Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 18/09/2010 @ 09:43:09, in Europa, visitato 1409 volte)

Da Romanian_Roma (QUI un post da rileggere)

La UE mi manca già

Una Rom rumena riflette sulla deportazione francese dei Romanì

L'improvviso collasso dell'Unione Europea nei mesi estivi del 2010 ha preso molti di sorpresa. Anche se era già tutto scritto, non mi aspettavo che la morte dell'Unione sarebbe arrivata così velocemente. Ora che sappiamo che l'Unione fa leggi nel campo dei diritti umani che non ha nessuna intenzione di far rispettare, è a tutti gli effetti per la grande maggioranza degli Europei ("Una politica in cerca di una difesa" 2-8 settembre).

Guardando indietro all'Unione, ci sono molte cose che mi mancheranno. Ricordo con grande speranza la promessa della cittadinanza UE, inclusa nel trattato di Maastricht. Cosa avrebbe significato per noi Europei? Il futuro sembrava tutto davanti a noi. Ricordo come, in seguito al trattato di Amsterdam, l'Unione fece un'importante legge che proibiva la discriminazione razziale. Ricordo come, svegliandosi con la crisi austriaca del 2000, l'Unione assunse nuovi poteri con l'art. 7 del Trattato, di agire contro uno stato membro UE che si discostasse dai valori comuni dell'Unione. E ricordo che nel 2003 la Commissione spiegava che questi poteri potrebbero essere invocati quando "i primi segni di, per esempio, politiche razziste e xenofobe diventino visibili".

Ora sappiamo che tutto è finito, un edificio Golia abbattuto da Davide sotto forma del presidente francese. Il mio villaggio nel sud-ovest della Romania si sta riempiendo di ex-Europei. Naturalmente, sono benvenute le dichiarazioni di Vivian Reding, commissaria europea alla giustizia e la buona volontà dei parlamentari, ma senza una risposta vigorosa, pubblica ed istituzionale sono come capelli che crescono su di un cadavere.

Naturalmente, noi Romanì europei non siamo gli unici ad aver notato la sparizione della UE. Ci sono molti che hanno aspettato questo momento con impazienza. Prendete per esempio i media ed i funzionari pubblici cechi che improvvisamente ad agosto iniziarono a chiamare i Rom cechi "stranieri". O i politici ungheresi che la settimana scorsa iniziarono a chiedere di chiudere i Rom in campi. O le mosse italiane di raddoppiare la distruzione degli insediamenti romanì e chiedere la limitazione della libertà di movimento dei Rom. Si son sempre chiesti se la legge UE fosse Legge o "legge". Ora lo sanno e sono felici.

Infatti, lo sappiamo tutti noi. Un governo che fa leggi che non ha nessuna intenzione di far rispettare, non è un governo. E le sue leggi non sono leggi per davvero.

Noi Europei siamo più in sintonia di quanto si pensa nel sapere esattamente quali sono le regole. Per un periodo, abbiamo vissuto con la felice illusione che la UE fosse una forza legislativa, intenta a difendere i valori che proclamava, e a far rispettare le regole che reggevano questi valori. Ora che la UE è andata, le forze razziste in tutta l'Europa sanno che il loro giorno è arrivato.

L'Unione può resuscitare? L'ha fatto in occasioni precedenti, in altri scenari. Ma questo comporterebbe una vigorosa risposta istituzionale, cioè l'inizio di un procedimento legale contro gli stati membri che contravvengono le leggi UE.. Dovrebbe avvenire pubblicamente - che gli Europei vedano. Altrimenti, che l'Unione possa riposare in pace, il suo antico splendore onorato per la speranza che brevemente ci diede.

Da:
Cosmina Novacovici
Banloc, Timis County
Romania

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Di Fabrizio (del 19/09/2010 @ 09:51:37, in Italia, visitato 1837 volte)

Tiscali: cronaca

"Essere rom non può essere una vergogna", così da Torino sintetizza Vesna Vuletic, fondatrice di Idea Rom, e la realtà spesso capovolge i luoghi comuni: dal Nord al Sud d'Italia, piccole storie di quotidiana integrazione crescono, all'ombra delle polemiche che puntualmente si scatenano sul destino dei rom, aspettando "politiche pubbliche adeguate".

Il progetto della sartoria Rom - In via Nomentana 952 a Roma puoi trovare un abito unico, con pizzi bianchi o ricami, tessuti orientali broccati o cascate di colore vivace: è l'Antica sartoria rom, dove donne rom dei campi nomadi della capitale confezionano abiti secondo la moda gitana di fine Ottocento, cuciti a mano e con stoffe rigorosamente in fibra naturale, seta, cotone, lana, lino, canapa. Il progetto nasce nel 1997 tra le baracche in un campo in periferia, Alessandra Carmen Rocco, italiana è laureata in lettere e canta come mezzosoprano, e organizza concerti per questo incontra molti musicisti gitani. Così conosce i campi nomadi e le donne dei campi nomadi. Donne - racconta - che hanno un desiderio: lavorare. In uno dei campi nomadi della periferia romana nasce un giorno l'idea della sartoria, le più anziane insegnano alle più giovani un'arte tramandata per secoli. Il progetto si sviluppa e cresce diventa laboratorio, sartoria, negozio, con sfilate - nel 2005 sotto l'egida di Romeo Gigli - e una cooperativa sociale che organizza corsi per chi vuole imparare quest'arte e anche di riuso e riutilizzo delle stoffe da buttare. Ora all'Antica sartoria rom, che confeziona anche costumi teatrali, lavorano 4 donne rom, guadagnano un piccolo stipendio, insegnano ad altre donne rom per dar loro un futuro. Ma i corsi sono frequentati anche da donne italiane - una cinquantina negli ultimi due anni - affascinate dalla moda gipsy. E a comprare sono soprattutto clienti italiani. Nessun finanziamento pubblico. Fanno da sole.

Bari rom assumono rom - A marzo 2008 i rom romeni del villaggio sosta comunale di strada Santa Teresa a Japigia danno il via alla cooperativa di lavoro Artezian, facchinaggio, traslochi e manutenzione del verde, e il primo settembre 2010 riescono ad assumere con contratto di lavoro un rom bosniaco di un altro campo nomadi tra Modugno e Bitonto. Da Artezian è nato anche un progetto per il riuso e riciclo di materiali e macchine da buttare e le donne del campo creano bigiotteria e abiti con materiali di scarto. "Il problema è la mancanza di un lavoro, di una fonte di reddito", spiega Maurizio Pagani, dell'Opera nomadi di Milano, sottolineando: "Su questo fronte le politiche pubbliche non hanno né investito né inciso minimamente, con interventi a carattere assistenziale e a breve termine fine a se stessi". "Si fa ruotare tutto su 'come facciamo a cacciare i nomadi', 'i campi sono ghetti'... in realtà - prosegue Pagani - il problema di base è la mancanza di lavoro, povertà, che condanna rom e sinti all'emarginazione una storia che va avanti dal dopoguerra".

Corsi a Milano - L'opera nomadi quest'anno ha organizzato corsi di sartoria con 15 donne rom dei campi nomadi abusivi; ora tutte sono diventate sarte, lavorano nei campi ma vendono ai privati, anche nei negozi milanesi dove viene molto apprezzato "la loro capacità naturale di accostare i colori". Delle tre cooperative di servizi, messe su dall'opera nomadi di Milano, solo una invece è sopravvissuta, le altre due "sono venute meno per mancanza di commesse pubbliche". Nella cooperativa sopravvissuta lavorano 8-9 persone a progetto, ma chi ha fatto questa esperienza, soprattutto i giovani, ha trovato poi lavoro fuori in ditte private di pulizia. "Anche se normalmente non dicono di essere rom", dice Pagani.

Progetto "Idea Rom" a Torino - "Essere rom non può essere una vergogna, con il nostro progetto vogliamo dire e far conoscere chi siamo davvero", così Vesna Vuletic, 48 anni, da 20 in Italia dove lavora come mediatrice culturale, racconta la nascita, un anno fa a Torino di "Idea Rom" che ora raccoglie una ventina di donne rom, e il loro obiettivo è l'outing: loro lo hanno fatto per prime e ora cercano di aiutare gli altri ad uscire allo scoperto, a non vergognarsi o temere di dire a lavoro, a scuola, all'università, di essere rom.
Per metà sono donne già integrate, inserite nel lavoro, abitano in una casa, l'altra metà del gruppo sono donne giovani, che invece vivono quasi tutte nei campi nomadi, sono disoccupate, bassa scolarità. "Ci siamo ritrovate a parlare - spiega Vesna - alcune di noi fanno le pulizie in banca, in ufficio, ma nessuna diceva di essere rom per paura del sospetto, i figli non lo dicono a scuola per paura di discriminazioni. Molte sono state combattute per anni ma adesso stanno prendendo coraggio, dichiarandosi, rilasciando interviste e anche per comunicare alla società che i rom non sono quelli sporchi, i cattivi da cacciare". Condizioni di povertà portano all'esclusione e alla microcriminalità ma questa non è la realtà della maggior parte dei rom: a Torino ad esempio delle 100 famiglie rom che ora abitano nelle case popolari, solo per 5 ci sono state problematiche. Le donne di Idea Rom così si riuniscono, parlano, vanno nei campi per promuovere il diritto di uscire allo scoperto, e hanno vinto così anche un progetto del Dipartimento delle pari opportunità per interventi di mediazione culturale. Ad ottobre a Torino inizieranno anche corsi di danze tradizionali rom, aperti naturalmente a tutti.

Il vino a Milano e i premi - Prima le mamme del quartiere milanese e le maestre aiutavano i bimbi e le famiglie rom in caso di emergenza, poi hanno voluto fare di più, così insieme a Gas, Sant'Egidio, alla cooperativa di produzione Eughenia, è nata l'idea, del vino R.O.M che sta per "Rosso di origine migrante": bottiglie di vino toscano, Sangiovese, Merlot, Shyra, per finanziare borse di studio e lavoro, un progetto grazie a cui due padri rom hanno trovato lavoro e casa. Problemi di integrazione coi rom a scuola o fuori ? "Assolutamente no - spiega Francesca - sono culturalmente diversi da noi ma va benissimo. Noi abbiamo aiutato loro ma loro hanno aiutano noi. Avere i bimbi rom nella nostra scuola è una ricchezza. Ci sono genitori di bambini che frequentano altre scuole del centro di Milano, dove non si sono né stranieri né rom che vengono qui con i loro figli perché vogliono 'mischiarli con i rom', perchè - dicono - "i loro figli non possono crescere senza conoscere altre realtà". E qualche volta, nonostante tutto, i riconoscimenti arrivano anche dall'alto: il maestro di fisarmonica Jovica Jovic, 53 anni, è un rom jugoslavo che vive nel campo nomadi di via Sesia a Milano e a marzo ha ricevuto dal ministro Roberto Maroni, appassionato di musica, un permesso di soggiorno, seppur temporaneo, per meriti artistici. Insegna a Milano, da lui, che ha suonato con Pelù e Manu Chao, vanno a studiare molte ragazze. E ogni tanto va nelle scuole, e assicurano "sarebbe un ottimo maestro per i bambini".

16 settembre 2010

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Di Fabrizio (del 19/09/2010 @ 09:55:57, in media, visitato 2175 volte)

IL PAESE DELLE DONNE online di Eva Rizzin - venerdì 17 settembre 2010

Molti giornalisti si confrontano con la realtà rom, una realtà complessa e variegata, usando impunemente stereotipi che hanno accompagnato le mille vicende di persecuzioni subite nel corso dei secoli dalle popolazioni sinte e rom. Essi dimostrano, attraverso i loro commenti, di aver perso ogni senso del limite.

La presenza di questo gene nel sangue è la dimostrazione che questi zingari sono esseri irrecuperabili. Eva Justin, scienziata razzista a servizio del regime nazista

I rom […] e l'illegalità insita nel loro DNA. Roberto Poletti, giornalista, 9 settembre 2010

La Commissione Europea ha aperto ieri una procedura di infrazione nei confronti della Francia per l'espulsione delle persone rom. Questa è l'unica notizia confortante nella lettura della rassegna stampa in una settimana non affatto rassicurante.

Molti giornalisti si confrontano con la realtà rom, una realtà complessa e variegata, usando impunemente stereotipi che hanno accompagnato le mille vicende di persecuzioni subite nel corso dei secoli dalle popolazioni sinte e rom. Essi dimostrano, attraverso i loro commenti, di aver perso ogni senso del limite.

Rom accostati indistintamente a delinquenti; rom visti esclusivamente come un problema, una massa indistinta da eliminare, espellere, deportare; rom descritti come un gruppo generalizzato, privati della loro individualità.

Articoli che ci dimostrano quanto il sentire anti-rom sia fortemente radicato nella società, quanto esso sia condiviso, scontato, quanto esso non faccia scandalo. Nei confronti delle minoranze rom e sinte, ci si permette di dire qualsiasi cosa senza il timore di essere condannati. E' preoccupante il clima di assuefazione che si è venuto a creare nella società italiana di fronte alle violazioni subite da tali minoranze.

L'articolo di commento I rom sono un problema della Romania ("Cronacaqui", 11/9) si distingue fra i tanti letti questa settimana per i suoi contenuti razzisti. Francesco Bozzetti a proposito della "questione rom" propone alcuni suggerimenti come, per esempio, impedire la circolazione dei rom in Europa, suggerendo in sintesi di violare la direttiva europea sulla libera circolazione delle persone: "[…] alla Romania […] avremmo come minimo dovuto chiedere di impedire la libera circolazione dei delinquenti e dei rom, che sono da sempre un loro problema, una loro etnia. Gli stessi romeni non amano i rom, non li vogliono e li 'esportano' volentieri all'estero come fanno con i loro criminali". Riferendosi alla situazione milanese aggiunge "[...] periferie, sottoponti e fabbriche dismesse invase dalla peggior specie di zingari dediti a furti, spaccio di stupefacenti".

Esemplare, poi, per i suoi contenuti è il seguente articolo: Sottile differenza tra PD e destra sulle case ai rom ("Libero Milano", 9/9). Il giornalista Roberto Poletti, nella rubrica intitolata Grane, spiega la differenza fra i due schieramenti politici a proposito della questione dell'attribuzione dei 25 alloggi Aler (alloggi che escono dalla graduatoria ufficiale) ad alcune famiglie rom che attualmente risiedono nel 'campo' di Triboniano.

Inizio a leggere l'articolo e ad un certo punto mi imbatto in una teoria classicamente razzista: "l'illegalità insita nel loro DNA". Leggo e rileggo più volte, sperando di essermi sbagliata: DNA, DNA? Purtroppo non è così, ho letto bene, il giornalista ne fa proprio una questione genetica.

Già i nazisti, attraverso i loro scienziati razzisti, avevano elaborato una pseudo teoria sulla pericolosità della 'razza zingara' tarata da un gene molto pericoloso, il Wandertrieb (l'istinto al nomadismo). Questo bastò a condannare rom e sinti allo sterminio. Per un attimo mi si annebbia la mente, rimango basita, sconvolta e profondamente lesa nella mia stessa identità.

Frasi come queste pesano e pesano come macigni, perché sei sinta e rom, se sai cos'è il Porrajmos, se la pianificazione razzista e omicida del passato ha colpito la tua famiglia, se solo per caso i tuoi cari sono riusciti a scampare alla furia del regime nazifascista e alle fiamme dei lager; se ogni giorno ti accorgi di quanto il tuo Paese abbia dimenticato quel passato, e anzi ne invochi il ritorno, frasi come quelle ti fanno inorridire. E io sono sinta.

Visto che ci sono giornalisti che violano quotidianamente il codice deontologico attraverso l'istigazione all'odio e al razzismo mi sembra doveroso, e storicamente corretto, ricordare che furono più di 500.000 le persone rom e sinte vittime dello sterminio pianificato e commesso dal nazi-fascismo.

Domenica 5 settembre ho partecipato alla celebrazione della Giornata europea della cultura ebraica. Mi hanno colpito fortemente le parole del Presidente della Comunità ebraica di Mantova Fabio Norsa, quando ha ricordato ai presenti che gli Ebrei non vogliono essere relegati all'immagine di vittime della Shoah ma considerati comunità portatrice di una cultura millenaria. Ho provato un po' di invidia per quelle parole: quando sarà possibile per noi sinti e rom fare un passo del genere?

Anch'io, come capita a molti ebrei, desidererei non dover tornare sempre sul tema del genocidio, ma purtroppo gli stereotipi, i pregiudizi e le barriere da superare sono ancora infiniti. Forse tutto ciò sarà possibile solo se ci sarà una concreta elaborazione di quello che è stato il genocidio dei rom e dei sinti. Purtroppo però la nostra è una memoria mutilata, completamente ignorata da molti.

Oggi per molti sinti e rom non è nemmeno possibile dichiarare la propria identità, se dichiararti per ciò che sei significa essere automaticamente equiparato al peggiore dei criminali. Il Porrajmos però fa parte della storia d'Italia e d'Europa e tutti hanno il dovere di sapere e di tenere a mente, giornalisti compresi.

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Di Sucar Drom (del 20/09/2010 @ 09:12:32, in blog, visitato 1785 volte)

Opera Nomadi, il teatrino dell'indecenza continua...
L'uno accusa l'altro di bilanci fasulli, frodi e una gestione dell'associazione fuori dalle regole. L'altro risponde affermando che chi lo accusa non è nemmeno socio. I protagonisti della disputa sono Marcello Zuinisi, a suo dire presidente di Opera nomadi Toscana, e Mas...

Roma, 4 settembre: un evento da non sottovalutare
Un evento da non sottovalutare quello del 4 settembre che ha dato voce e coraggio a tante persone e ha prodotto interessanti conseguenti. Voglio ringraziare tutti coloro i quali hanno aderito alla manifestazione di Campo dei Fi...

Milano, ennesimo sgombero...
Dopo un anno nulla è cambiato: come nel novembre scorso, anche questa mattina ero presente allo sgombero di Rubattino. Il denaro dei cittadini, che avrebbe potuto...

Barroso: rispettare leggi Ue contro discriminazione
Ieri il presidente della Commissione Europea Jose Manuel Barroso ha espresso oggi velate critiche nei confronti della Francia per l'espulsione degli immigrati rom, dicendo che i diritti dei cittadin...

Ue, istituita una task force per valutare i programmi a favore di Rom e Sinti
La Commissione europea ha istituito una Task Force per valutare l'utilizzo, da parte degli Stati Membri, dei fondi europei per l'integrazione di Sinti e Rom. E' quanto si legge in una nota dell'esecutivo...

Francia e altri Stati membri devono sospendere immediatamente le espulsioni dei Rom
Il Parlamento esprime "viva preoccupazione" per le misure adottate dalle autorità francesi e sottolinea che le espulsioni di massa violano la legislazione europea in quanto rappresentano una discriminazione su base razziale. Nella risoluz...

Il cattivo esempio dei cugini d'oltralpe
Questa volta è il turno della Francia. Dopo il crollo di consenso nelle elezioni regionali, la faida interna con l'ex-primo ministro de Villepin che prepara una scissione, e una serie di scandali più o meno seri – inclusa una scenata di gelosia...

Ue, scontro durissimo tra la Commissione europea e il Governo francese per le azioni di deportazione dei Rom rumeni
Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione con delega per la Giustizia dei Diritti umani, annuncia l'avvio di una procedura di infrazione contro il governo francese e afferma: “E’ una vergogna! Sarò molto chiara: non c'è po...

Sucar Drom: un grazie alla Commissione europea
L’associazione Sucar Drom ringrazia la Commissione europea e tutti i Paesi europei a partire dalla Germania che si sono schierati contro le deportazioni e le discriminazioni che purtroppo ancora oggi subiscono le popolazioni rom e sinte in Europa. Un ringraziamento particolare...

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Di Fabrizio (del 20/09/2010 @ 09:41:51, in Italia, visitato 1955 volte)

Da RomSinti@Politica

Nazzareno, Santino, Bruno, Ivana, Eva, Yuri, ecc. non sono mosche bianche nella popolazione romanì ma alcuni dei tantissimi esempi positivi.
Francesca Paci del quotidiano La Stampa è venuta in Abruzzo per incontrare alcuni rom, professionisti, impiegati, artigiani, operai, infermieri, ecc. Oggi il suo articolo con interviste e foto è pubblicato sul quotidiano La Stampa.

Giovanni sorride verso l'obiettivo mentre risuola il tacco del sandalo rosso dietro il banco sommerso dalle scarpe della bottega nel cuore di Lanciano, 36 mila anime arroccate tra la Majella e il mare: "Buon sangue non mente: sembro mio padre quando ferrava lo zoccolo del cavallo". Tempo due ore e ci ripensa: "Mia figlia mi ha chiesto di non espormi, in questo periodo esce con un ragazzo e preferisce non sappia che siamo una famiglia rom".

Circa il 60 per cento dei 170 mila rom e sinti che vivono nel nostro paese sono italiani come il calzolaio Giulio, eredi dei pionieri sbarcati alla fine del 1300 sulle coste adriatiche per lasciarsi alle spalle le guerre degli Ottomani. Molti rivelano nei lineamenti le antiche origini indiane, alcuni ostentano la propria identità indossando gilet di gusto balcanico o lunghe gonne fiorate, la maggior parte ha una casa, un lavoro, un conto in banca. Eppure, in qualche angolo remoto della coscienza collettiva dove sono impressi i nomi dei clan criminali Casamonica, Di Silvio, Ciarelli, restano comunque tutti diversi, nomadi come quelli cacciati oggi dalla Francia di Sarkozy.
"L'integrazione assomiglia all'amore, si fa in due: quando vengono accettati senza che si tenti d'assimilarli, rom e sinti pagano le tasse, servono nell'esercito, i loro figli studiano e arrivano fino all'università" osserva Santino Spinelli, musicista e docente di lingua e cultura romanì all'università di Chieti. Le differenze esistono, ammette alternando una forchettata di spaghetti al pesce a un sorso di vino Fragolino: "La cultura rom non distingue il mondo dell'infanzia da quello degli adulti. Se per esempio il papà va a dormire alle tre di notte o la mamma chiede l'elemosina i bambini li seguono. E' naturale, non si tratta di sfruttamento.

Nell'assenza totale d'una quotidianità la scuola è l'ultimo dei problemi". Difficile trovare uno studente che reciti le tabelline nei dormitori improvvisati sotto i cavalcavia del quartiere romano della Magliana, dove gli abitanti minacciano le barricate.

Qui a Lanciano però, a Pescara, nell'Abruzzo da 7 mila rom e neppure una roulotte del tipo ammassate nei campi nomadi alle perfierie delle grandi città, l'eccezione è la regola e capita tranquillamente d'incontrare lo "zingaro" Fioravante al volante del furgone portavalori o l'altro, supermanageriale, alla plancia di comando d'una filiale della Bls di Chieti.
Perché facciano "outing" ci vorrà ancora tempo, ma sono lì.

"Otto anni fa, quando sono stato eletto, i rom non si sognavano neppure d'entrare in Municipio.
Ora sono ospiti fissi, ci conosciamo, ragioniamo, affrontiamo le difficoltà man mano che si presentano" racconta il sindaco Filippo Paolini, un avvocato ambientalista che assomiglia a Gianfranco Fini, parla come Vendola, negozia come un vecchio democristiano e milita da sempre nelle file di Forza Italia.
L'obiezione ai compagni di partito è tattica prima ancora che strategica: "Posto che quanto sta facendo il governo francese contro i nomadi è una forma di deportazione, la linea dura stile Sarkozy-Maroni non funziona, non si amministra senza integrare le diversità".

E pazienza se l'ultimo rapporto del centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità dell'Università di Firenze indica nei sinti un nodo critico dell'allarme sociale. Il primo cittadino rifiuta l'equazione lombrosiana zingaro-uguale-delinquente, ma non concede sconti a chi sbaglia: "Sono dell'avviso di dare una chance a tutti, una casa, la possibilità di studiare, la normalità. Se poi uno delinque se ne va, in prigione o direttamente al suo paese".

Al bar Roma, alle spalle di Piazza Plebiscito, Giulia, mora e formosa, prepara un cappuccino dopo l'altro. Gli anziani che ogni mattina si fermano da lei prima di comprare il giornale hanno quasi dimenticato quando da bambina seguiva mamma e papà da una fiera di paese all'altra, i giovani non lo sanno. "Perché ricordarglielo?" chiosa Amelia, titolare d'una impresa di pulizie. La cugina parrucchiera annuisce. Qualcuno, lontano dalle curve avversarie, mette forse in conto a un goleador le sue origini?

Debora: "Tutti in fila per il mio pane"
Quando era una scolaretta delle elementari, Debora Spinelli detestava le feste di compleanno. "Invitavo i miei compagni di classe ma non veniva nessuno, anche se sono nata qui e vestivo uguale a loro dicevano che ero la figlia dello zingaro", racconta, incartando una pagnotta calda calda per la signora che ascolta distratta come fosse una storia della tv.
Oggi, 40 anni e due figli adolescenti a cui nessuno rinfaccia più l'origine gitana, è la fornaia più gettonata di Lanciano, ma davanti alla porta ha deciso di scrivere Panetteria Console, il cognome del marito, un marchio senza passato. Non si sa mai.

Capigliatura corvina, sguardo tagliente, brillantino al naso, Debora tiene al collo la medaglietta con la foto di papà Angelo che non c'è più: "Mi ha insegnato a lavorare a sei anni, magari adesso sarebbe un reato, io però ne sono sempre stata fiera. Insieme agli altri sei fratelli e sorelle attaccavamo ai VHS le macchinette con cui si potevano vedere Grisù e Paperino e poi le vendevamo. Le battutacce delle amiche mi facevano male, ma le difendevo, soffrivo di una specie di sindrome di Stoccolma".
Crescendo, ha visto i film di Kusturica, ha ascoltato la musica di Bregovic, capisce la lingua degli avi, il romanì. Eppure ai cantori eccellenti della cultura rom preferisce la routine, l'esempio quotidiano: "Siamo noi i primi a doverci accettare. Ai genitori dei compagni dei miei ragazzi spiego subito che sono rom in modo da lasciarli liberi di venire o meno alle feste di compleanno". E quelli vanno.

Guido: "Con la boxe salvo i ragazzi difficili"
A ripensarli adesso i mille round di cui Guido Di Rocco porta i segni sul volto sbieco da pugile sono i pioli della sua scalata sociale.
"Lo sport è stato la mia chance, quella grazie a cui sono riuscito a farmi accettare nonostante fossi rom", racconta Guido, 55 anni portati da campione, passeggiando nella palestra di boxe dove allena una trentina di ragazzi "difficili" del quartiere disagiato di Rancitelli, il Bronx di Pescara.
Anche lui all'inizio tirava pugni di rabbia, ammette mostrando il nome Margherita sul bicipite: "Sono stato in prigione... mi sono tatuato a mano perché allora non c'era mica l'ago... Dopo però tutto è cambiato".

Un paio di foto in bianco e nero appese alle pareti ricordano il passato aureo, gli anni in cui si allenava con il Pescara Calcio. "Ho conosciuto Tom Rosati, Cadè, Angelillo" continua. Per strada era il figlio dello zingaro, in campo dribblava da furetto. Sul ring faceva scintille: "Ho vestito la maglia della nazionale, ho tenuto alto il nome dell'Italia".

Destro dopo destro, Guido ha dimenticato d'essere stato additato come "nomade" da ragazzino e si è sentito italiano. Straitaliano: "Mi dispiace quando si parla male dei rom, ma penso che la gente ha problemi con quelli nuovi, gli stranieri, e se la prende anche con noi che siamo nati qui e non abbiamo mai creato guai".
Squilla il telefono. La voce si addolcisce: è il figlio Moreno, quello che studia medicina all'università di Chieti.

Carmine: "Ora sono l'infermiere migliore"
Mi ricordo quando con mamma, papà e fratelli giravamo con le bighe e i cavalli, ci spostavamo da un paese all'altro seguendo le fiere, era divertente ma appena facevo amicizia con qualcuno dovevo ripartire". Oggi il cinquantunenne Carmine Di Rocco non può allontanarsi da Pescara salvo scatenare le proteste dei pazienti del distretto sanitario di Montesilvano, riluttanti a privarsi dell'infermiere modello. E non conta che Carmine abbia sangue rom: da 20 anni è in prima linea al pronto soccorso, in sala operatoria, tra i tossicodipendenti del Sert.
"Ho studiato al liceo artistico, volevo fare l'architetto", racconta prendendo sulle spalle il piccolo Christian, il minore dei quattro figli. Dopo il corso da infermiere ha archiviato le ambizioni grafiche, riservando l'estro creativo alla batteria, dietro cui trascorre il tempo libero: "Da ragazzo mi è capitato di essere scartato a un colloquio di lavoro per il mio nome, inconfondibilmente rom. Ma da quando indosso il camice non mi sono mai sentito diverso, in ospedale siamo davvero tutti uguali".

Le notizie che arrivano dalla Francia lo rattristano. "Non è accettabile, cacciare quei poveracci è una forma di deportazione". Ma in Italia, dice, riesce a capire la diffidenza: "La cultura rom è cambiata. Una volta c'era un'etica, rubare per mangiare era accettato ma per arricchirsi no. Inoltre era impossibile trovare uno che spacciasse droga". Anche l'integrazione ha un prezzo, per tutti

Gianni: "Il mio cantiere premiato dall'onestà"
Per quanto si sgobbi è difficilissimo scardinare l'immagine del rom a bordo della Bmw scassata", osserva Gianni Bevilacqua e si accende una Marlboro. "Per carità, anche a me piace la Bmw", scherza indicando il duetto parcheggiato accanto alla Mercedes E220 nel cortile della villa a San Vito Chietino, sulla costa adriatica. Ha lavorato 20 anni per diventare l'imprenditore edile che oggi vanta 300 condomini in manutenzione, 60 cantieri, il restauro appena ultimato di una chiesa del vicinato e cinque operai di fiducia, nessuno dei quali in nero. Una personalità nella zona.

Ma non è stato sempre così. L'impresa più faticosa? "Vincere i pregiudizi", risponde senza pensarci. Quella di Gianni, 42 anni, polo arancione e jeans alla moda, è storia vissuta: "Ho avuto un'infanzia da nomade, senza una casa. Mio padre? Faceva il borseggiatore, doveva crescere un mucchio di figli e quando non c'è da mangiare non si può pensare al resto". Lui è venuto su senza guardare indietro, testa alta e rimboccarsi le maniche, la lezione che ripete ai due bambini: "Fatico da quando sono piccolo. Nessuno mi ha mai regalato niente, ho ottenuto fiducia in cambio d'onestà". Per questo racconta la sua esperienza, ma preferisce non essere fotografato: "Entro nelle case, il mio nome è una garanzia. Ma che succederebbe se l'associassero a un volto rom?". Impossibile distinguere la sua da quella dei concittadini. Eppure, chissà: "Sono italiano, un imprenditore italiano".

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Di Fabrizio (del 21/09/2010 @ 08:57:30, in Europa, visitato 3030 volte)

by Paul Polansky

[continua]

Mercy Corps

(immagine da oregonlive.com) Il nuovo quartier generale di Mercy Corps a Portland, Oregon, USA. Non ci sono stati ritardi nel costruire il loro quartier generale.

IL PREMIO PROCRASTINAZIONE: disonora quella OnG di Portland, Oregon, premiata con un contratto di 2,4 milioni di $ nel settembre 2008 per costruire 50 case per le famiglie dei campi zingari e fornire loro cure mediche contro l'avvelenamento da piombo. Ad oggi (17 mesi dopo) Mercy Corps non ha posto ancora un mattone né ha curato nessuna persona, nei termini del loro contratto USAID.

Ci si meraviglia di quanto denaro vada perso. Immediatamente dopo aver ottenuto il loro contratto da USAID, Mercy Corps stabilì un ufficio ed uno staff a tempo pieno, ma non fece niente per gli alloggi e per curare gli zingari dei campi. Naturalmente, Mercy Corps da la colpa alle vittime. L'ultima scusa che ho sentito dall'ufficio di Mercy Corps è stata: "E' difficile lavorare con gli zingari." Ma è ovvio che Mercy Corps non sta correndo per salvare questi esseri umani.

Ho vissuto e lavorato con zingari per quindici anni. Se vuoi fare progetti per i Rom e gli Askali, aiuta conoscere la loro cultura e mentalità. Il Consiglio Rifugiati Danese (DRC ndr) ha lavorato con questi zingari dei campi dal 1999 e ognuno ha potuto imparare dall'altro. Il legame tra loro è stato il migliore che abbia mai visto nei miei dieci anni in Kosovo. Quindi, perché è stata Mercy Corps che non aveva mai lavorato con gli zingari del Kosovo ad aver ottenuto il contratto, e non DRC che pure aveva fatto un'offerta per il progetto?

Naturalmente, non molte OnG e meno di tutte Mercy Corps stanno correndo per salvare questi Rom e Askali che l'ONU ha messo su terreni contaminati circa undici anni fa. Quindi, dov'è la "misericordia" in Mercy Corps (mercy  in inglese significa misericordia ndr). Perché non stanno cercando di essere fedeli al loro nome?

Forse non è solo l'anima umanitaria che fa loro difetto. Forse i loro direttori e staff stanno anche perdendo ingegno e senso comune. Oltre un anno dopo aver ricevuto il loro contratto per costruire 50 case, MC decise di testare il suolo per vedere se potevano costruirci sopra o se anche quello era contaminato. La maggior parte degli architetti controlla il terreno prima di stendere il progetto. Mercy Corps fa sempre le cose col culo? O solo quando si tratta di salvare degli zingari?

A settembre dell'anno scorso visitai gli uffici di Mercy Corps a Mitrovica sud, in quanto ero parte della squadra OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità). OMS aveva recentemente rilasciato un comunicato stampa dove nuovamente chiedeva "l'immediata evacuazione [dei campi] appena fossero stati organizzati i piani di rilocazione".

Il capo regionale dell'OMS chiese al capo di Mercy Corps in Kosovo perché non avevano iniziato le costruzione? E quale fosse il piano medico che dicevano di avere nel progetto?

Anche se si suppone che tutti i progetti USAID sostenuti dai dollari dei contribuenti americani siano trasparenti, Mercy Corps ritiene che ogni cosa nel loro progetto USAID sia un segreto di stato. Cominciare a costruire? Forse a ottobre (intanto siamo già a febbraio e niente è iniziato). Soluzione medica? Sarà rivelata in futuro. Quando? In futuro. Gli zingari dei campi non hanno il diritto a conoscere ciò che li riguarda? In futuro.

Anche se Mercy Corps, KAAD, ACNUR ed il governo del Kosovo hanno promesso ad ogni famiglia di ritorno nel loro vecchio quartiere che sarebbero stati curati dall'avvelenamento da piombo, nessuno è stato curato. Non molto tempo fa un neonato è morto, un anno dopo che i suoi genitori erano tornati nel loro vecchio quartiere. La madre aveva lasciato Osterode con alti livelli di avvelenamento da piombo. Non venne curata, come invece le era stato promesso alla partenza. Il neonato è morto, come la maggior parte dei bambini avvelenati da piombo nell'utero.

Quindi, chi sta facendo qualcosa per salvare queste persone? Sono persone, non è così? Forse dovremmo chiedere a Mercy Corps di definirsi. Con le loro azioni. Di sicuro MC pensa che non ci sia nessuna urgenza di salvarli. Forse Mercy Corps pensa che non valga la pena salvare degli zingari musulmani.

Quante scuse si devono aspettare prima che qualcuno interrompa questo gioco di insensibile compiacenza? Oppure Mercy Corps sta cercando di vedere quanti zingari moriranno intanto che loro aspettano? Naturalmente, se aspettano abbastanza non ci saranno più zingari da salvare. Ciò significa che Mercy Corps può intascarsi i soldi e richiederne sempre più?

ULTIME NOTIZIE: L'Unione Europea ha appena annunciato che finanzierà altre 90 case cosicché tutti gli zingari dei campi possano risistemarsi. Whoops! La UE ha anche annunciato che Mercy Corps ha ottenuto l'incarico pure per queste 90 case.

ULTIMISSIME NOTIZIE: Mercy Corps ha appena confermato che il loro nuovo partner di sviluppo per queste 140 case sarà KAAD (che non può permettersi di spendere sette euro al giorno per salvare due bambini zingari che stanno morendo)!


Patricia N. Waring-Ripley

(immagine da saputnik.net)

IL PREMIO LACRIME DA COCCODRILLO: disonora quell'incaricata ONU incaricata nel 2005 di "evacuare" gli zingari di Mitrovica dai loro campi tossici. Dopo aver preso ufficio come vice SRSG, questa signora canadese pianse davanti alle telecamere della televisione, proclamando che nessuno zingaro dei campi sarebbe morto sotto il suo sguardo. Ne sono morti ventinove.

Quando intervistai Patricia Waring nel 2006 con un ex giornalista della TV canadese, Waring non smetteva di raccontare come avesse salvato le vite di circa 1.200 Albanesi dal villaggio di Hade all'aeroporto di Pristina. Anche se le loro case mostravano crepe per le gallerie delle miniere sotto il loro villaggio, nessuno voleva lasciare la propria terra ancestrale. Nessuno era stato offeso. Ma Waring era determinata a salvarli. Quando si rifiutarono di andarsene, ordinò ai poliziotti dell'ONU di portarli via forzatamente. Furono mandati a Pristina dove erano stati affittati per loro degli appartamenti. Più tardi Waring offrì loro l'opzione che il governo del Kosovo costruisse loro una casa nuova in un altro villaggio, o che ogni famiglia ricevesse 45.000 euro per trovare da sé una soluzione. Waring era così orgogliosa di questa storia che pianse per diversi minuti di fronte alla nostra videocamera.

Waring smise di piangere quando le chiesi perché non avesse fatto la stessa offerta ai nostri zingari nei campi le cui vite erano davvero in pericolo. C'erano soltanto 600 zingari in fuga dalle devastazioni dell'avvelenamento da piombo, così sarebbe costato solo la metà di quanto aveva pagato per "salvare gli Albs".

Waring rifiutò di rispondere. Mi guardò come se fossi proprio naif. Allora le chiesi come intendeva salvare i nostri Rom ed Askali (non c'erano Egizi nei campi). Disse che aveva da leggere molto prima di poter affrontare la questione. Le diedi una copia del mio libro, UN-Leaded Blood. Scosse la testa come se non fosse nella sua lista.

L'offerta di Waring per salvare i nostri zingari risultò di spostarli da due campi inquinati da piombo in quello che chiamo un campo "libero da piombo" dove potessero essere curati con medicine pagate dall'Ufficio USA (e poi dall'ambasciata USA) a Pristina. Sfortunatamente, non prevalse il buon senso. Il suo campo "libero da piombo" era l'ex base francese chiamata Osterode, che i Francesi avevano abbandonato a causa della contaminazione da piombo.

Poco prima di lasciare il Kosovo, a Waring venne chiesto quale fosse il suo più importante successo nella sua posizione ONU. Dichiarò: "...il mio più grande privilegio è stato di lavorare con la squadra che ha accelerato la chiusura dei campi rom contaminati a Mitrovica." Ci sono voluti sette anni per chiudere due dei campi; due sono ancora aperti.

Patricia N. Waring-Ripley lasciò il Kosovo nel 2007. Il suo contratto come capo dell'Amministrazione Civile in Kosovo non venne rinnovato, dopo che spedì lettere alla polizia ONU del Kosovo ordinando di riferirle di ogni attacco cono le minoranze. Si ritirò ad Halifax, NS, Canada, ad insegnare a cucinare.

Fine quattordicesima puntata

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Di Fabrizio (del 21/09/2010 @ 09:25:49, in Regole, visitato 1613 volte)

venerdì 17 settembre 2010 14:59

MILANO (Reuters) - E' stata rinviata al 5 novembre al Tribunale Civile di Milano l'udienza davanti ai giudici civili sul censimento nomadi del 2008, che potrebbe sfociare in un caso da sottoporre all'esame della Corte di Giustizia Ue del Lussemburgo, per violazione della normativa europea sulla discriminazione etnica.

Lo hanno riferito fonti legali.

Oggi è stato sentito dal giudice un teste, Andrea Ansaldi, che fa parte del Centro europeo per i diritti dei Rom, il quale ha spiegato le modalità con cui sono stati effettuati i censimenti a Milano nel 2008.

Era presente anche il professor Valerio Onida, per l'Ong americana Open Society Justice Initiative, il quale poi ha spiegato al termine dell'udienza che il 5 novembre ci sarà la discussione della causa e, se il giudice lo riterrà opportuno, potrà investire la Corte europea del Lussemburgo per valutare se sia stato violato il principio antidiscriminatorio.

Anche l'Italia potrebbe dunque dover riferire alla Corte europea circa le sue politiche riguardanti i Rom.

Dopo le dichiarazioni dei giorni scorsi del Commissario ai diritti umani Viviane Reding, che preannunciano l'apertura di una procedura d'infrazione contro la Francia sulle espulsioni di Rom rumeni, la violazione delle norme comunitarie in materia di non discriminazione e protezione dei dati personali sarà dunque invocata dai ricorrenti riguardo al censimento nomadi voluto da ministro dell'Interno Roberto Maroni.

Nella loro richiesta di verifica della conformità dei decreti emergenza nomadi del 2008 con il diritto europeo, gli 11 ricorrenti Rom coinvolti nel processo Omerovic, tra cui Mujo Omerovic, un sopravvissuto all'Olocausto e l'artista rom-milanese Dijana Pavlovic, sono sostenuti dall'Associazione Studi Giuridici sull'Immigrazione, dal Naga e dalla ong americana Open Society Justice Initiative.

Dieci su 11 dei ricorrenti del caso Omerovic sono residenti del campo Rom autorizzato di Triboniano, recentemente minacciato di chiusura dalle autorità milanesi perché occupa un'area destinata alla Expo 2015.

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Di Fabrizio (del 22/09/2010 @ 09:36:40, in blog, visitato 1367 volte)

Ricevo e porto a conoscenza

Cari amici,
dopo due anni di onorato servizio, Reterom cambia veste e diventa wiki.

L'eredità di Reterom d'ora in poi sarà raccolta da Wikirom.org per dare vita ad un network aperto e partecipato su quanto accade dentro e fuori dal mondo Rom e Sinto.

Lo scopo del progetto Wikirom è quello di raccogliere e diffondere le informazioni, le idee e le questioni di quanti appartengono, lavorano o vorrebbero conoscere l'universo di Rom e Sinti.
Il tutto con una metodologia ed una filosofia wiki, ossia aperta a chiunque voglia partecipare.

  • Promuovere eventi e iniziative
  • Segnalare notizie e video
  • Proporre idee e discussioni

Da oggi chiunque potrà pubblicare testi, video e contenuti sulle pagine di Wikirom:

Vuoi partecipare al network di Wikirom?
Entra sul sito, alla pagina "Partecipa a Wikirom", e scegli come partecipare.

Per qualsiasi richiesta o commento, scrivici all'indirizzo wikirom.info@gmail.com

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Di Fabrizio (del 22/09/2010 @ 09:52:55, in Italia, visitato 1739 volte)

La Nuova Sardegna

"Se torniamo in Bosnia ci uccideranno"
Preoccupazione tra le cinquanta famiglie che vivono in Riviera. Le prime arrivarono 35 anni fa, ora temono lo sgombero: "Berlusconi non può condannarci a morte"
di Nadia Cossu

ALGHERO
. Porta di corsa il giornale al marito: "Vedi? C'è scritto che Berlusconi è d'accordo con Sarkozy". I rom di Alghero hanno paura. Anzi: sono terrorizzati. "Se ci rimanderanno in Bosnia verremo ammazzati dai nostri stessi conterranei". Lo smantellamento dei campi irregolari annunciato dal governo francese preoccupa molto Jadranca e i suoi figli. Si sono già riuniti, hanno parlato tutti assieme, ieri, non appena in tv hanno sentito la notizia.

"Viviamo qui ad Alghero da 35 anni, siamo cittadini italiani e se anche noi, come i francesi, venissimo rimpatriati sarebbe una condanna a morte". Jadranca Sulemanovic, 45 anni, e suo figlio Davide, di 27, lo dicono chiaramente: "In Bosnia Erzegovina c'è molto razzismo, saremmo considerati come quelli che tornano dopo esser fuggiti quando il paese era in guerra. Ci farebbero fuori".

Ecco perché, comprensibilmente, l'angoscia cresce. Temono che il presidente Berlusconi si allinei alla politica del collega dell'Eliseo. E che il giro di vite contro rom e nomadi avviato in Francia, prima o poi arrivi anche in Italia. "Sarebbe un'assurdità, non possono farci questo. Ci tratterebbero come profughi".

Cinquanta famiglie, moltissimi bambini nel campo dell'Arenosu, a pochi chilometri da Fertilia. La diffidenza iniziale verso chi entra nel campo e si avvicina alle loro case svanisce quasi subito: "I nostri figli parlano italiano, non sanno una parola di slavo. Abbiamo la pediatra qui ad Alghero che segue i bambini da sempre, qualcuno ci aiuta tanto, altri ci considerano ladri e ci tengono a distanza ma tutto sommato stiamo bene qui". Davide ha avuto il quarto figlio tre giorni fa e il suo desiderio in questo momento è uno soltanto: "Trovare un lavoro". Si è rivolto al Comune ma per il momento è disoccupato. Ormai la Riviera del Corallo è casa loro e non vogliono andare via. "Quando arrivammo qui ad Alghero 35 anni fa - racconta Jadranca - eravamo tre famiglie, poi siamo cresciuti giorno dopo giorno e oggi in questo campo siamo una cinquantina di nuclei".

Lei, 45 anni, è fiera quando sottolinea: "I miei figli sono nati in Italia e sono italiani". Nove in tutto, distribuiti tra Cagliari, Olbia e Alghero. L'attaccamento alla Sardegna è forte e la sola idea di dover fare i bagagli su decisione del governo nazionale fa venir loro i brividi. "Mi può leggere a voce alta l'articolo del giornale?" chiede a un certo punto preoccupata la donna. Ha problemi di vista e tanta voglia di sapere. Quel passaggio in cui c'è scritto che il premier Silvio Berlusconi si è schierato con i francesi dicendo che l'Europa deve occuparsi subito della "questione rom", cattura l'attenzione. Porta il giornale al marito, seduto su una sedia, un po' defilato rispetto al resto della famiglia. Perché anche lui legga e si renda conto che le preoccupazioni delle donne non sono campate in aria. "È vero che ci sono molti nomadi che rubano, delinquenti. Ma non siamo tutti così e non è giusto che mandino via anche le persone oneste e ben integrate".

I piccoli vanno tutti a scuola o all'asilo. Una delle bambine gira per il campo con lo zainetto sulle spalle. "Non se lo toglie mai", dice la mamma con il sorriso. Alla sua età altri bambini stringerebbero tra le braccia le bambole. Lei no: ad accompagnarla nelle corse tra le macchine e le casupole del campo è solo una borsa con le penne e i quaderni dentro. "Oggi era il suo primo giorno di scuola e da stamattina non ha lasciato lo zainetto un solo istante".

Cosa direbbero al presidente Berlusconi? C'è un po' di pudore nel rispondere. Ai rom il premier sta simpatico. "Speriamo solo che non faccia come Sarkozy - azzarda alla fine Davide - Per noi sarebbe la rovina tornare in Bosnia". Poi non manca l'appello al comune di Alghero: "Quando ci daranno una nuova area? Avevano promesso uno spazio più decente e invece ci troviamo ancora in questa situazione". Di inaccettabile degrado.

(18 settembre 2010)

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Di Fabrizio (del 23/09/2010 @ 09:03:23, in Kumpanija, visitato 3058 volte)

Un gradito ritorno!

Giovedì 30 settembre alle ore 21.00

L'Associazione La Conta in collaborazione con Mahalla - Rom e Sinti in tutto il mondo, organizza un incontro con

Paul Polansky

Presso il Circolo ARCI Martiri di Turro - Via Rovetta 14 a Milano, ingresso gratuito con tessera Arci

Paul Polansky è nato a Mason City, Iowa, nel 1942. Poeta, fotografo, antropologo, operatore culturale e sociale, è diventato negli anni un personaggio importantissimo per il suo impegno a favore delle popolazioni Rom. Le sue poesie descrivono le atrocità commesse da cechi, slovacchi, albanesi ed altri contro quelle popolazioni. Ha anche svolto studi accurati sui campi di concentramento nazisti, in particolare quello ceco di Lety, nei quali venivano trucidate, insieme a quelle ebraiche, intere comunità Rom. E' stato il primo a presentare al mondo il dramma dei rifugiati del Kosovo, lasciati morire nei campi di accoglienza avvelenati dal piombo. Ha pubblicato diversi libri, realizzato esposizioni fotografiche e film video.

ALLA FINE

"Alla fine,
tutti
scapperanno dal
Kosovo", mi
disse la zingara
chiromante.

"Anche Dio"

Poesia di Paul Polansky innalzata sui cartelli di una manifestazione di Rom del Kosovo in Germania

L'appuntamento su Facebook

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