Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 21/02/2012 @ 09:15:27, in media, visitato 1584 volte)

CLOSE UP Pubblicato il 17 febbraio 2012 da Giovanella Rendi

Tra il 2008 e il 2009 in Ungheria sono stati commessi numerosi atti di violenza nei confronti della comunità rom. Delle 55 persone coinvolte, 6 sono rimaste gravemente ferite e 5 sono morte e i sospetti sono attualmente sotto processo. La stranezza di questi eventi (oltre ovviamente all'assurdità della violenza e della morte) ha consistito nel fatto che tutte le vittime, sopravvissute o meno, conducevano una vita normale, lavorando, studiando, abitando in condizioni modeste e sotto il livello di povertà ma non in campi nomadi bensì in case. Lo scopo, secondo il regista Bence Fliegauf che ha dedicato molto tempo a studiare la tragica vicenda, non avrebbe dunque motivazioni razziste "classiche" e immediate, ovvero il pericolo sociale e la delinquenza, ma un piano a lunga durata per scatenare una vera e propria guerra civile con i gruppi nomadi per eliminarli definitivamente.

Poco interessato agli autori dei crimini, che pure ha incontrato e intervistato, (per la banalità del male), Fliegauf sceglie invece di avvicinarsi in punta di piedi alle vittime e seguirle per un solo giorno, quello che per loro sarà l'ultimo, dall'alba al tramonto. E per far questo mette al bando qualsiasi stereotipo sui rom che cantano, ballano e suonano la fisarmonica e soprattutto sono sempre in gruppo, per seguire i loro passi nella solitudine di un bosco ai confini di un centro abitato, uno spazio « altro » custodito dai vigilantes della comunità che passa repentinamente da idilliaco a tenebroso.

I quattro personaggi principali (madre, figlia adolescente, figlio ragazzino e un anziano nonno arteriosclerotico) seguono i loro ritmi quotidiani, che sono quelli «normali» : la madre lavora come donna delle pulizie, la figlia va a scuola e fa i compiti, il figlio bigia e va in giro per i campi e al fiume con gli amichetti. Tutto nella norma, se non fosse che la famiglia dei vicini è stata sterminata mentre dormiva, la comunità vigila e su tutto aleggia un'atmosfera di tensione tanto più insopportabile quanto i protagonisti sembrano non percepirla. Eppure non è così perché ognuno di loro non fa altro che pensare a quando si trasferiranno tutti in Canada per raggiungere il padre. Nel frattempo mille piccoli episodi inquietanti si vanno a sommare, come subliminali atti di razzismo a scuola e al lavoro, momenti di gentilezza invece da parte di colleghi o compagni di liceo, esplosioni di rabbia subito sedate e la raccomandazione continua di «fare attenzione».

Divenuto famoso nel 2010 con il discusso Womb (storia di una donna che clona nel figlio l'amante defunto, interpretata da Eva Green), Bence Fliegauf è probabilmente l'unico esponente della cinematografia ungherese contemporanea a riuscire ad essere da anni ospite di vari festival internazionali. Utilizzando spesso la macchina da presa a spalla, che soffia letteralmente sul collo dei personaggi come se li inseguisse invece che pedinarli, costringe lo spettatore, che già sa come andranno a finire le cose, a partecipare alla sorte dei protagonisti aumentando il climax fino all'ultimo, quando invece lo congela con un pudore che però non gli impedisce di mettere chi guarda davanti alle responsabilità di tutta una società.

CAST & CREDITS
(CSAK A SZÉL) Regia e sceneggiatura: Bence Fliegauf; fotografia: Zoltán Lovasi; montaggio: Xavier Box; musica: Bence Fliegauf, Tamás Beke; interpreti: Katalin Toldi, Gyöngyi Lendvai, Lajos Sárkány, György Toldi; produzione: Inforg M&M Film; origine: Ungheria/Germania/Francia; durata: 91'.

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Di Fabrizio (del 22/02/2012 @ 09:20:37, in Italia, visitato 2209 volte)

La notizia è stata resa pubblica l'altroieri da Il Giornale di Vicenza, VicenzaToday e da TMnews

immagine da Giornalettismo

questa invece viene da L'Orda - Vietato l'ingresso agli italiani: Una fotografia scattata nel 1958 a Saarbrucken, alla finestra di un club. Il divieto d'ingresso per gli italiani era bilingue. Si tratta solo di un esempio: simili avvisi, in Germania e soprattutto in Svizzera, erano frequentissimi.


Aggiornamento delle 13.45: Vicenza si interroga. Sempre da Il Giornale di Vicenza

«Quel divieto intollerabile No alla giustizia fai-da-te» ASSOCIAZIONE SINTI. Il presidente condanna il cartello del negozio - 22/02/2012 E-MAILPRINT

Davide Casadio, presidente Sinti

«Non sono tollerate le discriminazioni razziali o etniche così come non sono ammessi i furti: tutti devono rispettare le leggi e se qualcuno delinque bisogna fare denuncia, non una pseudo-giustizia fai-da-te». Davide Casadio, presidente dell'associazione sinti italiani e vicepresidente della Federazione rom sinti insieme, alza le barricate. «Quel cartello non è tollerabile, è razzista anche se la ragazza dice che il suo intento non è razzista: non si possono discriminare alcune categorie». E aggiunge: «La legge è uguale per tutti, chi ruba va punito, ma anche la giovane commessa deve attenersi alle regole». Se qualcuno ruba nel suo negozio? «Deve chiamare le autorità». E se sono i bambini a rubare? «Ne rispondono i genitori». L'Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, ha aperto un'istruttoria e chiede al Comune di adoperarsi per togliere il cartello, cosa cui ha già provveduto la commessa.

UDC: «I TAGLI DELLA DESTRA». Sul tema interviene anche Antonio De Poli, deputato Udc: «Capisco gli intenti della commessa ma francamente si tratta di un'iniziativa che sta al di fuori delle regole. Non si può, in un Paese civile, esporre un cartello che ricorda ben altri tempi. La gente è stanca di vedere i delinquenti in giro e spesso, troppo spesso, è costretta a mettere in atto delle iniziative, a volte anche discutibili, per tutelarsi e proteggere le proprie attività. Tutto questo perché alle forze dell'ordine mancano la carta per stampare e la benzina per le volanti. L'ultimo taglio risale ad agosto con la manovra Tremonti quando al governo sedevano i paladini della sicurezza, ovvero i leghisti. Questo è il risultato: la gente è esasperata».

LETTERA DI PRC. Irene Rui, di Rifondazione comunista, scrive una lettera aperta: «Cara Fatima, tu non sei razzista... sei il risultato di una società, di quei cittadini che passano davanti alla tua vetrina e menano la testa per la disapprovazione e poi non vogliono sentir parlare dei "zingari". Il tuo però è un atteggiamento razzista. D'altronde cosa puoi fare tu, sola in quel bazar del centro, contro la microcriminalità che aumenta... Tu che razzista dici di non essere lo sei diventata per aver osato dichiarare ciò che gli altri nascondono sotto il carbone "I zingari sono ladri"».M.SC.

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Di Fabrizio (del 23/02/2012 @ 09:37:57, in Europa, visitato 1731 volte)

Da Bulgarian_Roma. Segnalazione precedente QUI

GreenLeft Jock Palfreeman in prigione a Sofia, 2009. Photo: Freejock.com - Thursday, February 16, 2012

Nel dicembre 2009, il ventitreenne australiano Jock Palfreeman venne condannato a 20 anni di prigione per omicidio a Sofia. Due anni prima era stato coinvolto in una rissa contro un gruppo di 15 uomini, di cui uno morì per una coltellata.

Palfreeman affermò di aver agito per legittima difesa, dopo essere stato assalito da una banda di giovani ubriachi, mentre era  intervenuto in soccorso di due Rom, aggrediti a loro volta. Le dichiarazioni rese alla polizia dai componenti della banda e da testimoni indipendenti, confermano ampliamente la sua versione degli eventi.

Il processo è stato contrassegnato da diverse gravi anomalie, prima fra tutte che la polizia ed i componenti della banda hanno cambiato la loro versione, affermando che nessun Rom venne aggredito e che Palfreeman aveva attaccato il gruppo senza motivo. Alla difesa è stato impedito di adoperare in tribunale le dichiarazioni originali, come pure di interrogarli sul perché avessero cambiato le loro testimonianze.

Nell'appello susseguente, alla difesa venne concesso di interrogare polizia e membri della banda sul perché avessero cambiato le versioni sugli eventi. Molti tornarono sulle loro dichiarazioni precedenti, che sostenevano la versione di Palfreeman. I testimoni addussero confusione e perdita della memoria come causa dell'aver cambiato le loro storie. Nondimeno, la corte d'appello confermò la condanna originale.

Durante il processo sono state organizzate in tutto il mondo azioni di solidarietà per Palfreeman. E' stato appoggiato anche da un importante gruppo bulgaro dei diritti umani, il Bulgarian Helsinki Committtee.

Di seguito, Green Left Weekly rende pubblica una nuova lettera aperta di Palfreeman.

* * *

    Cari Compagni,

    Da agosto 2011 sono stato condannato senza diritto d'appello al più alto tribunale della Bulgaria, ad una pena di 20 anni in un carcere di massima sicurezza.

    Però, il tribunale ha cambiato il primo verdetto, stabilendo che erano presenti dei Rom e che vi fu "una lotta tra i Rom ed il gruppo dei ragazzi".

    Dato che i Rom erano 2 e il "gruppo dei ragazzi" in 15, l'uso del termine "lotta" è abbastanza improprio. I neonazisti della South Division Levski Ultras hanno negato che ci fu una "lotta" con qualsiasi Rom e persino negato la presenza dei Rom stessi.

    Tuttavia la corte d'appello, nonostante le contraddizioni dei neonazisti su questo punto, ha continuato a sostenere che le dichiarazioni dei neonazisti erano veritiere. Stranamente, il punto cruciale delle argomentazioni del pubblico ministero è che non ci fu rissa tra neonazisti e Rom e che là non c'erano Rom, da cui l'accusa contro di me di averli assaliti senza motivo.

    Questa è stata anche la scusa per cui gli inquirenti non hanno portato i Rom a testimoniare in tribunale. Però adesso il tribunale ha dichiarato che i Rom erano presenti e che ci fu contatto fisico tra loro ed i neonazisti, ma nel contempo la corte si ferma a screditare le testimonianze di questi ultimi e a non fare alcun tentativo di trovare questi "nuovi" testimoni.

    Fino ad oggi le uniche prove usate per accusarmi sono state le dichiarazioni dei neonazisti stessi. Non ci sono altre testimonianze portate alla corte che io abbia "senza alcuna ragione assalito 15 persone con l'intento di ucciderle".

    Non ho cambiato la mia versione iniziale, che rimane la stessa quattro anni dopo essere stato rapito dallo stato bulgaro. Ho assistito all'assalto di una banda di 15 neonazisti contro due Rom, a causa del colore della loro pelle. Sono intervenuto per difendere i due Rom.

    Per questa e molte altre ragioni, stiamo tentando di rivitalizzare il movimento di solidarietà sul mio caso, e su tutte le connotazioni che comporta, es. razzismo, violente bande neonaziste e le complicità tra i poliziotti corrotti, corruzione in tribunale e nel sistema carcerario.

    I neonazisti non attaccherebbero la gente per strada, senza le protezioni offerte loro da polizia e tribunali. E' significativo di come centinaia di agenti dello stato siano necessari per fermare me, individuo solitario. Nonostante queste centinaia, ho mortalità, sono nel giusto e sono loro nel torto, questo è il perché sia necessario che loro siano così in tanti.

    Chiamo all'azione quanti si oppongano al razzismo , tanto per strada che nelle forme istituzionalizzate di fascismo: Questo marzo 2012 organizzatevi presso le ambasciate o consolati bulgari nelle vostre città. Portate a conoscenza dello stato bulgaro che [...] non riconoscete la decisione di incarcerarmi e di proteggere i razzisti.

    Ho anche chiesto l'estradizione in Australia per poter essere più vicino alla mia famiglia e fuggire dalle persecuzioni contro di me, condotte dall'amministrazione penitenziaria a favore di chi è legato al mio caso. Ma il procuratore capo Boris Velchev con la sua cagnolina, procuratore Krassimira Velcheva, hanno già provato a costringermi a ritirare la mia richiesta di trasferimento.

    Ho rifiutato di farlo e perciò l'ufficio della Procura della Repubblica non intende rispondere alle mie richieste, sulla base della legge bulgara, di trasferimento in Australia.

    Solidarietà a tutti i compagni, sia dentro che fuori.

Le richieste di March 2012 solidarity sono:

  • Sia riaperto il caso di Jock, soprattutto per la mancata testimonianza dei due Rom vittime.
  • Siano puniti i neonazisti per i crimini passati e siano messi in condizione di non compierne altri.
  • Sia permesso a Jock di trasferirsi in Australia, come a tutti gli stranieri di trasferirsi nei loro paesi.

Le lettere devono essere inviate a:

  • Head prosecutor of Bulgaria, Boris Velchev, Ns 2 Vitosha Boulevard, Sofia 1061, Bulgaria.
  • Directorate of International Legal Assistance and European Integration, Krassimira Velcheva, 2 Vitosha Boulevard, Sofia 1061, Bulgaria.
  • Minister of Justice, Diana Kovacheva, Ns 1 Slavanska Street, Sofia 1040, Bulgaria.
  • Prime Minister of Bulgaria, Boiko Borrisov, Ns 2 Dondukov street, Sofia 1123, Bulgaria
  • President of Bulgaria, Rosen Plevneviev, Ns 2 Slavanska street, Sofia 1040, Bulgaria
  • Ministry of Foreign Affairs, N2 29 "6th September" street, Sofia 1000, Bulgaria.
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Di Fabrizio (del 24/02/2012 @ 09:31:14, in conflitti, visitato 1642 volte)

Domenica 26 febbraio alle ore 19.30, presso l'Obra Cultural, il Cantiere Sociale de l'Alguer presenta "Qualche Rom si è fermato italiano".

Sono oltre 10 milioni i Romà d'Europa, la più grande minoranza etnica transnazionale, formata da varie etnie accomunate dall'uso del romanésh, antichissima lingua di origine indiana. Dieci milioni di persone di cui i due terzi vivono al di sotto della soglia di povertà, confinati soprattutto in Italia nei "campi nomadi", recinti suburbani senza strade, acqua corrente, luce elettrica, con difficoltà e discriminazioni nell'accesso al lavoro, all'assistenza sociale e sanitaria. La parola zingaro è carica di connotazioni negative e rimanda a rappresentazioni stereotipate di un intero popolo a cui vengono associati comportamenti sociali fuorvianti, veri o presunti. Spesso i romà diventano i capri espiatori dei malfunzionamenti e delle perversioni della politica e dell'economia dei nostri paesi.
Della lunga e sofferta storia di questo popolo, un tempo nomade ora sempre più sedentarizzato, abbiamo scelto la pagina più tragica: lo sterminio da parte dei nazifascisti. Porrajmos (distruzione) è la parola in lingua romanì corrispondente all'ebraico Shoà: si stima che quasi 500.000 tra romà, sinti e camminanti siano stati uccisi nei campi di concentramento tedeschi, con la solerte collaborazione dei fascisti di Mussolini che in Italia e in Jugoslavia provvedevano a rastrellare e caricare nei vagoni piombati ebrei e figli del vento. Una storia a lungo dimenticata ma che aggrava il bilancio della follia nazifascista: due, e non solo uno, furono i popoli perseguitati per motivi razziali e destinati alla "soluzione finale": romà ed ebrei.

Durante la serata saranno proiettati i documentari "Porrajmos" di Paolo Poce e Francesco Scarpelli, e "Un rom italiano ad Auschwitz"di Francesco Scarpelli ed Erika Rossi (tratti dal dvd "A forza di essere vento" edito da A rivista anarchica), e l'intervista a Pashana, realizzata dal Cantiere Sociale de l'Alguer nel 2003.

Bica (nonna) Pashana, anziana capostipite degli Hadzovich, famiglia rom khorakhanè che vive ad Alghero da quasi 40 anni, racconta la storia dei suoi due fratelli, partigiani di Tito durante la II Guerra Mondiale (e di cui conserva gelosamente un attestato al merito), le stragi che ha patito il suo popolo in Jugoslavia per mano di tedeschi e ustasha, e poi la povertà, i lutti, la semplice dignità di una vita sempre in viaggio. Con il solo desiderio della serenità per se, ormai ultraottantenne, e la sua famiglia: speranza delusa dalla sorda burocrazia italiana che gli ha negato "la pensia", l'agognata pensione sociale. Per tutti noi un'occasione mancata per sentirci parte di una società del diritto, prima che Pashana lasciasse la sua sempre più numerosa discendenza per riprendere il suo viaggio.

La proiezione dei filmati si alternerà alle letture tratte dal libro "Màskar e Borori", a cura di Joan Oliva.

«fuggi luna, luna, luna se verranno i gitani faranno del tuo cuore collane e anelli bianchi» Federico Garcia Lorca, 'Romancero Gitano'

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Di Fabrizio (del 24/02/2012 @ 09:42:51, in lavoro, visitato 2183 volte)

SARTORIA JELESAN

Milano, domenica 26 febbraio e domenica 4 e 11 marzo, dalle 8.30 alle 13.30, al mercato della Bovisa, nel piazzale del parcheggio vicino alla Scighera

Venite a trovarci, siamo lì tutta la mattina con il nostro meraviglioso banchetto pieno di belle cose, tutte cucite a mano!

Realizzate in proprio, col supporto dell'associazione Idea Rom

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Di Fabrizio (del 25/02/2012 @ 09:28:24, in Italia, visitato 2661 volte)

  immagine da lussuosissimo.com

La recente vicenda della commessa che a Vicenza ha esposto un cartello per vietare l'ingresso "AI ZINGARI" ha sollevato diverse e comprensibili reazioni. Come succede spesso, il rischio è che in una settimana il silenzio subentri al clamore; sottopongo allora ai pazienti lettori alcune riflessioni da riprendere col tempo.

Un primo punto riguarda la fruizione della notizia: CLAMORE IMMEDIATO e SUCCESSIVO SILENZIO. La parola ZINGARI su quel manifesto (un giornalista, un politico, uno studioso avrebbero adoperato il politically correct ROM E SINTI) continua a riportarci indietro negli anni, nonostante da lungo tempo si vada ripetendo quanto quel termine sia offensivo. E' la dimostrazione che si continua a giocare "in difesa".

Ma, mi chiedo, è vero razzismo usare la parola ZINGARI? L'ultima frase dell'articolo di TMnews riassume bene il concetto:

    La ragazza parla di ingiustizie, lei paga il biglietto sull'autobus e gli zingari no. "Non sono razzista - rincara - ma le regole devono valere per tutti". Insomma i suoi colleghi negozianti non mettono cartelli ma non fanno entrare gli zingari.

...molto simili, questi negozianti, a giornalisti, politici, studiosi, che usano il termine "Rom e Sinti", ma magari hanno il terrore di un contatto fisico con qualcuno di loro.

La commessa: io penso che razzista sia stata la scritta, non chi l'ha vergata, e sicuramente lei non si percepisce tale. Racconta di sé su La nuova Venezia:

    «Entrano e scappano con la roba. Io do quello che posso a chi chiede aiuto. Ecco, qui ho una bottiglia di shampo difettata, la do a chi me la chiede, do anche lo yogurt della mia colazione. Ma tutti vogliono soldi, non aiuto. L'altro giorno sono stata aggredita da un uomo di colore. Gli zingari non fanno del male, ma entrano in tanti, con i bambini si riempiono le tasche di roba ed escono dalla porta senza pagare. Io li rincorro. Ho chiamato la polizia quando sono stata aggredita, ma se non hai un avvocato e i soldi non serve a niente».

Ragionamenti che appartengono probabilmente alla gran massa del resto della popolazione, che più che il problema del razzismo o degli zingari, si pone quello dell'arrivare a fine mese.

Questa ragazza, che ha messo la questione sul tappeto con molta più chiarezza di qualsiasi sociologo, suscita scandalo perché giovane e soprattutto perché è di origini marocchine e (come si scrive oggi) immigrata di seconda generazione. Questo particolare diventa anzi la chiave di lettura dell'articolo di Tuttogratis.

Per questo invitavo a riflessioni più approfondite e meno scandalizzate. Parto da una provocazione:

Se tu lettore fossi un immigrato, un rom, un sinto... cosa diresti se qualsiasi italiano ti spiegasse che sì, la piena integrazione è un tuo diritto, ma a differenza degli italiani non hai diritto a lamentarti se qualcuno ti ruba qualcosa? AUMENTANDO LA PROVOCAZIONE: se io ho gli stessi diritti (e doveri) di un italiano, perché non mi riconoscete il diritto di essere razzista quanto e più di voi?

Gian Antonio Stella, quando scrisse L'Orda, svolse un lavoro egregio di ricostruzione della memoria di un Italia passata dall'essere vittima di razzismo a paese che si mostra sempre più razzista. Sul Corriere della Sera è tornato sul concetto dei penultimi che per salire mettono i piedi in testa agli ultimi.

Il razzismo è una malattia che si può curare, ma non sono sicuro che esista un vaccino efficace ed universale. E' successo agli italiani, succede oggi agli immigrati ed alle seconde generazioni. Se gli zingari (pardon: i Rom e i Sinti) ne sono tuttora immuni, è perché (indipendentemente dai progressi socio-economico-politici di alcuni dei loro settori), rimangono gli ULTIMI nella percezione popolare.

Hanno allora tutte le ragioni ad argomentare contro il razzismo che subiscono quotidianamente (e quello della commessa vicentina è forse meno doloroso di altri), ma ATTENZIONE che se anche per loro arrivasse... non dico tanto, ma almeno il riconoscimento di essere persone come tutti... credo sconsolatamente che cercherebbero a loro volta un PARIA  con cui pigliarsela.

Ad esempio: da almeno due decenni assisto a situazioni dove Rom e Sinti italiani incolpano della loro situazione i Rom stranieri, e Rom slavi di lungo insediamento che se la prendono con l'arrivo di Rom bulgari e rumeni... SONO ATTEGGIAMENTI RAZZISTI? Apparentemente sì, anche perché espressi con più rabbia di un italiano, che non si sente personalmente minacciato da questa "concorrenza tra poveri".

Eppure, ricordo tanti anni fa, i Rom che conoscevo allora vedevano di mal occhio l'arrivo dei primi immigrati dal Nord Africa: pubblicamente contro di loro ne dicevano di tutti i colori, ma quando questi immigrati avevano necessità di un piatto di minestra, di una roulotte dove ripararsi, dove pensate che andavano a chiedere? Proprio da quei Rom che di loro parlavano male, ma che lontano da occhi indiscreti riscoprivano la loro antica solidarietà. Come noterete, non è un atteggiamento molto distante dalla nostra commessa di Vicenza.

    Però, dopo tutto questo scrivere di razzismo, devo deludere i miei lettori, non è di quello che mi premeva ragionare, non adesso, perlomeno. Il razzismo ha diversissime maniere di manifestarsi, soprattutto perché dietro quel concetto si mascherano spesso problemi più pratici.

Ragionando sulla commessa (di seconda generazione, ricordiamocelo), e rileggendo l'articolo di Stella che ho menzionato prima, è da inquadrare l'ambiente in cui si sviluppa la vicenda: il Veneto già terra di immigrazione e poi roccaforte leghista. Con tutte le contraddizioni che si porta dietro: quelle di un territorio molto più curato e protetto rispetto a tante altre regioni italiane, ma anche patria (assieme alla Brianza) del fenomeno dei capannoni con fabbrichetta abbinata o del consumo di suolo.

Se ad esempio a Treviso (dove è ancora l'ex sindaco Gentilini a dettare la linea politica) l'ideologia leghista ha raggiunto parossismi tra l'avanspettacolo ed il codice penale, la sua provincia è quella che percentualmente ha attirato più immigrati. Sembrerebbe un paradosso, ma la cosa (ad un milanese come me) riecheggia certe dichiarazioni dell'ex sindaco De Corato che, gonfiando fascistamente il petto, giustificava ai giornalisti i suoi sgomberi infiniti spiegando come alcuni sondaggi mostrassero che la città di Milano fosse una delle mete di arrivo preferite per i Rom stranieri.

Non che mi sia mai fidato di De Corato, ma qualche domanda su quanto sia complesso interpretare le realtà locali me la pongo.

Il Veneto, il nord-est in genere, come sistema economico, quante volte se n'è sentito parlare in questi anni. Il Veneto dove un'immigrata di seconda generazione si è talmente integrata da assumerne la mentalità, con tutti i lati positivi e negativi. Ma quest'area, dove a vari livelli convivono e producono genti così diverse, è stata anche tra le prime, oltre 15 anni fa, a delocalizzare la produzione all'estero. Erano già allora i primi segnali di un modello che andava ripensato, e che nonostante la sua pretesa autonomia ed autosufficienza, non era in grado di reggere all'innovazione della globalizzazione.

La crisi oggi colpisce duro anche lì, scrive il Giornale di Vicenza:

    La paura - o la constatazione - di non farcela: quel bazar chiuderà a marzo. E i negozianti del quartiere che testimoniano: «Da un po´ di tempo i nomadi passano con maggior frequenza - racconta Mauro Oliviero, fruttivendolo in contrà XX settembre - Prima passavano solo il giovedì, giorno di mercato; sarà la crisi?».
    Forse è la crisi. Vedere mamme e bambini nomadi sui marciapiedi del centro a chiedere l´elemosina ormai è una costante. Non lo fanno solo loro. E non è una novità assoluta. La crisi, comunque sia, condiziona il clima.

La prima vittima è proprio la solidarietà che quel modello non è stato in grado di far attecchire. La seconda, purtroppo, è la commessa di Vicenza, quella seconda generazione che ha potuto per ultima approfittare della ricchezza veneta, e come i suoi coetanei italiani avrà un futuro incerto di fronte a sé.

Tocca ancora al Giornale di Vicenza fornire una sintesi con le parole della commessa stessa.

A questo punto, torniamo un attimo al razzismo o meglio, ALLE COSE DA FARE. Il cartello è sparito dalla vetrina, l'UNAR ha aperto una propria inchiesta. Potrebbe sembrare un lieto fine, ma ho i miei dubbi, perché:

  1. la commessa non ha cambiato opinione, si è limitata a cambiare atteggiamento;
  2. l'UNAR sta facendo cose notevoli, ma quante delle inchieste che apre periodicamente portano ad un costrutto? Corre il rischio, di fronte agli innumerevoli argomenti da affrontare ed alle pressioni politiche a cui è sottoposto, di trasformarsi nell'ennesimo carrozzone parolaio italiano, più funzionale ai tecnici che vi sono parcheggiati che nell'affrontare e risolvere i problemi.

Premesso che non conosco la realtà del Veneto così bene dal poter dare consigli, ho tentato di spiegare quali sono per me alcuni punti nodali da affrontare, di una versione molto più complessa di come si presenta apparentemente.

Ci sono problemi generali, dove razzismo, zingari, immigrati sono alcuni degli elementi. E ci sono poi situazioni particolari, dove le varie aree del paese hanno specificità, storie, risorse diverse.

E' possibile INTERVENIRE ADESSO, oppure aspettare la prossima notizia simile. Ma soprattutto, occorre coniugare le sacrosante battaglie per i principi universali, all'individuazione di soluzioni PRATICHE più localizzate, che mettano in moto soggetti e competenze che già esistono.

In parole povere, vedrei la necessità di istituire in tutte le città medio-grandi (ma anche nelle piccole, se ci sono necessità e competenze), di un TAVOLO-CONSULTA locale (chiamatelo come volete), dove affrontare questi argomenti, assemblea che veda la partecipazione di soggetti tra loro diversi, ma comunque coinvolti: associazioni di immigrati, organizzazioni di Rom e Sinti, assieme ad amministratori, sindacati dei lavoratori e di categoria, associazioni imprenditoriali, cooperative... (l'elenco può anche continuare, ma fermiamoci prima di riscrivere le Pagine Gialle!).

Lo scopo è di agire sulle tante leve che rimandino ad azioni condivise, sostenibili e che facciano uscire dal ghetto, dove Rom e Sinti rischiano di venire rinchiusi parlando del solo razzismo, senza affrontarne le cause. Creando nel contempo quella conoscenza e quell'azione comune indispensabili per ottenere (ed offrire) solidarietà.

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Di Marylise Veillon (del 26/02/2012 @ 09:25:11, in media, visitato 2040 volte)

Baxtalo's Blog

Con una cinepresa in spalla, il cineasta franco-algerino Tony Gatlif si è messo in mezzo alla folla degli "indignados" della primavera europea del 2011 i quali, a partire degli atenei di Madrid, protestarono contro i banchieri e i ricchi in generale.

"Anche quando la temperatura scende a meno dieci o meno quindici gradi, nessuno si meraviglia di vedere la gente dormire per strada" ha dichiarato all'AFP, prima di presentare "Indignados", il suo film sdegnato, nella sezione Panorama della 62a Berlinale, dedicata quest'anno ai recenti sconvolgimenti della storia, soprattutto nel mondo arabo.

Il gitano del cinema globalizzato ("Latcho Drom", "Gadjo Dilo") si mette in posa per i fotografi con i pugni chiusi all'altezza degli occhi, con uno sguardo di sfida.

Dice che è "disgustato", e anche che il libro "Indignados" gli è penetrato fin dentro l'anima. Questo testo di Stephane Hessel, di 94 anni, eroe della resistenza francese contro i nazisti nonché ex diplomatico, il quale chiama al sollevamento pacifico contro l'ingiustizia, è stato tradotto in trenta paesi.

Tony Gatlif, dice di essersi sentito male e umiliato per il modo nel quale furono trattati i gitani in Francia durante l'estate 2010, e dichiara che il libro di Hessel lo ha curato dai problemi psicologici dei quali ha sofferto a causa di questa situazione.

Dopo avere acquistato i diritti cinematografici di "Indignados", ha deciso di fare delle riprese. "Ma non ho voluto farlo secondo il punto di vista degli europei", dice.

Tony Gatlif esamina la rivoluzione contrapporsi alle disavventure di un'immigrata clandestina, nella militanza crescente che traboccherà poi per le strade di molti paesi in tutto il mondo

La sua cinepresa segue quindi il vagabondaggio di Betty, una ragazza africana senza documenti, buttata sulla riva nord del Mediterraneo, attanagliata dall'urgenza di fuggire dalla miseria e dalla speranza di godere di una vita migliore in Europa.

Lo spettatore la segue nelle sue peripezie mute, ritmate dalla musica e dagli slogan, da Patrasso, il grande porto greco, passando per Atene e Parigi, e terminando a Madrid.

Betty, detenuta dalla polizia e rimandata in Grecia, l'unico paese che ha conservato le sue impronte digitali, scopre la miseria dei paesi ricchi, i materassi per strada, i pasti serviti dalle associazioni caritatevoli.

"A noi, non c'importa, mentre lei è sconvolta. Ed è per questo che ho voluto che guardassimo dall'alto delle sue spalle, con i suoi occhi" sottolinea Tony Gatlif.

"In ogni luogo, la vecchia Europa che fa tanto sognare, sta in pericolo. E' la prima volta nella storia, che le banche provocano la bancarotta di un paese", continua.

"Betty stessa si trova intrappolata in Europa, senza potere rientrare nel suo paese. La sua famiglia si era indebitata per pagarle il viaggio, e ora si trova a sommarsi ai clandestini, a quelli senza documenti, ai paria senza identità", dice Gatlif.

Costretta a mentire, Betty ripete al telefono ai suoi familiari: "Le cose vanno bene, tutto andrà per il meglio".

Ma cosa ci guadagna Betty, nel rimanere in mezzo a questa folla in collera, ma impotente davanti alle crisi economiche e finanziarie, che riprende con i suoi telefonini durante le manifestazioni?

"E' il nuovo mezzo di comunicazione che rende possibile la rivoluzione pacifica, poiché in questo modo l'informazione corre veloce, e sorpassa governi e banchieri" stima il realizzatore.

Il documentario-dramma del regista Tony Gatlif si ispira al noto saggio di Stephane Hessel, 94enne, "Indignatevi!".

Tony Gatlif crede "nei raggruppamenti della gente, nella forza della folla. Anche i rivoluzionari siriani raggiungeranno il successo".
L'essere stato selezionato per la Berlinale lo ha confortato, e accanto a Stephane Hessel, desidera utilizzare il festival come un palco.

"Sarebbe ora che anche il cinema smetta di guardare al proprio ombelico, e si impegni; ma è come in altri contesti: ognuno difende i propri piccoli interessi", dice Gatlif.

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Di Fabrizio (del 27/02/2012 @ 09:11:49, in conflitti, visitato 1787 volte)

nuova Agenzia Radicale - martedì 21 febbraio 2012 di FLORE MURARD-YOVANOVITCH

intervista allo storico Luca Bravi*

- Perché il genocidio dei Rom sotto il nazismo - il Porrajmos - che fece circa mezzo milione di vittime tra questo antico popolo europeo, è ancora oggi in parte uno sterminio dimenticato?

I Rom continuano oggi a subire stereotipi culturali simili a quelli che hanno subito nel corso della Storia. Nella mentalità comune, lo "zingaro" è ancora percepito come "asociale" o "nomade", presunte "tare" su cui i nazisti imbastirono la loro teoria della "razza zingara". La rimozione del genocidio dei Rom ha varie cause, storiografiche ma anche politiche. La Germania post-bellica ha fatto di tutto per cancellare la radice razziale della persecuzione degli "zingari", derubricandola a una semplice operazione di pubblica sicurezza per via della loro presunta "pericolosità" (mistificando la legislazione nazista). Cioè, ai sopravvissuti rom e sinti furono negati i risarcimenti e questa rimozione durò fino alla fine degli anni '80, quando alcuni studiosi tedeschi rivalutarono gli archivi del regime nazista che facevano chiari riferimento alla "razza zingara". Il Porrajmos fu riconosciuto solo nel 1989 dalla Germania come genocidio di stampo razziale. La legge relativa al Giorno della Memoria in Italia attualmente ricorda correttamente la specificità della Shoah ma per adesso non è stato inserito alcun riferimento al Porrajmos (il Parlamento ha ricordato l'internamento dei rom e dei sinti nei campi di concentramento solo il 16 dicembre 2009).

- Gli storici non si sono interessati alla questione della persecuzione dei Rom sotto il Terzo Reich, nemmeno dopo la fine della guerra?

Sì, ma solo tardivamente, tanto in Germania quanto in Italia. Anche tra gli storici erano ed a volte sono presenti clichés sui nomadi pericolosi. Il genocidio dei Rom è inoltre una questione storiografica complessa. Studiare il Porrajmos a fianco della Shoah, senza con questo banalizzare o tanto meno negare la centralità e la specificità di quest'ultima, significa rischiare di entrare in attrito con chi propone l'idea di una unicità della Shoah; (e della sua incomparabilità con qualsiasi altro fatto storico). La mia tesi è che esiste invece un parallelismo nel totale annientamento che i nazisti riservarono a questi due popoli considerati "razzialmente inferiori"; Porrajmos e Shoah sono, purtroppo, tasselli dello stesso evento, l'uno getta luce sull'altro, ed entrambi sono crimini contro l'umanità intera.

- Parallelamente alla "razza ebraica" i nazisti avevano infatti teorizzato una "razza zingara", anch'essa "geneticamente inferiore" e da eliminare. Ci spiega meglio come questa "classificazione" razzista fu elaborata?

La legislazione nazista si nutre della percezione popolare negativa dello zingaro nomade. Già nel 1935 le Leggi di Norimberga, anche se non li menzionano, furono applicate anche agli "zingari" (termine allora usato per chiamare i rom e i sinti), deprivati dalla loro cittadinanza tedesca. Dal 1936, tutti gli zingari vengono internati nei campi di sosta forzata e poi dal 1938 allontanati e deportati in massa all'Est, in vagoni speciali aggiunti a quelli degli ebrei. In quei campi di concentramento lavorava l'Unità di Igiene Razziale (e di Ricerca biologica) del Reich, diretta dallo psichiatra infantile Robert Ritter, che effettuava pseudo "studi zingari". Da misurazioni antropometriche sui circa 20.000 internati, la sua squadra faceva derivare delle caratterizzazioni di tipo morale e psichico dell'intero gruppo. Gli "zingari" sarebbero stati razzialmente "inferiori" perché portatori del carattere ereditario dell'"istinto al nomadismo" che causava la loro consequenziale "asocialità", una "piaga" da sradicare. Nel 1938, sulla base delle ricerche di Ritter, Himmler equipara la Zigeunerfrage, la "questione zingara", a quella ebraica, per via della radice razziale. Tra il 1938 e il 1942, il Reich pianifica le tappe cruciali per "risolvere" la questione con la stessa logica razionalista del "trattamento speciale" degli ebrei. Prigionia nei campi di concentramento, esecuzioni di massa dalle Einsatzgruppen, ricorso ai gaswagen (camion della morte), fino al decreto del 16 dicembre del 1942 (Decreto di Auschwitz), che progetta la deportazione e lo sterminio di chiunque risultasse di "sangue nomade". Nel vernichtungslager (campo di sterminio) di Auschwitz prende il via la "soluzione finale" dei 23.000 Rom detenuti e si chiude la fase finale della persecuzione razziale dei Rom, che mirava al loro annientamento totale. I nazisti sterminarono circa mezzo milione di rom e sinti, circa un terzo degli Zingari che vivevano in Europa, l'80% nell'aerea dei paesi occupati.

- Durante tutto il regime nazista, dunque, sugli zingari usati come cavie, furono effettuati atroci sperimenti pseudo-scientifici, particolarmente atroci, dai medici nazisti; come mai questi non furono mai processati?

Su quelle "vite indegne di essere vissute" furono attuati dal 1934 alla fine del regime (in particolare nell'operazione eutanasia T4) mostruosi esperimenti, come sterilizzazione coatta, esperimenti eugenetici e test dei primi gas, su donne e soprattutto bambini zingari. Quegli pseudo-scienziati non solo non vengono processati nella nuova Germania, ma vengono lodati come "esperti zingari" e continuano ad esercitare in cliniche private. Non processarli andava di pari passo con la rimozione ufficiale del genocidio di stampo razziale. Rare sono state le voci di sopravvissuti rom o non furono credute né ascoltate. Inoltre, per alcuni gruppi rom e sinti, non si deve parlare dei morti, perché parlarne sarebbe trattenerli in vita; questa scelta di non raccontare deriva da questo specifico rapporto con la morte, ma questo è vero solo per alcuni gruppi ed è comunque un tratto in evoluzione recentemente. Ma in nessun modo si può accollare la dimenticanza di questa tragedia a quel popolo; bensì a qualcosa di profondamente radicato nella cultura delle società tecnologicamente avanzate nei confronti degli zingari.

- Anche il fascismo italiano istituirà campi di internamento riservati ai Rom?

La ricerca sui campi fascisti è relativamente recente; venne avviata meno di 20 anni fa, quando fu rintracciata la circolare del Ministero dell'Interno dell'11 settembre del 1940 che ordinava il rastrellamento e l'internamento di tutti gli zingari, in vari campi sul territorio italiano. Oggi, grazie alle liste degli internati, sappiamo che furono tre i campi fascisti "riservati" agli zingari (Agnone, oggi in provincia d'Isernia, Tossicia, provincia di Teramo, e Prignano sulla Secchia in provincia di Modena). L'internamento si basava sulla ricerca razziale fascista, elaborata in particolare da Renato Semizzi (un docente di Medicina Sociale) e dal giovane antropologo Guido Landra: lo stesso che elaborò, su indicazione di Mussolini, il manifesto della razza. In alcuni articoli comparsi su La difesa della Razza, i due studiosi affermavano la pericolosità dei rom e dei sinti in relazione alla loro componente psichica deficitaria, un elemento legato anch'esso a connotazioni di stampo razziale che si richiamavano ancora una volta al nomadismo e all'asocialità insiti nel "sangue zingaro".

- Oggi il "Piano Nomadi" non mostra una sconcertante continuità con questo passato di emarginazione?

Affronto questo tema in "Tra inclusione ed esclusione. Una storia dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia" (Unicopli, 2009), dove studio la continua rieducazione etnica di questa minoranza, dal fascismo all'odierno decreto Sicurezza. Oggi ovviamente i campi rom non sono in sé campi di internamento. Ma continuare a parlare di "campi", applicare a queste persone gli stessi concetti di asocialità e nomadismo di allora, significa pianificare soluzioni di emarginazione. Fuori dalle città, dai servizi, dai collegamenti: e più sono allontanati, più vengono usati dalla politica come capro espiatorio su cui indirizzare le colpe dei mali della società odierna. Quello che si intendeva allora per "razza", si sostituisce oggi per la loro presunta "cultura" di gruppo, con ragionamenti che non sono molto diversi dal passato. La soluzione è progettare l'uscita dai ghetti, e progettare, insieme a loro, soluzioni abitative diverse. Loro sono organizzati e auto rappresentati, devono essere coinvolti nei progetti che li riguardano.

- Teme la riapparizione di fenomeni di razzismo anti-Rom, in tutta Europa, che da noi hanno il volto dei tentati pogrom di Ponticelli e Torino?

Ovunque nel continente europeo cresce l'antiziganismo. In Italia, quando un rom o un sinti viene incolpato, prima ancora del processo, il campo viene distrutto o spostato ed esplodono proteste popolari. Nella società serpeggia quella paura del diverso, che si traduce in forme estreme di violenza, i Rom essendo la diversità in assoluto. Considerati, agli occhi della società maggioritaria, non-cittadini da fare vivere ai margini: ogni azione nei loro confronti viene considerata quasi lecita. La nostra cultura dovrebbe finalmente confrontarsi con i Rom e con la rimozione della loro tragedia; la conoscenza del Porrajmos (ancora assente dai manuali scolastici) permetterebbe di combattere l'antiziganismo.

* ricercatore presso Università Telematica L. Da Vinci di Chieti), ha pubblicato, tra gli altri, il volume "Altre tracce sul sentiero per Auschwitz" (Ed. Cisu)

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Di Fabrizio (del 27/02/2012 @ 09:23:02, in Italia, visitato 1482 volte)

24 febbraio 2012 - Lo slogan "Via la patente al razzismo: i punti sono finiti".

"Via la patente al razzismo: i punti sono finiti" è lo slogan della terza giornata nazionale del primo marzo con la mobilitazione diffusa degli immigrati.

La manifestazione è organizzata da un comitato, composto da diverse sigle dell'associazionismo, "nello spirito della Carta dei migranti approvata a Gorée (Senegal), sulla base di principi condivisi che difendono la libera circolazione delle persone e l'esercizio di una piena cittadinanza fondata sulla residenza e non sulla nazionalità".

Dopo le precedenti edizioni, del 2010 e 2011, quella attuale secondo gli organizzatori intende "avviare un percorso che non si esaurisca nella data del primo marzo, ma unisca le persone in un filo giallo sovranazionale, cancellando le frontiere culturali che ancora ci limitano".

Una giornata, si legge in una nota, "ancora più importante in Italia dopo i pogrom di Rom come quello di Torino e l'omicidio razzista a Firenze di Samb Modou e Diop Mor".

Il comitato promotore, nel manifesto di adesione, scrive tra gli obiettivi della mobilitazione: l'abrogazione della legge Bossi-Fini, la cancellazione del contratto di soggiorno per lavoro e la chiusura di tutti i Cie in Italia e in Europa; la cittadinanza immediata ai bambini nati in Italia; l'abolizione del permesso a punti e nuove tasse sul rinnovo del permesso di soggiorno; una regolarizzazione generale di chi non ha un permesso di soggiorno.

(Red.)

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Di Fabrizio (del 28/02/2012 @ 09:01:01, in Europa, visitato 1908 volte)

Da Roma_Francais

LADEPECHE.fr Due giovani rumene affermano che è stato proibito loro di pagare gli acquisti./ Photo DDM. T.Bl

"In questo supermercato, più volte ci è stato chiesto di uscire senza neanche poter avuto fare la spesa. Ci lasciano entrare, prendere gli articoli, e quando siamo alla cassa, rifiutano i nostri soldi. Solo qui ci trattano così, dalle altre parti non abbiamo problemi," testimoniano all'unisono Simona e Roxana, tutte due rumene della comunità rom.

Quindi Lidl in avenue d'Atlanta rifiuta certi clienti perché sono Rom? Di fronte al supermercato, tuttavia, tutti i clienti sembrano stupiti per la notizia: "Non ho mai assistito a fatti simili", assicura Maria, cliente abituale del discount. Aggiungendo: "Se questa pratica è provata, sarebbe meglio concentrarsi sulla sorveglianza, piuttosto che bandire sistematicamente certe persone."

La filiale regionale della Lidl si difende: "Non ci sono direttive, nazionali o regionali. Non ne facciamo un collegamento alla comunità. Se qualcuno si vede rifiutato, è perché abbiamo già avuto dei problemi con lui. Sono in corso diverse denunce, anche per furto."

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