| Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
      Ricevo da Maria Grazia Dicati La rivincita gitana : Col circo capirete la nostra anima
 Repubblica - 13 giugno 2008 -
PARIGI
 
 Roulotte sgangherate e tutte con le porte aperte. Una capra legata a un albero. 
Bambini che sgambettano ovunque. Due ragazzi lavano una automobile assai più 
nuova delle loro case su ruote. Sullo sfondo, un silenzioso tendone di circo. 
Nel piccolo campo nomadi alla Porte de Champerret - nord ovest di Parigi, a 
pochi minuti di automobile dai Campi Elisi - si entra spostando una transenna di 
ferro. Ci viene incontro Delia, la quarantina con un viso di venti, capelli 
lunghi e denti d' oro. È la moglie di Alexandre Romanès, poeta, ex acrobata e 
domatore, ex liutista barocco con la passione di Monteverdi, creatore e 
direttore del circo che porta il suo nome. Un vero circo tzigano, con veri 
musicisti tzigani, con acrobati e giocolieri tzigani. Zingari con le stesse 
facce di quelli che, da noi, se si avvicinano ci allontaniamo.
 
 Dal 14 al 22 giugno il piccolo campo del Cirque Romanès si installerà a Brescia 
perché il nuovo spettacolo "La regina delle pozzanghere" sarà ospite della nona 
edizione della Festa Internazionale del Circo Contemporaneo.
 
 Dal 26 al 29 si sposterà a Mantova, nella rassegna "Teatro - Arlecchino d' oro". 
Nel paese che vuole cacciare gli zingari, in terra di Lega, i bambini delle 
province più ricche si delizieranno sotto il tendone rattoppato e allegro di 
tessuti indiani; applaudiranno bambini come loro che però non vanno a scuola e 
già hanno un mestiere; e alla fine dello spettacolo - un gioiello di semplicità 
e poesia - chiederanno alla mamma un bombolone appena uscito fresco di frittura 
da una roulotte, e la mamma penserà che per una volta va bene dare soldi agli 
zingari, perché hanno lavorato e se li sono meritati.
 
 «Quello che sta accadendo nel vostro paese ha un colpevole: l' Europa" esordisce 
Alexandre Romanès.
 
 Sputa fuori il concetto e si vede che lo rimugina da tempo. «Dal 1989, anno 
della caduta del Muro, tutti i governi della Comunità sapevano che prima o poi 
la Romania e la Bulgaria sarebbero entrate in Europa. Hanno avuto decenni per 
mettersi d' accordo tra loro e dirsi: sappiamo che in questi due paesi ci sono 
due minoranze che versano in condizioni terribili.
 
 Un problema così non di risolve nel momento in cui si pone. E adesso la casa 
brucia perché i responsabili politici di destra e di sinistra non sono stati 
previdenti: potevano comprare estintori e non l' hanno fatto».
 
 Alexandre Romanès appartiene alla grande famiglia circense dei Bouglione, gitani 
piemontesi francesizzati (si pronuncia Boug-lione). «Veniamo dall' India, poi 
Afghanistan, Turchia, Grecia: siamo della tribù dei Sinti piemontesi e il 
cognome Bouglione l' abbiamo preso in Italia.
 
 Quasi tutte le famiglie circensi italiane sono gitane». Romanès lascia il circo 
di suo padre («Mi sembrava un hangar, avevamo quaranta camion, e tutti in 
famiglia avevano diamanti al dito e Rolls Royce. Non era per me») poco più che 
adolescente e si mette a fare l' acrobata sulle "scale libere" per la strada. A 
vent' anni incontra una poetessa francese, Lydie Dattas: per lei e grazie a lei 
impara a leggere e scrivere, e inizia a leggere la poesia. Un giorno del '77, 
mentre sta facendo il numero in equilibrio sulle scale a pioli, lo avvicina Jean 
Genet. Insieme progettano un circo poetico. Avrebbe dovuto durare quattro ore. 
Genet voleva un cavallo arabo e un cigno nero. «Non l' abbiamo mai montato, quel 
circo: era troppo presto per me, dopo il rifiuto del tendone di mio padre. Di 
Genet sono stato amico, mai amante. Fino alla fine, quando l' accompagnavo a 
Villejuif, nell' ospedale dei tumori. E' morto a 76 anni nell' 86».
 
 Nel frattempo Alexandre Romanès comincia a scrivere poesie. Nel '98 esce "Un 
peuple de promeneurs", un popolo di "passeggiatori". Nel grande e disperato 
campo nomadi di Nanterre (oggi smantellato) ha incontrato Delia, gitana 
rumena-ungherese, che ha già tre figli da un marito che se ne è andato.
 
 Avranno altre due bambine e Alexandre adotterà gli altri tre. Nel '94 montano un 
tendone dietro alla Place Clichy (per sei anni e fino alla morte il terreno 
glielo darà gratis una ricca aristocratica signora, madame Carmignani) e il 
piccolo Cirque Romanès inizia ad essere un punto di incontro di artisti. «Di 
molti non voglio fare nomi» dice Alexandre Romanès, «ma posso dire che Yehudi 
Menuhin veniva spesso e una volta mi disse: "Fino all' ultimo dei miei giorni 
non smetterò di pensare a voi"». Verso il 2003 Romanès invia a Gallimard un 
quaderno con le sue poesie scritte a mano. «Hanno riunito una commissione 
straordinaria di lettori.
 
 Ben quattro. Erano poesie di uno zingaro!». Nel 2004, la grande casa editrice le 
pubblica con il titolo "Paroles perdues" e la prefazione di un altro poeta 
amico: Jean Grosjean (morto due anni fa).
 
 Nel prossimo inverno uscirà una nuova raccolta. «Se non si crede nella poesia, 
se non si ha un' idea poetica della vita, allora non si potranno mai capire i 
gitani» dice Romanès. - LAURA PUTTI
 
 Se volete saperne di più visitate il sito: 
www.festadelcirco.it
   
      Ricevo da Marta Pistocchi ciao,questa è una lettera aperta a tutti gli amici dei Muzikanti ed in particolare di 
Jovica Jovic.
 Fatela girare se lo ritenete opportuno e se credete che possa aiutarci.
 
 Alcuni di voi già sanno che Jovica sta attraversando un difficile periodo della 
sua vita nel quale, tra le altre cose, sta cercando di regolarizzare la propria 
posizione in Italia.
 Il momento politico, ahinoi si sa, non è è favorevole e le difficoltà che il 
nostro fisarmonicista sta incontrando sono molte; nonostante ciò crediamo nella 
possibilità di riuscire nel nostro intento.
 La richiesta inoltrata tempo fa al Ministero della Cultura per avere il 
musicista Jovica in Italia è difatti andata a buon fine e il ministero ha 
rilasciato il Nulla Osta che permette l'ingresso alla frontiera italiana; questo 
ottimo risultato viene vanificato però da un altro provvedimento nei confronti 
di Jovica, un mandato di espulsione dovuto all'accertamento della sua posizione 
irregolare sul territorio italiano, precedente al Nulla Osta.
 
 Per proseguire sulla strada della regolarizzazione Jovica ha bisogno del 
sostegno di uno studio legale, il che implica delle alte spese che la sua 
famiglia non può permettersi.
 Per questo ci stiamo rivolgendo a voi, nella speranza di riuscire a creare una 
rete di persone che vuol bene a Jovica, che ne riconosce il valore di uomo e 
musicista ed è disponibile a dare il proprio contributo (economico ma non solo) 
per sostenere la causa del miglior fisarmonicista serbo di Milano.
 Vi propongo di venirci a trovare venerdì 20 giugno (questo) alle Pecore -via 
fiori chiari 21- noi suoneremo dalle 22, ma vi aspettiamo anche da prima. Sarà 
un'occasione per incontrarci, informarci, raccogliere suggerimenti e forze, ed 
infine ringraziarvi a suon di musica e balli.
 Per chi non potesse venire venerdì ma vorrebbe comunque aiutare Jovica, e per tutti quelli che vogliono saperne di più e meglio vi invito a scrivere a questo indirizzo: Ivana
ivanak011@tiscali.it, che come sempre 
ci aiuta e ci sostiene e ci ama e che io ringrazio con tutto il cuore.
 Spero di avere una calorosa risposta da tutti voi
 a venerdì
 marta
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 17/06/2008 @ 09:24:06, in scuola , visitato 1604 volte)
		 
      Da
Roma_Shqiperia 
http://www.fibre2fashion.com/news/daily-textile-industries-news/newsdetails.aspx?news_id=57891
 Il 12 giugno è [stato] il Giorno Mondiale Contro il Lavoro Minorile e si è 
tenuto sotto il tema "La Scolarizzazione è la Giusta Risposta al Lavoro 
Minorile". In Albania, dove oltre 40.000 bambini lavorano invece di frequentare 
scuola, un progetto guidato da due unioni di insegnanti ha dimostrato come 
mettere in risalto l'importanza dell'istruzione per ottenere risultati concreti. I membri delle due associazioni riconoscono che il loro lavoro non si limita 
al semplice insegnamento e che hanno anche responsabilità verso i bambini 
nel tempo extra-scolastico. Grazie a questo progetto, se i bambini non 
frequentano scuola o smettono di farlo, i genitori vanno a casa loro e discutono 
le ragioni coi genitori. Tentano assieme di trovare soluzioni, e convincerli 
sull'importanza vitale della scolarizzazione per il futuro dei bambini e delle 
famiglie. L'autorità morale raggiunta dagli insegnanti nella comunità di solito li 
aiuta nel convincere i genitori. Oltre 2.400 bambini, inclusi parecchi della 
comunità rom,  sono ora tornati a scuola o sono stati salvati 
dall'abbandono scolastico grazie a questo progetto sindacale. L'intero movimento sindacale albanese sta ora osservando il successo del 
progetto delle unioni di insegnanti, come un esempio degli sforzi per combattere 
il lavoro minorile. Durante una tavola rotonda tenuta dalla Confederazione 
Sindacale Internazionale a Tirana il 26 aprile 2008, alcuni sindacati hanno 
lanciato un appello per avere appoggio internazionale nella lotta contro il 
lavoro minorile nella fabbricazione dell'esportazione. Il problema riguarda i settori dell'abbigliamento e delle calzature, dove le 
ditte subappaltano esternamente parte della produzione, ed alcune si avvalgono 
dell'uso di bambini, rendendo difficile la loro continuità scolastica. I prezzi 
indecenti che i compratori internazionali impongono alle ditte albanesi vanno un 
certo senso verso la spiegazione di questo sfruttamento e dell'esigenza di 
azione internazionale del sindacato. International Trade Union Confederation   
		
		
			Di Fabrizio  (del 17/06/2008 @ 09:13:44, in Europa , visitato 1508 volte)
		 
      Segnalato da
Maria Grazia Dicati RAZZISMO SELVAGGIO IN ITALIA - Perdono sempre gli stessi I gitani italiani, specialmente, e molti altri gruppi gitani del resto del 
mondo, si stanno rivolgendo a noi chiedendo aiuto. La maggioranza sono messaggi 
angosciati di una comunità allarmata davanti al sopraffacente trionfo della 
coalizione politica - alcuni dei partiti che la compongono sono di estrema 
destra - guidata da Silvio Berlusconi. Alcuni giorni prima che si producessero 
le inqualificabili aggressioni patite dai gitani di Ponticelli (Napoli), per 
mano di alcuni scalmanati che han dato fuoco alle loro umili baracche, 
un'organizzazione gitana italiana ci diceva: "Noi gitani siamo in pericolo 
in Italia. Abbiamo paura delle deportazioni dei gitani in Italia. Per favore - 
mi dice - inviate un comunicato al Governo italiano perché rispetti le Direttive 
comunitarie". A nostro parere la paura che esprime il nostro interlocutore non è infondata. 
Le ultime dichiarazioni dei nuovi governanti italiani prefigurano ogni tipo di 
precarietà. Giudicate voi se non è così: Il nuovo sindaco di Roma, il 
post-fascista Gianni Alemanno, annunciò lunedì scorso che la sua prima misura 
come sindaco sarebbe stata demolire gli accampamenti gitani. "Procederemo a 
smantellare gli accampamenti nomadi che a Roma sono 25": Però i napoletani di 
Ponticelli si sono portati avanti. Niente da smantellare. Fuoco purificatore che 
è più rapido di montare camere a gas in stile nazi! Umberto Bossi, il leader 
della Lega Nord, è euforico. Questo soggetto parla di "caccia" . "Dobbiamo 
cacciare i clandestini", ha detto, provocando la sconfitta sinistra italiana. 
Come qualsiasi bullo di quartiere ha lanciato il suo proclama di guerra: "Non so 
cosa vorrà fare la sinistra, noi siamo pronti. Se vogliono lo scontro, i fucili 
sono caldi. Abbiamo 300.000 uomini, 300.000 martiri, pronti a combattere. E non 
stiamo giocando. Non siamo quattro gatti". Però la cosa più triste è che Silvio Berlusconi, 
il rieletto presidente del Governo italiano, al vedere i suoi giovani esultanti 
salutando in stile fascista, ha confessato: "A vederli, ho pensato: la nuova 
falange romana siamo noi". Alla vista della gravità dei fatti la 
UNION ROMANI, riconoscendo il sentire maggioritario dei gitani spagnoli e per la 
rappresentazione che si ostenta nella UNION ROMANI INTERNACIONAL, si propone 
iniziare le seguenti azioni: Primo, Denunciare la gravità degli attentati sofferti dai gitani europei 
residenti in Italia e chiedere la solidarietà dei cittadini di qualsiasi paese 
di fronte alla violenza cieca ed assassina dei razzisti. Per questo 
chiediamo che si scrivano lettere dirette al Presidente del Governo italiano, 
inviandole direttamente alla sua residenza nel Quirinale (Roma) o alle 
ambasciate italiane in ogni paese. (L'indirizzo dell'Ambasciata italiana in 
Spagna è il seguente: Calle Lagasca, 98. Código postal 28006 Madrid) Secondo: Sollecitare il Ministro degli Esteri di Spagna perché si 
interessi alla situazione dei gitani residenti in Italia, esprimendo la 
preoccupazione della comunità gitana spagnola per la situazione in cui possano 
trovarsi i gitani espulsi dalle loro dimore incendiate. Il nostro Governo è 
legittimato a fare questa consultazione in base a quanto previsto dalla 
Direttiva 2004/38/CE del Parlamento e del Consiglio Europeo relativa al diritto 
dei cittadini dell'Unione e dei membri delle sue famiglie a circolare e 
risiedere liberamente nel territorio degli Stati membri. Effettivamente, 
trattandosi di una Direttiva e non dimenticando che ogni Stato membro può 
determinare la miglior forma di applicare le disposizioni del Diritto 
comunitario, è obbligatorio esercitare un lavoro critico e di vigilanza dei 
Governi perché le misure adottate nei distinti Stati membri conducano ad una 
applicazione del Diritto comunitario con la stessa efficacia e rigore con cui si 
applicano le norme interne dei suoi rispettivi Diritti nazionali. Terzo: Chiedere alla Commissione delle Petizioni del Parlamento Europeo 
che, con carattere d'urgenza, inizi un'inchiesta sulla situazione che ha 
portato la comunità italiana di Ponticelli (Napoli) allo stato di 
contrapposizione che soffrono i gitani che vivono in quel luogo. Quarto: Sollecitare i Gruppi Parlamentari del Parlamento Europeo che 
formulino, con carattere d'urgenza, le precise iniziative parlamentari che 
obblighino il Consiglio a chiedere nella Sessione Plenaria di Strasburgo e 
Bruxelles sulle misure che il Governo italiano possa aver preso per porre freno 
a queste aggressioni e per condannare i colpevoli delle stesse. Quinto: L'Unión Romaní è convinta che l'immensa maggioranza dei 
cittadini italiani - inclusi i votanti di Berlusconi - rifiuta la violenza, 
venga da dove venga. Per questa ragione, attraverso la Unión Romaní Internacional, 
si propone stabilire, con le organizzazioni gitane italiane, un programma di 
mutua collaborazione al fine di mettere in campo le misure adeguate che 
garantiscano la difesa di questi cittadini europei che non hanno commesso 
alcun delitto se non quello di essere "poveri e gitani". Sesto: Oggi stesso abbiamo avuto notizia che il Governo italiano si 
propone di indurire i mezzi contro l'immigrazione di modo tale che l'essere 
"clandestino" sarà un delitto compreso nel Codice Penale. In questo senso, Roberto Calderoli, 
nuovo Ministro italiano proveniente dalla Lega Nord, ha dichiarato che per non 
essere "clandestino": "Bisogna dimostrare se si è onesti, altrimenti, li si 
espelle dall'Italia". Come Unión Romaní inizieremo i procedimenti per interporre una denuncia 
contro il Governo italiano per non adempimento della Direttiva 2004/38/CE 
del Parlamento e del Consiglio Europeo relativa al diritto dei cittadini 
dell'Unione e dei membri delle sue famiglie a circolare e risiedere liberamente 
nel territorio degli Stati membri. Quando venne promulgato a Maastricht, 
nell'anno 1992, il Trattato che porta il nome della famosa città olandese, i 
Capi di Stato e del Governo approvarono la Dichiarazione 19 al fine di chiarire 
le incertezze sull'applicazione del Diritto comunitario. I massimi dirigenti 
europei non avevano alcun dubbio che "per la coerenza e l'unità del processo di 
costruzione europea, è essenziale che tutti gli Stati membri traspongano 
integralmente e fedelmente nel loro Diritto nazionale le direttive comunitarie 
di cui siano destinatari nei luoghi disposti alle stesse". Le Direttive sono lo strumento armonizzatore per eccellenza del Direttivo 
Comunitario perché tramite loro si realizza, dice l'art. 94 del Trattato, 
l'approccio delle disposizioni legali, regolamentari ed amministrative degli 
Stati membri, che incidano direttamente nella stabilità o nel funzionamento 
dell'Unione Europea. Settimo: Per terminare proponiamo di elevare la nostra 
preoccupazione per la magnitudine e la gravità di questi accadimenti di fronte 
alle istanze internazionali più rappresentative. Così faremo di fronte al 
Consiglio d'Europa, davanti all'Organizzazione per la Sicurezza e la 
Cooperazione in Europa (OCSE) e davanti alla Commissione per i Diritti Umani 
delle Nazioni Unite. Una volta ancora reclamiamo la solidarietà di tutti i democratici di Spagna e 
d'Europa. Nessuno può farsi giustizia da solo, perché quando ciò succede perdono 
sempre gli stessi: i più poveri, i più indifesi, quelli per cui non ci sono 
diritti, nella maggioranza dei casi, di essere lettere stampate su carta 
bagnata. Abbiamo bisogno del calore umano della società,per questo domandiamo 
l'appoggio di tutti i democratici europei a difesa dei Diritti Umani di quanti, 
essendo innocenti, si vedono aggrediti, vilipesi e stigmatizzati per delitti che 
non hanno commesso. Per terminare, come proprio riconosce la Commissione, ogni 
espulsione "deve essere motivata dalla situazione individuale" di persone 
specifiche, e non "deve significare un'espulsione di gruppo" di collettivi 
rispetto alle loro origini geografiche. Speriamo che il fuoco di Ponticelli purifichi ed elimini l'odio e 
l'intolleranza che tante volte sono stati il germe delle più gravi tragedie 
nella storia d'Europa. JUAN DE DIOS RAMÍREZ HEREDIA - Presidente de la Unión Romaní   
		
		
			Di Fabrizio  (del 16/06/2008 @ 10:13:44, in Italia , visitato 1651 volte)
		 
      Ricevo da Ivana Vi informiamo che la seguente
lettera, preparata da Jasmina Radivojevic su iniziativa di una ventina di 
persone, è stata mandata alle varie associazioni, organizzazioni, stampa e altri 
media, ansa, liste on-line e privati. Vi preghiamo di inoltrarla anche ai vostri 
contatti. Grazie! Cari amici,
 è terribile quello che deve capitare alle persone all'inizio del Terzo 
millennio! Sul continente europeo, nel paese fondatore della Comunità Europea.
 Quando l'europarlamentare Rom ungherese Viktoria Mohacsi ha obbiettato la 
mancanza della banca dati riguardante la comunità Rom in Italia, non ha certo 
pensato a questi risvolti e alla schedatura. Ma alla possibilità di accedere ai 
fondi EU per l'integrazione dei Rom.
 
 Questa necessità di censire viene strumentalizzata dalle Istituzioni italiane 
per una aperta discriminazione delle persone, il che è intollerabile. 
Appartenere ad un'etnia diversa non è ne mai potrebbe essere la prerogativa ne 
al comportamento deviante ne a quello virtuoso.
 
 Ci troviamo davvero davanti al paradosso che questa situazione possa alimentare:
 1) il divario tra Rom e Sinti italiani e Rom di altra cittadinanza o apolidi;
 2) il divario tra gli italiani di diverse etnie;
 3) la legittimazione del razzismo.
 
 Esprimiamo la nostra piena solidarietà alle famiglie che sono sottoposte a 
questa barbarie e diamo pieno appoggio ad una richiesta dell' Osservatore 
esterno tipo OSCE o di un altra associazione/organizzazione che nutre la fiducia 
nella popolazione per poter raccogliere i dati anagrafici assieme alle 
Istituzioni italiane.
 Noi siamo indissolubilmente legati alla popolazione Rom, abbiamo sofferto spesso 
insieme nella storia. Il campo di concentramento di Jasenovac, dove sono morte 
alcune centinaia di migliaia di persone, è solo uno degli esempi che ci lega per 
sempre. Anche nell'ultima guerra contro la Jugoslavia, condotta dalla Nato, gli 
amici Rom e Sinti in Italia erano al nostro fianco a protestare contro la 
guerra. Molti di loro erano fuggiti dal nostro paese in Italia proprio scappando 
da questa guerra.
 Oggi, in questo momento particolarmente triste per tutti noi nel vedere la 
storia ripetersi, siamo solidali con i nostri fratelli Rom e Sinti. Oggi noi 
dobbiamo e vogliamo essere a loro fianco.
 
 Comunità serba di Milano
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 16/06/2008 @ 10:10:17, in Regole , visitato 2154 volte)
		 
      Ricevo da Ernesto Rossi Egregi Signori, Direzione di Hydromania,
 leggo casualmente sul
web la notizia, secondo la quale nel vostro parco acquatico sarebbe stato 
vietato l’ingresso ad una famiglia, presentatasi allo sportello per pagare 
l’entrata, in quanto ‘zingari’.
 
 La notizia è riportata dal quotidiano la Repubblica di sabato 7 giugno scorso 
(lettera firmata) e non
risulta smentita.
 
 Naturalmente sono cose che possono sfuggire all’attenzione, e dunque spero di 
fare cosa gradita per il vostro buon nome, segnalandovela.
 
 Quello che non può sfuggire è –se vero- il fatto.
 
 Vi prego dunque, compiuti i doverosi accertamenti , se ancora non fossero stati 
eseguiti, sul comportamento del vostro personale, di smentire, o informare sui 
provvedimenti presi, il quotidiano e coloro che vi scrivono per protestare.
 
 Si tratterebbe infatti di un comportamento vergognoso prima ancora che illegale 
e tale da mettere in forse la vostra licenza di esercizio. Infatti in questo 
paese non è consentito, a differenza di quanto avveniva nella Germania nazista, 
per fare un esempio, impedire l’accesso ad un esercizio pubblico sulla base di 
discriminazioni relative all’aspetto delle persone, alla nazionalità o ad altre 
caratteristiche individuali.
 
 Appartenere ad un popolo è un fatto di natura, non un reato.
 
 Nell’attesa di vostre informazioni, grazie per l’attenzione.
 Ernesto Rossi   
		
		
			Di Fabrizio  (del 16/06/2008 @ 09:43:37, in casa , visitato 1918 volte)
		 
      Da
Roma_Daily_News 9 giugno 2008 By PELIN TURGUT -
Time.com All'ombra dei merli bizantini, un gruppo di ragazze ridenti va avanti e 
indietro fra le case cadenti, smettendo occasionalmente di vibrare le loro anche 
e di roteare i loro polsi. Sono inseguite da diversi ragazzi urlanti, che le 
afferrano e le spingono "in prigione" verso un angolo. I bambini del quartiere 
impoverito di Sulukule a Istanbul - patria della più antica comunità rom del 
mondo - chiamano questo gioco Poliziotti e Ballerine, versione locale di Guardie 
e Ladri emendata per riflettere sulla loro esperienza di essere nati in una vita 
di danza e caccia dalla polizia. E' giovedì pomeriggio presto e i bambini giocano per strada invece di essere 
a scuola. La ragione della loro assenza ingiustificata, d'altra parte, è la 
paura. "I bambini sono spaventati," dice Dilek Turan,  uno studente di 
psicologia volontario a Sulukule. "Non vogliono andare a scuola perché sono 
preoccupati di tornare a casa e non trovarla più." C'è una ragione: il piano 
cittadino di demolire le loro case parte di un controverso progetto di 
rinnovamento urbano in vista di Istanbul Capitale Culturale Europea nel 2010. Fu in era bizantina che gli antenati dei bambini rom di Sulukule si 
accamparono per la prima volta su questo particolare pezzo di terra, accanto al 
Corno d'Oro e appena fuori dalle mura del V secolo della vecchia Costantinopoli. 
La prima registrazione della comunità, circa nel 1050, si riferisce ad un gruppo 
di persone, che si riteneva provenissero dall'India (dove, per la verità, molti 
storici credono siano originari i Rom), accampati in tende nere fuori dalle mura 
cittadine. Dopo la conquista ottomana di Costantinopoli, alla comunità fu 
garantito il permesso ufficiale del sultano Sultan Mehmet II di avere dimora in 
quello che ora è Sulukule. Per secoli la comunità rom si è guadagnata da vivere come indovini e 
ballerini per la corte ottomana, e più tardi per i Turchi - una tradizione 
portata sullo schermo nel film di James Bond Dalla Russia con Amore. Le 
loro fortune ebbero una svolta negativa negli anni '90, quando le loro "case 
d'intrattenimento" - abitazioni private dove le famiglie zingare cucinavano e 
ballavano per i loro concittadini benestanti - furono chiuse con l'accusa di 
gioco d'azzardo e prostituzione.I Rom di Istanbul sono molto poveri, guadagnano in media circa $250 al mese, ma 
la terra che abitano, una volta periferica e senza importanza, è ora un bene 
immobiliare molto apprezzato a pochi minuti dal centro città. Se gli appaltatori 
ed il comune locale hanno il loro senso, l'intero quartiere di Sulukule  - 
che ha 3.500 residenti - verrà raso al suolo entro la fine dell'anno per far 
posto a 620 case signorili in stile neo-ottomano.
 "Ogni giorno, ci domandiamo quale casa verrà demolita," dice Nese Ozan, 
volontario della Piattaforma Sulukule, una coalizione di architetti, attivisti e 
lavoratori sociali contro la demolizione. Ogni tre o quattro case derelitte di 
un blocco, una è stata ridotta ad un mucchio di residui e di metallo ritorto. 
Una X rossa segna le prossime, quelle in prima linea per le squadre di 
demolizione. Mustafa Demir, sindaco della municipalità conservatrice di Fatih che 
sponsorizza il programma di demolizione, dice che c'è bisogno di un progetto di 
rinnovamento sociale "per rimpiazzare i tuguri". Il Primo Ministro Recep Tayyip Erdogan 
ha chiamato Sulukule "terribile" ed espresso stupore per le proteste 
anti-demolizione. Che il quartiere abbia un disperato bisogno di risanamento è 
chiaro, ma i critici accusano le autorità di aver mancato di includere una delle 
più antiche comunità nei piani per lo sviluppo. Invece, ai Rom sono state 
offerte due opzioni: possono vendere le loro proprietà a basso prezzo (o doversi 
trovare di fronte all'esproprio), o traslocare nel quartiere popolare di Tasoluk, 
a circa 25 miglia dalla città, e pagare un'ipoteca di oltre 15 anni che pochi 
possono permettersi. "La municipalità non capisce che se intende rinnovare quest'area, c'è bisogno 
di fare in maniera che permetta alla comunità di continuare a vivere qui," dice 
Ozan. "Non possono limitarsi a sgomberare tutti, radere l'area la suolo e 
costruire un sobborgo. Questa è una comunità storica." Il ricercatore rom britannico Adrian Marsh vede un programma più scuro al 
lavoro. "Quello che abbiamo è la municipalità più religiosa del paese che si 
confronta con quello che ritiene storicamente il gruppo più irreligioso ed 
immorale," dice. "Se rigenerassero la comunità in maniera inclusiva, avrebbero 
3.000 voti extra, ma non stanno agendo così. Perché? Perché considerano la 
comunità di Sulukule irrecuperabile." Soluzioni a lungo termine come permettere 
ai Rom di impiantare music halls legali ed ottenere un guadagno, non sono 
gradite alle autorità locali dominate dagli islamisti, perché non intendono 
promuovere questo tipo di intrattenimento, ragiona Marsh. Questo è molto più certo: disperdere la comunità rom di Sulukule distruggerà 
la loro cultura, che è legata alla vita comunale. Famiglie estese condividono 
case e forme musicali, usando le strade come estensione delle loro stanze. "Sulukule 
presenta un modo di vita unico," ha concluso un gruppo di ricerca sul design 
urbano dell'University College di Londra. "Questo dev'essere tenuto in conto e 
preservato quando viene introdotto un nuovo sviluppo per l'area." La Piattaforma Sulukule ha richiesto un'ingiunzione del tribunale contro la 
demolizione ed il parlamento ha ha nominato un comitato di studio. Ma i 
bulldozer non aspettano. Il gioco di Poliziotti e Ballerine non sta andando bene 
per lo spettacolo.   
		
		
			Di Fabrizio  (del 16/06/2008 @ 09:37:46, in Italia , visitato 2140 volte)
		 
      
http://www.redattoresociale.it/ 
 18.09 - 12/06/2008 I dati raccolti dalle Forze dell'ordine durante le operazioni 
di schedatura nei campi andranno a finire in un archivio speciale. E' quanto 
emerso dall'incontro tra Michele Tortora, rappresentante del Prefetto, e alcune 
associazioni
 
 MILANO – I dati raccolti dalle Forze dell'ordine durante le operazioni di 
schedatura nei campi rom andranno a finire in un archivio speciale, custodito 
presso la Prefettura. È quanto emerso oggi dall'incontro tra Michele Tortora, 
rappresentante del Prefetto, e alcune associazioni tra cui Opera nomadi, 
OsservAzione, Federazione Rom e Sinti insieme, Romanodrom (vedi lancio nel 
notiziario di ieri).
 
 “È una decisione che conferma le nostre preoccupazioni -commenta Maurizio 
Pagani, presidente dell'Opera nomadi-. La creazione di un archivio a carattere 
etnico è un provvedimento di cui non possiamo conoscere il passo successivo”. 
Amareggiato anche Giorgio Bezzecchi, rom e vice-presidente dell'Opera Nomadi: 
“Sia io che mio padre Goffredo (ex deportato nel campo di Lipari durante il 
fascismo, ndr) siamo stati profondamente umiliati -dice-. La mia battaglia 
continua, anche con l'appoggio di varie associazioni tra cui l'Anpi, l'Unione 
delle comunità ebraiche italiane e gli ex deportati”.
 
 I promotori dell'incontro hanno fatto due richieste al rappresentate del 
Prefetto: rivedere le modalità con cui viene fatto il censimento nei campi e 
coinvolgere preventivamente le associazioni che operano nei campi e i rom. La 
risposta è attesa entro due o tre giorni. Alla discussione hanno partecipato 
anche alcuni esponenti politici tra cui l'eurodeputato Vittorio Agnoletto e il 
consigliere regionale di Rifondazione Comunista Luciano Muhlbauer. “Lunedì 
presenterò un'interrogazione alla Commissione europea -ha detto Vittorio 
Agnoletto- per sapere se la creazione di un archivio speciale per i cittadini 
rom è compatibile con la Carta dei diritti dell'Unione”.
 
 Al presidio che ha preceduto il confronto in Prefettura ha partecipato anche 
Giorgio Vallery, ex presidente di Opera Nomadi che negli anni Sessanta e 
Settanta ha lavorato a Palazzo Marino per la gestione della questione rom. “Il 
Comune si è fatto sfuggire di mano il problema -commenta-: non lo ha seguito con 
lo stesso impegno che aveva messo all'inizio quando aveva iniziato un percorso 
d'integrazione vero”. (Ilaria Sesana)
 © Copyright Redattore Sociale
   
		
		
			Di Sucar Drom  (del 15/06/2008 @ 09:18:27, in blog , visitato 1772 volte)
		 
      
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Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza, Conferenza Nazionale 
Volontariato Giustizia, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, 
Federazione Rom e Sinti Insieme, Fuoriluogo, Giuristi Democratici, Liber...
   
		
		
			Di Fabrizio  (del 15/06/2008 @ 08:53:44, in Europa , visitato 4331 volte)
		 
      Da
Osservatorio sui Balcani 
 11.06.2008 scrive
Tanya Mangalakova [Български] 
 A maggio, sulla "Gora", in Kosovo, l'aria risuona di tamburi e zufoli. E' "Djuren", 
la festa più sentita nella comunità dei gorani, slavi di religione islamica. Gli 
emigranti ritrovano parenti e amici, per i giovani, veri protagonisti della 
festa, è il momento di cercare la propria "dolce metà"
 Foto di Tanya Mangalakova
 Ermina ha diciassette anni. Bella come un quadro, vive tra la capitale 
macedone Skopje e la cittadina di Petrich, in Bulgaria meridionale. I suoi 
genitori sono gorani del villaggio di Brod, nella regione della Prizrenska Gora, 
in Kosovo. La famiglia ha ereditato la professione di pasticcieri, tipica dei 
gorani del Kosovo. Nel 2006 hanno aperto una loro pasticceria nel centro di 
Petrich; prima lavoravano a Skopje, come fa almeno la metà degli abitanti di 
Brod. Ermina studia a distanza in un istituto superiore di Skopje, e aiuta i 
propri genitori in pasticceria. Suo fratello, Almir, 24 anni, è già famoso a 
Petrich per la qualità del suo “burek”. 
 Per tutto l'anno Ermina ed Almir aspettano con impazienza che arrivi il mese di 
maggio, quando sulla “Gora” si festeggia la grande festa di “Djuren”, il nome 
con cui i gorani chiamano la festa originariamente dedicata a San Giorgio. Il 3 
maggio i ragazzi viaggiano attraverso la Macedonia per andare a Brod, villaggio 
dall'aspetto caratteristico disteso su un altopiano alle falde della Sar Planina. 
E' il padre, Bilgaip, che rimane a Petrich per tenere aperto il negozio, dando 
così l'opportunità ai giovani, che nel frattempo hanno riempito il bagagliaio 
dell'auto fino all'orlo di vestiti all'ultima moda, di festeggiare “Djuren” 
sulla “Gora”. Per tre giorni Ermina ed Almir sfileranno sul “corso” del paese, 
indossando tutti i propri vestiti più belli. Sul “corso” nascono storie d'amore, 
che di solito finiscono col matrimonio. E' “Djuren”!
 "Djuren" 
  Donna gorana “Djuren” è sicuramente la festa più importante, per i gorani, una festa che 
unisce in modo eclettico elementi cristiani ed islamici. Dal 4 all'8 di maggio, 
secondo un'antica tradizione, gli emigranti gorani tornano nei propri villaggi 
della “Gora”, che durante l'inverno restano quasi disabitati. Ogni anni, in 
questa occasione, la Sar Planina si riempie del suono di zufoli e tamburi, che 
la trasformano, dandole un'atmosfera mistica, quasi fossimo in Tibet. Le donne 
vestono i “noshni”, abiti tradizionali cuciti a mano. Aspettano tutto l'anno per 
poter mostrare gli abiti, arricchiti da grosse monete d'oro. Ci si trucca per 
ore, fino a che il viso non diventa una maschera preziosa.
 
 “Djuren” comincia il 5 maggio, detto “travke”. Nella mattina di questo giorno si 
raccolgono erbe (travke, appunto) che vengono poi immerse nell'acqua con cui si 
lavano i bambini. Quest'anno a Brod c'erano due fidanzamenti ufficiali, il che 
significa festa per tutto il villaggio. In serata, musicanti da Prizren hanno 
suonato per alcune ore, sia nella parte superiore che in quella inferiore di 
Brod. Le strette stradine fervevano di vita, giovani e vecchi ballavano lo 
“horo” (o “kolo” ballo tradizionale comune in tutti i Balcani), sul “corso” 
faceva mostra di se tutta la gioventù di Brod. I giovani che ancora non hanno 
trovato una “verenica” (fidanzata) facevano mostra delle proprie possibilità, 
spandendo denaro per far sì che i musicanti rom suonassero senza fine.
 
 Il 6 maggio i gorani si danno appuntamento sui prati della “Vlaska”, località 
vicina al villaggio di Vranista. Quasi ogni villaggio gorano ha un luogo 
particolare dove festeggiare “Djuren”. Il 7 si festeggia in un campo vicino a 
Rapca, il 9 a Brod, il 10 non lontano da Restelica.
 Il 6 maggio sulla “Vlaska”
  "Sul corso" Il 6 maggio i gorani festeggiano all'aperto sulla “Vlaska”. Si raccolgono 
ramoscelli di salice, si ballo lo “horo” al suono di tamburi e zufoli, si 
arrostisce l'agnello. Nonostante il tempo brutto, anche quest'anno le ragazze e 
le donne gorane hanno indossato i propri “noshni” e scarpe bianche abbellite da 
migliaia di perline di vetro. Da Brod la gente è scesa prima in direzione di 
Dragas per poi arrivare sulla “Vlaska”, dove il sole ha iniziato a far capolino 
tra le nuvole. “Il 'corso' sulla 'Vlaska' è il più bello di tutta la 'Gora'”, 
dicono convinti i gorani. Qui le giovani sfilano nei propri preziosi vestiti, ma 
sempre accompagnate da un cavaliere, marito o fidanzato che sia. “Dal colore del 
vestito”, raccontano le sorelle Javahida di Vraniste, “si può capire chi è 
sposata e chi è libera”. Le donne sposate portano vestiti neri, quelle libere 
invece indossano colori chiari, come fanno anche le ragazze fidanzate. Le donne 
più anziane, come le sorelle Javahida, portano vestiti semplici, sempre neri. Le 
donne più giovani impreziosiscono invece il proprio abbigliamento con seta, 
broccato, ricami, ed indossano gioielli in abbondanza. Le donne gorane si 
coprono la testa con la “basrama”, un grande e bello scialle, ornato anche 
questo da migliaia di perline.
 La tradizione vuole che le ragazze, durante il lungo inverno, tessano da sole 
il proprio vestito, “per diventare da belle ad ancora più belle”. Oggi soltanto 
una piccola minoranza ha conservato quest'arte. Vajda, 64 anni, ancora adesso 
cuce e orna i “noshni”. Le giovani, comprano proprio da donne come lei. Un 
vestito può costare anche più di mille euro, ma indossare gli abiti tradizionali 
durante la festa di “Djuren” è obbligatorio. Le monete d'oro, anche queste parte 
del completo da sfoggiare, vengono invece ereditate di generazione in 
generazione. Vajda ricorda con nostalgia la propria giovinezza. Suo marito è 
insegnante a Vraniste, sono sposati da 44 anni, quando ancora non c'era alcun 
“corso” sul quale ragazzi e ragazze potessero scambiarsi sguardi ed innamorarsi. 
“Il 'corso' è nato quando i giovani hanno cominciato a lavorare in città”, 
racconta. “Dopo aver visto come si passeggiava a Belgrado, hanno portato qui 
questa abitudine”. 
 La festa di “Djuren” è strettamente legata al modo tradizionale di vita dei 
gorani: gli uomini in giro nei Balcani dove lavorano alla produzione artigianale 
di dolci e “burek”, le donne a casa per badare ai figli. La tradizione vuole 
quindi che a “Djuren” gli uomini tornino nei propri villaggi di origine, per 
incontrare parenti ed amici. Gli scapoli, poi, tornano per trovare la propria 
“dolce metà”.
 
 Durante il periodo di festa, i caffè di Brod sono pieni di giovani. Anche oggi, 
i gorani rispettano le antiche regole, che prevedono che alle donne non sia 
permesso mettere piede in questi locali. Almir, come tutti gli altri giovani, va 
a dormire solo a notte inoltrata, si sveglia tardi, cammina per le strade di 
Brod come drogato di felicità. “Ho solo tre giorni a disposizione, e voglio 
utilizzare ogni minuto, ogni secondo, per stare insieme ai miei amici. Viviamo 
dispersi e lontani, chi a Skopje, chi a Nis, chi a Belgrado, chi in Bulgaria. 'Djuren' 
e l'unico momento in cui riusciamo a riunirci tutti, e a stare insieme sulla 
nostra 'Gora'”.
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