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      Da 
Rom e Sinti in Italia e nel mondo Partendo per la Romania, ho avuto la sensazione di imbarcarmi in un'avventura 
assurda, fuori dal tempo, quell'avventura che sognavo da parecchio.I metodi poco limpidi per arrivarci di certo non mi tranquillizzavano, quelli 
che la mia famiglia Rom chiamava 'pullman per la Romania' altro non sono che 
auto grandi (tipo l'Ulysse o auto/furgoncini simili) guidati da questi soggetti 
che passano la loro vita a fare avanti - indietro tra Bologna e Craiova... una 
scenetta da prime pagine dei giornali sul tema dell'immigrazione. Ma partiamo 
dall'inizio.
 
 Ho conosciuto la mia famiglia Rom mesi fa, ad una festa nel parco dietro casa 
mia, abito alle periferie di Bologna e ci sono dei posti molto carini che 
purtroppo, essendo fuorimano, non vengono sfruttati. Ci sono state iniziative 
molto belle, ho fatto un corso di cucina Rumena dove ho conosciuto Irina, la 
mamma delle mie future amiche, poi alla festa serale ho conosciuto e ballato con 
Rebecca, Cirasela e Adelina e da quella sera ci siamo viste praticamente tutti i 
giorni, per mesi.
 Ora non starò a raccontare qui tutte le emozioni e le cose fatte con la mia 
nuova famiglia adottiva, basti sapere che ad un certo punto sono arrivati dei 
momenti brutti, dei pasticci con le burocrazie, e la famiglia ha fatto le 
valigie per tornare in Romania, in un piccolo paese vicino Craiova, Barca. E io 
sono andata con loro.
 
 Di prima mattina, dopo avere dormito per terra abbracciata alle mie amiche 
(perché la mamma, la capo famiglia, avendo paura di fare tardi per il viaggio 
aveva buttato via tutti - TUTTI! - i letti della casa la sera prima della 
partenza!), c'è stata la fantastica 'colazione alla Zingara', ovvero una 
scorpacciata di pollo, pane e maionese, per iniziare bene la giornata! Poi 
contrattazioni varie e finalmente, si parte!
 
 Venti ore di viaggio, mille e ottocento km, con musica Rumena a palla nello 
stereo, gente che balla, mangia, che continuamente si stupisce vedendomi: 'Ma tu 
sei Italiana? Cosa vai a fare in Romania? Cosa ci fai in mezzo a questi brutti 
zingari, non hai paura?!'
 E alla fine, tra pic nic improvvisati nelle aiuole degli autogrill e dormite: 
Italia, Slovenia, Ungheria... Romania! Arrivati!
 
 La prima cosa della Romania sono stati tre bambini. Piccoli, sporchissimi, che 
si aggrappavano ai vestiti chiedendo soldi, con le cicatrici in faccia.
 Poi una visita a Cerata, paese abitato solo da famiglie Rom, un giro di saluti e 
abbracci, tra gente che già conoscevo e facce nuove, che avevano deciso di 
volermi bene.
 
 L'aspetto più bello della Romania sono state le persone.
 E a loro lo dicevo sempre, camminando nel paesino tutti mi guardavano come fossi 
un'aliena, si domandavano come fosse possibile che un'Italiana fosse in quel 
paesello sperduto, povero, di Rom che raccolgono il ferro, di contadini... .la 
felicità più grande era vedere lo stupore sulle loro facce e poi dei grandi 
sorrisi.
 Vedermi lì con loro, a passare le giornate come le passano loro, in un posto 
dove non c'è nulla, al di fuori di ignoranti pregiudizi, per loro era davvero 
una gioia, e lo dicevano senza vergogna.
 Il bello di questo popolo è anche la sincerità... .un popolo che per i gagi 
dovrebbe vergognarsi di tutto e invece non si vergogna di niente.
 Le emozioni sono quelle e si comunicano senza troppi giri di parole... 
.oltretutto, non credo di essere stata toccata tanto in vita mia come in quella 
settimana in Romania! Quanti abbracci, mamma mia! Che gioia! Quante strette di 
mano, quante mani che mi prendevano su ad ogni ora del giorno e della sera per 
andare a ballare un po' nel cortile o in camera, vicino alla stufetta.
 
 Perché poi, c'è da dire che faceva un freddo incredibile! La nevicata che c'è 
stata qui in Italia, durante il mese di febbraio, è partita dai Balcani... .la 
stessa neve fina fina, l'ho riconosciuta!
 Ecco, una bella mattina ci siamo svegliati ed era tutto bianco e la neve non 
smetteva mai di cadere.
 Immaginate la stessa nevicata dell'Italia, le stesse stalattiti di ghiaccio che 
pendono dai muri ma... niente riscaldamento!
 Senza acqua calda!
 Si, perché lì c'era la luce... e basta.
 L'acqua si va a prendere al pozzo che è in fondo alla stradina e l'acqua si 
scalda poi sulla stufa a legna..la legna si prende nella stalla dei maiali... il 
maiale si uccide, altrimenti da mangiare non c'è nulla... .e si fa la festa per 
la morte del maiale!
 
 Quella serata è stata fantastica, dopo le ore passata a preparare salsicce, 
zuppe di carne, e tutto quello che si può preparare con un maiale (taaaaaaante 
cose, non si butta via niente!!!), hanno iniziato a spuntare parenti e amici da 
ogni dove, zie, cugini, eccetera... ognuno aveva una bottiglia di qualcosa 
sottobraccio, per cui vi lascio immaginare!
 Dalla strada principale si sentiva la potenza delle casse dello stereo di Ursari, 
il fratello più grande, che metteva su le grandi hit di musica pop Zingara, e 
tutti ballavamo come matti, tutti alticci!
 
 Da bravi contadini alla mattina mi svegliavano con un bicchiere di vino caldo 
zuccherato!
 E le giornate erano così, molto semplici, sempre affollate di persone.
 I tempi sono quelli del sole si potrebbe dire, ci si svegliava prestissimo alla 
mattina, si puliva la casa, si faceva da mangiare, si badava ai fratelli più 
piccoli, si facevano dei giri in paese, si ballava e alla sera eravamo a letto a 
dormire già alle sette, otto di sera... .sfinite!
 Quello che soprattutto si fa, durante la giornata, sono delle chiacchiere, 
discorsi e ragionamenti infiniti, non sempre basati su cose reali. Spesso mi è 
capitato di parlare con ragazzi e ragazze Rom che palesemente si stavano 
inventando quello di cui parlavano... ma era bello così, per loro credo che in 
fondo, vero o non vero, sia uguale...
 
 Io dormivo con le mie due amiche in un lettone matrimoniale, dormivamo tutte le 
notti abbracciate strettissime per via del freddo... non ho mai dormito così 
bene in vita mia.
 
 La condivisione di tutto, anche del sonno.
 Non c'è cibo buono che puoi gustarti da solo, ma non perché gli altri sarebbero 
invidiosi, ma perché è più bello anche per te condividere le cose.
 Una stecca di cioccolato comprata all'alimentari andava spartita per sei, sette 
persone. Per qualsiasi cosa è così. Ed è un valore meraviglioso che noialtri non 
abbiamo più...  Si condividono gli spazi, la privacy non esiste, perché poi 
dovrebbe esserci? Io facevo pipì guardando in faccia le mie amiche che nel 
frattempo continuavano a parlarmi come se nulla fosse!
 Di qualunque cosa non bisogna avere vergogna, in fondo siamo tutti fatti uguali, 
no?
 
 Il ruolo della donna è fondamentale, ed è per questo motivo che Irina, la mamma, 
che avrebbe voluto tornare in Italia per lavorare, invece è rimasta là. Perché 
la famiglia non sa andare avanti senza di lei... mi ricordo un giorno in 
particolare, in cui Irina era stata a Craiova per andare a trovare il fratello 
in carcere... e beh, sono visite che richiedono un po' di tempo e oltretutto al 
ritorno ci ha raccontato che le si era pure ingolfata l'auto... per cui, è stata 
via dalla mattina presto alla sera.
 Al suo ritorno Sorin, il marito, era arrabbiatissimo, erano tutti affamati 
perché non sapevano da che parte cominciare per prepararsi una cena... .è stato 
il delirio! E infatti poi Irina mi ha guardata, sconsolata, e mi ha detto: 
'vedi, Sire?' (il mio nome è stato trasformato prima in Seina poi in Sire) 'come 
faccio a tornare in Italia quando qui, a casa, con un marito e quattro figli, 
nessuno sa prepararsi da mangiare?'
 
 Il giorno del mio compleanno ero là, in Romania. E' stato buffo perché tutti 
sembravano sentirsi in colpa del fatto che non potevano offrirmi grandi regali o 
grandi feste.
 In realtà, io ero la più felice del mondo.
 Eravamo là, alla sera, nella stanza di irina e Sorin, a mangiare pezzi di maiale 
arrosto e pane fatto in casa, guardando un reality Rumeno assurdo, con Ursari 
che raccontava storielle per farsi grosso e continuava a darmi baci per fare 
ingelosire sue moglie, e ogni volta urla da ogni dove e scenette comiche... .che 
buffi.
 Ursari e Cirasela sono una coppia tenerissima: lui ha 18 anni, lei 15 ed è già 
incinta, di tre o quattro mesi, non ricordo bene.
 Quando si sono sposati, un paio di anni fa, si erano visti soltanto una volta e 
per pochi minuti.
 E' stato un matrimonio organizzato dalle due famiglie degli sposi.
 Il video della festa lo avrò visto dieci volte! Ogni settimana quando andavo a 
casa loro qui a Bologna, Irina metteva su il video e si commuoveva ogni volta e 
ogni volta mi ri-raccontava la storia del loro matrimonio!
 Comunque sono una coppia buffa... .lui è un bel ragazzo e lo sa bene, per cui va 
sempre in giro a fare il galletto e poi torna a casa a raccontare le sue 
conquiste alla moglie, che infatti è sempre imbronciata! Una piccola moglie in 
miniatura col pancione e le labbra imbronciate e 'da mucca', come dice Ursari, 
sempre lusinghiero...
 
 Sorin e Irina invece sono una coppia bellissima.
 La loro storia però è iniziata in una maniera molto brutta.
 I matrimoni tra i Rom possono farsi in diversi modi: o matrimoni combinati, in 
cui quindi sono le famiglie ad accordarsi.
 Oppure tramite la 'fuitina', molto diffusa anche in Italia anni fa a dire il 
vero, cioè una fuga d'amore tra due ragazzi che decidono di scappare insieme e 
al loro ritorno sono già una coppia.
 Oppure, il modo più 'cruento'(per la donna): il 'rapimento'.
 La donna viene proprio 'rapita' dall'uomo che la desidera e portata via... .a 
quel punto la donna può essere d'accordo oppure chiamare i carabinieri e tornare 
a casa. Per Irina non è stato così... .ci sono poi state lotte tra le famiglie e 
caos di vario tipo, per cui alla fine Irina ha deciso di andare a vivere con 
Sorin per evitare ripercussioni sulle famiglie.
 Irina me l'ha raccontata tante volte questa storia, tranquillamente.
 Era sempre bella la parte finale in cui mi diceva che ora invece è tutto 
diverso... .ora lei è proprio innamorata di Sorin!
 Le piace di più anche fisicamente, perché all'inizio era magro e ora invece è 
decisamente grasso (lei dice 'bello sano'), e tutte le mattine si danno il 
bacino del buongiorno!
 Mi vengono le lacrime agli occhi scrivendo di queste piccole cose. Queste 
confidenze, questi gesti piccoli ma significativi, questa infinita semplicità... 
.
 
 Invece Rebecca, la mia amica (che ha appena compiuto 16 anni, ma come tutte le 
zingare sembra molto più grande), lei ha fatto la fuga d'amore ed era 'sposata' 
(senza cerimonia) con un ragazzo, Vali, poverissimo e che a quanto pare ha 
venduto i suoi orecchini d'oro e fatto tante altre carognate, oltre a trattarla 
male (ovviamente solo dopo la fuga)... per cui, ora è come se avessero 
'divorziato' e la mia amica, da brava ragazza Rom, non aspetta altro che un 
marito per fare una grande festa di 3 giorni, come da tradizioni!
 
 Insomma, sono stati dei giorni molto belli e intensi in Romania e io mi sento 
una privilegiata ad essere riuscita ad entrare in questo mondo che mi è così 
caro.
 Ci sono tutta una serie di privilegi ai quali posso attingere al momento: 
intanto in Romania non mi succederà mai niente di male, perché sono 'protetta', 
nel vero senso della parola, dai parenti più grossi e nerboruti della 
famiglia... .e anche a Bologna, dove la comunità più grande di Rom viene dalla 
Romania (anzi, per la precisione proprio da Craiova e dintorni), basta dire di 
essere amica di Irina e famiglia perché ti si aprano le porte per delle 
conversazioni e dei sorrisi che io vado sempre cercando, tra questa gente.
 Di sforzi ce ne sono voluti, e tanti.
 Si tratta comunque di un incontro tra culture completamente diverse... ma non è 
impossibile, credetemi.
 E una volta all'interno, si possono scoprire cose di un'umanità incredibile.
 E' un invito a non lasciarsi abbindolare da stupidi stereotipi. E' un invito a 
guardarli come persone, e non come guardereste il vostro cane. E' un invito ad 
essere aperti alla diversità, all'altro, alle altre culture. Perché c'è del 
Bello ovunque, e sarebbe una così grossa perdita non coglierlo.
 
 Il viaggio del ritorno, infine:
 c'è da dire che è stato molto dubbio, fin dall'inizio! Intanto, con la neve che 
c'era, non si era nemmeno sicuri di partire... e poi, al ritorno ero da sola.
 Per cui c'era un po' di ansia inizialmente, per via di questi autisti che 
comunque alla fine si sono rivelati assolutamente corretti e disponibili... 
però, non si sa mai. In fondo sono 20 ore di viaggio che non sono poche, in 
balìa di questa gente che potrebbe portarti un po' dove vuole, tanto voglio 
dire, se mi trovo nei guai in Ungheria, chi mi viene a recuperare?
 Questo era un consiglio di viaggio: prendete le Euro Linee di trasporti per la 
Romania! Costose ma facili e sicure!
 
 Le parti più divertenti erano quelle alle dogane. In pratica si danno i 
documenti e poi lo sbirro apre la macchina e chiama a voce alta tutti i nomi 
guardandoti in faccia.
 Ecco, faceva parecchio ridere perché ogni volta c'era grande stupore nel vedere 
tutte queste facce lunghe e brutte da zingaroni coi denti d'oro e in mezzo io, 
felicissima che saluto dicendo 'qui, sono io!' !
 
 Al ritorno il viaggio è stato più bello dell'andata, siamo partiti di giorno e 
quindi con la luce ho potuto vedere un po' di paesini dall'interno, mentre 
l'auto girava per prendere su i passeggeri dalle varie case... ho visto una 
parte di Timisoara, delle chiese bellissime coperte di neve, mi ricordo tutti i 
bambini in strada che salutavano il nostro furgoncino quando passavamo... poi 
delle distese di neve con dei cani lupo bellissimi che correvano... sono posti 
tutti da scoprire.
 
 Durante quelle 20 ore ho avuto modo di parlare un po' con tutti...
 In particolare con una madre (giovanissima, ha la mia età) che ad un certo punto 
ha tirato fuori dalla borsetta la fotografia dei suoi tre figli e con 
tranquillità mi ha detto:
 'Vedi il più grande? lui ha i capelli biondi biondi biondi... non sembra un 
brutto Zingaro... forse lui avrà fortuna nella vita.''
 
 Serena Raggi
   
       Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono 
oppresse e amare quelle che opprimono! (immagine da 
Terraelibertacirano.blogspot.com)
 Conosco amici e compagni che sono convinti che il razzismo sia un patrimonio 
degli imbecilli... il ché vorrebbe dire che se qualcuno è minimamente 
intelligente-istruito, non dovrebbe essere razzista. Visto che non sono d'accordo su questa affermazione, ho provato a dare delle 
spiegazioni a me stesso: 
				quella più semplice era che, dato che chi lo pensa è di 
				solito antirazzista, trova più diplomatico affermare di non 
				essere razzista, piuttosto che dire di essere intelligente, col 
				rischio di essere smentito prima o poi;del razzismo comunemente inteso, percepiamo gli aspetti 
				eclatanti (le fiamme date ad un campo rom, la mensa comunale 
				negata ai figli di stranieri, certe dichiarazioni sanguigne 
				oltre gli steccati penali). Più a fatica individuiamo il brodo 
				di coltura di questi fenomeni.Se ripenso, ad esempio, a come fu possibile la mobilitazione 
				del III Reich contro gli Ebrei, vedo invece che gli 
				intellettuali svolsero un ruolo chiave nel prepararla. Göbbels 
				(non era l'ultimo arrivato) ben prima che il nazismo si facesse 
				stato, intuì il ruolo dell'informazione (che in seguito 
				passò alla scuola) come veicolo 
				anestetizzante della propaganda; era già successo in passato, ma 
				lui fu il primo ad adoperarla in maniera cosciente e 
				sistematica. Parimenti intuì ed applicò il ruolo di braccio 
				armato da delegare ai gruppi paramilitari. Quando le sue 
				intuizioni da teoria si fecero pratica, la macchina dell'odio 
				era un meccanismo così oliato che dalla guerra agli Ebrei passò 
				alla guerra mondiale. Passando dai ragionamenti alla pratica, lo spunto arriva da
Reggio Emilia. Doppiamente interessante perché il network a cui fa capo la 
testata, si chiama
4minuti.it: vale a dire il tempo che mediamente un lettore distratto dedica 
a leggere e digerire una notizia. Ma torniamo alla nuda cronaca, titolo e sottotitolo recitano: Rom, dopo l'aggressione di Massenzatico "Il Comune non si limiti alla 
solidarietà"La Lega Nord: bisogna fare rispettare la legalità
 Di che si parla? Per motivi banali, qualche sera fa c'è stata una 
rissa in un locale del Reggiano. Un frequentatore è stato malmenato da un gruppo 
di "supposti nomadi". Si ignora chi siano gli aggressori. Dopo queste indicazioni, l'articolo prosegue citando (oltre metà del pezzo 
totale) una dichiarazione di un consigliere comunale (il partito di appartenenza 
non mi interessa) da cui veniamo a sapere che la macchina degli aggressori è 
stata ritrovata abbandonata nei pressi del locale "campo nomadi". Il tono generale della dichiarazione è fermo, ma nel contempo civile ed 
educato, niente a che fare con le sguaiatezze di un Borghezio, di uno Speroni o 
un Calderoli. Difatti il consigliere termina il suo ragionamento con questa 
frase, che chiunque potrebbe condividere: "Il rispetto della legalità è il 
primo requisito per la convivenza civile tra le persone, e Reggio non può e non 
deve tollerare in alcun modo che certi fatti rimangano impuniti". E' però la penultima frase che ci riporta nel cortocircuito mentale del 
piccolo razzismo trasmesso in quattro minuti. Con lo stesso tono civile, si 
dice: "Qualora si accertassero responsabilità o anche solo connivenze o 
favoreggiamenti da parte di ospiti del campo nomadi di via Gramsci, da parte del 
Comune mi auspico che vengano presi i provvedimenti di cui al regolamento dei 
campi nomadi, e che a Reggio non ci sia alcuna ospitalità per questi individui". Spiazzante quel "qualora" iniziale: non vi suonerebbe fuoriluogo se al posto 
di una comunità rom o sinta, fosse riferito a qualsiasi altro gruppo etnico? Se 
il regolamento prevede l'espulsione dei colpevoli ("presunti" tali o dopo essere 
passati in giudicato?), sapreste dirmi se conoscete un regolamento analogo per 
le case comunali, dove se qualcuno compie un crimine, o è semplicemente 
sospettato di esserne l'autore, perde il diritto alla casa? Nel vecchio 
regolamento del comune di Milano (decaduto 
lo scorso novembre), perderebbe il diritto alla piazzola di sosta l'intera 
famiglia del presunto colpevole. La chiave è in un altro frammento di dichiarazione: "Sono anni che i 
cittadini di Massenzatico e di Pratofontana subiscono passivamente gli effetti 
negativi di una convivenza intollerabile con la comunità nomade, nel silenzio 
delle istituzioni..." da cui discende il "legittimo sospetto" che 
l'aggressione nel locale sia la scusa per un regolamento di conti ben più grave, 
per cui una comunità debba pagare le colpe dei singoli, ANCHE IN ASSENZA DI COLPA PROVATA. Vorrei terminare questi pensieri, invitandovi a non chiedervi se ho 
parlato o meno di razzismo. Non è un razzista dichiarato chi ha fatto quelle 
affermazioni, ma credetemi, non lo sono neanche Borghezio, Gentilini, non lo era 
neanche Göbbels... solo vogliono fortemente che lo diventiate voi. 
Come sapete, nessun razzista ammetterà mai di essere tale. Sono (stati) tutti attori, recitano una parte con diversi comprimari e 
spettatori paganti, al solo scopo di alimentare la continua macchina dell'odio. 
Sanno che la paura, il risentimento, l'incertezza fioriscono, mai come in questi 
tempi, e quindi parlano e ci manovrano di conseguenza. Ma in fondo, dipendesse 
da loro non farebbero male ad una mosca... ci sarà sempre chi svolgerà il lavoro 
sporco in vece loro.   
      
 SABATO 10 MARZO ORE 19,30 REBEL STORE in VIA DEI VOLSCI 41 - SAN LORENZO, ROMA
 "Tristezza ironica, gioia di vivere e speranza sono i fili conduttori che 
accompagneranno il lettore in questo viaggio. Racconti e poesie si alterneranno 
con vivace ritmicità e sono lì a testimoniare la quotidianità di questo popolo, 
i Rom, che può insegnare ciò che nel nostro mondo di è dimenticato: la verità 
semplice di chi non ha niente, la cui unica ricchezza sono le proprie tradizioni 
e la propria cultura."   
		
		
			Di Fabrizio  (del 28/02/2012 @ 09:01:01, in Europa , visitato 2082 volte)
		 
      Da 
Roma_Francais 
 LADEPECHE.fr Due giovani rumene affermano che è stato proibito loro di 
pagare gli acquisti./ Photo DDM. T.Bl 
"In questo supermercato, più volte ci è stato chiesto di uscire senza neanche 
poter avuto fare la spesa. Ci lasciano entrare, prendere gli articoli, e quando 
siamo alla cassa, rifiutano i nostri soldi. Solo qui ci trattano così, dalle 
altre parti non abbiamo problemi," testimoniano all'unisono Simona e Roxana, 
tutte due rumene della comunità rom. 
Quindi Lidl in avenue d'Atlanta rifiuta certi clienti perché sono Rom? Di fronte 
al supermercato, tuttavia, tutti i clienti sembrano stupiti per la notizia: "Non 
ho mai assistito a fatti simili", assicura Maria, cliente abituale del discount. 
Aggiungendo: "Se questa pratica è provata, sarebbe meglio concentrarsi sulla 
sorveglianza, piuttosto che bandire sistematicamente certe persone." 
La filiale regionale della Lidl si difende: "Non ci sono direttive, nazionali o 
regionali. Non ne facciamo un collegamento alla comunità. Se qualcuno si vede 
rifiutato, è perché abbiamo già avuto dei problemi con lui. Sono in corso 
diverse denunce, anche per furto."   
		
		
			Di Fabrizio  (del 27/02/2012 @ 09:23:02, in Italia , visitato 1650 volte)
		 
      
 24 febbraio 2012 - Lo slogan "Via la patente al razzismo: i punti sono 
finiti". 
 "Via la patente al razzismo: i punti sono finiti" è lo slogan della terza 
giornata nazionale del primo marzo con la mobilitazione diffusa degli immigrati.
 La manifestazione è organizzata da un comitato, composto da diverse sigle 
dell'associazionismo, "nello spirito della Carta dei migranti approvata a Gorée 
(Senegal), sulla base di principi condivisi che difendono la libera circolazione 
delle persone e l'esercizio di una piena cittadinanza fondata sulla residenza e 
non sulla nazionalità". Dopo le precedenti edizioni, del 2010 e 2011, quella attuale secondo gli 
organizzatori intende "avviare un percorso che non si esaurisca nella data del 
primo marzo, ma unisca le persone in un filo giallo sovranazionale, cancellando 
le frontiere culturali che ancora ci limitano". Una giornata, si legge in una nota, "ancora più importante in Italia dopo i 
pogrom di Rom come quello di Torino e l'omicidio razzista a Firenze di Samb 
Modou e Diop Mor". Il comitato promotore, nel manifesto di adesione, scrive tra gli obiettivi 
della mobilitazione: l'abrogazione della legge Bossi-Fini, la cancellazione del 
contratto di soggiorno per lavoro e la chiusura di tutti i Cie in Italia e in 
Europa; la cittadinanza immediata ai bambini nati in Italia; l'abolizione del 
permesso a punti e nuove tasse sul rinnovo del permesso di soggiorno; una 
regolarizzazione generale di chi non ha un permesso di soggiorno. (Red.)   
       nuova Agenzia Radicale - martedì 21 febbraio 2012 di FLORE 
MURARD-YOVANOVITCH
 intervista allo storico Luca Bravi*
 - Perché il genocidio dei Rom sotto il nazismo - il Porrajmos - che fece circa 
mezzo milione di vittime tra questo antico popolo europeo, è ancora oggi in 
parte uno sterminio dimenticato?
 
 I Rom continuano oggi a subire stereotipi culturali simili a quelli che hanno 
subito nel corso della Storia. Nella mentalità comune, lo "zingaro" è ancora 
percepito come "asociale" o "nomade", presunte "tare" su cui i nazisti 
imbastirono la loro teoria della "razza zingara". La rimozione del genocidio dei 
Rom ha varie cause, storiografiche ma anche politiche. La Germania post-bellica 
ha fatto di tutto per cancellare la radice razziale della persecuzione degli 
"zingari", derubricandola a una semplice operazione di pubblica sicurezza per 
via della loro presunta "pericolosità" (mistificando la legislazione nazista). 
Cioè, ai sopravvissuti rom e sinti furono negati i risarcimenti e questa 
rimozione durò fino alla fine degli anni '80, quando alcuni studiosi tedeschi 
rivalutarono gli archivi del regime nazista che facevano chiari riferimento alla 
"razza zingara". Il Porrajmos fu riconosciuto solo nel 1989 dalla Germania come 
genocidio di stampo razziale. La legge relativa al Giorno della Memoria in 
Italia attualmente ricorda correttamente la specificità della Shoah ma per 
adesso non è stato inserito alcun riferimento al Porrajmos (il Parlamento ha 
ricordato l'internamento dei rom e dei sinti nei campi di concentramento solo il 
16 dicembre 2009).
 
 - Gli storici non si sono interessati alla questione della persecuzione dei Rom 
sotto il Terzo Reich, nemmeno dopo la fine della guerra?
 
 Sì, ma solo tardivamente, tanto in Germania quanto in Italia. Anche tra gli 
storici erano ed a volte sono presenti clichés sui nomadi pericolosi. Il 
genocidio dei Rom è inoltre una questione storiografica complessa. Studiare il 
Porrajmos a fianco della Shoah, senza con questo banalizzare o tanto meno negare 
la centralità e la specificità di quest'ultima, significa rischiare di entrare 
in attrito con chi propone l'idea di una unicità della Shoah; (e della sua 
incomparabilità con qualsiasi altro fatto storico). La mia tesi è che esiste 
invece un parallelismo nel totale annientamento che i nazisti riservarono a 
questi due popoli considerati "razzialmente inferiori"; Porrajmos e Shoah sono, 
purtroppo, tasselli dello stesso evento, l'uno getta luce sull'altro, ed 
entrambi sono crimini contro l'umanità intera.
 
 - Parallelamente alla "razza ebraica" i nazisti avevano infatti teorizzato una 
"razza zingara", anch'essa "geneticamente inferiore" e da eliminare. Ci spiega 
meglio come questa "classificazione" razzista fu elaborata?
 
 La legislazione nazista si nutre della percezione popolare negativa dello 
zingaro nomade. Già nel 1935 le Leggi di Norimberga, anche se non li menzionano, 
furono applicate anche agli "zingari" (termine allora usato per chiamare i rom e 
i sinti), deprivati dalla loro cittadinanza tedesca. Dal 1936, tutti gli zingari 
vengono internati nei campi di sosta forzata e poi dal 1938 allontanati e 
deportati in massa all'Est, in vagoni speciali aggiunti a quelli degli ebrei. In 
quei campi di concentramento lavorava l'Unità di Igiene Razziale (e di Ricerca 
biologica) del Reich, diretta dallo psichiatra infantile Robert Ritter, che 
effettuava pseudo "studi zingari". Da misurazioni antropometriche sui circa 
20.000 internati, la sua squadra faceva derivare delle caratterizzazioni di tipo 
morale e psichico dell'intero gruppo. Gli "zingari" sarebbero stati razzialmente 
"inferiori" perché portatori del carattere ereditario dell'"istinto al 
nomadismo" che causava la loro consequenziale "asocialità", una "piaga" da 
sradicare. Nel 1938, sulla base delle ricerche di Ritter, Himmler equipara la 
Zigeunerfrage, la "questione zingara", a quella ebraica, per via della radice 
razziale. Tra il 1938 e il 1942, il Reich pianifica le tappe cruciali per 
"risolvere" la questione con la stessa logica razionalista del "trattamento 
speciale" degli ebrei. Prigionia nei campi di concentramento, esecuzioni di 
massa dalle Einsatzgruppen, ricorso ai gaswagen (camion della morte), fino al 
decreto del 16 dicembre del 1942 (Decreto di Auschwitz), che progetta la 
deportazione e lo sterminio di chiunque risultasse di "sangue nomade". Nel 
vernichtungslager (campo di sterminio) di Auschwitz prende il via la "soluzione 
finale" dei 23.000 Rom detenuti e si chiude la fase finale della persecuzione 
razziale dei Rom, che mirava al loro annientamento totale. I nazisti 
sterminarono circa mezzo milione di rom e sinti, circa un terzo degli Zingari 
che vivevano in Europa, l'80% nell'aerea dei paesi occupati.
 
 - Durante tutto il regime nazista, dunque, sugli zingari usati come cavie, 
furono effettuati atroci sperimenti pseudo-scientifici, particolarmente atroci, 
dai medici nazisti; come mai questi non furono mai processati?
 
 Su quelle "vite indegne di essere vissute" furono attuati dal 1934 alla fine del 
regime (in particolare nell'operazione eutanasia T4) mostruosi esperimenti, come 
sterilizzazione coatta, esperimenti eugenetici e test dei primi gas, su donne e 
soprattutto bambini zingari. Quegli pseudo-scienziati non solo non vengono 
processati nella nuova Germania, ma vengono lodati come "esperti zingari" e 
continuano ad esercitare in cliniche private. Non processarli andava di pari 
passo con la rimozione ufficiale del genocidio di stampo razziale. Rare sono 
state le voci di sopravvissuti rom o non furono credute né ascoltate. Inoltre, 
per alcuni gruppi rom e sinti, non si deve parlare dei morti, perché parlarne 
sarebbe trattenerli in vita; questa scelta di non raccontare deriva da questo 
specifico rapporto con la morte, ma questo è vero solo per alcuni gruppi ed è 
comunque un tratto in evoluzione recentemente. Ma in nessun modo si può 
accollare la dimenticanza di questa tragedia a quel popolo; bensì a qualcosa di 
profondamente radicato nella cultura delle società tecnologicamente avanzate nei 
confronti degli zingari.
 
 - Anche il fascismo italiano istituirà campi di internamento riservati ai Rom?
 
 La ricerca sui campi fascisti è relativamente recente; venne avviata meno di 20 
anni fa, quando fu rintracciata la circolare del Ministero dell'Interno dell'11 
settembre del 1940 che ordinava il rastrellamento e l'internamento di tutti gli 
zingari, in vari campi sul territorio italiano. Oggi, grazie alle liste degli 
internati, sappiamo che furono tre i campi fascisti "riservati" agli zingari 
(Agnone, oggi in provincia d'Isernia, Tossicia, provincia di Teramo, e Prignano 
sulla Secchia in provincia di Modena). L'internamento si basava sulla ricerca 
razziale fascista, elaborata in particolare da Renato Semizzi (un docente di 
Medicina Sociale) e dal giovane antropologo Guido Landra: lo stesso che elaborò, 
su indicazione di Mussolini, il manifesto della razza. In alcuni articoli 
comparsi su La difesa della Razza, i due studiosi affermavano la pericolosità 
dei rom e dei sinti in relazione alla loro componente psichica deficitaria, un 
elemento legato anch'esso a connotazioni di stampo razziale che si richiamavano 
ancora una volta al nomadismo e all'asocialità insiti nel "sangue zingaro".
 
 - Oggi il "Piano Nomadi" non mostra una sconcertante continuità con questo 
passato di emarginazione?
 
 Affronto questo tema in "Tra inclusione ed esclusione. Una storia 
dell'educazione dei rom e dei sinti in Italia" (Unicopli, 2009), dove studio la 
continua rieducazione etnica di questa minoranza, dal fascismo all'odierno 
decreto Sicurezza. Oggi ovviamente i campi rom non sono in sé campi di 
internamento. Ma continuare a parlare di "campi", applicare a queste persone gli 
stessi concetti di asocialità e nomadismo di allora, significa pianificare 
soluzioni di emarginazione. Fuori dalle città, dai servizi, dai collegamenti: e 
più sono allontanati, più vengono usati dalla politica come capro espiatorio su 
cui indirizzare le colpe dei mali della società odierna. Quello che si intendeva 
allora per "razza", si sostituisce oggi per la loro presunta "cultura" di 
gruppo, con ragionamenti che non sono molto diversi dal passato. La soluzione è 
progettare l'uscita dai ghetti, e progettare, insieme a loro, soluzioni 
abitative diverse. Loro sono organizzati e auto rappresentati, devono essere 
coinvolti nei progetti che li riguardano.
 
 - Teme la riapparizione di fenomeni di razzismo anti-Rom, in tutta Europa, che 
da noi hanno il volto dei tentati pogrom di Ponticelli e Torino?
 
 Ovunque nel continente europeo cresce l'antiziganismo. In Italia, quando un rom 
o un sinti viene incolpato, prima ancora del processo, il campo viene distrutto 
o spostato ed esplodono proteste popolari. Nella società serpeggia quella paura 
del diverso, che si traduce in forme estreme di violenza, i Rom essendo la 
diversità in assoluto. Considerati, agli occhi della società maggioritaria, 
non-cittadini da fare vivere ai margini: ogni azione nei loro confronti viene 
considerata quasi lecita. La nostra cultura dovrebbe finalmente confrontarsi con 
i Rom e con la rimozione della loro tragedia; la conoscenza del Porrajmos 
(ancora assente dai manuali scolastici) permetterebbe di combattere l'antiziganismo.
 
 * ricercatore presso Università Telematica L. Da Vinci 
di Chieti), ha pubblicato, tra gli altri, il volume "Altre tracce sul sentiero 
per Auschwitz" (Ed. Cisu)
   
       Baxtalo's Blog 
 Con una cinepresa in spalla, il cineasta franco-algerino Tony Gatlif si è messo 
in mezzo alla folla degli "indignados" della primavera europea del 2011 i quali, 
a partire degli atenei di Madrid, protestarono contro i banchieri e i ricchi in 
generale.
 "Anche quando la temperatura scende a meno dieci o meno 
quindici gradi, nessuno si meraviglia di vedere la gente dormire per strada" ha 
dichiarato all'AFP, prima di presentare "Indignados", il suo film sdegnato, 
nella sezione Panorama della 62a Berlinale, dedicata quest'anno ai recenti 
sconvolgimenti della storia, soprattutto nel mondo arabo. Il gitano del cinema globalizzato ("Latcho Drom", "Gadjo Dilo") si mette in posa 
per i fotografi con i pugni chiusi all'altezza degli occhi, con uno sguardo di 
sfida. Dice che è "disgustato", e anche che il libro "Indignados" gli è penetrato fin 
dentro l'anima. Questo testo di Stephane Hessel, di 94 anni, eroe della 
resistenza francese contro i nazisti nonché ex diplomatico, il quale chiama al 
sollevamento pacifico contro l'ingiustizia, è stato tradotto in trenta paesi. Tony Gatlif, dice di essersi sentito male e umiliato per il modo nel quale 
furono trattati i gitani in Francia durante l'estate 2010, e dichiara che il 
libro di Hessel lo ha curato dai problemi psicologici dei quali ha sofferto a 
causa di questa situazione. Dopo avere acquistato i diritti cinematografici di "Indignados", ha deciso di 
fare delle riprese. "Ma non ho voluto farlo secondo il punto di vista degli 
europei", dice.  Tony Gatlif esamina la rivoluzione contrapporsi alle disavventure di 
un'immigrata clandestina, nella militanza crescente che traboccherà poi per le 
strade di molti paesi in tutto il mondo
 La sua cinepresa segue quindi il vagabondaggio di Betty, una ragazza africana 
senza documenti, buttata sulla riva nord del Mediterraneo, attanagliata 
dall'urgenza di fuggire dalla miseria e dalla speranza di godere di una vita 
migliore in Europa. Lo spettatore la segue nelle sue peripezie mute, ritmate dalla musica e dagli 
slogan, da Patrasso, il grande porto greco, passando per Atene e Parigi, e 
terminando a Madrid. Betty, detenuta dalla polizia e rimandata in Grecia, l'unico paese che ha 
conservato le sue impronte digitali, scopre la miseria dei paesi ricchi, i 
materassi per strada, i pasti serviti dalle associazioni caritatevoli. "A noi, non c'importa, mentre lei è sconvolta. Ed è per questo che ho voluto che 
guardassimo dall'alto delle sue spalle, con i suoi occhi" sottolinea Tony Gatlif. "In ogni luogo, la vecchia Europa che fa tanto sognare, sta in pericolo. E' la 
prima volta nella storia, che le banche provocano la bancarotta di un paese", 
continua. "Betty stessa si trova intrappolata in Europa, senza potere rientrare nel suo 
paese. La sua famiglia si era indebitata per pagarle il viaggio, e ora si trova 
a sommarsi ai clandestini, a quelli senza documenti, ai paria senza identità", 
dice Gatlif. Costretta a mentire, Betty ripete al telefono ai suoi familiari: "Le cose vanno 
bene, tutto andrà per il meglio". Ma cosa ci guadagna Betty, nel rimanere in mezzo a questa folla in collera, ma 
impotente davanti alle crisi economiche e finanziarie, che riprende con i suoi 
telefonini durante le manifestazioni? "E' il nuovo mezzo di comunicazione che rende possibile la rivoluzione pacifica, 
poiché in questo modo l'informazione corre veloce, e sorpassa governi e 
banchieri" stima il realizzatore. Il documentario-dramma del regista Tony Gatlif si ispira al noto saggio di 
Stephane Hessel, 94enne, "Indignatevi!". Tony Gatlif crede "nei raggruppamenti della gente, nella forza della folla. 
Anche i rivoluzionari siriani raggiungeranno il successo".L'essere stato selezionato per la Berlinale lo ha confortato, e accanto a 
Stephane Hessel, desidera utilizzare il festival come un palco.
 "Sarebbe ora che anche il cinema smetta di guardare al proprio ombelico, e si 
impegni; ma è come in altri contesti: ognuno difende i propri piccoli 
interessi", dice Gatlif.   
		
		
			Di Fabrizio  (del 25/02/2012 @ 09:28:24, in Italia , visitato 2911 volte)
		 
      
 immagine da 
lussuosissimo.com La
recente vicenda della commessa che a Vicenza ha esposto un cartello per 
vietare l'ingresso "AI ZINGARI" ha sollevato diverse e comprensibili reazioni. 
Come succede spesso, il rischio è che in una settimana il silenzio subentri al 
clamore; sottopongo allora ai pazienti lettori alcune riflessioni da 
riprendere col tempo. Un primo punto riguarda la fruizione della notizia: CLAMORE 
IMMEDIATO e SUCCESSIVO SILENZIO. La parola ZINGARI su quel manifesto (un 
giornalista, un politico, uno studioso avrebbero adoperato il politically 
correct ROM E SINTI) continua a riportarci indietro negli anni, nonostante 
da lungo tempo si vada ripetendo quanto quel termine sia offensivo. E' la 
dimostrazione che si continua a giocare "in difesa". Ma, mi chiedo, è vero razzismo usare la parola ZINGARI? 
L'ultima frase dell'articolo di
TMnews riassume bene il concetto: La ragazza parla di ingiustizie, lei paga il biglietto sull'autobus e 
				gli zingari no. "Non sono razzista - rincara - ma le regole 
				devono valere per tutti". Insomma i suoi colleghi negozianti non 
				mettono cartelli ma non fanno entrare gli zingari. ...molto simili, questi negozianti, a giornalisti, politici, studiosi, 
che usano il termine "Rom e Sinti", ma magari hanno il terrore di un contatto 
fisico con qualcuno di loro. La commessa: io penso che razzista sia stata la scritta, non 
chi l'ha vergata, e sicuramente lei non si percepisce tale. Racconta di sé su
La nuova Venezia: «Entrano e scappano con la roba. Io do quello che posso a chi chiede 
				aiuto. Ecco, qui ho una bottiglia di shampo difettata, la do a 
				chi me la chiede, do anche lo yogurt della mia colazione. Ma 
				tutti vogliono soldi, non aiuto. L'altro giorno sono stata 
				aggredita da un uomo di colore. Gli zingari non fanno del male, 
				ma entrano in tanti, con i bambini si riempiono le tasche di 
				roba ed escono dalla porta senza pagare. Io li rincorro. Ho 
				chiamato la polizia quando sono stata aggredita, ma se non hai 
				un avvocato e i soldi non serve a niente». Ragionamenti che appartengono probabilmente alla gran massa del resto della 
popolazione, che più che il problema del razzismo o degli zingari, si pone 
quello dell'arrivare a fine mese. Questa ragazza, che ha messo la questione sul tappeto con molta più chiarezza 
di qualsiasi sociologo, suscita scandalo perché giovane e soprattutto perché è 
di origini marocchine e (come si scrive oggi) immigrata di seconda generazione. 
Questo particolare diventa anzi la chiave di lettura dell'articolo di
Tuttogratis. Per questo invitavo a riflessioni più approfondite e meno scandalizzate. 
Parto da una provocazione: Se tu lettore fossi un immigrato, un rom, un sinto... cosa diresti se 
qualsiasi italiano ti spiegasse che sì, la piena integrazione è un tuo diritto, 
ma a differenza degli italiani non hai diritto a lamentarti se qualcuno ti ruba 
qualcosa? AUMENTANDO LA PROVOCAZIONE: se io ho gli stessi diritti (e 
doveri) di un italiano, perché non mi riconoscete il diritto di essere razzista 
quanto e più di voi? Gian Antonio Stella, quando scrisse
L'Orda, 
svolse un lavoro egregio di ricostruzione della memoria di un Italia passata 
dall'essere vittima di razzismo a paese che si mostra sempre più razzista. Sul
Corriere della Sera è tornato sul concetto dei penultimi che per salire 
mettono i piedi in testa agli ultimi. Il razzismo è una malattia che si può curare, ma non sono 
sicuro che esista un vaccino efficace ed universale. E' successo agli italiani, 
succede oggi agli immigrati ed alle seconde generazioni. Se gli zingari 
(pardon: i Rom e i Sinti) ne sono tuttora immuni, è perché (indipendentemente 
dai progressi socio-economico-politici di alcuni dei loro settori), 
rimangono gli ULTIMI nella percezione popolare. Hanno allora tutte le ragioni ad argomentare contro il razzismo che 
subiscono quotidianamente (e quello della commessa vicentina è forse meno 
doloroso di altri), ma ATTENZIONE che se anche per loro arrivasse... non dico 
tanto, ma almeno il riconoscimento di essere persone come tutti... credo 
sconsolatamente che cercherebbero a loro volta un PARIA  con cui 
pigliarsela. Ad esempio: da almeno due decenni assisto a situazioni dove Rom e 
Sinti italiani incolpano della loro situazione i Rom stranieri, e Rom slavi di 
lungo insediamento che se la prendono con l'arrivo di Rom bulgari e rumeni... 
SONO ATTEGGIAMENTI RAZZISTI? Apparentemente sì, anche perché espressi con più 
rabbia di un italiano, che non si sente personalmente minacciato da questa 
"concorrenza tra poveri". Eppure, ricordo tanti anni fa, i Rom che conoscevo allora vedevano di 
mal occhio l'arrivo dei primi immigrati dal Nord Africa: pubblicamente contro di 
loro ne dicevano di tutti i colori, ma quando questi immigrati avevano necessità 
di un piatto di minestra, di una roulotte dove ripararsi, dove pensate che 
andavano a chiedere? Proprio da quei Rom che di loro parlavano male, ma che 
lontano da occhi indiscreti riscoprivano la loro antica solidarietà. 
Come noterete, non è un atteggiamento molto distante dalla nostra commessa di 
Vicenza. Però, dopo tutto questo scrivere di razzismo, devo deludere i miei lettori, 
				non è di quello che mi premeva ragionare, non adesso, perlomeno. 
				Il razzismo ha diversissime maniere di manifestarsi, soprattutto 
				perché dietro quel concetto si mascherano spesso problemi più 
				pratici. Ragionando sulla commessa (di seconda generazione, ricordiamocelo), 
e rileggendo l'articolo di Stella che ho menzionato prima, è da inquadrare 
l'ambiente in cui si sviluppa la vicenda: il Veneto già terra 
di immigrazione e poi roccaforte leghista. Con tutte le contraddizioni che si 
porta dietro: quelle di un territorio molto più curato e protetto rispetto a 
tante altre regioni italiane, ma anche patria (assieme alla Brianza) del 
fenomeno dei capannoni con fabbrichetta abbinata o del consumo di suolo. Se ad esempio a Treviso (dove è ancora l'ex sindaco Gentilini a dettare la 
linea politica) l'ideologia leghista ha raggiunto parossismi tra 
l'avanspettacolo ed il codice penale, la sua provincia è quella che 
percentualmente ha attirato più immigrati. Sembrerebbe un paradosso, ma la cosa 
(ad un milanese come me) riecheggia certe dichiarazioni dell'ex sindaco De 
Corato che, gonfiando fascistamente il petto, giustificava ai giornalisti i suoi 
sgomberi infiniti spiegando come alcuni sondaggi mostrassero che la città di 
Milano fosse una delle mete di arrivo preferite per i Rom stranieri. Non che mi sia mai fidato di De Corato, ma qualche domanda su quanto sia 
complesso interpretare le realtà locali me la pongo. Il Veneto, il nord-est in genere, come sistema economico, quante volte se n'è 
sentito parlare in questi anni. Il Veneto dove un'immigrata di seconda 
generazione si è talmente integrata da assumerne la mentalità, con tutti i lati 
positivi e negativi. Ma quest'area, dove a vari livelli convivono e producono 
genti così diverse, è stata anche tra le prime, oltre 15 anni fa, a 
delocalizzare la produzione all'estero. Erano già allora i primi segnali di un 
modello che andava ripensato, e che nonostante la sua pretesa autonomia ed 
autosufficienza, non era in grado di reggere all'innovazione della 
globalizzazione. La crisi oggi colpisce duro anche lì, scrive 
il Giornale di Vicenza: La paura - o la constatazione - di non farcela: quel bazar chiuderà a 
				marzo. E i negozianti del quartiere che testimoniano: «Da un po´ 
				di tempo i nomadi passano con maggior frequenza - racconta Mauro 
				Oliviero, fruttivendolo in contrà XX settembre - Prima passavano 
				solo il giovedì, giorno di mercato; sarà la crisi?».Forse è la crisi. Vedere mamme e bambini nomadi sui marciapiedi 
				del centro a chiedere l´elemosina ormai è una costante. Non lo 
				fanno solo loro. E non è una novità assoluta. La crisi, comunque 
				sia, condiziona il clima.
 La prima vittima è proprio la solidarietà che quel modello non è stato in 
grado di far attecchire. La seconda, purtroppo, è la commessa di Vicenza, quella 
seconda generazione che ha potuto per ultima approfittare della ricchezza 
veneta, e come i suoi coetanei italiani avrà un futuro incerto di fronte a sé. Tocca ancora al
Giornale di Vicenza fornire una sintesi con le parole della commessa stessa. A questo punto, torniamo un attimo al razzismo o meglio, ALLE COSE DA FARE. 
Il cartello è sparito dalla vetrina, l'UNAR 
ha aperto una propria inchiesta. Potrebbe sembrare un lieto fine, ma ho i miei 
dubbi, perché: 
				la commessa non ha cambiato opinione, si è limitata a 
				cambiare atteggiamento;l'UNAR sta facendo cose notevoli, ma quante delle inchieste 
				che apre periodicamente portano ad un costrutto? Corre il 
				rischio, di fronte agli innumerevoli argomenti da affrontare ed 
				alle pressioni politiche a cui è sottoposto, di trasformarsi 
				nell'ennesimo carrozzone parolaio italiano, più funzionale ai 
				tecnici che vi sono parcheggiati che nell'affrontare e risolvere 
				i problemi. Premesso che non conosco la realtà del Veneto così bene dal 
poter dare consigli, ho tentato di spiegare quali sono per me alcuni punti 
nodali da affrontare, di una versione molto più complessa di come si presenta 
apparentemente. Ci sono problemi generali, dove razzismo, zingari, immigrati sono 
alcuni degli elementi. E ci sono poi situazioni particolari, dove le varie aree 
del paese hanno specificità, storie, risorse diverse. E' possibile INTERVENIRE ADESSO, oppure aspettare la prossima notizia simile. 
Ma soprattutto, occorre coniugare le sacrosante battaglie per i principi 
universali, all'individuazione di soluzioni PRATICHE più localizzate, che 
mettano in moto soggetti e competenze che già esistono. In parole povere, vedrei la necessità di istituire in tutte le città 
medio-grandi (ma anche nelle piccole, se ci sono necessità e competenze), di un
TAVOLO-CONSULTA locale (chiamatelo come volete), dove 
affrontare questi argomenti, assemblea che veda la partecipazione di soggetti 
tra loro diversi, ma comunque coinvolti: associazioni di immigrati, 
organizzazioni di Rom e Sinti, assieme ad amministratori, sindacati dei 
lavoratori e di categoria, associazioni imprenditoriali, cooperative... 
(l'elenco può anche continuare, ma fermiamoci prima di riscrivere le Pagine 
Gialle!). Lo scopo è di agire sulle tante leve che rimandino ad azioni condivise, 
sostenibili e che facciano uscire dal ghetto, dove Rom e Sinti rischiano di 
venire rinchiusi parlando del solo razzismo, senza affrontarne le cause. 
Creando nel contempo quella conoscenza e quell'azione comune indispensabili per 
ottenere (ed offrire) solidarietà.   
		
		
			Di Fabrizio  (del 24/02/2012 @ 09:42:51, in lavoro , visitato 2350 volte)
		 
      
 SARTORIA JELESAN Milano, domenica 26 febbraio e domenica 4 e 11 marzo, dalle 8.30 alle 13.30, al mercato della Bovisa, nel piazzale del 
parcheggio vicino alla Scighera Venite a trovarci, siamo lì tutta la mattina con il nostro meraviglioso 
banchetto pieno di belle cose, tutte cucite a mano! Realizzate in proprio, col supporto dell'associazione 
Idea Rom   
       Domenica 26 febbraio alle ore 19.30, presso l'Obra Cultural, il Cantiere 
Sociale de l'Alguer presenta "Qualche Rom si è fermato italiano". 
 Sono oltre 10 milioni i Romà d'Europa, la più grande minoranza etnica 
transnazionale, formata da varie etnie accomunate dall'uso del romanésh, 
antichissima lingua di origine indiana. Dieci milioni di persone di cui i due 
terzi vivono al di sotto della soglia di povertà, confinati soprattutto in 
Italia nei "campi nomadi", recinti suburbani senza strade, acqua corrente, luce 
elettrica, con difficoltà e discriminazioni nell'accesso al lavoro, 
all'assistenza sociale e sanitaria. La parola zingaro è carica di connotazioni 
negative e rimanda a rappresentazioni stereotipate di un intero popolo a cui 
vengono associati comportamenti sociali fuorvianti, veri o presunti. Spesso i 
romà diventano i capri espiatori dei malfunzionamenti e delle perversioni della 
politica e dell'economia dei nostri paesi.
 Della lunga e sofferta storia di questo popolo, un tempo nomade ora sempre più 
sedentarizzato, abbiamo scelto la pagina più tragica: lo sterminio da parte dei 
nazifascisti. Porrajmos (distruzione) è la parola in lingua romanì 
corrispondente all'ebraico Shoà: si stima che quasi 500.000 tra romà, sinti e 
camminanti siano stati uccisi nei campi di concentramento tedeschi, con la 
solerte collaborazione dei fascisti di Mussolini che in Italia e in Jugoslavia 
provvedevano a rastrellare e caricare nei vagoni piombati ebrei e figli del 
vento. Una storia a lungo dimenticata ma che aggrava il bilancio della follia 
nazifascista: due, e non solo uno, furono i popoli perseguitati per motivi 
razziali e destinati alla "soluzione finale": romà ed ebrei.
 
 Durante la serata saranno proiettati i documentari "Porrajmos" di Paolo Poce e 
Francesco Scarpelli, e "Un rom italiano ad Auschwitz"di Francesco Scarpelli ed 
Erika Rossi (tratti dal dvd "A forza di essere vento" edito da A rivista 
anarchica), e l'intervista a Pashana, realizzata dal Cantiere Sociale de l'Alguer 
nel 2003.
 
 Bica (nonna) Pashana, anziana capostipite degli Hadzovich, famiglia rom 
khorakhanè che vive ad Alghero da quasi 40 anni, racconta la storia dei suoi due 
fratelli, partigiani di Tito durante la II Guerra Mondiale (e di cui conserva 
gelosamente un attestato al merito), le stragi che ha patito il suo popolo in 
Jugoslavia per mano di tedeschi e ustasha, e poi la povertà, i lutti, la 
semplice dignità di una vita sempre in viaggio. Con il solo desiderio della 
serenità per se, ormai ultraottantenne, e la sua famiglia: speranza delusa dalla 
sorda burocrazia italiana che gli ha negato "la pensia", l'agognata pensione 
sociale. Per tutti noi un'occasione mancata per sentirci parte di una società 
del diritto, prima che Pashana lasciasse la sua sempre più numerosa discendenza 
per riprendere il suo viaggio.
 
 La proiezione dei filmati si alternerà alle letture tratte dal libro "Màskar e 
Borori", a cura di Joan Oliva.
 
 «fuggi luna, luna, luna se verranno i gitani faranno del tuo cuore collane e 
anelli bianchi» Federico Garcia Lorca, 'Romancero Gitano'
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