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Di Fabrizio (del 22/12/2012 @ 09:09:10, in Italia, visitato 1245 volte)

Con i migliori auguri da: Gruppo sostegno Forlanini, Consulta Rom e Sinti, Naga, European Roma Rights Centre (ERRC).

Milano, 20.12.2012 - Gentili tutti,

in merito all'insediamento informale di via Dione Cassio, temiamo che l'avvenuto accordo con la proprietà per la messa in sicurezza dell'area una volta allontanati gli attuali abitanti sia la prova dell'accelerazione delle procedure di sgombero dello stesso insediamento.

Come già in passato, esprimiamo forti perplessità sulla procedura utilizzata, soprattutto per quel che riguarda il futuro dei soggetti sottoposti a sgombero. Vi proponiamo pertanto le seguenti considerazioni e domande.

  • Non ci risulta che si sia proceduto ad alcuna comunicazione preliminare dei tempi di questa operazione.(1)
  • Non ci risulta sia stata fatta alcuna comunicazione preliminare delle destinazioni dei singoli e dei nuclei familiari. Non riteniamo né civilmente accettabile né operativamente efficace procedere per via imperativa a questa comunicazione nello stesso momento dello sgombero. Si è già verificato in numerose precedenti occasioni – e tra l’altro anche con gli stessi soggetti coinvolti in questo caso – come la proposizione contestuale allo sgombero di una sistemazione alternativa si riveli inutile(2)
  • Sempre in base ai fallimenti passati, crediamo che questa comunicazione avrebbe una ricezione certamente diversa se fosse effettuata da soggetti differenti dagli agenti della polizia locale, che gli abitanti del campo conoscono solo per la loro opera di sorveglianza e controllo (funzioni, sia ben chiaro, legittime), talvolta espletata con modalità fortemente invasive come quelle dei controlli notturni, alla luce delle torce elettriche. Essi sono percepiti - sulla scorta di una lunga esperienza, che risale alle scorse amministrazioni - come esecutori degli sgomberi, e tutt’al più come interlocutori in casi conflittuali o critici. Per questo motivo tali operatori non si prestano, indipendentemente dalla loro condotta, a essere inquadrati come referenti utili alla relazione/comunicazione e quindi ad una soluzione positiva. Non essendo d’altra parte lecito delegare implicitamente o esplicitamente tale compito alle associazioni attive in quel campo, occorrono invece figure competenti sul piano della mediazione sociale e culturale che abbiano ottenuto col tempo una riconoscibilità autonoma in quel contesto.
  • L'unica sistemazione alternativa attualmente prevista per chi ha subito gli sgomberi sarebbe quella di via Barzaghi, non fosse che in realtà questa struttura da un lato è già stracolma e dall'altro è caratterizzata da una cronica non-soluzione delle problematiche dei singoli e dei nuclei lì ospitati, come ben sanno gli abitanti dei campi. Quindi ci domandiamo, posto che la soluzione di via Barzaghi pare impraticabile, se ve ne sia un’altra credibile. Se per ipotesi tutti gli abitanti volessero aderire ad una proposta di alloggio alternativa, dove sarebbero ospitati?
  • Riteniamo inoltre inammissibile l’idea che il Comune possa evitare di offrire un alloggio alternativo giustificandosi col fatto che queste famiglie non avevano accettato l’offerta di sistemazione nella struttura di via Barzaghi in occasione dello sgombero del luglio 2012 dall’insediamento di via Gatto/via Cavriana, poiché proprio le modalità di quello sgombero minarono irrimediabilmente la credibilità della proposta.
  • La ricaduta prevedibile di un allontanamento privo di alternative praticabili perché non convincenti, in un periodo climaticamente pessimo, non può che essere una sicura, ulteriore dispersione degli insediamenti, con conseguente sensibile peggioramento delle condizioni di vita e sconvolgimento degli esili margini di socializzazione positiva conquistati attraverso la scolarizzazione - pur precaria - tentata con alcuni minori.
  • Cosa accadrà ai rom che non lasceranno spontaneamente l’area occupata?
  • Come è emerso da recenti riunioni dedicate al tema sicurezza in zona Ungheria-Mecenate, e ricordando il totale fallimento di una squallida manifestazione neofascista a ciò dedicata, siamo sicuri che quello della presenza dei rom non sia il problema prioritario per la vivibilità della zona né tantomeno l’unico, ma semmai il più immediato e facile “capro espiatorio”.
    Davanti a tali prospettive, vi proponiamo queste riflessioni, certi che essi pongano fortemente in dubbio il carattere risolutivo di provvedimenti come quelli a cui vi state apprestando in termini di civiltà ed efficacia.

Senza voler negare le gravi condizioni sanitarie ed ambientali dell’insediamento, la considerazione di questi aspetti critici e l'acuta consapevolezza della difficile situazione climatica ci spingono invece a proporvi una gradazione nel tempo dello sgombero, con l'immediata attivazione, invece, di specifici e civili dispositivi di “riduzione del danno”, come la connessione all'acqua, l'installazione di servizi igienici, l'attivazione di un servizio di ritiro dell'immondizia, la fornitura di coperte e generi di conforto. Vi invitiamo a riflettere sul fatto che la situazione di illegalità di un insediamento non può né deve impedire procedure analoghe a quelle attivate per altri soggetti nel contesto di un piano antifreddo.

Quanto sopra detto per il campo informale di via Dione Cassio viene inoltre chiesto anche per gli altri insediamenti informali presenti a Milano. Ci risultano infatti sgomberi eseguiti la scorsa settimana nella zona di Bacula senza la presenza di assistenti sociali né l’offerta di proposte alternative per le famiglie.(3)

Confidiamo che questi argomenti trovino ascolto e ci mettiamo a disposizione per un incontro, insieme alle rappresentanze stesse dell'insediamento.
Se la situazione dovesse precipitare, prenderemo pubblicamente una posizione ferma, sulla base delle considerazioni qui avanzate.

Grazie dell'attenzione

Un saluto cordiale

Gruppo sostegno Forlanini, Consulta Rom e Sinti, Naga, European Roma Rights Centre (ERRC).

Lettera indirizzata a:

  • Giuliano Pisapia
    sindaco di Milano
  • Marco Granelli
    assessore alla Sicurezza e coesione sociale
  • Pierfrancesco Majorino
    assessore alle Politiche sociali
  • Mirko Mazzali
    presidente Commissione sicurezza e coesione sociale
  • Marco Cormio
    presidente Commissione politiche sociali
  • Anita Sonego
    presidente Commissione pari opportunità
  • Loredana Bigatti
    presidente Consiglio di zona 4

Note:

  1. Al riguardo si veda il CESCR General Comment n. 7, art. 15 (b), (c), disponibile sul sito http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/0/959f71e476284596802564c3005d8d50 ed i par. 37 – 44 tratti da IMPLEMENTATION OF GENERAL ASSEMBLY RESOLUTION 60/251 OF 15 MARCH 2006, ENTITLED “HUMAN RIGHTS COUNCIL” - Report of the Special Rapporteur on adequate housing as a component of the right to an adequate standard of living, Miloon Kothari, http://daccess-dds-ny.un.org/doc/UNDOC/GEN/G07/106/28/PDF/G0710628.pdf?OpenElement
  2. Si consideri il CESCR General Comment n. 7, art. 16, disponibile sul sito http://www.unhchr.ch/tbs/doc.nsf/0/959f71e476284596802564c3005d8d50
  3. Daniela Fassini, “Rom, due sgomberi sotto la neve”, Avvenire, 17 Dicembre 2012, disponibile sul sito http://www.santegidio.org/pageID/64/langID/it/itemID/10449/Rom_due_sgomberi_sotto_la_neve.html 
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Di Fabrizio (del 21/12/2012 @ 09:06:55, in sport, visitato 1408 volte)

Da Roma_und_Sinti

taz.de IN BICICLETTA NELLO SLUM DEI ROM Pornopovertà illuminata?
I Rom della Slovacchia orientale erano chiaramente sopraffatti dall'invasione ciclistica. Perché, nonostante tutto, l'incontro di un giro ciclo-politico può dirsi riuscito. Von PAUL HOCKENOS

Lunik IX: il complesso residenziale alla periferia di Kosice è stato costruito tra gli anni '60 e '70. Immagine: imago/ecomedia/Robert Fishman

"Turisti tedeschi verranno in bici a visitare le baraccopoli dei Rom" mi diceva al telefono la mia amica Juliana da Kosice. "Questa è la goccia che fa traboccare il vaso!" mi sono alterato. Mi aspettavo le loro critiche, ma non così in fretta. "Però, sono un giornalista," ho ribattuto, "e ci scriverò sopra. Questa è la differenza fondamentale - o no?"

Dietro il viaggio di una settimana a tema "Tra letargia e abbandono, rassegnazione ed auto-organizzazione: un viaggio politico in bicicletta nella patria dei Rom nella Slovacchia orientale" c'è l'organizzazione berlinese "Politische Radreisen".

La spedizione faceva parte del "turismo politico" sempre di moda. Viaggi istruttivi su temi politici spuntano come funghi, in particolare quelli pittati da sinistra. Invece di sorseggiare cocktail a Maiorca o sull'Adriatico, visitiamo baraccopoli in Honduras o le misere capanne dei lavoratori migranti in Malesia.

L'offerta dei taz ai "Viaggi nella civiltà" si è notevolmente allargata negli ultimi anni. Comprende dai viaggi nei luoghi dei massacri di Srebenica/Bosnia-Herzegovina, alla guerra nella dilaniata Gaza sino al Ruanda (La vita dopo il genocidio"), tutti sotto la guida di un taz-corrispondente esperto che risiede in loco.

One-man event

I "Viaggi politici in bici" sono un evento one-man. L'operatore è Thomas Handrich, politologo ed già presidente della Fondazione Heinrich-Böll nell'ex Germania dell'Est. Questo cinquantunenne ha lavorato come consulente per una OnG, il cui scopo era permettere ai giovani Rom di prendere in mano i propri interessi.

Il viaggio di una settimana aq piedi sui Carpazi costò 800 euro a ciascuno dei partecipanti - senza noleggio delle biciclette. 50 euro erano destinati a gruppi locali di giovani rom.

A differenza della mia amica Juliana ho dovuto mettermi in viaggio per iniziare a capire che questa spedizione potesse essere corretta, ma che ciò dipendesse da molti fattori.

Solo alcuni punti critici

La prima domanda era se il nostro viaggio fosse un voyeuristico depravato "Pornopovertà", o avrebbe permesso un incontro reale. Alla fine del viaggio mi sono convinto che la nostra spedizione aveva giustificazione - con alcuni limiti, alcuni punti critici.

Sono state le motivazioni dei partecipanti ad eliminare molti dei miei dubbi. Nell'eterogeneo gruppo c'era un componente della frazione di sinistra del gruppo parlamentare, un docente e ricercatore sull'antiziganismo della Alice-Salomon-Hochschule, una studentessa di sociologia che ha lavorato sul tema dei Rom migranti da Romania e Bulgaria, un pastore la cui chiesa si occupa di rifugiati, tre giornalisti, un berlinese di 17 anni di origine rom e un appassionato di moto, poco interessato ai Rom.

Spiegava uno squatter di Kreuzberg che voleva affrontare i propri pregiudizi nei confronti dei Rom. Aveva trovato lavoro come custode in un campo profughi, dove vivono molti Rom.

Il fattore di disturbo: un grande gruppo

Anche se nessuno nel gruppo era alla ricerca di brividi a buon mercato, la prima visita in un quartiere rom a Kosice si è dimostrata difficile. Con l'organizzatore, i traduttori ed un operatore sociale slovacco eravamo circa 20 persone - troppe.

Siamo giunti nell'angusto ufficio del sindaco o dentro una lodevole OnG con le nostre biciclette ed i caschi in mano, come il proverbiale elefante nel negozio di porcellane.

Asilo nel complesso residenziale Lunik IX. Immagine: imago/ecomedia/Robert Fishman

Una barriera insormontabile

Il muro tra "noi" e "loro" sembrava almeno di due metri di spessore. I Rom delle campagne dell'est erano chiaramente sopraffatti dall'invasione straniera.

Chi era questa gente? E cosa volevano qui? Naturalmente, non si erano mai visti così tanti tedeschi rivestiti di goretex ad invadere la loro scuola professionale o il loro circolo giovanile.

Tuttavia i Rom hanno risposto a molte delle nostre domande, nella maniera più completa.  Certo, abbiamo fotografato molto - finché i Tedeschi sono rimontati sulle loro biciclette verso l'appuntamento successivo in programma.

Ciclisti, beninteso, che non erano soddisfatti delle risposte ricevute. Un interprete slovacco ha espresso chiaramente il disagio per la situazione. A ciò sono seguite discussioni, critiche, autocritiche - molto pazienti, accurate, tutto molto tedesco.

Informazioni mancanti

E' apparso chiaro che a molti partecipanti mancavano informazioni necessarie alla comprensione. La distanza tra noi e i Rom ci metteva a disagio. Sarebbero stati necessari maggior dialogo e sensibilità.

Il resto del viaggio è andato meglio - con poche eccezioni. L'interprete di cui sopra si è rifiutata di tradurre alcune domande che giudicava inappropriate. Come quando uno dei giornalisti aveva chiesto ad un Rom disoccupato come passasse le sue giornate.

Gli stessi Rom non ci sono sembrati infastiditi. Ad una nostra domanda specifica, ci hanno risposto che erano grati perché qualcuno da fuori si interessava sulle loro condizioni.

Ed una sera, ben pieni di birra e salsicce alla griglia, pedalando attraverso un insediamento rom, i bambini ci hanno applaudito come se passasse il Tour de France.

Il gruppo mostra qualcosa di sé

Alcuni ragazzi rom hanno improvvisato uno spettacolo di danza per gli ospiti, le truppe in velocipede si sono vendicate con alcune canzoni. La nostra performance è stata parecchio al di sotto del loro livello - ma avevamo infranto, almeno stavolta, il nostro ruolo passivo e mostrato qualcosa di noi.

Il momento più difficile del viaggio è stata la visita a Lunik IX. La discesa dalla torre posta alla periferia di Kosice verso il quartiere rom, simile a come poteva essere Manchester al tempo del primo capitalismo industriale.

Lunik IX è il più rande ed oscuro slum nell'Europa centrale. 9.000 Rom in condizioni di assoluta povertà vivono in edifici senza finestre. L'elettricità ed il riscaldamento sono stati tagliati da anni.

Rispetto della privacy

A Lunik IX c'erano così tanti giornalisti, che il distretto avrebbe potuto aprire un proprio ufficio turistico, scherzava la mia amica Juliana. O vendere i biglietti.

Per rispetto il nostro gruppo si è mantenuto fuori dagli edifici. Abbiamo invece visitato l'asilo locale e lasciato le le aule con i regali fatti a mano dai bambini. Uno di questi regali adorna ora la porta del mio frigorifero.

Il complesso residenziale è stato concepito per oltre 50.000 persone. Foto: imago/Pius Koller

E' da lodare l'organizzatore del tour, perché non solo ci ha guidato nei punti caldi, come nella tipica due giorni giornalistica nella regione. Abbiamo incontrato Rom di diverse classi sociale e diversi stili di vita.

I nostri partner si sono presi il tempo per spiegarci l'eterogeneità della questione rom. Abbiamo parlato con diverse persone, dagli assistenti sociali ai creativi, i cui punti di vista ci hanno permesso di comprendere meglio la complessa realtà di vita dei Rom.

Quando siamo andati in visita al vice-sindaco di Kosice, sapevamo molto di più rispetto all'inizio del nostro viaggio. Abbastanza, comunque, da fargli diverse domande spiacevoli. Così tante, che uno degli attivisti rom che ci accompagnava durante l'incontro, ha iniziato a difendere il sindaco.

La loro OnG lavora quotidianamente con gli amministratori, che sono stati eletti da poco. Forse il nostro intervento spiritoso avrebbe potuto danneggiarli, senza che lo volessimo [...].

Gruppi più piccoli

Da un progetto pilota - cioè il primo viaggio ciclistico-politico tra i Rom della Slovacchia orientale - certo non ci si aspetta che tutto funzioni. Tutti i partecipanti concordano sul fatto che la prossima spedizione avrà bisogno di un'introduzione migliore - prima di visitare un insediamento rom. E che i gruppi debbano essere più piccoli.

E' stato troppo breve anche l'introduzione del tema delle politiche regionali e politiche negli ultimi anni, intervenute nel bel mezzo del Decennio EU dell'Integrazione dei Rom.

La prossima volta andranno discusse e aggiunte regole sulle fotografie da scattare, sulle domande scomode e sul ruolo dei giornalisti. Questi ultimi, devono aggregarsi come gli altri giornalisti? O per loro vale il codice adottato per gli altri turisti politici?

Da turisti a moltiplicatori

Per me questi viaggi sono un successo. Ogni viaggiatore, tutti i viaggiatori, hanno oggi una visione più chiara del complesso quadro dei Rom e di uno dei problemi più gravi d'Europa, di quanto potrebbero ottenere da uno sguardo sulla globalità dei media.

Quasi tutti hanno appreso qualcosa, che sarà utile al proprio lavoro politico o professionale. Siamo partiti tutti come turisti - e ritornati come moltiplicatori.

Cosa può significare, in generale, per il turismo politico? Dipende da come funziona. E da chi. E perché. In ogni caso, sono necessarie molte discussioni su questi temi.

Traduzione dall'inglese: Rüdiger Rossig

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Di Sucar Drom (del 20/12/2012 @ 09:07:28, in Italia, visitato 1099 volte)
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Di Fabrizio (del 19/12/2012 @ 09:08:10, in lavoro, visitato 1144 volte)

MEDIAROMA Progetto di una ricicleria a Yalova

Il progetto chiamato "Rinfrescarsi la mani col riciclo", curato dal comune e dall'università di Yalova, dal dipartimento di polizia e da İŞ-KUR adn ÇEVTEM, ha lo scopo dichiarato di migliorare lo stato delle famiglie rom che vivono nel quartiere Bağlarbaşı di Yalova (Marmara, Turchia). Le famiglie campano della raccolta di cartoni e rottami sperano di essere informati con più precisione su vantaggi e svantaggi del progetto.

La sua prima presentazione si è svolta nell'aula assembleare del comune. Secondo le dichiarazione, nessuno sarà obbligato a prendere parte al progetto. Chi lo farà, consegnerà cartoni e metalli agli incaricati comunali del quartiere, invece di rivenderli ai negozi. Saranno pagati in contanti e giornalmente.

Sono molte le famiglie rom in tutta la Turchia a vivere di queste raccolte. E' un lavoro che si svolge in condizioni difficili. Queste famiglie sottolineano di essere aperte ad ogni offerta che permetta il miglioramento delle loro condizioni, purché l'offerta venga spiegata completamente.

Source: İHA

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Di Fabrizio (del 18/12/2012 @ 09:09:16, in Italia, visitato 1641 volte)

Corriere Immigrazione 18 novembre 2012 Gabriella Grasso - Foto di Anita Piroddi

L'arte puo' cambiarti la vita: anche se abiti in una baracca, in un campo rom. Parola di una giovane pittrice, Rebecca Covaciu.

A giudicare dall'accoglienza che riceve quando presenta il suo libro e dai nomi delle persone che lo presentano con lei (Lella Costa, Lorella Zanardo, Don Gino Rigoldi...), si direbbe che fa piu' per la cultura rom questa ragazzina di 16 anni che un qualunque giornalista, scrittore, antropologo. Rebecca Covaciu e' nata in Romania, ha vissuto in Sud America e in Spagna, poi con la famiglia e' approdata a Milano, dove per anni ha dormito dove capitava: in una baracca, all'aperto. Quando si e' presentata al liceo artistico Boccioni per iscriversi, ha portato con se' un quaderno pieno di disegni colorati, ognuno dei quali accompagnato da qualche parola: il suo diario. Lo ha consegnato al preside e ora questo piccolo capolavoro e' stato pubblicato, accompagnato da un testo che racconta la sua vita: si intitola L'arcobaleno di Rebecca (UR editore, euro 11,70, sito: www.rebeccacovaciu.it).
Rebecca dipinge e vende i suoi lavori sui Navigli, studia, va a parlare nelle scuole, rilascia interviste ai media. Parla con la saggezza di un'adulta, sorride con la spontaneita' una bambina.

Che effetto ti fa essere intervistata, applaudita...
"Sono molto felice, perche' finalmente una ragazza rom riesce a parlare della propria cultura, a dire che anche noi siamo esseri umani. Essere applaudita mi fa sentire al cuore un'emozione positiva. Anche i miei genitori sono contenti: loro non hanno studiato e sono molto fieri di me".

Com'e' il tuo rapporto con i compagni di scuola?
"Alle medie e' stata dura perche' non mi hanno accolto bene, dicevano che ero una zingara e rubavo. Io mi sentivo male, mi chiedevo: perche' devo essere discriminata perche' sono nata cosi'? Ma adesso al liceo artistico va bene, perche' tutti gli artisti hanno una parte buona nel cuore... ".

Come descriveresti i tuoi coetanei italiani?
"Sono aperti, semplici... in Romania gia' a 14 anni i ragazzi hanno una mentalita' quasi da adulti, pensano a lavorare. Qui fanno una vita piu' ricca, sono puliti, hanno vestiti di marca, l'iPod...".

Cosa rispondi quando ti chiedono di dove sei?
"A volte dico che vengo dalla Romania, perche' e' piu' facile che dire di essere rom... I rom non hanno stabilita', non hanno una terra. Pero' io mi sento una rom di Romania".

Come ti piacerebbe che cambiasse l'atteggiamento degli italiani nei confronti del tuo popolo?
"Vorrei che fossero piu' pazienti, specie nei confronti dei bambini. Che comunicassero con loro, prima di giudicare".

Molti pensano che ai rom non piaccia abitare nelle case.
"Non e' cosi': chi li vede nelle baracche crede che vogliano stare li'. Ma la verita' e' che arrivano dalla Romania, dalla Spagna, non hanno un soldo in tasca, e dove posso andare? Sarebbe diverso se la legge prevedesse l'assegnazione di una casa. Noi in Romania ne avevamo una, ma a Milano abbiamo sempre abitato nelle baracche. Da poco, abbiamo una casa: ma mancano le finestre, il riscaldamento, le piastrelle per terra. Non e' facile viverci, ma sono contenta che Dio ci abbia dato un tetto sulla testa, per non provare piu' la pioggia e il freddo".

Un tempo chiedevi anche tu l'elemosina...
"Chiedere aiuto ti fa vergognare: all'inizio e' difficile, poi ti ci abitui. Spesso, pero', non ti aiuta nessuno. E a volte ti gridano: "Vai a lavorare, non ti vergogni?" e in quel momento tu non sai cosa dire, perche' hai bisogno e sei obbligato fare l'elemosina. A me spiace in particolare per quelli che fanno l'elemosina perche' non hanno le gambe... al posto di dargli una moneta, sarebbe bello che qualcuno gli desse una casa, che ci fosse un posto dove potessero vivere: gli servirebbe anche ad aprire la mente, perche' loro pensano che l'unica possibilita' che hanno e' la strada".

Tu come l'hai aperta la tua mente?
"Con la fede in Dio e nel Vangelo. Da noi non vieni battezzato da piccolo: quando sei adulto sei libero di scegliere la tua religione. Io ho scelto quella Evangelica Pentecostale".

Parliamo di pittura: cosa rappresenta per te?
"La mia arte e' semplice come una preghiera. I colori sono importanti per mostrare la tristezza e la felicita': quando uso quelli scuri significa che sono triste, quelli chiari esprimono gioia. Quando dipingo e' come se entrassi dentro al quadro, penso a delle cose felici e vorrei che quello che disegno succedesse nella realta'. Mi sento piu' rilassata".

Cosa pensano i tuoi amici rom di quello che ti sta accadendo?
"Di miei coetanei, a Milano, ne sono rimasti pochi: sono tutti partiti perche' non avevano un posto dove dormire. Ma i ragazzi piu' grandi che vivono ancora qui sono contenti che io parli della nostra cultura. Nel nostro cortile, poi, ci sono tanti africani e quando mi hanno visto al Tg3 mi hanno detto: "Brava che hai parlato di tutti gli stranieri!". Quasi piangevano dalla gioia. E questo mi ha reso felice".


I colori della vita. La storia di Rebecca Covaciu a "Nel cuore dei giorni"

Video Tv2000it

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Di Fabrizio (del 18/12/2012 @ 09:05:53, in media, visitato 1231 volte)

Osservatorio Balcani e Caucaso di Federico Sicurella | Belgrado 14 dicembre 2012 (in foto: Off-frame www.off-frame.org)

Il teatro come strumento di inclusione sociale. E' questo il tema sul quale ha lavorato quest'anno il festival "Fuori dagli schemi" di Belgrado. Affrontando la tensione tra il promuovere l'integrazione dei gruppi marginali e il rischio che la loro 'rappresentazione' possa invece rafforzare lo stigma

Van okvira, fuori dagli schemi. Si chiama così il festival regionale del teatro sociale che si è svolto in questi giorni a Belgrado. Č un nome che si presta a un curioso bisticcio linguistico, che è ricorso spesso nei discorsi di contorno suscitando più di qualche risolino. 'Nell'ambito del festival Van okvira' si dice infatti 'u okviru festivala Van okvira', che è una specie di contraddizione in termini, traducibile come 'nella cornice del festival Fuori dalla cornice'.
Č un bisticcio rivelatore, perché mette in luce la tensione fondamentale sottesa al teatro sociale: quella tra la volontà di promuovere l'integrazione dei gruppi marginali della società e il rischio che la loro 'rappresentazione' possa invece contribuire a rinsaldare i margini e rafforzare lo stigma. Una questione che le persone coinvolte nel festival hanno avuto la saggezza e il coraggio di affrontare apertamente.
Persone con invalidità, non-vedenti e ipovedenti, sordomuti, utenti di servizi psichiatrici, veterani delle guerre jugoslave, minoranze etniche (tra cui i rom), individui LGBT, anziani, lavoratrici sessuali, donne vittime di violenza. Sono queste le categorie di persone con cui gli organizzatori e le organizzatrici del festival Van okvira di quest'anno hanno provato a elaborare il tema del teatro come strumento e campo di inclusione sociale.
L'incontro tra arte e marginalità ha preso varie forme. Ovviamente quella teatrale, con spettacoli che hanno visto la partecipazione di persone appartenenti ai suddetti gruppi emarginati. Ma anche quella didattica e informativa, con lezioni e presentazioni tenute da esperti sia locali che internazionali. E infine quella esplorativa, con un ciclo di incontri partecipativi sulle forme attuali e possibili dell'arte socialmente impegnata nella regione post-jugoslava.

'La sensualità delle vite disperate'
Gli spettacoli messi in scena nell'ambito di Van okvira sono soprattutto produzioni indipendenti, nate dalla collaborazione tra professionisti del teatro e le associazioni e i movimenti che rappresentano gruppi soggetti ad esclusione sociale.



Lo spettacolo Cabaret dietro lo specchio (Kabare "Iza ogledala"), ad esempio, ha come protagoniste delle lavoratrici sessuali transgender di Belgrado, e si propone di descrivere senza eufemismi le norme sociali, ma anche politiche e legali, che determinano la loro esistenza e ne influenzano il benessere. SS e più in alto ancora (SS and above) rappresenta invece le sfide con cui le persone con invalidità si confrontano ogni giorno, a partire dalla difficoltà di entrare in una relazione alla pari con le persone cosiddette 'normali'. I due personaggi, un uomo e una donna, si muovono a fatica sotto lo sguardo clinico di un osservatore esterno e invisibile, come due cavie da laboratorio. Prendono gradualmente confidenza con il proprio corpo, e poi con il corpo altrui, ma l'agognato incontro finale, invece che essere liberatorio, genera ancora più sofferenza e frustrazione.
Lo spettacolo Maschioni (Muškarčine), vero successo di pubblico, vede otto ragazzi poco meno che ventenni prendersi gioco delle definizioni di 'maschio vero' dominanti nella società serba. La trasgressione è rappresentata come un continuo entrare e uscire da degli scatoloni di cartone, i gender box.
Alla leggerezza e al tono canzonatorio di Maschioni fa da contrappunto la forte inquietudine che suscita la rappresentazione Spettacolo (che non s'intitola fighe con le palle girate) [Predstava (koja se ne zove "pičke u kurcu")]. Due ragazze sedute a un tavolo leggono composte un testo femminista. All'improvviso una delle due ribalta il tavolo, e la situazione degenera in una spirale di sfoghi emotivi, oscenità corporee e momenti disturbanti. Ciò che lo sguardo conformista tende a congedare come 'scenata isterica' qui diventa confronto ineludibile con la natura problematica della posizione della donna nella società attuale. E quando alla fine dello spettacolo si spengono le luci, le cose non sono più come prima.
Il teatro sociale è, per propria natura e vocazione, un teatro 'senza censura', proprio perché ambisce a rendere visibili e mettere in discussione proprio le forme di censura e discriminazione cui sono soggetti tutti coloro che si discostano dalla 'tirannia della normalità'. Tuttavia, portare in scena la marginalità e la 'stranezza' (ovvero ciò che non aderisce alle convenzioni) porta con sé un pericolo. Quello che la rappresentazione diventi attrazione (da parata o da circo), e che all'intento pedagogico e politico si sostituisca la curiosità morbosa del pubblico. Ed è forse proprio qui che entra in gioco l'arte, chiamata a mediare tra la volontà di esprimere un messaggio e il rischio che la visibilità si riduca a voyeurismo.
Marko Pejović, uno degli ideatori di Van okvira, mi invita a considerare anche un altro aspetto: 'Sono successe cose che non ci aspettavamo. Ad esempio una lavoratrice sessuale transgender, protagonista del primo spettacolo in scaletta, era presente tra il pubblico degli spettacoli dei giorni seguenti. Questo significa che qui si è sentita al sicuro, al riparo dalle discriminazioni'. Come a dire che l'inclusione avviene anche, e forse soprattutto, fuori dai riflettori.

Il teatro sociale nel contesto post-jugoslavo
Chiedo a Marko quale sia per lui il senso di fare teatro sociale. In particolare, lo invito a riflettere proprio sul rischio che la rappresentazione della marginalità possa avere effetti controproducenti, in un contesto segnato da forti discriminazioni come quello post-jugoslavo. La sua risposta è lucida e misurata: 'La società si evolve per gradi. Il primo passo è l'identificazione del problema, ovvero la consapevolezza dell'esclusione sociale e della privazione di diritti. Noi ci troviamo ancora in questa fase. In questo senso, il festival ha come proposito quello di offrire ai gruppi emarginati uno spazio per esprimersi artisticamente. Nel passato siamo riusciti a dimostrare che anche una persona paraplegica può fare danza contemporanea. Č quello che questo festival fa anche oggi: rompe le barriere'.



Il progetto Van okvira coinvolge persone ed associazioni provenienti da vari paesi della regione, in particolare Croazia e Bosnia Erzegovina. Mi interessa sapere se ci siano energie sufficienti per stabilire una collaborazione efficace a livello regionale. O se invece la dimensione regionale del festival non sia soprattutto l'effetto delle politiche dei donatori, che spesso la impongono come requisito imprescindibile.
Marko precisa subito che la decisione di coinvolgere soggetti provenienti da altri paesi non è il risultato di una pressione esterna, ma scaturisce invece dalla volontà di raccogliere esperienze diverse. Ammette poi che nell'ambito del teatro sociale le reti di collaborazione non sono molto sviluppate. Ma aggiunge: 'Non sono particolarmente interessato alle produzioni teatrali socialmente impegnate che si sono già 'istituzionalizzate' e che circolano per la regione. Trovo più interessanti le iniziative minori e indipendenti, le organizzazioni che raccontano cose nuove e fresche, e che anzi spesso non sanno neanche bene che cosa raccontano. Č a loro che ci rivolgiamo'.

Come avviene il cambiamento?
Prima di congedarci, Marko mi spiega cosa lo ha portato ad occuparsi della promozione del teatro sociale. La sua passione è nata a seguito di due eventi: un'operazione agli occhi, che lo ha costretto a un periodo di cecità temporanea durante il quale si è accorto degli enormi ostacoli che segnano la vita delle persone non-vedenti. E un incontro con dei veterani delle guerre degli anni '90 (anche il fratello di Marko è un veterano) che hanno espresso il desiderio di esprimersi attraverso il teatro. Due momenti che per Marko hanno costituito una specie di illuminazione.
C'è un concetto, sviluppato dalla filosofa sociale Nomy Arpaly, che descrive bene l'esperienza di Marko: dawning (alba, epifania). Scrive Arpaly (2003): 'L'epifania è forse il modo principale in cui le persone cambiano idea, specialmente riguardo ai temi che ritengono importanti. [...] Sono poche le persone che abbandonano pregiudizi razzisti, per esempio, a seguito di un processo di deliberazione. Č più frequente che l'irrazionalità dei loro pregiudizi appaia loro 'come un'alba' dopo aver trascorso abbastanza tempo con persone della razza in questione, ed essersi accorti, passo a passo, di assomigliarsi molto'.
Il senso del teatro sociale è forse soprattutto questo: creare occasioni di incontro tra persone che 'normalmente' conducono esistenze separate e spesso segregate. E favorire così il manifestarsi di qualche piccola alba.

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Di Fabrizio (del 17/12/2012 @ 09:11:00, in Kumpanija, visitato 1575 volte)

Arriva il 2013, con un regalo da MAHALLA

E' un libro che nessuno ha voluto, e non avevo voglia di inseguire altri possibili editori. A vostro rischio quindi, potete leggerlo come, quando, dove e perché vorrete. Non ho fretta.

Cocci, un po' perché ultimamente mi sento sempre più a pezzi (ma non sono l'unico, vedo), un po' perché è fatto da pezzetti di articoli disseminati lungo tutto il 2012 che volge al termine, e volevo vedere se riuniti assieme questi cocci potevano avere una logica. Non è detto: magari sono soltanto degli spunti, o neanche quello.

Sono circa 40 pagine, l'introduzione è di Alberto Maria Melis. Dite cosa ne pensate, suggerite, criticate (sono accette anche le critiche più feroci, non sono accetti i TROLL), QUA (magari leggetelo prima, però)

Buona lettura a chi ci darà un occhio, a tutti gli altri (e anche a chi lo leggerà) BUON ANNO e BUONE FESTE.

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Di Fabrizio (del 17/12/2012 @ 09:08:19, in Europa, visitato 1403 volte)

da Czech_Roma

Budapest, Hungary, 3.12.2012 17:17, Spiegel: la retorica dell'estrema destra ha toccato il fondo Czech Radio, translated by Gwendolyn Albert

La radio ceca ha pubblicato una traduzione dal tedesco in ceco di un articolo messo online dalla rivista der Spiegel, riguardo l'estrema destra in Ungheria (QUI l'originale in tedesco, ndr.). Secondo la rivista il parlamentare ungherese Márton Gyöngyösi del partito di estrema destra "Movimento per un'Ungheria Migliore" (Jobbik) ha dichiarato settimana scorsa in parlamento che, dato che i cittadini di origine ebraica rappresentano un "rischio alla sicurezza", si dovrebbe compilare un elenco nazionale dei loro componenti. Riporta der Spiegel: "Le sue dichiarazioni hanno sollevato un'enorme ondata di indignazione, ma il governo del primo ministro Viktor Orbán ha preso le distanze molto lentamente dal parlamentare."

Secondo il settimanale, ogni tentativo di discussione con Gyöngyösi si muta in un'estenuante maratona di relativismo. "Non sono un antisemita," rivendica, "ma dovete riconoscere, che quegli ebrei..." ecc. "Non sono neanche contro il popolo romanì, ma conoscete gli zingari... e non sono nemmeno un estremista che opera per una dittatura, ma dovete ammettere che la liberaldemocrazia ha fallito..." Sono le argomentazioni di questo economista trentatreenne, ex consulente fiscale. Der Spiegel riferisce che non è un estremista di destra.

Gyöngyösi è vice-presidente del gruppo Jobbik in parlamento. Il partito ha ottenuto un abbondante 17% alle elezioni del 2010. Oggi il partito, nel paese è il terzo per grandezza, conta 47 seggi sui 386 in parlamento.

I genitori di lavoravano per ua società ungherese di commercio con l'estero. Il nazionalista di oggi ha passato la sua infanzia in Afganistan, Egitto India e Iraq. Jobbik come conseguenza l'ha reso il proprio portavoce sulla politica estera.

"Gyöngyösi a volte nasconde malamente il suo piacere nella tattica di non rispondere alle domande. Evidentemente si considera l'asso diplomatico nel suo partito," riporta der Spiegel.

Però, la sera di lunedì scorso ha finalmente deciso di parlare in parlamento in modo chiaro ed intelleggibile. Nel corso di un dibattito sull'offensiva israeliana nella striscia di Gaza, ha suggerito la registrazione di tutti gli ebrei ungheresi. Ha poi chiarito, che "gli ebrei, specialmente se sono al governo o nel parlamento, devono essere considerati un potenziale rischio alla sicurezza dell'Ungheria." Rivolgendosi al vice ministro agli esteri, Zsolt Németh, ha detto: "Ritengo che una lista simile sarebbe importante soprattutto per l'Ungheria." Németh, diplomatico di carriera nel partito di governo FIDESZ, non ha risposto né con critico né con rifiuto a questa sfida, e neanche sembrava molto infastidito. Ha soltanto detto che "il numero di ebrei nel parlamento ungherese non ha niente a che fare col grave conflitto in Medio Oriente."

"Alla  camera s'è svolto un dibattito puramente nazionalsocialista," ha dichiarato da Budapest lo storico Krisztián Ungváry. Secondo lui, Jobbik si è identificato completamente coi dogmi razzisti del nazismo. Altri partiti estremisti in Europa non scoprono le loro carte così facilmente.

Rappresentanti delle organizzazioni ebraiche, politici ed attivisti civili hanno reagito alle dichiarazioni di Gyöngyösi con enorme indignazione. Martedì scorso diverse centinaia di manifestanti si sono riuniti di fronte al parlamento, indossando stelle gialle per dimostrare contro il "fascismo strisciante" nel parlamento ungherese. Slomó Köves, presidente del Consiglio Unito delle Comunità Ebraiche di Ungheria, è convinto che Gyöngyösi debba essere perseguito per le sue dichiarazioni.

Non sarebbe la prima volta che il controverso politico si scontra con la legge. La scorsa primavera Attila Mesterházy (capo del Partito Socialista), aveva sporto denuncia nei suoi confronti per aver negato l'Olocausto. Gyöngyösi rigetta l'esistenza di qualsiasi legame tra le posizioni del suo partito e l'ideologia nazista. Der Spiegel riferisce che mente clamorosamente quando fa affermazioni simili.

Ad esempio, nell'archivio online della televisione N1, c'è un filmato in cui alcuni membri di Jobbik chiamano Adolf Hitler "uno dei più grandi statisti del XX secolo". La scorsa primavera, un altro parlamentare di quel partito ha ricordato in parlamento il centotrentesimo anniversario del presunto omicidio da parte degli ebrei di una ragazza cristiana di 14 anni nel villaggio di Tiszaeszlár. Allora lo scandalo scioccò l'Austria-Ungheria e nella regione ci furono pogrom periodici tra il 1882 e il 1883. L'estate scorsa venne escluso da Jobbik il deputato Csanád Szegedi, apertamente antisemita ma di cui erano venute alla luce le sue origini ebraiche.

Ungváry ha detto a Spiegel che le dichiarazioni di Gyöngyösi non lo sorprendono. "Ho insistito per anni sul fatto che Jobbik fosse un partito neonazista, nella tradizione delle Frecce Incrociate, il partito nazista che governò l'Ungheria ai tempi di Horthy alla fine della II guerra mondiale. Il punto chiave della nostra scena politica, tuttavia, e la mancanza di volontà da parte del governo di fare qualcosa su Jobbik. L'atteggiamento del governo è codardo, passivo e scandaloso," ritiene lo storico. Secondo lui esistono diverse frange di neonazismo nell'Europa centrale, ma la maggior parte delle nazioni stanno prendendo le distanze da tendenze simili. Tuttavia, in Ungheria i partiti politici non hanno agito, fino a quando le organizzazioni ebraiche non hanno iniziato a protestare con forza martedì scorso. Ricorda der Spiegel che le loro reazioni ricordano troppo una superficiale penitenza.

I blogger che scrivono sul portale di notizie più letto in Ungheria, index.hu, hanno sottolineato che le parole di condanna usate in questo caso, sono esattamente le stesse adoperate in molti altri casi recenti. Nessuno del governo si è preso il tempo per formulare una nuova dichiarazione. Secondo gli esperti della politica lo stesso Fidesz, il partito più forte, sta spostandosi a destra - comprensibili i suoi sforzi per attrarre i votanti di Jobbik, ma il prezzo politico che stanno pagando è troppo alto.

Lo scorso settembre il premier Orbán di fronte agli storici monumenti nel villaggio di Ópusztaszer ha tenuto un discorso, in cui faceva appello alla sacrosanta natura del sangue e della terra ungheresi. Der Spiegel specifica che le opere di autori antisemiti sono state recentemente aggiunte alla lista di letture obbligatorie nelle scuole.

Nel corso della settimana scorsa, Jobbik ha cercato di correggere la portata dello scandalo causato dal suo parlamentare, sostituendo la parola "ebrei" col termine "Israeliani". Gyöngyösi ha inviato una dichiarazione ai media, affermando che non intendeva che si compilasse una lista dei membri ebrei nel governo e nel parlamento, ma una lista di quanti avessero contemporaneamente la cittadinanza ungherese e quella israeliana. Ha quindi porto la mano ai concittadini ebrei, chiedendo perdono. Antal Rogán, presidente del gruppo degli eletti Fidesz, ha intanto compiuto i passi preliminari per introdurre sanzioni contro future dichiarazioni simili.

In realtà, Jobbik non ha intrapreso alcuna inversione ideologica. Subito dopo lo scoppio dello scandalo, Elöd Novak (parlamentare Jobbik) ha chiesto le dimissioni della collega Katalina Ertsey, che ha la doppia cittadinanza ungherese ed israeliana. Secondo le notizie odierne, Novak si è lamentato tramite una conferenza stampa tenutasi a Budapest che "Israele ha più parlamentari nel parlamento ungherese che alla Knesset". L'attacco alla parlamentare, che fa parte del partito ambientalista "Un'Altra Politica è Possibile" è avvenuto a soli quattro giorni dalla ripugnante iniziativa di Gyöngyösi. Questa settimana Novak ha inviato una mail a tutti i parlamentari, invitandoli a schierarsi pubblicamente contro l'opzione della doppia cittadinanza.

Inoltre, i parlamentari di Jobbik intendono pubblicare una lista dei posti in Ungheria dove sono stati investiti "capitali israeliani". Chiedono anche che vengano tivelati gli importi di questi investimenti. Il partito dell'estrema destra intende anche pubblicare i trattati interstatali stipulati con Germania e Polonia. Il capo di Jobbik, Gábor Vona, nato Gábor Zázrivecz e di origini slovacche, sostiene che in questi trattati esistano postille segrete tra Berlino, Budapest e Varsavia, per chiedere a mezzo milione di ebrei residenti in quei territori di sgomberare in caso di emergenza.

Riporta der Spiegel: "I rappresentanti delle organizzazioni ebraiche intendono protestare domani in parlamento contro il crescente antisemitismo. Chiedono che i parlamentari si uniscano a loro."

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Di Sucar Drom (del 16/12/2012 @ 09:10:49, in Italia, visitato 1144 volte)
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Di Fabrizio (del 16/12/2012 @ 09:09:47, in media, visitato 1523 volte)

"La Sangaj Rom" Est Ovest 09-12-2012.

Servizio di Nada Cok e Renato Orso su "Sangaj", un film sloveno che di cinese non ha nulla tranne il richiamo nel titolo, eppure è pervaso da un forte elemento esotico radicato nella cultura europea: i rom. � la storia di una famiglia, che attraverso l'ingegnosità del suo capo, che avrà qualche interesse di cuore e di affari, riuscirà a creare un villaggio dal nome Sangaj. Girato interamente in lingua rom, il film diretto da Marko Nabersnik ha vinto il premio per la miglior sceneggiatura al festival di Montreal e sta riempendo le sale cinematografiche slovene e dell'ex Iugoslavia. A breve sarà distribuito anche in Francia e Germania.

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