Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 15/05/2013 @ 09:04:26, in Italia, visitato 1697 volte)

Da Sinti Italiani in viaggio per il Diritto e la Cultura

CONFERENZA STAMPA DI PRESENTAZIONE DELL'EVENTO:
22 MAGGIO ALLE ORE 12.00 A PALAZZO MARINO

SALUTI ISTITUZIONALI, PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO SPOT: MODERA DAVID MESSINA. DIRETTORE GENERALE UNAR CONS. MARCO DE GIORGI - COMUNE DI MILANO ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI E CULTURA DELLA SALUTE PIER FRANCESCO MAIORINO - ASSESSORE ALLA SICUREZZA E COESIONE SOCIALE, POLIZIA LOCALE, PROTEZIONE CIVILE, VOLONTARIATO MARCO GRANELLI - PRESIDENTE PROV.LE ACLI MILANO PAOLO PETRACCA - DIRETTORE CARITAS AMBROSIANA MONS. ROBERTO D'AVANZO - INTERVENTI PRESIDENTI ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI ITALIANE: DAVIDE CASADIO E DIJANA PAVLOVIC FEDERAZIONE ROM E SINTI INSIEME - VOJKAN STOJANOVIC FEDERAZIONE ROMANI' - RADAMES GABRIELLI ASSOCIAZIONE NEVO DROM - SANTINO SPINELLI FEDERARTE ROM - OSPITI D'ECCEZIONE MARCO FERRADINI, MASSIMO PRIVIERO E IL REGISTA DEL FILM "MIRACOLO ALLA SCALA" CLAUDIO BERNIERI.

23 MAGGIO 2013 MATTINA
CAMPAGNA DOSTA! PRESSO OFFICINE CREATIVE ANSALDO.

  • ORE 10.30 - PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO SPOT. APERTURA ISTITUZIONALE EVENTO MODERA DAVID MESSINA: DIRETTORE GENERALE UNAR CONS. MARCO DE GIORGI - COMUNE DI MILANO ASSESSORE ALLE POLITICHE SOCIALI E CULTURA DELLA SALUTE PIER FRANCESCO MAIORINO - ASSESSORE ALLA SICUREZZA E COESIONE SOCIALE, POLIZIA LOCALE, PROTEZIONE CIVILE, VOLONTARIATO MARCO GRANELLI - PRESIDENTE PROV.LE ACLI MILANO PAOLO PETRACCA - DIRETTORE CARITAS AMBROSIANA MONS. ROBERTO D'AVANZO - INTERVENTI PRESIDENTI ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI ITALIANE: DAVIDE CASADIO E DIJANA PAVLOVIC FEDERAZIONE ROM E SINTI INSIEME - VOJKAN STOJANOVIC FEDERAZIONE ROMANI' - RADAMES GABRIELLI ASSOCIAZIONE NEVO DROM - SANTINO SPINELLI FEDERARTE ROM.
    - "MIRACOLO ALLA SCALA" CON MUSICHE DEL GRUPPO SINTO "THE GIPSYES VAGANES" - A SEGUIRE DIBATTITO CON GLI ALUNNI DELLE SCUOLE E GLI STUDENTI UNIVERSITARI PARTECIPANTI ALLA PRESENZA DEI SEGUENTI OSPITI PROTAGONISTI DEL FILM: IL REGISTA CLAUDIO BERNIERI; LA PROTAGONSITA DEL FILM LOREDANA BADEANU; DAVIDE PARENZO - CONDUTTORE DE "LA ZANZARA" RADIO 24 (da confermare); ROSSELLA CICERO - DELLA SCUOLA DI DANZA DI FLAMENCO DELLA SCALA DI MILANO; IL GRUPPO MUSICALE ROM "UNZA".
  • ORE 13.30 - CHIUSURA EVENTO

23 MAGGIO POMERIGGIO
CAMPAGNA DOSTA! PRESSO OFFICINE CREATIVE ANSALDO.

  • ORE 16.00 - PRESENTAZIONE CAMPAGNA DOSTA! E PROIEZIONE DELLO SPOT; INTERVENTI DI SALUTO DEI RAPPRESENTANTI DELLE ASSOCIAZIONI E FEDERAZIONI ROM E SINTI, MODERA MARCO LIVIA.
    ORE 1630 - APERTURA EVENTO MUSICALE A CURA DEL GRUPPO SINTO "THE GIPSYES VAGANES"
  • ORE 18.00 - SFILATA DI MODA ROM CON MUSICHE ROMANI' A CURA DI JOVICA JOVIC MAESTRO BAL VAL E LETTURE DI POESIE A CURA DI DIJANA PAVLOVIC.
  • ORE ORE 19.00 - APERIROM, APERITIVO A BUFFET CON PRODOTTI TIPICI DELLE COMUNITA' ROM E SINTI, INTERVENTI MUSICALI A CURA DI MARCO FERRADINI E MASSIMO PRIVIERO, IL VIOLINISTA EDUARD ION E JOVICA JOVIC PRESENTAZIONE DEL LIBRO "BUTTATI GIU' ZINGARO" DI ROGER REPPLINGER CON LA PRESENZA DELL'AUTORE E DEL PUGILE ROM MICHELE DI ROCCO. IL LIBRO RACCONTA LA STORIA DI JOHANN TROLLMANN, PUGILE SINTO, CHIAMATO IL PUGILE DANZANTE PER IL SUO STILE CHE VENNE PRIVATO DAI NAZISTI DEL TITOLO DI CAMPIONE E UCCISO IN UN CAMPO DI CONCENTRAMENTO.
  • ORE 20.30 - CHIUSURA Campagna Dosta!
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Di Fabrizio (del 14/05/2013 @ 09:02:49, in lavoro, visitato 1045 volte)

Da Hungarian_Roma

Politics.hu - Orban guarda ai Rom come una "risorsa nascosta" per l'economia ungherese - by MTI (Magyar Tàvirati Iroda)

Martedì il primo ministro ha detto che il governo considera i Rom d'Ungheria una "risorsa nascosta" e non un problema.

Mentre la maggioranza dei partiti vede i Rom come fossero un problema, il governo vede la comunità come "un'opportunità", un potenziale inesplorato per l'economia del paese, ha detto Viktor Orban alla sessione del Consiglio degli Affari Rom a Budapest.

"Per cui, per noi non è soltanto una questione di diritti umani, come i Rom vivano in Ungheria, ma anche una sfida economica e sociale," ha detto.

Ha aggiunto che non devono considerarsi secondari né gli aspetti dei diritti umani, né quelli sociali o economici.

Orban ha definito molto importanti le opportunità d'impiego per i Rom, notando che lo schema di avviamento lavorativo del governo è più uno strumento che una meta. Parlando nel contesto del quadro strategico per i Rom europei, Orban ha notato che l'Ungheria si è impegnata a sollevare mezzo milione di persone dalla povertà e ha anche sottolineato l'accordo quadro siglato tra il governo e l'Auto-Governo Rom Nazionale (ORO), per creare 100.000 posti di lavoro per i Rom entro il 2015.

Ha detto che istruzione per i Rom, e permettere loro di preservare la propria cultura è ugualmente importante.

Ha sottolineato: "E' nostro desiderio, scopo e programma assicurare che i Rom di Ungheria possano trovare il loro posto nel futuro dell'Ungheria."

Rivolgendosi agli intervenuti,il ministro alle risorse umane, Zoltan Balog, ha notato che l'Ungheria ha incluso nella strategia rom la sicurezza pubblica e la cultura come aree ulteriori, accanto all'impiego, all'istruzione, all'assistenza sanitaria e all'alloggio. Tra i risultati raggiunti sinora, ha elencato l'impiego dei Rom nell'ambito del regime dei lavori pubblici, nuove borse di studio, formazione sull'applicazione delle leggi ed eliminazione delle baraccopoli.

Florian Farkas, capo dell'Auto-Governo Rom Nazionale, ha detto che sinora 54.000 Rom sono stati inclusi nello schema governativo di opere pubbliche.

Alla riunione hanno partecipato i ministri degli interni e dell'economia nazionale, ed anche il capo ufficio del primo ministro.

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Frontierenews | 10 MAGGIO 2013

E' notizia di questi giorni che la Corte Suprema della Cassazione ha sancito definitivamente la fine del periodo di "emergenza nomadi" che ha generato le schedature (anche dei minori), la costruzione di campi rom, gli sgomberi forzati ecc.

Abbiamo intervistato Emil Costache, romeno di origine rom che vive in uno dei campi della Capitale, per comprendere quali sono le conseguenze concrete di questa sentenza e approfondire la conoscenza della vita nei campi rom.

Emil, mediatore culturale ed educatore, potrebbe essere definito un "nomade" soltanto perché per diversi anni ha girato l'Europa in cerca di lavoro, prima di stabilirsi in Italia, 13 anni fa. In Romania e in altri Paesi dove è vissuto precedentemente, faceva una vita da stanziale, aveva un lavoro e una casa. Intervista di Simona Hristian

Cosa significa concretamente questa sentenza per i rom? Quale cambiamento porterà, secondo te?
Dichiarare lo stato d'emergenza in un Paese europeo nel XXI secolo dove vivono 150mila rom (dei quali più della metà lavora, abita in case e non fa parte di alcun programma di assistenza sociale) non ha portato nessun cambiamento né ai rom, né alle istituzioni e neanche agli Italiani. E' stata solamente una manovra politica che non ha fatto né bene, né male. Così come questa sentenza non porterà dei cambiamenti. Si continuerà a vivere da esclusi. Un decreto di emergenza viene emesso solo in caso di calamità naturale, di una malattia contagiosa ecc. invece l'emergenza rom esiste da mille anni e durerà per ancora molto tempo.

Tu vivi in un campo rom a Roma mentre i tuoi fratelli che abitano a Bologna, vivono in una casa. Come spieghi questa differenza tra le varie zone d'Italia?
A Roma, come in altre grandi città italiane, la politica che riguarda i rom è fondata sulla premessa che i rom siano nomadi, ma la realtà è diversa. Sia prima di arrivare in Italia che dopo aver avuto l'opportunità di uscire dal campo, i rom vivono da stanziali. A Roma ci sono famiglie che hanno affittato delle case, ma per poter fare questa scelta devi avere lavoro. Inoltre, devi rinunciare alla tua appartenenza e presentarti come romeno per non avere dei problemi. Devi rinunciare ad ascoltare la musica rom, di indossare i vestiti tradizionali e molte volte non basta. Ad esempio, anni fa quando avevo uno stipendio, ho trovato un appartamento, ma i vicini si sono opposti quando hanno saputo le nostre origini e siamo dovuti ritornare al campo. Invece, i miei fratelli vivono a Bologna, lavorano come autisti e abitano in appartamenti. Il Comune li ha sostenuti per un periodo per poter pagare l'affitto e poi sono stati messi in condizione di poter provvedere da soli. Nelle città più piccole, i comuni investono sull'inserimento dei rom nel tessuto sociale, mentre nelle grandi città, i fondi vengono dati alle associazioni che gestiscono i campi rom. Inoltre, i miei fratelli non hanno avuto problemi per trovare lavoro, nonostante la loro origine, perché a Bologna guardano soltanto la motivazione per il lavoro.

Come si vive in un campo rom? Quali sono gli aspetti positivi e quali quelli problematici?
Nel campo dove vivo manca l'acqua potabile da circa un anno, nonostante sia un campo autorizzato per il quale il Comune di Roma paga un affitto. Per il mio camper si spendono circa 1900 € e ogni mese io pago 50€ per l'elettricità al gestore che dovrebbe mettere a disposizione tutto il necessario. Succede invece che i ritardi nel pagamento da parte del Comune o altri problemi si ripercuotono sulle condizioni di vita degli abitanti del campo, di cui la maggioranza sono bambini. Con questi soldi si potrebbero pagare tre affitti: uno per la famiglia rom e due per le famiglie italiane. Sarebbe anche un modo di integrarsi, di socializzare con la popolazione italiana mentre adesso viviamo in un ghetto, isolati dal resto della società. Però non tutti i campi sono situati in zone marginali, così come la gestione è diversa da un campo all'altro. Alcuni gestori responsabilizzano i rom ospitati, coinvolgendoli nella gestione, ma esistono anche campi dove l'organizzazione e le condizioni non permettono l'autonomia e la responsabilizzazione dei rom. Per esempio, non possiamo portare personalmente i nostri figli a scuola. L'accompagnamento dei bambini a scuola con il bus toglie l'opportunità ai genitori di svolgere il loro ruolo e di relazionarsi con la scuola, con gli insegnanti, dato che sono gli operatori del campo a farlo al loro posto. Nei piccoli paesi e nelle cittadine dove i rom sono inseriti nel tessuto sociale, la situazione è diversa. Sono i genitori a curarsi degli aspetti pratici, burocratici ecc.

Tu li chiami ghetti ma la maggioranza delle persone pensa che siano luoghi adatti al modo di vivere rom.
Nel campo dove vivo non si può entrare senza una liberatoria del Comune di Roma e non c'è neanche la possibilità di ricevere visite (neanche i famigliari), mentre in alcuni campi ci sono degli orari quando è possibile ricevere ospiti. C'è un controllo all'ingresso del campo, dove l'ospite si presenta nell'orario di visita e chi lo ospita deve venire a firmare per conferma. La maggior parte dei rom vorrebbe uscire dal campo, ma ci sono anche dei rom a cui conviene vivere lì. Purtroppo per lasciare il campo devi avere un lavoro che ti permetta di pagare l'affitto.

Nell'immaginario collettivo, i rom stanno in questi campi sporchi che non puliscono, non lavorano, vanno a chiedere elemosina o a rubare. Come si svolge la tua giornata tipo?
Nei campi vivono tutti i tipi di persone, ci sono anche quelli che rubano o che non lavorano, ma la maggioranza dei rom lavora, svolgono soprattutto l'attività di raccolta del ferro vecchio. Ultimamente, è nato un problema burocratico dovuto al fatto che una direttiva europea impedisce la raccolta di ferro senza il permesso della Regione e senza avere una cooperativa. La licenza per la raccolta del ferro viene data soltanto a 20 persone all'anno. Io mi alzo alle 6 o alle 7, in base alla giornata e al programma che ho. Lavoro anche nel fine settimana perché il lavoro precario di mediatore non mi permette di mantenere la famiglia e, per arrotondare, lavoro come giardiniere.

Molti pensano che i rom non vogliono mandare i figli a scuola. Tu lavori nel progetto di scolarizzazione, qual è la tua opinione?
Il progetto è iniziato 25 anni fa e pochissimi ragazzi arrivano a fare le superiori, al massimo le scuole professionali. Come si fa a continuare un progetto quando i risultati sono questi?

Secondo te, a cosa è dovuto questo fallimento?
Il progetto è sbagliato. Ci sono gli operatori che fanno tutto, negando così la genitorialità. Le responsabilità sono attribuibili alle istituzioni che hanno sempre fatto dei progetti senza considerare i bisogni e le esigenze dei rom. Non c'è una progettazione a lungo termine. Non si considera la possibilità di formare i rom in modo di trovare un lavoro che gli permetta di lasciare il campo. Basterebbe aiutarli a trovare un lavoro perché dopo penserebbero da soli a trovare casa e a gestirsi da soli. Poi c'è il fatto che i bambini non hanno la possibilità di inserirsi a scuola, arrivando sempre in ritardo e uscendo prima, non hanno modo di socializzare con i compagni. Dopo la scuola stanno insieme agli altri rom, non possono uscire o giocare insieme ai loro compagni di scuola perché i campi sono lontani dai centri abitati. Non possono neanche fare i compiti con gli altri bambini del campo perché non si possono riunire in una roulotte dove vivono 8-10 persone. Ci sono tante difficoltà. Quindi sono visti come diversi, sono messi in fondo alla classe e abbandonati a loro stessi. Molti non sanno né leggere né scrivere; arrivano alle medie senza conoscere neanche le tabelline. I compagni quindi li emarginano e li temono. Alla fine rinunciano, finite le medie. Si disperdono perché non si sentono appoggiati e rinunciano. Inoltre, le donne si sposano presto.

Perché le donne si sposano presto?
Ti faccio l'esempio della mia famiglia: mia figlia grande - che è cresciuta in Romania e Francia - si è sposata tardi, invece la piccola - che è cresciuta nel campo - è scappata a 15 anni con un ragazzo, nonostante fosse brava a scuola e conoscesse tante lingue. Nel campo si subisce l'influenza della tradizione.

Quale sarebbe la soluzione?
Da una parte la cultura, l'educazione e dall'altra uscire dal campo, trovando la casa e il lavoro. Altre soluzioni non esistono. Con l'aiuto delle associazioni italiane e rom, prima o poi troveremo le soluzioni.

In futuro dove ti vedi?
In una casa, facendo una vita normale. Non rimarrò nel campo. Probabilmente tornerò in Romania, ma anche se rimarrò qui, starò in una casa e avrò un lavoro.

Grazie! Nais!

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Di Fabrizio (del 12/05/2013 @ 09:09:45, in blog, visitato 1870 volte)

Leggevo un articolo di Valeriu Nicolae (interessante come sempre, purtroppo non ho tempo per tradurlo). Tra la situazione rumena e quella italiana ci sono naturalmente grosse differenze, ma anche similitudini, che vale la pena di approfondire. Il pezzo inizia così:

    "Ritengo che l'effetto più perverso del razzismo non sia la disumanizzazione né la violenza (entrambe sono difatti punite dalle leggi di molti paesi), ma l'abbandono collettivo, a volte parziale e altre completo, delle nostre auto-percepite (superiori alla media) moralità ed etica in favore del pregiudizio"...

Pezzo interessante, dicevo, e da qua vorrei partire per ulteriori ragionamenti. Quello che noi "gagé antirazzisti" abbiamo sempre denunciato è il razzismo che percepiamo nel nostro intorno, il motivo della denuncia può essere morale, solidale, politico... fa parte comunque dei nostri codici.

L'esperienza mi ha insegnato, e possiamo trovarlo anche in molti casi descritti, è che il razzismo influisce sulla vittima (che non sempre condivide i nostri codici e la nostra cultura), non solo con la violenza diretta e indiretta, ma spesso (non sempre) anche nell'auto-percezione che la vittima ha di sé come persona e come parte di una comunità.

La persona volonterosa quindi, che faccia parte di una maggioranza o di una minoranza, quando intende operare in senso antirazzista, non può limitarsi a contrastare i razzisti, ma finisce per confrontarsi con gruppi discriminati, che finiscono per ritenere la discriminazione verso di loro come una cosa normale e perpetuabile. Così da parte di questi gruppi si mettono in moto meccanismi di difesa che per "la nostra cultura" sono deleteri o inaccettabili: dal giustificare il furto come una forma di rivalsa sociale, all'accettare di vivere di assistenza e carità.

C'è chi tra di noi accetta questo tipo di atteggiamenti, che non hanno niente di culturale o di immutabile, e chi li contrasta. In tutti e due i casi, il problema rimane quello del SUPERARLI, come precondizione perché la minoranza venga percepita come composta da cittadini come tutti gli altri, con PARI DIRITTI e DOVERI.

    (Mi rendo conto che sono ragionamenti "tagliati con l'accetta"... e pure teorici, cioè tutti da approfondire)

Il superamento non è mai facile ma, checché se ne dica, è altrettanto inevitabile. Sempre sulla base della mia esperienza, non ci sono casi immutabili. La questione, come in ogni ambito politico, è verso dove andrà questo superamento, e quale potrà essere la sintesi di voci e obiettivi che quasi mai concordano in partenza, nonostante tutte le dichiarazioni di buona volontà. Ad esempio: obiettivo di una maggioranza è l'INTEGRAZIONE della minoranza, che a sua volta cercherà di mantenere spazi di autonomia, che talvolta servono a ripetere i meccanismi di gestione e potere già propri della maggioranza. Il fatto è che il concetto stesso di INTEGRAZIONE presuppone un modello precedente a cui conformarsi (si presume, da parte dei più deboli), mentre lo scopo dovrebbe essere che le due parti lavorino, oltre che per l'ovvio loro interesse economico, per creare un equilibrio più avanzato rispetto ai modelli precedenti.

Per ottenere questo risultato, il lavoro comune i tutte le parti è INDISPENSABILE, altrimenti il massimo a cui si può aspirare è un'INTEGRAZIONE IMPOSTA. Ma, cosa significa operare ASSIEME, soprattutto quali meccanismi di delega e decisionali competono alla parte minoritaria, che non sempre è coesa o immune da meccanismi di sfruttamento tra gruppi? Basta coinvolgere alcuni settori, quelli probabilmente più disposti a collaborare e a cogliere gli effetti della collaborazione?

Si da il caso che questi settori siano anche quelli che hanno maggior istruzione, maggiore autonomia sociale ed economica, siano quindi già INTEGRATI o quasi. Ma che riconoscimento potranno avere nelle fasce più deprivate di quanti pretendono di rappresentare?

    (Notate come partendo dal razzismo, si arrivi a ragionare sui meccanismi che governano le maggioranze stesse?)

Allora: "... rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando, di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del paese.", cioè, nient'altro che la nostra storia e le nostre migliori tradizioni. Ma, a chi si riferisce quel testo glorioso? A noi, a un popolo singolo, o dobbiamo considerarlo come una MISSIONE universale? E, se così fosse, siamo missionari?

E qua, si torna al punto iniziale. C'è un filo che unisce il razzismo violento o disumanizzante, alla perdita dell'auto-percezione. Se il razzismo crea quel legame, l'antirazzista può brancolare nei miei confusi ragionamenti, oppure può scoprire che il razzismo crea le condizioni ottimali per fare dell'antirazzismo un'impresa: cioè limitarsi a fornire aiuto, assistenza, mantenendo comunque le cause e le condizioni dell'attuale disparità. Ovviamente, sarà più facile impostare un rapporto tra padrone-illuminato e sfruttato-senza storia, la comunicazione non potrà che essere unidirezionale. Il soggetto dell'aiuto potrà migliorare, ma non potrà mai trovarsi ad un livello paritario. Dal punto di vista economico: una specie di COLONIANISMO BUONO, con la controindicazione di avere (percentualmente) gli stessi costi, ma rendite assolutamente inferiori a quei tempi di schiavismi e cannoniere. Per cui, la MISSIONE si perde, rimane la giustificazione economica: chiedere soldi in nome di una carità che serve a pagare dipendenti, progetti, specialisti di ogni genere, affitti, spese di gestione... o al limite qualche comparsata sui media.

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Di Sucar Drom (del 11/05/2013 @ 09:07:14, in Regole, visitato 2095 volte)

Da Sinti Italiani in viaggio per il Diritto e la Cultura

Energia elettrica: tornano i contratti a forfait, l'Autorità per l'energia

In queste ore abbiamo verificato che molti gestori, a partire dall'ENEL, non si sono ancora adeguati alle nuove disposizioni e per questo li invitiamo al rispetto della Delibera 38/2012. Sinti Italiani ha attivato uno sportello segnalazioni. Mobile: 334-25.11.887

Ci preme ringraziare il Presidente dell'Autorità e tutto lo Staff della Direzione Tariffe, a partire dal Direttore, per la serietà con cui hanno affrontato la materia e per la loro la capacità di ascolto dimostrata in questi mesi.

L'Autorità per l'energia e per il gas con Delibera 38/2012 ha sospeso la Delibera 67/2010 che abrogava la possibilità di stipulare contratti a forfait a favore delle famiglie sinte, rom, giostraie e circensi.

Per informazioni! sportello segnalazioni. Mobile: 334-25.11.887 Davide Casadio.

Piazza Cavour, 5
20121 Milano
info@autorita.energia.it
tel. 02655651
fax 0265565266

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Di Fabrizio (del 10/05/2013 @ 09:03:46, in Europa, visitato 1534 volte)

Emil Schuka con Vaclav Havel. (Photo: Romano vod'i 4/2013)
Emil Schuka: Manchiamo di un concetto unificante - Prague, 3.5.2013 19:13, (Romano vod'i) Adéla Galova, translated by Gwendolyn Albert

Dal teatro ai diritti

Emil Schuka è uno dei politici romanì più famosi nella Repubblica Ceca. Si è laureato in legge ed è stato pubblico ministero, ma il suo sogno era di fare carriera con qualcosa di totalmente differente. Nel 2001 la rivista Reflex citava queste sue parole:

    "Sin dall'inizio ho avuto un'enorme passione per il teatro, che semplicemente mi incanta. Per tre volte ho frequentato il Dipartimento di Regia Teatrale al DAMU (l'Accademia di Arti di Scena) a Praga. Da ragazzo mi esibivo nel teatro della scuola e durante le superiori ho diretto due gruppi teatrali, uno a scuola e l'altro nella vicina casa della Gioventù. Pensavo che il teatro fosse lo scopo e l'ispirazione della mia vita."

Dato che non era stato ammesso all'Accademia, iniziò a cercare qualche altro campo dove potesse evitare la matematica, che non gli piaceva per niente. Questo lo portò alla Facoltà di Legge, ed a lavorare come pubblico ministero dopo la laurea. Tuttavia, Schuka non dimenticò il teatro, e mentre risiedeva nella città di Sokolov vi fondò il famoso complesso teatrale "Romen".

Euforia della rivoluzione

L'attivismo e il carisma di Schuka diedero frutto in particolare durante gli anni della rivoluzione e del post-rivoluzione. Assieme a Ladislav Rusenko, rappresentò il popolo rom durante quei giorni ferventi. In una memorabile manifestazione a Piana Letna (Praga) il 26 novembre 1989, parlò sul palco assieme a Rusenko, dichiarando il proprio appoggio al Forum Civico (Obchanské forum - OF) e a Vaclav Havel.

In un'intervista a Jarmila Balazhova del 2004, Schuka ricordava così l'atmosfera e lo sviluppo degli eventi durante quei giorni rivoluzionari:

    "Ero proprio in viale Narodní il 17 novembre, per coincidenza ero con l'etnografa Eva Davidova e Honza Cherveňak,, e fummo testimoni degli eventi. Non avevamo buone ensazioni. La sera stessa ci incontrammo con Lad'a Rusenko e il 18 novembre mettemmo assieme un gruppo di Rom di Praga, perché allora erano i più vicini a noi. Il 19 novembre scrivemmo un memorandum, che fu firmato da circa 30 perone, inclusa la dottoressa Milena Huebschmannova. Essenzialmente, ci era immediatamente chiaro che non potevamo rimenare ai margini, anche se qualcuno diceva: -Non dovremmo farci coinvolgere, lasciamo che i gagé se la sbrighino tra loro, aspettiamo di vedere chi vince e gli diremo che siamo stati dalla loro parte sin dall'inizio. Non mischiamoci con loro, è la loro guerra.- Naturalmente, non eravamo d'accordo. Quella gente non si unì a noi, e neanche li volevamo. Non tutti hanno avuto la fortuna di passare per eventi rivoluzionari ed esserne direttamente al centro. Sono davvero grato di aver ricevuto questa opportunità. Allora le persone cantavano non solo a Letna, ma anche in altri raduni sulla piazza Città Vecchia e in piazza Venceslao, persino fuori Praga. Tutti erano contenti di essersi liberati delle corde che ci avevano trattenuti. In quella situazione, quando la gente iniziò a respirare più liberamente, eravamo semplicemente puri, senza secondi fini e noi, i Rom, ne eravamo parte. Volevamo respirare liberamente e assorbivamo quell'atmosfera assieme a tutti. Volevamo respirare liberamente e abbiamo assorbito quell'atmosfera assieme a tutti gli altri. In quei giorni nessuno ho incontrato attacchi, o pregiudizi, o riserve da parte degli altri."

Se si chiedono a Emil Schuka i suoi personali ricordi su allora, dopo oltre 20 anni, è ovvio che una certa sensazione di disillusione si è accumulata nell'ultima decade. per raggiungere il culmine. Il suo entusiasmo è andato perso, e ciò che rimane è il senso di qualcosa di molto tempo fa ed irreale:

    "E' stato tantissimo tempo fa, oltre 20 anni, che nel corso di una vita umana è moltissimo. Su scala storica, naturalmente, è come se fosse ieri. Non mi piace rimpiangere il passato, come dicono. La prossima generazione sta crescendo qui. Allora non mi rendevo conto che stavo prendendo parte a qualcosa di speciale, vi fummo buttati dentro, a piedi uniti. Allora avevo la sensazione che quello su cui stavamo lavorando potesse avere un futuro. Alcune cose poi sono successe, altre no. Altre sono cambiate completamente."

L'Iniziativa Civica Romani (Romska obchanska iniciativa- ROI) ed il collasso degli ideali

Poco dopo la rivoluzione, a marzo 1990, Emil Schuka divenne co-fondatore del primo partito politico romanì, il ROI, che guidò per diversi anni. L'assemblea costituente del ROI lo elesse presidente il 10 marzo 1990. Alle elezioni del giugno 1990 il ROI, che contava 20.000 iscritti in Repubblica Ceca, si unì alla piattaforma dell'OF e ottenne otto seggi in parlamento. Ovviamente, alle elezioni municipali di novembre 21990, quando la coalizione dell'OF non li contemplava, il ROI ottenne solo lo 0,11% dei voti e tre seggi. Il partito divenne un simbolo, anche se molti dei suoi ideali originali in varie maniere non trovavano applicazione. Tuttavia, fu Schuka ad insistere sulla proposta di ancorare la nazionalità romanì nella nuova costituzione, a rendere i Rom cechi e slovacchi parte dell'Unione Romanì Internazionale e creare il primo partito unificato romanì.

Nel 2000 Schuka diventò presidente dopo un mandato dell'Unione Romanì Internazionale. Oltre all'attività politica, fu alla base della creazione del programma televisivo "Romale" e del primo settimanale romanì "Romano kurko". Grazie soprattutto a lui, venne istituita la Fondazione Rajko Djuric e avviata la famosa scuola socio-legale romanì a Kolin. Si iniziò a produrre professionalmente il programma televisivo "Romale". Schuka creò anche il festival di folklore internazionale Romfest, la cui edizione inaugurale a Brno-Lishegn (1991) vide la presenza del presidente Vaclav Havel. Sfortunatamente il Romfest, che3 era quasi inestricabilmente legatoad una famosa fessta folkloristica locale, Strazhnicí ("I Guardiani"), terminò nel 1996. Venne trasformato nelo festival Romska pisenh (Canzone Romanì), che si tiene nella cittadina di Rozhnov pod Radhoshtehm.

Emil Schuka non può evitare di essere critico o quantomeno scettico quando si parla sui risultati dello sviluppo della situazione romanì in Repubblica Ceca, dal periodo post-rivoluzionario sino ai giorni nostri:

    La nostra generazione, la generazione dei Romanì di ROI, non lavorava per il denaro, eravamo pieni di ideali. Il problema più grande che intravedo è che quando è finito il ROI, non c'è stato più nessuno a continuare, a proporsi. Non intendo a continuare direttamente nel partito, ma avevamo la possibilità di iniziare qualcosa e mentre vincevamo una battaglia, non abbiamo vinto la guerra in toto. Non si è trovato nessuno per continuare il nostro lavoro, e in politica, dove è assolutamente necessario combattere per ogni singola cosa, questo è un problema piuttosto grande. Da allora, molti romanì si sono diplomati e laureati, ma tra loro non abbiamo trovato nessuno che lavorasse concettualmente. Il settore no profit si concentra su questioni a livello locale e regionale, quando ciò di cui abbiamo bisogno sono soluzioni concettuali. Questo è evidente in organismi come la Commissione Interministeriale sugli Affari Comunitari Rom, dove sembra che ogni ministro debba partire da zero con i propri concetti, invece di portare avanti il lavoro dei predecessori. La mia critica, ovviamente, è rivolta anche ai nostri stessi ranghi. Se rimaniamo chiusi in un simile approccio, allora cosa possiamo aspettarci?
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Di Sucar Drom (del 09/05/2013 @ 09:10:29, in blog, visitato 1467 volte)

E' il colore della pelle a fare la differenza?

Romania, workshop per artisti: dalla memoria all'opera
L'istituto romeno nazionale "Elie Wiesel" per gli studi sull'Olocausto in Romania che ha finanziato diversi studi sul Porrajmos, organizza e promuo...

Uno spazio per la memoria, lettura spettacolo per le Scuole superiori
"UNO SPAZIO PER LA MEMORIA ovvero perché i rom e i sinti avrebbero bisogno di un buon ufficio stampa" è un progetto ideato da Associazione Sinti Italiani, Centro TeatroIpotesi, Associazione Sucar Drom e Università Telematica da Vinci diChieti, indirizzato ai...

1 maggio, la Festa del Lavoro

Les Saintes Maries de la Mer 2013

Razzismo, Josefa Idem: solidarietà alla collega Kyenge
"In qualità di neo Ministra per le pari opportunità, ma soprattutto come donna, desidero confermare la mia forte solidarietà alla collega Cecile Kyenge per i vili ep...

La Cassazione pianta l'ultimo chiodo nella bara della cosiddetta "emergenza nomadi"
La Corte Suprema di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato il 15 febbraio 2012 dal Governo Italiano, confermando che la cosiddetta "emergenza nomadi" è infondata, immotivata e illegittima. La Cassazione ha preso la decisione il 26 marzo 2013, ma solo oggi...

26 marzo 2013, la sentenza e il blitz

BUTTATI GIU', ZINGARO (la storia di Johann Trollmann e Tull Harder)
Il libro di Roger Repplinger, pubblicato dalle Edizioni Upre Roma in collaborazione con l'Istituto di Cultura Sinta, racconta la vicenda di due eroi dello sport tedesco che s...

Firenze, diverso da chi? L’istruzione rende liberi di essere se stessi!
Il Corso di Formazione sull’educazione alla diversità è promosso dal Robert F. Kennedy Center for Justiceand Human Rights con il contributo della Regione Toscana, il patrocino del Comune di Firenze e in collaborazione con le Associazioni COSPE, IREOS e SUCAR DROM...

Milano, i rom e i sinti sulla stampa italiana
Presentato oggi a Milano il rapporto “Se dico rom... L'indagine sulla rappresentazione dei cittadini rom e sinti nella stampa italiana”. Per 10 mesi, da giugno 2012 a marzo 2013, i volontari dell'associazione Naga hanno analizzato gli articoli re...

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Di Fabrizio (del 08/05/2013 @ 09:05:53, in lavoro, visitato 1509 volte)

CorriereImmigrazione - di Stefano Galieni - 6 maggio 2013

Sono numerosi i cittadini di origine rom che vogliono una diversa identità non per sfuggire alla giustizia, ma al pregiudizio. Un pregiudizio che mette a repentaglio tanti diritti, compreso quello al lavoro.

"Può sembrare assurdo, ma cambiare cognome è l'unica soluzione. Solo che ci vuole troppo tempo e io debbo lavorare". Sandro (necessario omettere il cognome) è un cittadino italiano di origine rom: "Cittadino da tre generazioni - ci tiene a precisare - Mio nonno è nato a Fiume, (l'attuale Rijeka, ndr) quando era una città italiana. Mio padre, emigrato, è nato a Brindisi e io a Napoli, e ho dei figli qui che rischiano di finire come me". Sandro, dopo una lunga e tormentata esperienza romana, vive con gran parte della sua famiglia allargata nel padovano. Da generazioni si tramandano un mestiere tanto difficile quanto delicato: il restauro degli arredi sacri, soprattutto oggetti in metallo. A Roma non faticavano a trovare commissioni. Ma adesso è tutto diverso. "Un lavoro con cui sono nato e che mi piacerebbe tanto continuar a fare - racconta - ma in cui attualmente sono in difficoltà per due ragioni: la crisi e la diffidenza". In tempi di magra, anche gli investimenti in opere di questo tipo diminuiscono. Ma Sandro e tanti suoi parenti non trovano lavoro anche per via di quelle "c" e quelle "h" con cui termina il loro cognome. "Capiscono subito che sei "zingaro" - dice - e trovano le scuse per non prenderti, anche se magari sei il solo che può fare bene un lavoro del genere, che ha le competenze giuste, che conosce i segreti dei metalli e di come li si pulisce. Ormai pensano che se ti porti "lo zingaro" in casa, qualcosa ti ruba. Ma che colpa abbiamo noi per reati commessi da altri?". Allora si affaccia l'idea di cambiare cognome. Togliendo quelle lettere finali o prendendo magari il cognome italiano della propria madre o della propria nonna.

Il cambiamento di cognome deve essere autorizzato dal Prefetto e la richiesta può essere presentata ed esentata dal pagamento del bollo laddove quello che appare sui documenti sia "ridicolo, vergognoso o rilevante l'origine naturale". E il terzo caso è certamente quello più appropriato. Ma c'è un iter per compiere questa procedura, già di per sé lungo e reso ancora più complesso dal fatto che, dal 9 luglio del 2012, la decisione finale in merito a tale richiesta è di competenza esclusiva del Prefetto del luogo di residenza o di quello in cui è registrato l'atto di nascita. L'interessato deve sottoscrivere la domanda in presenza del dipendente della Prefettura-U.T.G. addetto a riceverla, ovvero altra persona munita di delega e di fotocopia di un documento di riconoscimento dell'interessato. La domanda deve essere presentata in Prefettura-U.T.G. e sottoscritta dal richiedente in presenza del dipendente addetto a riceverla o, inviata per raccomandata A/R, allegando fotocopia di un documento di riconoscimento. Qualora la richiesta appaia "meritevole di essere presa in considerazione", il richiedente sarà autorizzato, con Decreto del Prefetto, a far affiggere per trenta giorni consecutivi, all'albo pretorio del Comune di nascita e del Comune di residenza, un avviso contenente il sunto della domanda. Lo stesso Decreto può prescrivere la notifica del sunto della domanda, da parte del richiedente, a determinate persone controinteressate. Se entro trenta giorni dalla data dell'ultima affissione o notificazione nessuno si oppone, il richiedente deve presentare alla Prefettura copia dell'avviso con la relazione che attesti l'eseguita affissione e la sua durata. Il Prefetto, accertata la regolarità delle affissioni e vagliate le eventuali opposizioni, provvederà ad emanare il Decreto di autorizzazione o di rigetto al cambio del nome e/o del cognome. Tempi insomma poco compatibili con situazioni di estrema urgenza con quelli delle circa 50 persone appartenenti alla famiglia di Sandro. Da quanto poi risulta, anche in assenza di dati verificabili, questo tipo di problematica è diffuso in maniera estremamente persistente in gran parte del territorio nazionale.

Tra i rom sono in molti a voler cambiare cognome, rinunciando in parte anche alla propria identità, non solo per problemi occupazionali. Molti hanno figli che vanno a scuola e non vorrebbero evitar loro di sentire, sin da piccoli, il peso della discriminazione, altri vogliono poter trovare una casa in affitto o accendere un mutuo in banca senza dover temere elementi di pregiudizio. Oltre ai tempi, esiste poi un elemento di discrezionalità nella decisione che va considerato totalmente fuori luogo. Difficile giustificare uno Stato che da una parte non solo non riconosce neanche formalmente i rom come minoranza linguistica, ma che è stato più volte sanzionato per l'assenza di politiche di inclusione sociale e per la persistenza di pratiche discriminatorie e che contemporaneamente si arroga il diritto di decidere se un cognome può essere cambiato o meno. E comunque la stessa costrizione a dover chiedere di cambiar cognome, per i motivi raccontati da Sandro, rappresenta una sconfitta culturale e politica enorme per l'intera società italiana. Se si deve ricorrere ad un sotterfugio burocratico per veder rispettato il diritto a poter lavorare onestamente, significa che qualcosa di profondo non è stato affatto rimosso. Ma Sandro non ha tempo per queste disquisizioni: "Ho una moglie e tre figli da mantenere e voglio vederli crescere felici - conclude pragmatico. - Forse un giorno in Italia non ci saranno più questi problemi di cognome e di origini, ma io oggi ho 41 anni e devo guardare al nostro presente e al futuro dei miei figli. Quindi che ci vorrebbe a rendere più snelle queste pratiche? Io non ho nulla da nascondere, mi chiedano quello che serve, ma che si sbrighino per favore. Altrimenti non so come andare avanti".

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Di Fabrizio (del 07/05/2013 @ 09:05:38, in Europa, visitato 1620 volte)

Dall'hindi all'hargot, l'incredibile storia della lingua rom LesInROCKS - 02/04/2013 | 12h23 par Eva Bester (nella foto: Il tempo dei gitani di Emir Kusturica)

    Parlata da milioni di Rom in tutto il mondo, e dopo aver fornito nobiltà al francese gergale, la lingua romanì resta quantomeno sconosciuta

Parole come surin (coltello), bouillave (fornicare) e chourer (da chourave, rubare) fanno parte dei numerosi imprestiti dal rromanì al francese che vi permettono di dare a qualcuno del narvalo (sciocco), di insistere sul numero di berges (anni) di un antenato o ancora di minacciare un caro amico di poukave (denuncia) o di marave (colpire, uccidere).

Se i francesi si concentrano soprattutto sui termini canaglia, il rromanì resta una lingua poetica, musicale e millenaria, che non ha visto la sua ufficializzazione in forma scritta se non dopo il 1990.  Come i Rom (ortograficamente Rrom), è originaria della città di Kannauj, capitale dell'India oltre 1000 anni fa. Si è costituita sulla base di antiche parlate popolari indiane, nella forma conosciuta del sanscrito.

Un dialetto diventato lingua attraverso la Storia

All'inizio dell'XI secolo, popoli di lingua rromanì vennero deportati in Afghanistan dal sultano Mahmoud di Ghazni, per le loro ricercate competenze artistiche e artigianali. Il sultano desiderava così fare del suo borgo la capitale dell'universo. Ma in una società islamica rigorosamente sunnita, la loro cultura indù non si integrò. Il sultano li vendette nel nord del paese, dove si parlava persiano. Quindi, dopo gli apporti indiani, il rromanì si arricchì di elementi persiani, ed in seguito ai viaggi, di imprestiti greci a cui si aggiunsero quelli dei paesi locali dove la maggioranza de Rom ha vissuto sino ad oggi (Romania, Bulgaria, Serbia, ecc.)

Ancora oggi, la lingua del nord dell'India ha novecento parole in comune col rromanì. L'impronta indiana è tale che padroneggiando il rromanì si può decifrare un film in  hindi. Al momento della sua uscita in Albania, il film indiano Il vagabondo di Raj Kapoor ha suscitato entusiasmi sino al delirio tra il pubblico rom, che pensava che lo fossero anche tutti gli attori del film.

Un movimento letterario rromanì molto recente

Non tutti i Rom (tra i 12 e i 15 milioni nel mondo) parlano il rromanì. Alcuni gruppi sono stati obbligati a dimenticarlo (in Spagna, Inghilterra, Finlandia...), ed altri l'hanno dimenticato date le condizioni del mondo attuale. Le memorie più vive si trovano nei Balcani, dove è parato dal 95% dei Rom. In Francia, su mezzo milione di Rom, si contano circa 160.000 che lo parlano (poco meno del 30%). La prima menzione di una possibile standardizzazione del rromanì risale al XIX secolo. quando il polacco Antoine Kalina notò l'omogeneità profonda della lingua nei diversi paesi dove veniva praticata. Otto anni dopo, un Rom ungherese, Ferenc Sztojka, pubblicava un dizionario ungherese-rromanì, contenente circa 13.000 voci e una trentina di poesie in rromanì. L'autore ambiva a fornire una lingua moderna, con nuove parole ed espressioni.

Malgrado questi tentativi per accordare al rromanì uno status equivalente alle altre lingua, occorrerà aspettare gli anni '20-'30 in Russia, perché veda la luce un movimento letterario rromanì. In quel periodo Lenin insisteva sull'importanza di dotare di un alfabeto le lingue che non l'avevano. Dall'Unione Sovietica della fine degli anni '30, molte scuole e sezioni universitarie offrirono corsi di rromanì. Da allora sono stati tradotti in lingua quattrocento libri, ed infine si c'è stato l'accesso di grandi autori come Puskin o Mérimée. Nel 1969 in Jugoslavia esce il primo libro scritto in rromanì: Il Rrom cerca un posto al sole di Rajko Djurić.

Si traducono Prévert e Barbara in rromani!

Emerge allora un movimento poetico rromanì: lustrascarpe, operai, studenti dattilografano sulle macchine da scrivere dei loro datori di lavoro poesie in un rromanì approssimativo, se le scambiano e le leggono durante le sere. Traducano anche Prévert e Barbara, s'intensifica il desiderio di una scrittura comune. Il primo congresso rom ha luogo nel 1971 a Londra, e da alla luce la commissione linguistica dell'Unione Rromani Internazionale, che ufficializzerà l'alfabeto nel 1990, sotto il patrocinio dell'UNESCO.

Riconosciuto infine come una lingua propria a tutti gli effetti, il rromanì oggi è insegnato ufficialmente solo in due paesi dell'Unione Europea: in Romania e in Francia (all'INALCO). Ma come di ce il proverbio: "O gav p-e dromesqo agor si jekh lachipe, o drom so lingrel tut othe si deś!" (Non è la destinazione che conta, ma la strada per arrivarci!).

Grazie a Marcel Courthiade, commissario alla lingua ed ai diritti linguistici per l'Unione Rromani Internazionale e professore di lingua e civiltà rromanì presso l'INALCO, per la sua conoscenza e gli illuminanti aneddoti.


Ndr: vedi anche

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Di Sucar Drom (del 06/05/2013 @ 09:04:09, in scuola, visitato 1570 volte)

da Chiara di notte

Da piccola Anina viveva in clandestinita'. Oggi e' una giovane donna che e' riuscita, grazie a chi ha creduto in lei, ma soprattutto per il suo impegno, a cambiare la sua vita, trasformandola in un viaggio incredibile: da quando era mendicante per i marciapiedi di Lione ad essere finalmente ammessa alla prestigiosa Universita' della Sorbona.

All'eta' di sette anni, con la sua famiglia, Anina era arrivata in Francia dalla Romania e non parlava una parola di francese. Ha vissuto nei campi Rom, ha conosciuto l'esclusione, la discriminazione, il doversi nascondere e chiedere l'elemosina per le strade per riuscire a sopravvivere. Ma il suo destino e' cambiato quando un insegnante, vedendola accattonare nelle strade di Bourg-en-Bresse, le ha porto una mano, e le ha offerto la possibilita' di frequentare una scuola.

Rifiutata inizialmente dai suoi compagni di classe per le sue origini, ha reagito attaccandosi ancor piu' allo studio. Lo ha fatto per una questione di orgoglio, per non soccombere, per dimostrare di non essere inferiore a nessuno, per non deludere chi aveva creduto in lei. E' cosi' che si e' gettata anima e corpo sui libri, e questo l'ha portata a raggiungere traguardi che altri, meno motivati, a volte non riescono a raggiungere neppure durante i consueti anni di scuola, nonostante tutti gli impedimenti, culturali e linguistici che ha dovuto superare. Perche' in modo intelligente Anina ha subito capito che lo studio, piu' di qualsiasi altra cosa, l'avrebbe potuta aiutare a ritagliarsi uno spazio tutto suo, d'indipendenza e di dignita', dove non sarebbe stata piu' disprezzata per cio' che era. Ed e' quello che ha fatto.

Oggi, a 23 anni, la sua storia viene raccontata in un'autobiografia, “Je suis tzigane et je le reste”, scritta in collaborazione con il giornalista di RTL Frédéric Veille. Oggi, finalmente, da brillante studentessa Anina puo' riscattarsi, e mitigare la vergogna di essere Rom che i suoi genitori le avevano trasmesso. Oggi, tutto quello che ha fatto per riappropriarsi della dignita' che le era stata negata a causa della sua etnia, sta dando i suoi frutti. Nel mese di settembre, infatti, Anina e' stata ammessa alla Sorbona e studiera' per diventare magistrato: il suo sogno fin da quando era bambina. Perche' come afferma lei stessa nel libro: "Il giudice e' il portavoce del diritto, e della giustizia".

Questa storia di una persona semplice, povera, umile, partita svantaggiata in tutto, che non ha trovato l'aiuto dei soldi, o dei favori politici, o le strade preferenziali che vengono offerte solo a chi appartiene a una famiglia potente, e' ancor piu' emblematica e significativa di tante altre, perche' dimostra che solo noi stessi, con l'impegno, la volonta' e l'intelligenza, possiamo riscattare la nostra condizione, e migliorarla. Ed e' per questo che Anina dovrebbe essere indicata come un esempio per tutte le giovani ragazze Rom, e non solo.

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