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\\ Mahalla : VAI : Europa (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 19/11/2011 @ 09:50:02, in Europa, visitato 1810 volte)

Chiara-di-notte.blogspot.com

In un commento al mio terzo articolo sull'intolleranza fra tzigani e gadje' in Ungheria, mi e' stato chiesto di spiegare qualcosa di piu' riguardo all'Autogoverno Nazionale Rom di cui, appunto, parlo. Non smentendomi mai quando qualcosa mi prende e sento di essere in grado di dare un piccolo contributo - ed avendo un po' di tempo libero - avevo preso la tastiera e iniziato a scrivere, salvo accorgermi alla fine che la mia risposta era venuta talmente lunga da avere la struttura non piu' di un semplice commento, ma di un nuovo articolo che avrebbe potuto benissimo integrare gli altri tre gia' scritti sull'argomento. Ecco dunque, per chi fosse interessato, di cosa si tratta quando si parla di sistema di autogoverno nazionale per le minoranze.

Creato nel 1993, il sistema di autogoverno avrebbe dovuto permettere ad ognuna delle centotrentadue minoranze riconosciute in Ungheria di stabilire forme locali, regionali e nazionali di autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom (Országos Roma Önkormányzat oppure Országos Cigány Önkormányzat), dunque, non si differenzia da ogni altro autogoverno nazionale delle minoranze, come ad esempio quello rumeno o tedesco che formalmente e sostanzialmente hanno identiche funzioni.

Questi organi elettivi, che sono paralleli alle principali istituzioni, ma non ne sostituiscono le funzioni, hanno soprattutto il compito di prendere decisioni in materia di istruzione locale, sulla protezione delle tradizioni e della cultura, e sulla lingua da utilizzare nelle istituzioni pubbliche e nei mezzi di comunicazione stampati ed elettronici.

"Il nostro obiettivo e' quello di rappresentare i Rom ed aiutare il governo locale a costruire ed operare in linea con quelle che sono le necessita' della comunita'. E' importante per noi la legalita', la professionalita' e la moralita'. Il nostro interesse comune e' quello di preservare i nostri valori e la nostra identita', concorrendo allo sviluppo rurale e alla creazione di nuovi posti di lavoro. Crediamo che in molti casi lo sviluppo vada oltre gli interessi specifici delle comunita' locali, i comuni, le province, perche' in tutto il paese, operando insieme, possiamo rafforzarci a vicenda."

Questo e' cio' che sta scritto nei propositi e nelle intenzioni, e i rappresentanti dell'Autogoverno Nazionale Rom tentano di farlo contribuendo a tutte le questioni che riguardano la minoranza Rom locale attraverso l'accesso garantito alle riunioni del consiglio comunale, oppure tramite altre funzioni speciali che vengono stabilite dallo stato centrale a seconda delle esigenze contingenti del momento.

Oggi ci sono oltre 1.100 Autogoverni Rom locali in Ungheria e perche' un autogoverno sia formato trenta persone, appartenenti ad un gruppo di minoranza e residenti nello stesso comune, devono registrarsi e partecipare alle elezioni.

Fin dall'inizio, giuristi, studiosi e politici vari hanno espresso preoccupazione per un sistema di governo separato in grado di deliberare sulle questioni delle minoranze. Cio' anche a causa di vari ed evidenti problemi procedurali. Nel 1997, in una conferenza a tre (il Consiglio d'Europa, l'Ufficio del premier ungherese, e i rappresentanti degli autogoverni nazionali) che aveva lo scopo di valutare il funzionamento del sistema, sono stati individuati molti problemi: competenze poco chiare, mancanza di differenziazione tra i bisogni delle varie minoranze, carenze di finanziamento, nonche' una scarsa emancipazione degli elettori, indipendentemente dall'appartenenza etnica. Quest'ultimo problema, combinato al fatto dei molti candidati che cercavano di rappresentare gruppi di minoranza a cui non appartenevano, ha portato a casi, come quello nella comunita' di Jászladány, di non rom (eletti da elettori non rom), che in realta' avevano come finalita' quella di limitare l'efficacia dell'Autogoverno Nazionale Rom locale.

Per risolvere alcuni di questi problemi, nel 2005, dopo anni di negoziati, il Parlamento ungherese ha approvato una serie di modifiche al sistema di autogoverno. I cambiamenti riguardano una piu' chiara definizione delle competenze, il rapporto con il governo locale, e l'istituzione di meccanismi di maggiore trasparenza per supervisionare i fondi destinati alle varie minoranze. Queste modifiche hanno anche corretto parzialmente il problema che nell'autogoverno fossero eletti cittadini non appartenenti a quel gruppo di minoranza, esigendo che i candidati fossero nominati solo dagli appartenenti alla minoranza stessa e che gli elettori registrati per eleggerli dovessero ufficialmente dichiarare la loro etnia.

Ma anche se le modifiche hanno prodotto dei miglioramenti, non hanno affrontato i problemi inerenti al modo in cui il sistema e' stato progettato, cioe' la tendenza a marginalizzare le questioni delle minoranze, depositandole su una struttura semi-governativa parallela molto limitata nelle sue funzioni, piuttosto che affrontarle con veri e propri strumenti istituzionali.

Percio', seppur il sistema sia chiamato "autogoverno", tale termine e' improprio in quanto la gamma delle sue competenze e' ben lungi da quelle che dovrebbe avere un vero autogoverno. L'Autogoverno Nazionale Rom non ha, infatti, l'autorita' di agire al di fuori di un ambito molto limitato di funzioni ed assomiglia piu' ad una ONG che ad un organo elettivo. L'uso del termine "autogoverno", dunque, non e' solo impreciso, ma in realta' danneggia la credibilita' e la legittimita' dell'intero sistema tra i rom, in quanto suscita aspettative irrealistiche che non vengono quasi mai realizzate nei fatti.

Tutto il difetto sta nel modo stesso in cui il sistema e' stato progettato che gli impedisce di avere un impatto significativo sui temi di maggiore interesse per la maggioranza dei rom e ne ostacola subdolamente l'integrazione politica. Cio' e' dovuto al fatto che non era una vera integrazione politica l'intento iniziale del governo quando lo ha creato. Piuttosto, il vero obiettivo era quello di dare alle minoranze una salvaguardia per preservare le diverse tradizioni culturali e linguistiche, ma soprattutto - secondo l'opinione di molti – era un modo per incoraggiare i paesi vicini a fare la stessa cosa, cosi' da permettere alle comunita' di minoranza ungherese lo stesso privilegio.

Gli Autogoverni Nazionali Rom, in ogni caso, non sono adeguatamente finanziati. Soprattutto a livello locale mancano finanziamenti sufficienti per svolgere entrambe le funzioni che erano l'intento originario del sistema: quella socio-culturale, e quella di promuovere ulteriori progetti per migliorare le condizioni di vita dei membri della comunita'. Con un budget bassissimo, di appena tremila dollari l'anno, destinato ad ogni "cellula", senza che vengano considerate le dimensioni della citta' o della popolazione, un Autogoverno Nazionale Rom da solo non puo' coprire che un modesto stipendio per un dipendente a tempo parziale incaricato di coordinare il lavoro dei suoi rappresentanti eletti. Per tale motivo, i fondi stanziati dallo stato vengono spesso integrati anche con aiuti che giungono a sostegno, come finanziamenti da parte di privati e enti religiosi.

Gli Autogoverni Nazionali Rom sono autorizzati a distribuire tali fondi sottoforma di aiuti a imprese, sostegno a famiglie oppure come borse di studio, e cio' puo', in molti casi, essere fonte di manipolazione e uso improprio di questi soldi. Ovviamente, come si puo' ben capire, tutto cio' crea contrasti e conflitti all'interno della stessa comunita' rom.

Il mio parere - e non solo il mio - espresso piu' volte in varie occasioni, e' che pur riconoscendo le carenze inerenti alla progettazione iniziale del sistema, gli Autogoverni Nazionali Rom debbano innanzi tutto favorire una maggiore partecipazione (ed inclusione) politica degli appartenenti alla comunita'. Cosa che non puo' avvenire se non si allarga la base di persone istruite. Il rischio, infatti, e'che a gestire gli autogoverni e ad essere eletti siano in fondo sempre le stesse persone, per questo necessitano maggiori fondi a sostegno dell'educazione e dell'istruzione. Oltre a cio', Autogoverni Nazionali Rom e ONG, insieme, dovrebbero svolgere non solo un ruolo piu' importante nel monitoraggio delle politiche dei governi locali e nazionali, soprattutto per cio' che riguarda la trasparenza nei criteri con i quali vengono assegnati e ripartiti i fondi, ma anche una funzione istituzionale di monitoraggio ed eventuale denuncia laddove venga ravvisata una violazione dei diritti umani.

 
Di Marylise Veillon (del 25/11/2011 @ 09:39:25, in Europa, visitato 1666 volte)

Da Roma_Francais

MENDICANTI IN TRIBUNALE: "LA CACCIA AI ROM CONTINUA"

Intervista: due rumene compaiono lunedì davanti al Tribunale di Bobigny per "abbandono" dopo essere state arrestate mentre mendicavano insieme ai loro figli. Il loro avvocato denuncia un'infrazione aberrante e chiaramente contro i rom.

TF1 NEWS:
"In quali circostanze sono state arrestate le Sue due clienti e cosa viene esattamente contestato loro?"
HENRI BRAUN, AVVOCATO:
"Maria e Genovita sono due giovani donne rom, originarie dalla Romania. Hanno circa venti anni e sono arrivate in Francia alcuni mesi fa, con i loro mariti e i loro figli. Come tutte le cittadine rumene e bulgare in Francia, non hanno accesso al mercato del lavoro. Vivevano quindi in condizioni molto precarie, e sono state costrette a mendicare per sopravvivere e nutrire i loro figli. Sono state arrestate il 6 settembre al Bourget, mentre chiedevano l'elemosina per strada, con i loro figli. Questi ultimi sono stati loro tolti per otto giorni, poi finalmente restituiti. Da allora, sono citate per "abbandono" presso il Tribunale di Bobigny.
Questo reato, che figura nel C.P. Art. 227-15 comma 2, è stato creato per mezzo della legge di sicurezza interna del 2003. Stipula che costituisce un abbandono, in particolare il fatto di mantenere un bambino di meno di sei anni sulla via pubblica o in uno spazio riservato al trasporto collettivo di viaggiatori, con lo scopo di sollecitare la generosità dei passanti. La sanzione prevista è di 7 anni di reclusione e di € 100'000 di multa. In seguito all'istituzione di questo reato, c'è stata una prima ondata di controlli nel 2004 e nel 2005. Poi, il 12 ottobre 2005, la Corte di Cassazione ha emesso una sentenza che impone alla procura di apportare la prova che la salute del bambino è stata intaccata, perché il reato possa essere costituito. Siccome non è mai il caso, gli arresti si sono fermati di netto.
Ma l'attacco è chiaramente ripartito, dall'estate scorsa. La caccia ai rom continua. Questo si ricollega all'offensiva lanciata un po' più di un anno fa, con lo smantellamento di tutti i campi nomadi, in particolare nella zona di Seine-Saint-Denis."

TF1 News:
"Questo lunedì sarà esaminata una questione prioritaria di costituzionalità (QPC), depositata da Lei a metà ottobre, durante una prima udienza: perché Lei si augura che questo testo venga abrogato?"
H.B:
"Ciò che sorprende, nei fascicoli delle mie due clienti, è che possiamo leggere che i poliziotti hanno dichiarato abbiamo reperito e interpellato una donna di tipologia rom. Il mio obiettivo è di fare sparire quest'articolo di legge, che considero chiaramente contro i rom, in quanto fino ad oggi, ho visto soltanto rom essere incriminati sulla base dell'art. 227 -15 comma 2. Quest'ultimo è stato pensato in un senso discriminatorio ed è applicato in modo discriminatorio. Semmai la mia QPC dovesse essere rifiutata oggi, mi rivolgerò alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, nel Lussemburgo, per violazione della Carta europea dei diritti fondamentali. Ritengo infatti che la mendicità non sia un reato. E quanto bene verrebbe stabilito che lo sia, la sanzione proposta è totalmente spropositata. E' aberrante. Come è possibile che un furto semplice sia punito con tre anni di reclusione, mentre il semplice fatto di mendicare sia punito con sette anni?"

TF1 News:
"E' il fatto di mendicare con il proprio figlio, che è punito con sette anni di reclusione."
H.B.:
"Sono d'accordo, ma il problema è che queste donne non hanno accesso né ai nidi, né ai baby-parking. Quindi, come devono fare? La giustizia penale è lì per reprimere dei comportamenti nocivi nei confronti della società. Ma nella fattispecie, si mira semplicemente a stigmatizzare una parte della popolazione. Trovo questo insopportabile. E senza fare alcun amalgama o volere tentare di paragonare l'incomparabile, è ancora più insopportabile per il fatto che gli zigani sono stati spesso stigmatizzati nella storia."

TF1 News:
"Nello stesso tempo però, la nostra società non può tollerare di vedere bambini mendicare fuori tutto il giorno, con i loro genitori."
H.B.:
"La questione non è di sapere se si approva o meno moralmente questa situazione. Nel fondo, sono ovviamente completamente d'accordo nel dire che il posto dei bambini di meno di sei anni non è per strada a mendicare. La vera questione è di capire se questo merita una repressione penale. All'ora attuale, non facciamo nulla per questi bambini. Un inizio di soluzione sarebbe di dare a questa gente l'accesso al lavoro. Hanno piene capacità per farlo. Allora, non avranno più bisogno di mendicare."

TF1 News:
"La votazione di questo articolo di legge mirava ugualmente a mette un fermo alle reti organizzate..."
H.B.:
"Può darsi che ciò esista, ma io non ne ho mai visto. Ho semplicemente visto mariti e donne che provavano ad avere una vita migliore per i loro figli. Ma se fosse il caso, esiste un altro testo che condanna lo sfruttamento della mendicità e che non ho ancora mai visto applicato. Allora iniziamo da questo."

TF1 News:
"Durante la prima udienza a metà ottobre, un'altra donna arrestata alla Courneuve e alla quale si rimproverava gli stessi fatti, è stata finalmente rilasciata. Lei si aspetta la stessa clemenza da parte del Tribunale, nei confronti delle Sue clienti?"
H.B.:
"Sono molto fiducioso in quanto all'ottenimento del rilascio, in quanto gli esami clinici effettuati sui bambini hanno dimostrato che godono di perfetta salute. I servizi di polizia stessi, hanno giusto constatato che il pannolino di uno di loro era stato cambiato con un po' di ritardo, e che di conseguenza, il piccolo aveva il sederino leggermente arrossato... Siamo quindi lontano dal maltrattamento o dall'abbandono. Però il mio obiettivo si sposta più in là del rilascio. Il mio obiettivo, come ve l'ho detto, è di ottenere l'abrogazione di questo testo di legge."

 
Di Fabrizio (del 07/12/2011 @ 09:30:10, in Europa, visitato 1357 volte)

di Slavoj Žižek - 29-Nov-11
La paura degli immigrati contagia anche il multiculturalismo progressista disposto ad accettare l'Altro a patto di privarlo della sua Alterità

Dopo decenni di speranza sostenuta dallo Stato sociale, durante i quali i tagli finanziari venivano spacciati per temporanei, e compensati dalla promessa che le cose sarebbero presto tornate alla normalità, stiamo entrando in una nuova epoca nella quale la crisi - o, meglio, una specie di stato economico d'emergenza, con il relativo bisogno di misure d'austerità d'ogni tipo (tagli dei sussidi, riduzione dei servizi sanitari e scolastici, maggiore precarietà dei posti di lavoro) - si è fatta permanente. La crisi sta diventando uno stile di vita. Dopo la disintegrazione dei regimi comunisti, nel 1990, siamo entrati in una nuova era nella quale un'amministrazione tecnica, depoliticizzata, e il coordinamento dei diversi interessi sono diventati la forma predominante di esercizio del potere statale. L'unico modo di introdurre passione in questo tipo di politica, l'unico modo di mobilitare attivamente le persone, è fare leva sulla paura: la paura degli immigrati, la paura del crimine, la paura dell'empia depravazione sessuale, la paura di uno Stato invadente (con il suo fardello di tassazione elevata e controllo), la paura di una catastrofe ecologica, e inoltre la paura delle molestie (il politicamente corretto è la forma progressista esemplare della politica della paura).

Una politica di questo tipo si fonda sempre sulla manipolazione di una moltitudine paranoica: la spaventevole mobilitazione di donne e uomini spaventati. Per questo il grande evento del primo decennio del nuovo millennio è stato il momento in cui la politica anti-immigrazione è diventata largamente diffusa e ha reciso il cordone ombelicale che la legava ai partiti minoritari di estrema destra.

Dalla Francia alla Germania, dall'Austria all'Olanda, cavalcando il nuovo spirito di orgoglio della propria identità storica e culturale, i partiti maggioritari ora trovano accettabile sottolineare che gli immigrati sono ospiti tenuti a adattarsi ai valori culturali che definiscono la società ospite: «Č il nostro Paese, prendere o lasciare», questo è il messaggio.

I progressisti, ovviamente, sono inorriditi da questa forma di razzismo populista. Tuttavia, un esame più attento rivela quanto la loro tolleranza multiculturale e il loro rispetto delle differenze condividano con coloro che si oppongono all'immigrazione il bisogno di tenere gli altri a debita distanza. «Gli altri sono okay, li rispetto», dicono i progressisti, «ma non devono invadere troppo il mio spazio. Nel momento in cui lo fanno, mi molestano... Sostengo senza riserve l'affermazione della propria identità, ma non sono disposto ad ascoltare musica rap ad alto volume». Ciò che si sta imponendo come diritto umano centrale nelle società del tardo capitalismo è il diritto di non essere molestati, ossia il diritto di essere tenuti a distanza di sicurezza dagli altri. Il posto di un terrorista i cui piani micidiali debbano essere sventati è a Guantánamo, la zona vuota sottratta all'esercizio della legge; un ideologo del fondamentalismo dovrebbe essere ridotto al silenzio perché istiga all'odio. Persone simili sono soggetti tossici che compromettono la mia tranquillità.

Sul mercato odierno troviamo un'intera serie di prodotti privati delle loro proprietà nocive: caffè senza caffeina, panna senza grassi, birra senza alcol. E la lista potrebbe continuare: che dire del sesso virtuale, ossia sesso senza sesso? E della dottrina di Colin Powell sulla guerra senza vittime (del nostro schieramento, naturalmente), ossia guerra senza guerra? E dell'attuale ridefinizione della politica come arte dei tecnici dell'amministrazione, ossia politica senza politica? Tutto ciò conduce all'odierno tollerante multiculturalismo progressista come esperienza dell'Altro privato della sua Alterità: l'Altro decaffeinato.

Il meccanismo di questa neutralizzazione è stato teorizzato nella maniera migliore possibile, come ho detto spesso, nel 1938 da Robert Brasillach, l'intellettuale fascista francese, che si vedeva come un antisemita «moderato» e inventò la formula dell'antisemitismo ragionevole. «Ci concediamo il permesso di applaudire Charlie Chaplin al cinema, un mezzo ebreo; di ammirare Proust, un mezzo ebreo; di applaudire Yehudi Menuhin, un ebreo... Non vogliamo uccidere nessuno, non vogliamo organizzare pogrom. Ma pensiamo anche che il modo migliore di intralciare le sempre imprevedibili azioni dell'antisemitismo istintivo sia organizzare un antisemitismo ragionevole». Non è forse lo stesso atteggiamento che troviamo diffuso nel modo in cui i nostri governi trattano la «minaccia immigrazione»?

Dopo avere sdegnosamente respinto il razzismo populista esplicito in quanto «irragionevole» e inaccettabile per i nostri standard democratici, appoggiano misure «ragionevolmente» razziste, ovvero, come ci dicono i Brasillach del giorno d'oggi, alcuni dei quali persino socialdemocratici: «Ci concediamo il permesso di applaudire atleti africani ed est-europei, medici asiatici, programmatori di software indiani. Non vogliamo uccidere nessuno, non vogliamo organizzare pogrom. Ma pensiamo anche che il modo migliore di intralciare le imprevedibili, violente azioni istintive anti-immigrazione sia organizzare una protezione anti-immigrazione ragionevole».

Questa prospettiva di disintossicazione del prossimo suggerisce un netto passaggio dalla barbarie diretta alla barbarie dal volto umano. Rivela la regressione dall'amore cristiano del prossimo all'istinto pagano di privilegiare la propria tribù rispetto all'Altro, il barbaro. Seppure travestita da difesa di valori cristiani, costituisce la minaccia maggiore all'eredità culturale del cristianesimo.

[Traduzione di Alba Bariffi] http://www3.lastampa.it  14/11/2011

Slavoj Žižek, 62 anni, sloveno di Lubiana, è un filosofo (e psicanalista) tra i più popolari d'oggi. Il testo di cui qui proponiamo uno stralcio è pubblicato sull' Almanacco Guanda 2011 (pp. 149, 25), curato da Ranieri Polese, che ha per titolo «Con quella faccia. L'Italia è razzista? Dove porta la politica della paura». Tra gli altri autori Gianni Biondillo, Andrea Camilleri, Luciano Canfora, Franco Cardini, Marcello Fois, Edoardo Nesi.

 
Di Fabrizio (del 12/12/2011 @ 09:40:56, in Europa, visitato 1878 volte)

Lunedì 19 dicembre 2011 alle ore 21.00
Circolo ARCI Martiri di Turro - Via Rovetta 14 a Milano

Documentario di Gianmaria Carrara, Luca Orioli e Lorenzo Giglio (www.aroproductions.it) – Italia - 2011 – terzo appuntamento della III^ edizione della rassegna di film "HO INCONTRATO ZINGARI FELICI" (Maladilem Bachtale Romenca - da Upre Roma), organizzata dall'Associazione La Conta in collaborazione con l'Associazione Aven Amentza – Unione di Rom e Sinti, con l'Associazione ApertaMente, con la redazione di Mahalla e con il Circolo ARCI Martiri di Turro, con ingresso gratuito, con tessera Arci.

Sarà presente il regista Gianmaria Carrara. Presenta la serata Fabrizio Casavola - Redazione di Mahalla che parlerà anche della situazione dei Traveller irlandesi e degli ultimi allevatori di cavalli a Milano.

"The million dollar kid" è un puledro appena comprato da Dennis alla fiera dei cavalli di Ballinasloe, in Irlanda. Dennis è un "traveller", ovvero un viaggiatore, così vengono chiamati per il loro nomadismo gli zingari irlandesi. La vita di Dennis, come di molti altri travellers, è legata di generazione in generazione all'allevamento ed il commercio di cavalli. Questo documentario lancia uno sguardo ad una Irlanda poco conosciuta, alla scoperta della vita, cultura e tradizioni di questo popolo nomade.

Oltre al documentario sarà proiettato uno slide show multimediale realizzato con l'integrazione

 
Di Fabrizio (del 12/12/2011 @ 09:53:14, in Europa, visitato 1529 volte)

Da Romanian_Roma

Rispetto linguistico per un popolo una volta deriso come zingaro - By Gerry Hadden

05/12/2011 - In Romania, il termine ufficiale per la minoranza zingara del paese è stato modificato, dopo quasi un secolo di pressioni.

Il dizionario rumeno ufficiale usa ora il termine Rom, e riconosce che la parola Zingaro, o Tigan, ha una connotazione peggiorativa. Festeggiano i gruppi che promuovono i diritti dei Rom, ma molti rumeni - ed alcuni degli stessi rom, sono contro il cambiamento.

In una stradina dietro ad un affollato mercato agricolo nella capitale, Bucarest, un Rom di nome Aurika dice che tra di loro ci si chiama Tigan, e non Rom.

"Per me non è una parola negativa," dice. "Ma, se tu ed io stiamo discutendo, e mi chiami Tigan, avremo un problema."

Interviene suo figlio, Antoni.

"Io voglio essere chiamato Rom," dice, timidamente.

Suo padre si arrabbia.

"Perché?" chiede. "Perché a scuola ti hanno detto che gli Tigan sono cattivi?"

Il ragazzo risponde di sì.

"E' sbagliato," dice Aurika. "Tu sei tanto Tigan che cittadino rumeno."

Pregiudizio, rabbia e confusione simili non sono nuovi in Romania. Alcuni gruppi Rom hanno chiesto un cambiamento sin dall'inizio del XX secolo. Finalmente, l'hanno ottenuto quest'anno.

Monica Busuioc, linguista presso l'Accademia Rumena, è tra quanti hanno deciso di rimpiazzare la parola Zingaro o Tigan con Rom. (Foto: Gerry Hadden)

L'Accademia Rumena, il guardiano della lingua, ha ufficialmente definito il gruppo come Rom. Dietro questo grande cambiamento c'è la minuscola Monica Busuioc, un'anziana donna con gli occhiali che lavora al quarto piano dell'Accademia.

Recentemente, Busuioc era seduta con di fronte a sé l'ultima edizione del dizionario ufficiale rumeno. Disse che non solo riconosceva Rom come nome corretto del gruppo etnico, ma faceva anche una modifica antrettanto importante al vecchio nome, Tigan.

Prima definiva -qualcuno con comportamento malvagio-. Abbiamo aggiunto -epiteto insultante rivolto a chi ha un comportamento incivile-."

Busuioc dice che i linguisti non hanno il diritto di rimuovere termini come Tigan dai dizionari, non importa quanto sia offensivo, perché sono parte della storia. La parola Tigan, dice appare in documenti che risalgono al XIV secolo.

Ma l'Accademia può modificare le definizioni per riflettere la realtà sociale.

"Questo termine era usato frequentemente nei detti, proverbi e così via. Non si può eliminarlo dalla lingua rumena. Un dizionario non può eliminare una parola," dice Busuioc.

Introdurre Rom nel dizionario è offensivo anche per alcuni Rumeni perché, nella loro lingua, i due termini si assomigliano. (VEDI, ndr)

Molti Rumeni non vogliono essere confusi con i Rom.

A Bucarest, alla fermata dell'autobus, una donna che dice di chiamarsi Julia, ci dice che i Rom sono pericolosi e danno una cattiva fama ai Rumeni, soprattutto oltremare. Dice che sua sorella è un'infermiera onesta e gran lavoratrice, in Italia.

"Ogni giorno, i suoi colleghi le mostrano gli articoli sul giornale dicendo, guarda cosa fanno i tuoi Rumeni," dice. "Ma quello che le mostrano sono i crimini commessi dagli zingari."

Ana Avasiuc, che lavora con una OnG di Bucarest chiamata Impreuna, dice che quando la gente si riferisce ai Rom come Tigan, è un ulteriore isolamento dalla cultura maggioritaria

I gruppi per i diritti dei Rom dicono che è l'attitudine che vogliono cambiare, e togliere il termine Tigan dall'uso popolare può aiutare. Ana Avasiuc, assieme all'OnG di Bucarest chiamata Impreuna, dice che usare la parola Tigan aumenta la ghettizzazione linguistica.

"Leggevo della comunità rom di Baia Mare nella Romania centrale, attorno alla quale il municipio ha fatto costruire un muro del costo di 60.000 euro," dice. "Invece di spenderli perché i Rom riprendessero il loro diritto ad essere cittadini, sono stati usati per spingerli il più lontano possibile dalla vita cittadina." (VEDI, ndr)

Il muro è di cemento. In un'altra città rumena, ne è stato costruito uno di metallo. Allora i Rom l'hanno buttato giù e rivenduto come rottame. (VEDI, ndr)

Questi incidenti non hanno certo contribuito a migliorare l'immagine dei Rom o della Romania, tanto localmente che all'estero. La domanda è: cambiare una parola sul dizionario, può cambiare realmente le cose? Busuioc dice di non esserne sicura.

"Non posso combattere la discriminazione solo a livello di parole. E' un problema di mentalità da cambiare. Di sicuro le parole aiutano. Se al posto di Tigan senti Rom, Rom, Rom, allora comincerai ad usare Rom anche tu."

Per cambiare, una lingua ha bisogno di secoli, dice, ma da qualche parte si deve iniziare.

Oltre al linguaggio, il governo presenterà a breve un piano per migliorare le condizioni dei Rom, attraverso l'integrazione sociale e programmi di lavoro, miglioramento degli alloggi ed istruzione per i giovani.

L'Unione Europea ha dato il termine di fine anno a tutti gli stati membri, per predisporre piani volti al miglioramento della situazione dei Rom.

 
Di Fabrizio (del 20/12/2011 @ 09:36:52, in Europa, visitato 1617 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso di Cristina Bezzi 15 dicembre 2011

Foto di Cristina Bezzi

Che impatto hanno i fenomeni migratori sui diritti dei bambini? In questo reportage Cristina Bezzi, antropologa, visita la Moldavia romena, una delle aree più povere della Romania e più colpita dall'emigrazione

Secondo le stime UNICEF sono 350.000 in Romania i bambini con uno o entrambi i genitori all'estero per lavoro. Mentre madri e padri sono in Italia, Spagna e Francia per contribuire ad un bilancio famigliare altrimenti impossibile, loro vengono accuditi da zii, nonni o altri parenti. A volte vivono praticamente soli, magari affidati a qualche vicino di casa.

Anche a seguito di recenti e drammatici fatti di cronaca al destino di questi "orfani bianchi", così vengono chiamati, si inizia a prestare sempre più attenzione. Ci siamo recati nella Moldavia romena - nordest della Romania, una regione tra le più povere del Paese e quindi più colpite dal fenomeno migratorio - accompagnati dai volontari dell'Albero della Vita, Onlus impegnata nella tutela e salvaguardia dei diritti dei bambini.

Il progetto children rights in action
Il progetto di ricerca finanziato dalla Commissione Europea "Children's rights in action. Improving children's rights in migration across Europe" è coordinato dalla fondazione L'albero della vita di Milano e vede come partner la fondazione ISMU, l'Università di Barcellona, la Fundaciò Institut de Reinserciò Social e l'associazione Alternative Sociale di Iaşi. Scopo del progetto analizzare le condizioni dei bambini romeni coinvolti nel processo migratorio familiare, in Romania, Italia, Spagna e sviluppare delle buone prassi per ridurre la loro condizione di vulnerabilità. Spesso i loro diritti fondamentali vengono violati sia nel paese di origine ma anche in quello di accoglienza a causa delle difficoltà d'integrazione nel nuovo sistema. L'importanza della ricerca appare evidente se si pensa che solo in Italia sono 105 mila i romeni iscritti alla scuola dell'obbligo e che molti si ricongiungono ai loro genitori solo dopo anni di distanza.
L'economia della zona è basata prevalentemente su un'agricoltura di sussistenza che, già fragile, è stata messa in ginocchio dalle alluvioni che nel 2008 hanno colpito l'intera area. Molti hanno dovuto considerare la migrazione, per poter far fronte ai bisogni familiari. E sono partiti per periodi più o meno lunghi, lasciando i figlia a casa.

Liteni: vivere a ritmo del passato, abitare nelle case del futuro
Parto dall'affollata autostazione di Iaşi, principale città della Moldova romena, alle 6.30 del mattino con il minibus che ogni mattina accompagna gli insegnanti della scuola media ed elementare del paese al lavoro. Trascorso un primo pezzo di superstrada svoltiamo su una strada bianca che ci porta dalla veloce e moderna città a Liteni, paesino a circa 50 chilometri da Iaşi dove il 30% dei 2.200 abitanti lavora all'estero. "In realtà sono molti di più", spiega il sindaco, Petraş Constantin, perché molti continuano a rimanere registrati all'anagrafe pur non vivendo più nel paese".

Qui il ritmo è ancora scandito dalle stagioni e al posto delle macchine che hanno oramai invaso la città, la gente si sposta utilizzando carretti di legno trainati da cavalli. Tutt'intorno distese di campi in passato coltivati da un'azienda agricola di stato, restituiti poi negli anni '90 ai vecchi proprietari. L'attività agricola è la principale occupazione delle persone che vivono nel paesino di Liteni; in questo periodo uomini, donne, vecchi e bambini sono impegnati nella raccolta del mais e il paese, nelle prime ore del pomeriggio, è attraversato da carri carichi di pannocchie seguiti da intere famiglie che tornano verso casa.

E' proprio l'immagine di un cavallo che rimane bloccato dal peso esagerato del carro davanti al cancello di un'enorme e moderna villa in costruzione che mette in risalto la doppia identità del luogo.

La vita del villaggio procede con il suo antico ritmo di campi arati dal cavallo, giornate che iniziano con il sorgere del sole e terminano con il suo tramonto, ma accanto alla strada bianca e polverosa si innalzano case modernissime quasi tutte non intonacate, che stanno sostituendo le piccole abitazioni tradizionali dai caldi colori pastello.

Dietro ad ogni casa nuova o in costruzione c'è una storia di migrazione. Lo stile delle costruzioni spesso racconta anche la storia di quella migrazione, come osserva Gheorghe Moga, direttore della scuola del paese: "Se osservi le caratteristiche delle case puoi capire anche dove le persone sono emigrate". Da Liteni le persone si sono dirette principalmente in Italia, Spagna, Francia e in misura minore in Germania.

La maestra
Entriamo nella prima elementare con la maestra Ileana, i bambini le si fanno attorno e la stringono forte in abbracci. "Manifestano così la loro carenza affettiva", mi spiega. Ileana chiede quanti di loro hanno un genitore all’estero, più della metà dei circa venticinque bambini alza la mano, la maggior parte ha la mamma lontana; nel villaggio questa è la normalità.

Ileana stessa è tornata in paese solo per alcuni mesi, in realtà lavora in Italia già da due anni e a breve ritornerà lì per accudire una persona anziana. "Nel 2009 c'è stato un' ulteriore riduzione degli stipendi per coloro che lavorano nel pubblico, tutti gli stipendi sono stati ridotti del 25%, se prima prendevo circa 300 euro dopo il 2009 lo stipendio è arrivato a 250. Ho una figlia che sta studiando a Iaşi al liceo, solo per il vitto e l'alloggio devo pagare 100 euro al mese più tutte le altre spese. Mio marito lavora la terra, non ha un salario fisso e trovare lavoro qui è molto difficile. Semplicemente se io non fossi partita non ce l'avremmo fatta".



Cerco un posto dove potermi risciacquare le mani. Maria, una ragazza di 14 anni, mi sorride e si offre di aiutarmi. Mi guida verso il pozzo azzurro proprio di fronte alla scuola; il villaggio infatti non è dotato di acqua corrente. Maria stringe forte la catenella del secchio alla corda e con movimenti decisi inizia a calare. Maria è molto curata e sembra essere serena nonostante l'assenza del padre e la distanza della madre partita per lavorare in Italia quando lei aveva otto anni. Vive con gli zii e i cugini, sembra capire i motivi per cui la madre è lontana, ma parlando con lei hai l'impressione di rivolgerti ad un' adulta responsabile più che ad un'adolescente.

Quando la crisi fa migrare le donne
Spesso sono le mamme a partire perché in questo periodo è più facile per una donna trovare lavoro. Dopo l'entrata della Romania nell'Unione Europea (2007), il flusso migratorio femminile è andato aumentando, mentre in seguito alla crisi economica sono stati molti gli uomini a rimanere senza lavoro e a tornare in Romania. A Liteni ci sono diverse donne che lavorano principalmente in Spagna ma anche nel sud Italia. Maria parte per circa 3-4 mesi all'anno, non vuole prolungare di più la sua assenza perché ha due bambini di 7 e 9 anni. Suo marito aveva lavorato per un periodo in Germania ma negli ultimi anni non è più riuscito a trovare lavoro.

Come lui anche Vasile, un 42 enne di Liteni, e rientrato dopo aver perso il lavoro all'estero. Ha lavorato come manovale a Torino per ben 7 anni, ma ultimamente faceva fatica a trovare lavoro ed inoltre spesso i datori di lavoro non lo pagavano: "Succede spesso, lavori per mesi e poi il datore non ti paga e quindi alla fine ho cercato un posto per mia moglie come badante. Adesso lei è lì".

Vasile e la moglie hanno quattro figlie: sei, otto, dieci e quattordici anni. Attualmente è lui a prendersene cura; ha dato la sua terra in affitto per poter seguire le figlie e le faccende di casa. A breve però desidera tornare a Torino dove spera di trovare nuovamente lavoro e lascerà le figlie in custodia alla sorella.

La sua idea è quella un giorno di rientrare definitivamente in Romania, ma non riesce ad immaginare quando: "Fino a quando le figlie non saranno grandi saremo costretti a lavorare all’estero. Qui la gente vive di ciò che produce la terra, non ci sono posti di lavoro, sarebbe necessario andare in città ma anche lì è difficile e un salario medio, di circa 250 euro, non è comunque sufficiente a far sopravvivere una famiglia". Vasile alza lo sguardo e mi mostra con orgoglio la casa che stanno costruendo attraverso le rimesse, anche se non è finita a breve potrà trasferirsi lì a vivere con le figlie. In lontananza la sua casa non intonacata si confonde con le pareti grige di numerose altre case. Ma sarà possibile per gli abitanti di Liteni tornare un giorno a vivere stabilmente nel loro paese?

Ancora bambini con la "chiave al collo"?
Come spiega lo psicologo Catalin Luca, direttore dell'associazione Alternativa sociale, la prima in Romania ad occuparsi dei bambini soli a casa, il fenomeno non è nuovo in Romania: "Durante il comunismo ci sono state diverse generazioni di bambini che sono cresciuti da soli, poiché ambedue i genitori lavoravano tutto il giorno. Questi bambini sono conosciuti come la generazione dei "bambini con la chiave al collo", perché passavano le giornate davanti al block con la chiave di casa appesa al collo, in attesa che i genitori rientrassero. Questa stessa generazione è quella che oggi emigra e lascia i figli a casa pensando che, così come è stato per loro in passato, il compito del genitore sia quello di sostenere i figli da un punto di vista materiale, proprio perché anche loro sono stati abituati alla distanza emotiva e a volte anche fisica dai genitori".



L'Associazione Alternative Sociale di Iaşi ha iniziato ad occuparsi di questo fenomeno impegnandosi attraverso campagne di sensibilizzazione e di informazione per i genitori, attività di prevenzione e counseling per i minori e proposte di legge per la tutela dei minori rimasti soli a casa.

Catalin Luca ha recentemente concluso la sua ricerca di dottorato in cui ha indagato le conseguenze causate dalla lontananza dei genitori, utilizzando un approccio che tiene in considerazione il punto di vista del bambino: "Dal loro punto di vista non sono le cose materiali di cui hanno bisogno ma la presenza dei genitori, la possibilità di discutere con loro. Spesso i bambini non vengono coinvolti nella decisione dei genitori di partire; la loro impressione è che non possono chiedere aiuto a nessuno per risolvere i loro problemi".

Drammatiche conseguenze
I bambini vengono accuditi dal genitore rimasto o da una zia, altre volte dai nonni, nei casi più gravi da un vicino o da un fratello maggiore. La mancanza di supervisione da parte dei genitori spesso pregiudica lo stato di salute del minore che tende a non nutrirsi regolarmente, peggiora l'apprendimento scolastico e può determinare soprattutto tra gli adolescenti la frequentazione di entourage negativi. Dal punto di vista psicologico le conseguenze possono andare da una disposizione alla depressione fino ad arrivare nei casi più estremi al suicidio.

Lo scorso settembre ad Arad, Romania occidentale, è morta Monica, una bambina di dieci anni che a causa della nostalgia della madre, che lavora in Spagna, ha smesso di alimentarsi fino a che i suoi organi non hanno più retto.

Il caso di Monica, ha creato un grande scandalo. La madre è stata demonizzata assieme a tutte le madri che partono "senza preoccuparsi abbastanza dei loro figli". Davanti a questo caso anche i politici hanno mostrato un cenno d'interesse tanto che il parlamentare Petru Callian ha proposto un disegno di legge che prevede una multa per i genitori che lasciano il Paese senza aver affidato i figli ad un legale rappresentante.

Come spiega Alex Gulei, assistente sociale di Alternativa Sociale, in Romania esiste già una legge che obbliga i genitori a nominare un tutore legale prima di partire per l'estero, ma poiché non è prevista nessuna sanzione, quasi nessuno si preoccupa di farlo.

E' il caso di Nicu un ragazzino di nove anni, che partecipa al programma del centro diurno Don Bosco della Caritas di Iaşi. La mamma è partita per l'Italia quattro anni fa e quindi vive con la nonna settantenne e la sorellina di sei anni. Da anni Nicu dovrebbe sostenere un'operazione chirurgica molto delicata, ma non può farlo perché per questo sarebbe necessaria la firma della madre che è la legale rappresentante del figlio, ma che è da anni che non si mette in contatto con loro. La nonna sta pensando di far togliere per abbandono la rappresentanza legale alla madre per ottenerla lei, cosicché il piccolo Nicu possa essere operato, la sua paura è però che non le restino molti anni di vita e che se lei morisse il nipotino sarebbe affidato ai servizi sociali.

Le conseguenze psicologiche ed emotive della privazione dell'affetto materno e paterno sono un prezzo altissimo pagato dai minori romeni le cui famiglie sono coinvolte nel processo migratorio. Purtroppo spesso anche per chi segue i genitori nel Paese di accoglienza il processo di adattamento è lungo e non sempre facile. In molti casi tra l'altro accade che il minore rientri in patria con o senza la famiglia subendo un ulteriore fase di adattamento.

La tutela dei diritti dei minori coinvolti in processi di migrazione è complessa e non può che passare attraverso un approccio che coniughi il livello locale a quello nazionale ed europeo. Un primo passo in questa direzione è l'analisi delle loro condizioni di vita e l'individuazione di buone prassi per ridurre la loro vulnerabilità.

 
Di Fabrizio (del 21/12/2011 @ 09:30:13, in Europa, visitato 1602 volte)

Da Nordic_Roma

Rom frugano nei cassonetti della ricca Norvegia - AUDREY ANDERSEN - 7-12-2011

LETTERA DA OSLO: E' un freddo venerdì mattina d'autunno e già si sta formando una fila di persone fuori da Fattighuset (La Casa Povera) nel centro di Oslo. Si va dai ragazzini ai pensionati, e la coda finisce quando il centro di carità chiude le porte al pubblico alle 15.30.

Mentre la Norvegia è uno dei paesi più ricchi al mondo, le statistiche recenti mostrano che il 9,68% di chi vive ad Oslo viene definito povero.

In Norvegia circa 85.000 bambini vivono in povertà, ma è nella parte est di Oslo, la più etnicamente sfaccettata, che il fenomeno si concentra. Una famiglia di 3 componenti che vive con un reddito annuo di NOK 273.000 (€ 35.330) viene considerata sotto la soglia di povertà.

In un'altra parte della città, un altro gruppo si riunisce per affrontare la giornata. A Frogner Park, alcuni Rom sono rannicchiati su una panchina, mentre alcuni turisti giapponesi sono in posa davanti alle famose sculture Vigeland che delimitano il ponte principale.

Una Romnì di mezza età suona una pittoresca fisarmonica mentre passano i turisti. Altri del gruppo, attrezzati con grandi buste di plastica Ikea, iniziano il giornaliero rimestare nei bidoni, in cerca di bottiglie d'acqua e di birra che siano rimborsabili.

Frogner ospita alcuni tra i cittadini più ricchi. Mentre il reddito medio è in aumento, si allarga anche il divario tra ricchi e poveri. D'estate, diventò una sorta di rifugio per alcuni Rom che vivevano in un campo improvvisato, nascosto alla vista, in un bosco ai margini del parco. Tutto ciò che ora rimane è il guscio di una struttura in legno improvvisata. A luglio, come altri in città, il campo venne sgomberato dalle autorità comunali senza preavviso.

Per qualche periodo i problemi connessi con i Rom sono stati la produzione di birra, con annesse questioni legate all'igiene ed alla criminalità. L'argomento ha coinvolto tutto lo spettro politico, da ambo le parti. Sembra esserci consenso sul fatto che, pur essendo poveri, trattare con loro è più problematico rispetto agli altri gruppi.

Da un lato dello schieramento politico, sono visti come una minaccia sanitaria, principalmente perché non hanno accesso a docce e servizi igienici. Dall'altro, come vittime della xenofobia con i sostenitori dei diritti umani che chiedono tolleranza e compassione. Marianne Borgen, del partito socialista di sinistra (SV) e Kirkens Bymisjon, di un'associazione caritatevole ecclesiastica, vorrebbero che ai Rom venissero forniti servizi di base, come docce e servizi igienici.

D'altra parte, le autorità ritengono che offrire docce e servizi igienici sia una pericolosa seduzione che potrà aprire i cancelli all'arrivo di un maggiore numero di Rom.

Kari Helene Partapuoli, del Centro Antirazzista, è abituata a questo tipo di retorica ufficiale, usata spesso per discriminare i Rom. "Vogliono gestirli come nel resto d'Europa, come -spazzatura-, perché non ne arriva altra."

Ma sono stati i mezzi d'informazione a dipingere banchetti dei Rom a base di topi, cani e piccioni selvatici, cosa che ha fatto infuriare tanto la comunità rom che i suoi sostenitori.

La foto di un giornale ritrae i resti di un barbecue rom, con alcune ossa di animale che si diceva fossero quelle di un topo. Poi la notizia si rivelò infondata, e le ossa si rivelarono essere quelle di un pollo.

Il musicista zingaro Raya Bielenberg, da tempo residente a Oslo, ha reagito con rabbia alle speculazioni dei media: "Siamo un popolo con un orgoglio, e morire3mmo piuttosto che mangiare topi o cani," ha detto. "E se hanno il diritto di venire qua e mendicare, dovrebbero almeno avere un posto dove andare in bagno e lavarsi."

Concorda Kari Gran, portavoce della missione ecclesiale (Kirkens Bymisjon) di Oslo, e sente che la situazione sta arrivando ad un punto critico. Dice di incontrare ogni giorno i Rom a Bymisjon, dato che sono l'unica organizzazione che li aiuta attivamente

"Forniamo loro un posto dove incontrarsi, mangiare, usare i servizi igienici, oltre ad un servizio di consulenza," dice. "Ma non abbiamo docce o lavanderia."

Kirkens Bymisjon è il solo posto che si prende cura dei Rom, ma la sola carità non può fare molto.

Un problema è che i Rom, soprattutto dalla Romania, arrivando qui con visto turistico non possono beneficiare dell'assistenza sociale o di servizi come un posto dove dormire la notte, usufruire di docce o di lavanderia. Non possono equipararsi ai bisogni di altri gruppi emarginati.

Gran ed altri sono molto preoccupati per i Rom, particolarmente per l'avvicinarsi del rigido inverno. Alcuni Rom per l'occasione torneranno a casa, ma per molti la tetra prospettiva è di dover dormire all'aperto.

 
Di Fabrizio (del 05/01/2012 @ 09:27:58, in Europa, visitato 1384 volte)

Da Djelem_Djelem

The voice of Russia 16-12-2011- Photo: RIA Novosti

Il Teatro Romen di Mosca, il più antico e famoso teatro rom nel mondo, sta celebrando il suo 80° anniversario.

I primi artisti rom erano giovani, che spesso non sapevano leggere o scrivere.

Oggigiorno, il repertorio del teatro comprende 14 produzioni, classiche incluse ed un dramma moderno.

La compagnia ha girato in diversi paesi del mondo, ottenendo la calda approvazione di milioni di spettatori.

Canale Cultura - Культура канала

 
Di Fabrizio (del 09/01/2012 @ 09:37:09, in Europa, visitato 1792 volte)

Da Bulgarian_Roma

03/01/2011 - Secondo un rapporto, interi quartieri della città di Plovdiv si stanno spostando verso Germania, Francia o Svizzera.

I Rom di Plovdiv stanno cercando una vita migliore in Europa Occidentale, secondo il giornale locale "Maritsa", con la Svizzera nel ruolo di ultima destinazione preferita tra tutte.

In Svizzera i Rom bulgari spesso chiedono asilo nei campi rifugiati per curdi, dove potrebbero ottenere riparo, cibo ed i 600 euro al mese in quanto rifugiati politici.

Di solito chiedono asilo accusando la Bulgaria di discriminazioni, spiega Yashar Asan, a capo del Comitato d'Iniziativa delle Persone in Necessità.

Secondo le sue parole, 20 tra le famiglie rom più ricche della mahala Adzhisan di Plovdiv sono emigrate in Svizzera negli ultimi 2 mesi, anche se alcuni di loro sono già in attesa di essere estradate via aerea dalle autorità svizzere.

A Stolipinovo, il più grande quartiere rom della Bulgaria, con una popolazione di circa 40.000, la città tedesca di Dortmund è vista come un posto da sogno.Secondo Asan, ogni giorno ci sono cinque autobus da 50 posti che partono ogni giorno da Stoliponovo verso Dortmund.

Asan ritiene che siano 500 le famiglie di Stoliponovo, tra le 3000 e le 5000 persone, emigrate in Francia e Germania negli ultimi dieci anni, con gli uomini occupati soprattutto nel settore edile e molte donne preda della prostituzione.

 
Di Fabrizio (del 10/01/2012 @ 09:22:28, in Europa, visitato 1670 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

28 dicembre 2011

La maggior parte dei Rom si isola dalla stessa società - Svista o fatto ignorato?

La maggior parte dei Rom non è informata sui cambiamenti che stanno accadendo nella nostra società, spesso non sanno che è entrata in vigore una nuova legge, non sono interessati ai loro obblighi e responsabilità di cittadini. Semplicemente, si isolano dal resto della società. Questo è quanto affermano alcune OnG che lavorano per migliorare i diritti dei Rom [...]. Una di queste è il National Roma Centrum (NRC) di Kumanovo, che per anni ha operato nei quartieri rom di 16 città macedoni.

L'esperienza di questi anni mostra che è proprio la società che ha creato e crea tuttora stereotipi e pregiudizi sui Rom e la loro comunità. Come interpretare il fatto che questo sentimento è comune?  Perché i Rom vogliono isolarsi dalla società e non sono interessanti ai cambiamenti che vi avvengono? Cambiamenti che sono cruciali per loro e le loro famiglie, ad esempio nelle aree dell'istruzione, della sanità, dei benefici statali, della casa...?! Quanti hanno familiarità con i temi dell'esclusione/inclusione rom, dicono che le ragioni risiedono in diversi fattori - diffidenza epocale, pregiudizi, grado di istruzione dei Rom, e volontà di conoscere le persone "altre".

Il professor Rubin Zemon dell'Università statale di Ohrid pensa che l'isolamento dei Rom dalla società (intendendo qualsiasi società, non solo quella macedone) data da secoli per gli stereotipi ed i pregiudizi che le società hanno verso i Rom.

- I Rom erano e sono tuttora sensibili riguardo la loro esclusione che dura da secoli. Altri guardano ai Rom con disprezzo. Sono stati trattati come un bersaglio invece che come partecipanti nei processi. Non sono problemi di un decennio. Solo pochi Rom sono inclusi nelle nostre istituzioni. Ma, ancora una volta, non prendono parte ai processi decisionali, commenta Zemon.

Pregiudizi doppi

Puntualizza poi un altro fattore per cui i Rom, almeno in questo paese, restano consapevolmente ai margini degli eventi della società.

- sono delusi dai loro rappresentanti politici. Il soggetto politico tra i Rom è molto debole. I loro rappresentanti sono considerati dei corruttibili entrati in politica per interessi personali, invece che per lottare per il miglioramento delle condizioni di vita, aggiunge Zemon.

Secondo lui, la soluzione del circolo vizioso di sfiducia ed isolamento, risiede in un maggior coinvolgimento dei Rom nelle questioni politiche e sociali.

Il professor Zemon calcola che il "ghiaccio della diffidenza" può rompersi solo se i Rom vengono inclusi non come destinatari, ma come decisori nelle politiche sociali.

Charles Van Lith è un fotografo belga che sta prestando molta attenzione ai Rom. Ha partecipato alla creazione del Consiglio Nazionale Rom del Belgio. Sulla base di quell'esperienza, Van Lith dice che ci sono forti pregiudizi anche tra le numerose comunità belghe, [...] dovute al fatto che i Rom non si conoscono tra loro. Ma c'è anche un'altra questione:

- I Rom, ma anche gli altri - Sinti, Manush, Jenish, sono micro-comunità dentro una più grande, governate spesso da regole diverse. Personalmente penso che meno siano istruiti, più diventino isolati nel lro stesso mondo, con una noiosa tendenza a preferire la speculazione reciproca invece della verità. Ricordo ancora un Sinto-Rom, che conoscevo ed anche istruito, che criticava gli altri Rom della città dicendo che "quelli" creavano una cattiva reputazione a lui ed alla sua comunità. Dopo un certo periodo di tempo, avendo avuto lui la possibilità di conoscere meglio questi Rom, [...] si sono avvicinati e le loro relazioni sono migliorate, sottolinea Van Lith.

 

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