “campi nomadi”, acquistando dei piccoli appezzamenti terreni agricoli, dove vivono con le proprie abitazioni: le rou...

Unione Europea, le donne rom e sinte sono due volte discriminate La deputata europea Lívia Járóka (PPE/DE, HU) ha presentato la risoluzione sulla situazione delle donne rom e sinte nell'Unione Europea. La Risoluzione, approvata il primo giugno 2006, pone l'accento sulle discriminazioni subite dalle donne sia perchè appartenenti a minoranze non riconosciute sia perchè donne, quindi una discriminazione multipla: per appartenenza e per genere. La relazione approvata dalla Plenaria chiede agli Stati membr...

Sant'Angelo Lomellina (PV), ritrovato il bambino rom scomparso Ritrovato a Milano, Andrea Halilovic, il bambino rom di 10 anni, scomparso da lunedi' sera dalla sua abitazione di Sant'Angelo Lomellina, in provincia di Pavia. A rintracciarlo e' stata la stessa madre del ragazzino...

Milano, la Provincia non accetta lezioni sulla linea dura contro i Rom Fatica a digerire l’accusa che la Provincia «bleffa» sulla sicurezza. Filippo Penati (in foto) reagisce chiamando in causa Letizia Moratti «per una vicenda - dice il presidente dell’amministrazione provinciale - che ha del paradossale». Eppure i documenti «ufficia...

Roma, Alleanza Nazionale attende una legge per segregare tutti i Rom e i Sinti Ha avuto inizio, nella mattinata del 19 luglio, lo sgombero dell'insediamento abusivo, sotto il ponte della Magliana. Un centinaio i Rom Rumeni allontanati, una vera e propria violazione della Carta Sociale Europea. L’intervento ha visto al lavoro oltre una settantina di poliziotti e vigili urbani italiani ma anche una decina di agenti rum...

Genova, il fuoco per cacciare i Rom I vigili del fuoco di Genova hanno dovuto lavorare duramente la notte del 17 luglio scorso per spegnere un incendio scoppiato in una casa, poi risultata abbandonata, a Trensasco, nell'entroterra di Genova. Il rogo è stato segnalato intorno mezzanotte e mezza. Quando i p...

Milano, schedature di massa per i Rom rumeni Secondo "Il Giornale" le Forze dell'Ordine, Carabinieri, Guardia di Finanza e Vigili Urbani, si stanno preparando per iniziare una schedatura di tutti i Rom rumeni. Secondo la tesi pubblicata alcuni giorni fa si partirà con un corso di formazione, tenuto Giuseppe De Angelis, dirigente dell’ufficio stranieri della Questura di Milano. L'obiettivo è quello di creare una documentazione storica che possa permettere ...

Gogol Bordello, la romanì band fa impazzire il mondo Dopo aver duettato con Madonna in diretta mondiale sul palco della Wembley Arena al Live Earth lo scorso 7 luglio, i Gogol Bordello pubblicano "wonderlust king", il primo singolo estratto dal nuovo album “super taranta!”. Dopo aver recitato accanto a Elijah Wood nel film di Liev Schreiber “Ogni cosa è illuminata”, potremo ancora vedere Eugene Hutz - leader e provocatore dell...

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Di Fabrizio (del 22/07/2007 @ 09:31:43, in media, visitato 1873 volte)

"Chachipe" è un contest fotografico nell'ambito della Decade del Popolo Rom.

Chi vuole (sia fotografo professionista o no) può iscriversi entro il 15 agosto e caricare le sue immagini sul sito in quattro categorie. Il concorso è aperto a tutti, di ogni cittadinanza, residenza e affiliazione etnica, ovviamente è incoraggiata la partecipazione di chi abbia origini Rom.

E' poi possibile esprimere il proprio voto sulle foto già esposte nel sito.

Le foto che riceveranno più apprezzamenti saranno esposte alla Galeria Centralis di Budapest, dal 25 ottobre 2007.

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Di Fabrizio (del 23/07/2007 @ 10:10:51, in musica e parole, visitato 2049 volte)

Vincoli Sonori ogni anno riprende il suo itinerario nelle sonorità del mondo musicale klezmer e gypsy. Il Festival è un viaggio che conduce nell'esplorazione delle diverse anime della musica dell'Europa orientale e balcanica, palcoscenico naturale dove si tramandano di padre in figlio i suoni provenienti dalle radici. I profondi legami sviluppati nella tradizione tra musicisti ebrei e zingari è anche un richiamo ad un'Europa dove etnie e religioni si incontrano per dare vita ad espressioni musicali che oltrepassano le differenze. Vincoli Sonori offre una qualità della programmazione che non attira solo gli amanti della world music, ma un pubblico sempre più vasto. Ecco quindi, per appassionati, intenditori e curiosi, una nuova edizione, tutta con concerti gratuiti.

continua

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Di Fabrizio (del 24/07/2007 @ 09:20:07, in Italia, visitato 2152 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro, Università Sapienza di Roma il seguente comunicato con preghiera di diffonderlo, grazie Maria Grazia Dicati

L’altro ieri, giovedì 19 luglio, è stato effettuato un nuovo sgombero di un insediamento non autorizzato, quello sotto il ponte della Magliana (1300 persone). Contro le edulcorate e/o trionfalistiche dichiarazioni del sindaco, del presidente del XV Municipio ecc., noi qui sottoscritti vogliamo denunciare il disastro umanitario, l’acuta sofferenza, i disagi che queste travolgenti operazioni di polizia comportano. In una città in cui è stata dichiarata l’emergenza caldo abbiamo visto con i nostri occhi donne incinte arrancare faticosamente cariche delle loro povere masserizie, nugoli di bambini dagli sguardi smarriti, neonati! - non c’è pietà neppure per i neonati a Roma? - gruppetti di sgomberati rassegnati e sgomenti, senz’acqua, senza cibo, senza sapere dove andare. Ma dov’è la coniugazione di sensibilità e legalità sbandierata dal sindaco? Ma il sindaco ha visto? Cosa gli è stato riferito? Di quale illegalità sono colpevoli i neonati, i bimbi di 3, 4, 5 anni? A noi lo sgombero è parso come una nuova vittoria dell’ingloriosa guerra intrapresa contro i poveri, i più deboli, i più emarginati. Esisteva ed esiste un problema di legalità, ne siamo consapevoli, ma la richiesta di legalità deve essere a tutto tondo e non strumento di vessazione degli esclusi. Dov’è la legalità delle istituzioni? Dov’è il rispetto di quei diritti umani elementari che sono il diritto alla dignità, alla sopravvivenza, a un ricovero? L’Italia è già stata condannata dal consiglio d’Europa per la brutalità degli sgomberi, per il mancato rispetto della normativa europea al riguardo. Come cittadini di questa città non ci riconosciamo in questa politica e la denunceremo al Commissario europeo per i diritti umani.

Firmano: Marco Brazzoduro (professore alla Sapienza); Francesco Careri (professore a Roma3); Roberto De Angelis (professore alla Sapienza); Roberto Pignoni (professore alla Sapienza); Anna Pizzo (consigliera PRC regione Lazio); Claudio Graziano (Arci-Roma); Hamadi Zribi (responsabile Immigrazione PRC Roma); Alessia Montuori (associazione SenzaConfine); Casa dei Diritti Sociali – Focus; Daria Pozzi (ATTAC); Stefania Ruggeri (Cooperativa sociale 621); Virginia Valente (Progetto diritti); Stefano Montesi; Andres Barreto; Alfonso Perrotta (Associazione Interculturale Villaggio Globale); Stalker/osservatorio nomade; Gianluca Staderini (Popica Onlus); Alessio Arconzo (G.C. –Factory); Stefano Galieni (Dipartimento Immigrazione Prc Nazionale); Laura Nobile; Imma Tuccillo Castaldo (Karaule Mir); Ghirmai Tewelde (consigliere PRC Municipio XVIII)

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Di Fabrizio (del 24/07/2007 @ 09:35:42, in lavoro, visitato 2479 volte)

Da La voix des Rroms

Saint-Ouen lotte n° 67 - luglio 2007

" Osserva la mia città, si chiama bidone, bidone, bidonville, vivere lì è cotone (... ]Dammi la tua mano compagno, ho cinque dita io anche, ci si può credere uguali (...)"

Claude Nougaro - Maurane

A Saint-Ouen, al termine della via Ardoin, vicino alla Senna, una bidonville dispiega la semplicità della miseria generata dall'implosione delle società dell'Europa dell'Est, la caduta delle pareti e barriere doganali, la vittoria del "libero" mercato e della "libera" concorrenza nell'Unione europea degli azionisti. Lasciati per conto, Rroms ad esempio, sono trattati da anni come paria. Prima della caduta, avevano lavoro, ma sono ora colpiti dalla disoccupazione. Allora fanno ciò che hanno fatto i nostri antenati Bretoni, Auvergni, ciò che hanno fatto gli Spagnoli, i Portoghesi, gli Algerini, i Marocchini ed altri Africani negli anni 60 ed ancora ora: partono verso le città dove c'è lavoro, nell'Europa dell'Ovest.

Quale lavoro? Un lavoro al nero nel bastimento, nel settore alberghiero, nella ristorazione. "Continua, ti pago il mese prossimo." "A volte sono pagati alla fine del secondo mese, a volte no." "Spostati tu, non avrai nulla di tutto". Queste sezioni di due mesi di lavoro clandestino non pagato sono frequenti. Grazie proprietari. Quale ricorso hanno? Ricominciare altrove sperando di avere più possibilità. Mendicare. Di ricorso legale non ce n'è. Anche in queste condizioni, la concorrenza è dura. In estate i bordi dell'unità periferica si coprono di tende occupate da lavoratori e studenti dei paesi dell'Est che, loro, non sono paria nel loro paese, ma che sono anche disoccupati. Che cercano di rientrare al paese con un po'di denaro. Gli sfortunati, a volte non hanno neppure che rientrare. Ma quando la possibilità è là, un giorno di salario qui, è il salario di un mese là. Studenti bulgari guadagnano in due mesi di che vivere durante un anno di studi. La situazione dei Rroms è diversa. Rari sono coloro che riescono a guadagnare abbastanza denaro per inviarne un po'in Romania, in Bulgaria, in Ungheria per migliorare la vita nel ghetto in cui vive la loro famiglia. La maggior parte è inchiodata qui dove la miseria è meno dura che là ed il dispetto della gente "brava" meno pesante.

A questa semplicità estrema della disgrazia ci sono soluzioni estremamente semplici: "Oh, bidonvilles nel 2007!" Quale vergogna! Toglietela della mia vista immediatamente! "D'espulsione in espulsione, la miseria e la precarietà dei Rroms aumentano ogni volta." Ma il problema non è risolto.

8 Milioni di Rroms sono cittadini europei, collegati da una cultura ed una lingua, il rromani, una lingua indo-europea. Un popolo senza territorio che non richiede territori. Ma il diritto di vivere normalmente nei vari paesi dell'Europa, il diritto ai "diritti dell'uomo e" ai diritti del bambino "e" alla parità delle opportunità ", come tutti."

Un inizio di soluzione, ad esempio a Aubervilliers, un terreno del comune dove devono essere sistemate case prefabbricate, a Bagnolet, la costruzione di chalets, dopo molti anni d'alloggio caotico in una costruzione comunale abbandonata. Un inizio di soluzione è l'accompagnamento sociale che permette di trovare un lavoro meno precario, scolarizzare i bambini, integrarsi a termine in un alloggio classico, è il bilancio di "riassorbimento delle bidonvilles" individuato dal consiglio generale ed è efficace soltanto se i municipi lo utilizzano.

Un inizio di soluzione, sono che i municipi abbiano meno timore di mettersi sul problema perché avranno meno timore delle reazioni dei diretti più semplicistici. Un inizio di buona soluzione, è la tua solidarietà, abitante di Saint-Ouen.

Dammi la tua mano, compagno, hai cinque dita tu anche, puoi renderti utile!

Mathilde

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Di Fabrizio (del 25/07/2007 @ 10:09:08, in Kumpanija, visitato 2385 volte)

Da Mundo_Gitano

GITANI, TRA LA TRADIZIONE PROPRIA E IL SOSPETTO DEI PIU'

POPOLO SENZA PATRIA
Por:
NICOLÁS NAGLE

I principali gruppi si trovano a Las Piedras e Maldonado. Vendono auto usate e pentolame. Sono violenti? Sono truffatori? Sono superstiziosi? I gitani rispondono

Anduve por muchos caminos
en ellos encontré Rom afortunados
en sus coloridas carpas.
También me encontré con Rom pobres.
¿De dónde vienen
con sus tiendas coloridas, recorriendo
los caminos? (*)

(*) Gelem Gelem (en romaní, "Anduve anduve")
.

A Maldonado c'è la principale concentrazione di Gitani dell'Uruguay. La maggioranza vive nelle tende ed altri costruirono case. Ma le case non impediscono loro di peregrinare vari mesi dell'anno in Argentina e Brasile per poi ritornare qui. E' durante questi viaggi che tutti i gitani, quelli più e quelli meno tradizionalisti, recuperano lo stile di tutta la vita.

A Maldonado vivevano 48 persone distribuite in cinque tende. In ognuna di loro viveva una famiglia. Due famiglie decisero di andare a Chuy. Ora sono 32 persone che risiedono sul terreno della municipalità. Di fronte a loro, dall'altro lato, c'è un insediamento costruito con pietre e legno.

Danilo Estorin è il "cacicco" e l'incaricato che "tutta sia a posto ed in ordine". Ha sostituito suo padre, che è partito per gli Stati Uniti per riunirsi ad altri gitani.

Danilo veste in maniera informale, con bermuda e una camicia aperta, ma la sua voce si distingue. Quando parla con gli altri membri della comunità lo fa in un dialetto proveniente dal Montenegro, l'ex provincia della Yugoslavia ora repubblica indipendente. "Quando siamo in famiglia, parliamo solo nel nostro idioma" segnala Estorin.

La scrittrice ed antropologa Teresa Porzecanski segnala che la lingua dei gitani, denominata romaní, "è il risultato di successive incorporazioni di diversi idiomi lungo oltre mille anni di migrazioni. Significa che il romaní è formato basicamente da incorporazioni di altre lingue, tra cui lo slavo".

Per questa ragione, molti gitani uruguaiani provenienti dalla zona balcanica dicono di parlare montenegrino o slavo. Praticamente sono tutti bilingue, perché sin da piccoli si insegna loro a parlare il romaní. Anni fa non erano soliti frequentare la scuola e tutto si imparava in famiglia. Ora i bambini sono inviati ai centri di insegnamento pubblici con il resto degli uruguaiani.

Sono le quattro del pomeriggio di un sabato tranquillo e soleggiato. Nella prima delle tre tende quattro gitani guardano la televisione. I due più giovani sono seduti su un sofà e gli altri due nelle loro rispettive camere. Dentro la tenda ci sono tutti gli sviluppi di una casa qualsiasi. Sul pezzo di terra c'è una cucina a gas e infinità di pentole e piatti rilucenti. Nello stesso ambiente ci sono a vista armadi per i vestiti, una gelatiera, tende, sedei, una tavola con tovaglia... ed un gruppo di galline e pavoni che passeggiano entrando ed uscendo dalla tenda, che tiene i teloni aperti per far passare l'aria. Niente sembra fuori posto.

Pietre sulle tende

Elías Marcos, il più anziano del gruppo, risponde amabilmente alle domande, senza spostarsi dalla sua stanza. Quando lo si interroga sul suo nome, risponde che tra i gitani è comune chiamarsi Marcos, Nicolás o Jorge. Racconta che vive da 20 anni a Maldonado, e che gli piace vivere in questa maniera "perché è tradizione".

- Non fa freddo in inverno?

- No - dice Elías -, prendiamo una salamandra e rimane più calda che una casa.

Si lamenta dell'Intendencia perché non viene a tagliare l'erba. Ha inviato tre sollecitazioni ma non ci fanno caso, dice. Elías vive con sua moglie e i loro sette figli. Javier Marcos, uno dei suoi nipoti, lo accompagna stasera. Veste e si vede come un gitano: alto, moro, occhi e capelli neri. Camicia dello stesso colore, stivaletti e polsiere dorate. Sull'avambraccio una "K" tatuata come ricordo di una fidanzata. O qualcosa di simile.

- E cosa fai durante il giorno?

- ... do una mano con qualche lavoro, oppure vado a visitare altri gitani o la mia fidanzata.

- Hai solo fidanzate gitane?

- No, no, le tengo di tutte e due - dice ridendo degli scherzi degli altri.

La comunità accetta i matrimoni tra gitani e creoli, qualcosa d'impensabile anni fa. Sul tema dei matrimoni i costumi stanno cambiando. Elías Marcos dice con aria rattristata che la sua unica figlia si è sposata con un creolo e che vive con lui nella sua casa.

¡Oh Rom!,

¡Oh muchachos!

Rom, hermano,

una vez también yo tuve una gran familia

"Sempre tirano pietre alle tende, questo succede da sempre, da mille anni," dice Danilo Estorin, cacicco del posto. Il popolo gitano, o rom, è originario dell'India ed iniziò il suo lungo peregrinare verso l'ovest nel secolo X. Non si conoscono le cause esatte della migrazione, anche se alcune leggende gitane segnalano che fu una guerra con i musulmani che li obbligò ad abbandonare il loro paese. Da allora, si sono dispersi in quasi tutto il mondo, discriminati e perseguitati.

Questo ha fatto che molti di loro siano gente malfidente. Estorin ha una visione abbastanza critica sull'immagine che gran parte della società ha dei gitani. Inclusi i mezzi di comunicazione che mostrano pellicole o telenovele come El Zorro, la espada y la rosa, presentata da Canal 4, che, secondo lui "mostra i gitani come schizofrenici".

Neanche le notizie sono buone. Perlomeno quelle che hanno a che vedere con loro. Nel giugno 2006 per descrivere una banda di ladri che operava a Rivera, un giornale titolo senza mezzi termini: Gitani truffatori posarono le loro ire su Guichón e la convertirono nella città eletta. Qualche giorno prima avevano titolato: Miscuglio di banditi: gitani, avvocato brasiliano, fattore ed altri processati per furto d'auto. Estorin non considera giusto che per colpa di pochi tutti debbano pagare, dice riferendosi ai gitani implicati nei furti d'auto e ad un altro accusato di aver ucciso a Rivera due poliziotti brasiliani.

- E si nota quando esce una notizia simile?

- Chiaro, la gente che ci conosce comincia a guardarci male e non possiamo lavorare. Per strada ti indicano e ti trattano come malvivente. La maggior parte delle persone ci vede e dice: "¡Uy, un gitano!". E' come se avessimo la lebbra.

Un anno fa, i vicini dell'accampamento tiravano pietre, però il problema "si risolse", dice Estorin senza fornire altre spiegazioni. Da tutte le parti, i gitani hanno sempre avuto fama di bravos. Secondo Porzecanski, è un pregiudizio. "Non sono più o meno violenti di qualsiasi altra persona. Se portano coltelli, cosa che è probabile negli uomini, è più per tradizione che per attaccare qualcuno", sostiene riferendosi al costume di portare armi bianche. I gitani sono considerati maestri nel maneggiare il coltello.

Molti uruguaiani dicono che non sono violenti. Héctor Campoy è meccanico ed ha molti affari con i gitani. "E' una bugia quel che si dice. La gente li associa alla droga e al contrabbando, però non è vero e lo dico io che tratto con loro".

A proposito, dice Danilo Estorin: "I gitani vogliono passare per bravos più di quanto lo siano". Quando gli si chiede sui gitani che si difendono in gruppo, risponde: "Se si tratta di una persona contro un'altra, noi non ci mettiamo. Ognuno risolva i suoi propri problemi". Secondo lui, si interviene solo in caso di "abuso"."Se son dieci contro uno, lì si interviene," dice, considerando esaurito l'argomento.

Commerciante sì, impiegato giammai

Vengan conmigo Rom del mundo entero,

nuevamente los caminos

se han abierto.

I gitani sempre sono stati commercianti nell'anima. In Uruguay si dedicano alla compravendita di automobili, attività che generalmente è a carico degli uomini. Le donne si incaricano della vendita di pentole ed utensili da cucina.

Andrés Nicolau, gitano di origine brasiliana sposato con una uruguaya, è chiaro quanto alla vocazione autogestionaria: "Imponiamola nostra disciplina, non permettiamo che nessuno da fuori ce la imponga".

Una delle principali differenze che vede tra il suo popolo ed il resto della gente è la posizione sociale. "Un gitano non andrà mai a lavorare come impiegato", dice orgoglioso con la sua voce pausata ed accento brasiliano, mentre traffica con il motore di un'auto. Nicola ha lasciato la tenda da anni ed ora risiede in una casa con la sua famiglia.

I gitani sono vincolati all'occultismo e alle arti pagane. Il malocchio ed i tarocchi sono stati patrimonio delle donne gitane.

Malena Natalia Marcos non si interessa della maggioranza di queste tradizioni. Lei si dedica a leggere le palmi della mano. Imparò da sua madre. "E' un dono che teniamo", dice Malena.

Secondo il libro Secretos de la adivinación gitana di Raymond Buckland, il metodo gitano di divinazione contiene più capacità di osservazione che poteri esoterici.

Il metodo di "lettura fredda" richiede alcune abilità: utilizzare generalizzazioni (gli uomini sono interessati al loro lavoro e al potere; le donne, agli affetti, ecc.), richiede una buona dose di intuizione personale (per captare nell'atto lo stato mentale del cliente), molta diplomazia e un messaggio che mescoli adulazione ed attenzione ("lei è una brava persona, però c'è qualcuno con pochi scrupoli che intende approfittarne").

Oltre il suo lavoro, Malena assicura di non essere superstiziosa. "Non crediamo nelle magie", dice, demolendo un altro mito gitano. In Uruguay i gitani si dichiarano cattolici, anche se non frequentano messa. Malena, che abita nella terza tenda, si è fermata a curare suo padre che è infermo. Il resto delle donne sono andate a Punta del Este, avenida Gorlero, luogo che frequentano per augurare buona fortuna ai turisti, un'immagine che ormai appartiene alle cartoline.

I gitani non ammettono di essere supersiziosi. Però Héctor Campoy, loro vicino per anni a Las Piedras, segnala che abbandonarono la città dopo che due gitani perirono in un incidente causato da un autobus interdipartimentale, nel quale morirono varie persone.

Seppellitemi in piedi

Ahora es el tiempo.

¡Oh Rom!,

¡Oh muchachos!


In Uruguay non si conosce la cifra esatta dei gitani. Secondo la comunità, sarebbero circa 400 persone. Però si dovrebbero aggiungere la popolazione fluttuante proveniente dai paesi frontalieri.

In Argentina si stima risiedano 300.000 gitani ed in Brasile tra i 700.000 e il milione. In tutto il mondo, le stime variano tra i dieci ed i 12 milioni di romaníes, secondo stime delle Nazioni Unite.

La discriminazione verso il popolo gitano incontra in parte le sue ragioni nel carattere chiuso della comunità. Questa situazione provoca sospetti e timori.

Le particolarità generano rifiuto nei vicini. Uno dice: "Si dedicano alla compravendita di auto, in genere di macchine care", sostiene. "I gitani hanno un camioncino 4 x 4 durante il fine settimana e un paio di giorni più tardi se la 'danno a gambe'" dice un altro vicino, aggiungendo: "Non stanno quieti un momento. Gente che va e viene costantemente. Il detto 'vivere come gitani' è tale e quale", conclude.

La cultura popolare si incarica di rafforzare un'immagine negativa. Le pellicole e i programmi televisivi li mostrano come gente pericolosa, gelosa delle proprie donne, sempre occupati in affari torbidi.

Come segno di questi pregiudizi, la Real Academia Española applica il codice al concetto di gitano. Nelle sue accezioni è tutto un giudizio di valore: gitano è chi "truffa oppure opera con l'inganno". Tutto contribuì a diffondere stereotipi:  ladri, mentitori, violenti, sporchi, superstiziosi, al margine della legge.

La tipologia di sospettati naturali li ha resi protagonisti di grandi persecuzioni. L'8 settembre 1439 furono espulsi dalla Francia, da tutta la Svizzera nel 1471, dalla Germania nel 1500 e condannati a morte in Inghilterra nel 1514. Nel secolo XVII il Portogallo li deportò in America. Schiavizzati in Ungheria e Romania. Nel 1749, il re Ferdinando VI organizzò una caccia generale dei gitani, chi chiamò "La gran retata".

Il nazismo li incorporò nella lista del genocidio. 200.000 di loro andarononei campidi concentramento. Alcune fonti menzionano cinque milioni di gitani.

Sino al 1978 la Guardia Civil spagnola aveva raccomandazioni speciali sui gitani: "Si vigilerà scrupolosamente sui gitani, col riconoscimento dei documenti, il confronto di segni particolari, osservare i loro vestiti e indagare sul loro modo di vita".

Laq soffernza senza patria e senza terra è parte dell'impronta. Un vecchio proverbio romaní  assicura che il sentimenti permane nel folclore: Sa-muro trajo, beshlem be chengende, che tradotto significa "Seppellitemi in piedi, tutta la vita sono stato in ginocchio".

¡Oh Rom!,

¡Oh muchachos!

Recorramos nuevos caminos.

¡Vamos! que la esperanza de tiempos mejores

es la que nos guía cada día.


Una possibile origine. Un lindo paese chiamato Sind

"Prima avevamo un gran re, un gitano. Era il nostro principe, il nostro re. I gitani vivevano assieme in un unico posto, in un paese grazioso. Il nome del paese era Sind. Lì c'erano felicità ed allegria. Il nome del nostro capo era Mar Amengo Dep. Aveva due fratelli. Uno si chiamava Romano e l'altro Singan. Era buono, ma dopo ci fu una gran guerra. I musulmani causarono la guerra. Trasformarono il paese gitano in cenere e polvere. Tutti i gitani lasciarono il loro  paese. Cominciarono a vagare come poveri in altri paesi, altre terre. In questo tempo, i tre fratelli partirono assieme ai loro inseguitori. Alcuni finirono in Arabia, altri a Bisanzio o in Armenia. Leggenda gitana.

La teoria più accettata sull'origine del popolo romaní è che procedettero dal Punjab, una regione alla frontiera tra India e Pakistan. E' un'ipotesi che non è mai stata provata, ed altre supposizioni più moderne segnalano che le loro radici sono ebraiche.

In ogni maniera, le loro origini rimangono oscure e sono state oggetto di ogni tipo di fantasie e leggende. Alcuni li considerano discendenti di Caino, che dopo aver ammazzato Abele, fu condannato da Dio a vagare in eterno. "Quando lavorerai la terra non ti darà frutti, sarai vagabondo e fuggitivo sulla terra", sostiene la Genesi da cui sorge la leggenda del nomadismo gitano. Un altro mito, sulle origini dei gitani li segnala come i ladroni di Cristo. Questo atto li avrebbe condannati a girare per il mondo senza arrivare al proprio destino.

Se ci atteniamo alla versione più comunemente accettata, che situa i gitani originari dell'India, i primi destini del popolo gitano sarebbero stati Afganistán, Irán, Armenia e Turchia. Nel secolo XIV sarebbero arrivati in Egitto ed un secolo più tardi in Europa.

In un primo momento furono ricevuti in buona maniera dai re degli stati europei che li vedevano come pellegrini cristiani. Però con i tempi la situazione cambiò ed un secolo più tardi cominciarono ad essere perseguitati perché non si adattavano e non potevano essere assimilati. Nel secolo XIX arrivarono in America.

I gitani migrarono in questa regione contemporaneamente ad altre centinaia di migliaia di europei in cerca di nuove opportunità. L'ultima grande ondata migratoria ha avuto luogo con la caduta del muro di Berlino nel 1989. I gitani iniziarono a partire dai paesi dell'ex blocco socialista verso le nazioni ricche dell'Ovest.

Tomado de: El País Digital.

PRORROM

PROCESO ORGANIZATIVO DEL PUEBLO ROM (GITANO) DE COLOMBIA / PROTSESO ORGANIZATSIAKO LE RROMANE NARODOSKO KOLOMBIAKO

[Organización Confederada a Saveto Katar le Organizatsi ay Kumpeniyi Rromane Anda´l Americhi, (SKOKRA)]

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Di Fabrizio (del 26/07/2007 @ 09:48:21, in media, visitato 2799 volte)

“Immaginare il futuro tra memoria e presente” : questo il titolo del DVD che contiene due cortometraggi e una pubblicazione cartacea sul popolo rom


“Immaginare il futuro tra memoria e presente” è il DVD realizzato dal Progetto Rom Toscana dell’Arci Toscana, che sarà presentato oggi durante la XIII edizione del Meeting Internazionale Antirazzista di Cecina.
Il DVD, che sarà distribuito gratuitamente, è un interessante lavoro di documentazione sul tema dei rom ed è diviso in tre parti:

  • la pubblicazione cartacea interna al cofanetto che conterrà vari scritti di operatori, politici ed esperti del settore;
  • un DVD-rom che sarà la parte interattiva con testi, collegamenti ipertestuali, video e gallerie fotografiche;
  • il DVD che contiene due cortometraggi, le gallerie fotografiche e i crediti.

Il Progetto Rom Toscana proporrà la presentazione di questo lavoro nei territori, nelle scuole e ovunque sia richiesto, ma soprattutto dove si voglia iniziare a contrastare la disinformazione e il pregiudizio nei confronti del popolo rom e a proporre un percorso comune e serio di cittadinanza.

Di seguito un breve estratto dell'introduzione al DVD

A partire dalla fine degli anni '80 l’ARCI Toscana e l’ARCI Territoriale di Firenze hanno costruito, attraverso un lungo e arduo percorso politico, i presupposti di un modello regionale condiviso per l'accoglienza degli immigrati, dei richiedenti asilo e delle minoranze, in particolare quella costituita dalla comunità Rom. Questo è stato possibile grazie alla coesione del movimento antirazzista, alla importante partecipazione di associazioni costituite da rom e alle Istituzioni che hanno accolto tali istanze.
In quegli anni l'emergenza era costituita dalla necessità di contrastare il mezzo violento dello sgombero forzato dei campi abitati da rom, come approccio risolutivo alle complesse problematiche relative all'alloggio e all'inserimento sociale. L'ideologia condivisa dei “campi nomadi, luoghi dell'apartheid, dell’emarginazione e dell’esclusione sociale, si è snodata attraverso l'approvazione di leggi regionali che in buona fede tentavano di tutelare il popolo rom e sinti (legge 17/88).
Con la legge regionale 73/95 si ottiene il superamento della definizione “campo nomadi” e inizia a svilupparsi la possibilità di soluzioni alloggiative differenziate sul territorio, che prevedono l'autocostruzione di strutture da parte delle stesse famiglie, il recupero di alloggi, l'edilizia popolare e, soprattutto, dimostrano la falsità della percezione sociale del rom come “nomade a tutti costi”, immagine pregiudiziale e in molti casi più che fantasiosa. La legge 2 del 2000 evidenzia finalmente la necessità di individuare in questo set di possibili soluzioni la scelta di interventi diversificati, che vadano cioè nella direzione più adeguata in base ai casi, alle risorse e alle opportunità di accesso ai vari servizi territoriali. Un grande passo in avanti è rappresentato dall’elaborazione dei due Protocolli Regionali che vedono finalmente superata l’idea di una legislazione ad hoc per il popolo rom e sinti garantendo, da un lato, la solidarietà e il sostegno nei confronti dei Comuni di accoglienza e di inserimento abitativo di nuclei rom e, dall’altro, introducendo l’importante tassello del Progetto Rom Toscana.
Il Progetto Rom presto diventa un modello metodologico di inserimento abitativo, di accompagnamento all'autonomia e di mediazione con le amministrazioni locali e il territorio, senza precedenti.
A questo punto del cammino, sarebbe bello pensare ad una Toscana che - avendo già rifiutato i CPT sul proprio territorio - si impegni a superare definitivamente il concetto dei “campi nomadi” nella pratica, nelle idee e nel linguaggio, non essendo altro che “spazi riconosciuti dell'emarginazione”.

(www.accoglienzatoscana.it)

25.07.2007

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