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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 07/05/2009 @ 09:41:21, in Italia, visitato 2726 volte)

Me ne sono occupato anche ieri, aggiungo questa segnalazione di Flora Afroitaliani

Il campo Rom di Ponticelli devastato dai raid incendiari nel maggio 2008

Il 7 maggio prossimo verrà celebrato il processo in Corte d’Appello relativo ad A.V., la quindicenne rom accusata di aver rapito una neonata a Ponticelli, lo scorso maggio. A.V. ha voluto scrivere una lettera aperta al Capo dello Stato.

Il 10 maggio 2008, la piccola rom viene arrestata a Ponticelli, Napoli, dalla polizia, mentre una folla inferocita l’ha accerchiata e si è scagliata contro di lei. Il tentativo di linciaggio è stato innescato dalle urla di una giovane madre che accusa la ragazzina di aver cercato di rapire la figlia neonata. A.V. viene portata a Nisida, dove tuttora – dopo 10 mesi di carcere preventivo e il primo grado di giudizio che l’ha condannata a 3 anni e 8 mesi – si trova.

Appena dopo l’arresto di A.V., gruppi di abitanti di Ponticelli attaccano i campi rom con spranghe e taniche di benzina col pretesto dichiarato di “vendicare” il rapimento della neonata.

L’udienza presso la Corte d’Appello di Napoli ci sembra un occasione per riflettere sulla drammatica vicenda, per interrogarci sulla potenza che gli stereotipi hanno sulla realtà, su come siamo oppressi dal crescente e sempre più violento razzismo.

La vicenda è complessa e include certamente anche la volgarità e la scorrettezza dei media, che hanno dato subito per certa ed assodata la colpevolezza della ragazzina, e hanno addirittura continuato a trasmettere ossessivamente la notizia mentre bande di gente armata di spranghe e molotov assaltava i campi rom con all’interno bambini, donne ed anziani, costringendoli a fuggire.

La disumana ferocia con cui sono state devastate le povere baracche dove vivevano i rom è il frutto di una politica che, con le sue scelte vergognosamente razziste, esaspera senza ritegno le più riprovevoli pulsioni xenofobe, alimenta a proprio uso e consumo una incessante guerra tra poveri e innesca l’inaridimento crescente di valori fondanti la cultura del nostro paese, come la solidarietà, la tutela dei più deboli e l’aspirazione alla giustizia sociale.

In questa situazione, è nostra opinione che il processo ad A.V. avrebbe dovuto essere condotto con il massimo dell’impegno, dell’approfondimento e della trasparenza, con la coscienza dell’importanza e del significato delle decisioni che si andavano ad assumere. Noi denunciamo che tutto ciò non si è verificato e che, al contrario, vi è stato un accanimento giudiziario.

L’avvocato della ragazzina, convinto della sua innocenza e del fatto che il racconto dell’accusatrice e unica testimone presentasse delle incongruenze, ha cercato di impostare un’analisi più approfondita, ma nessuno dei nodi sollevati è stato preso in considerazione.

La sentenza di primo grado si è chiusa con una condanna a tre anni e otto mesi per sequestro di persona consumato con l’aggravante della minorata difesa della persona offesa. Se la sentenza fosse confermata in appello, sarebbe il primo ed unico caso in Italia di un tale tipo di reato da parte di un rom.

Noi riteniamo che l’asprezza della pena rivela la precisa volontà di infliggere una condanna esemplare, cioè ispirata non alla reale concretezza delle prove, ma invischiata di questo clima da caccia alle streghe.

Denunciamo che, anche se paradossalmente la ragazzina fosse colpevole, gravi e inaccettabili sono le violazioni dei diritti fondamentali che ha subito durante il processo, tra cui la mancata traduzione degli atti nella lingua di origine e il rifiuto di concedere il patrocinio a spese dello Stato. E’ inaccettabile, poi e soprattutto, che il Tribunale non abbia voluto concedere nessuna chance formativa e rieducativa ad una minore non accompagnata e, per altro, incensurata.

Il rifiuto da parte del Tribunale di concedere misure alternative alla carcerazione è stato motivato col fatto che non c’è stata alcuna confessione da parte della minore, che infatti si è sempre professata innocente pur sapendo che, se avesse ammesso la responsabilità, sarebbe uscita dal carcere e affidata ai servizi sociali.

Purtroppo, è molto frequente che gli stranieri, consapevoli del clima di pesante pregiudizio che nel nostro paese dilaga, preferiscono addossarsi colpe che non hanno per ottenere sconti di pena. A.V., pur conscia di ciò, ha scelto di continuare ad affermare la propria innocenza. Almeno questo dovrebbe indurci a riflettere.

Aspettiamo con fiducia la decisione della Corte d’Appello di Napoli.

Comitato Campano con i Rom

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Di Fabrizio (del 07/05/2009 @ 09:09:53, in musica e parole, visitato 2723 volte)

Da Romano_Liloro

La Repubblica Ceca prenderà parte al Concorso Canoro Eurovisione 2009, che si terrà a Mosca, dal 12 al 16 maggio 2009.

I Gipsy.cz, che in precedenza aveva preso parte alle finali nazionali ceche sia nel 2007 che nel 2008, sono stati scelti dalla Česká televize (ČT) per rappresentare il paese a Mosca.

"Aven Romale" (Venite Zingari), è la canzone [...] che verrà presentata [testo e video]

Uno dei più grandi talenti apparsi nella Repubblica Ceca durante gli ultimi decenni fa l'impressione di una rivelazione. Il rapper Radosvav "Zingaro" Banga si è unito ad un elite di una squadra zigana guidata dal violinista Vojta Lavička, e - con la nonchalance ed l'eleganza dei leggendari direttori d'orchestra zingari -mixa un esplosivo medley di rap, musica zingara, etno, funky e pop, che - a parte una necessaria porzione di sana aggressività - non manca di humour, un distaccato punto di vista, ed ironia.

Oltre all'influenza degli hiphoper americani, di sicuro ha raccolto impulsi durante i suoi vagabondaggi a Praga, ...
Il seguito su: http://www.ceskatelevize.cz/specialy/eurosong2009/skupina?english=1

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Di Fabrizio (del 07/05/2009 @ 09:07:27, in Italia, visitato 1292 volte)

Ricevo da Sergio Franzese

GRUPPO DI STUDI EBRAICI di TORINO
COMUNITA’ EBRAICA TORINO

organizzano giovedì 14 maggio, alle ore 20,30

presso i locali della comunità, in Piazzetta Primo Levi 12 TORINO

un incontro sul "Porrajmós". Dalla persecuzione nazifascista alle attuali politiche anti-rom (con presentazione del doppio DVD "A forza di essere vento"). Relatore: Paolo Finzi, redattore della rivista anarchica "A"

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Di Sucar Drom (del 06/05/2009 @ 11:42:25, in blog, visitato 1590 volte)

Giugliano (NA), nessun megacampo
"Con il no dell’Assise all’ordine del giorno sulla proposta della Prefettura sulla questione rom c’è il rischio di perdere finanziamenti per milioni di euro". A parlare è Mimmo Di Gennaro, presidente dell’O...

Milano, un ceto politico immaturo
Le sbarre sui Bastioni, alla Rotonda della Besana, per estirpare un pezzo di rumorosa movida. Le cancellate sotto il cavalcavia Bacula, sigillato dopo lo sgombero della favela. Le barriere attorno al Duomo e a Cordusio, all...

San Vittore di Cesena, il punk rock gitano dei Firewater
Al Vidia Club di San Vittore, in via Nazionale 1130, questa sera la musica senza genere nata in un garage di New York. E' un mix di musica indiana, balcanica, messicana, pop e punk quella che invaderà il Vidia clu...

Ungheria, migliaia di persone al funerale di Jeno Koka
Nel cuore dell'Europa centro-orientale tornano episodi e paure di altri tempi, che evocano fasi oscure della storia, in cui discriminazioni e persecuzioni contro le minoranza - etniche o religiose - erano la re...

Mola di Bari, Moni Ovadia in “Senza confini: Ebrei e Zingari”
Venerdì 1 maggio alle ore 21.00 al Teatro Van Westerhout di Mola di Bari, per la stagione dedicata alle “Lingue del Sud” curata dal Centro Diaghilev in collaborazione con il Comune di Mola – Assessorato al...

Milano, abusi edilizi: l'ipocrisia razzista del potere
Mentre il Vice Sindaco di Milano e il Presidente della Provincia di Milano fanno a gara per chiedere la demolizione delle case ai Rom, scoppia in sordina un nuovo caso tangenti a Milano. Cosa è successo? Il Tribunale di Milano ha rinviato a giudizio 19 p...

La difesa della razza
Alcuni brani tratti dalla rivista "La difesa della razza" a cui collaborava anche Giorgio Almirante. "Esiste un punto di spiccata analogia fra la loro vita e quella degli ebrei, in quanto ebrei e zingari rappresentano gli unici gruppi etnici costituiti senza espressione alcuna di vita agricola c...

Milano, piano anti-rom fra traslochi ed espulsioni
Il Comune vuole ridurre del 30 per cento le presenze dei Rom e dei Sinti in città e portarne il numero dai 1.200 censiti a 800: i campi saranno smantellati o ristrutturati, si of...

Perugia, una lite è sfociata in tragedia
Una lite è sfociata in tragedia la sera del 2 maggio. Sono stati arrestati a Vicenza i responsabile della morte di un 14enne di origine rom e di suo padre,...

Premio Ischia, vota anche tu per Step1
Per il trentennale del Premio la Fondazione Giuseppe Valentino ha istituito il Premio Ischia dedicato al mondo del giornalismo partecipato. Da una preselezione di 10 blog - scelti in base alle notizie più rilevanti che sono state prodotte ...

Bolzano, concerto per l'Abruzzo
Le associazioni Nevo Drom e U Giaven invitano tutti al concerto di beneficenza “per le vittime del terremoto in Abruzzo” che si terrà domenica 17 maggio 2009, dalle ore 20.30, presso il teatro Cri...

Ddl sicurezza, salta la norma sui presidi spia
La maggioranza torna sui suoi passi, dopo la lettera del presidente della Camera Gianfranco Fini, e riformula la norma sui "presidi-spia", ammettendo l'iscrizione dei figli di immigrati clandestini a scuola e ritornando alla...

Papini, lolite e meditazione zen...
In realtà sarei tentata da una pagina bianca, un vuoto profondo per fingermi solo per stanotte fuori dal presente. Potrei fissarla a lungo e provare con un OOOMMM prolungato, convinto, a sgombrare la mente, creare uno spazio libero e dormire ...

Roma, il gruppo Pd incontra le associazioni del comitato 'non avere paura'
Oggi, mercoledì 6 maggio, alle ore 14.30 presso la Sala Capranichetta (P.zza Montecitorio 125) le deputate e i deputati del Pd incontreranno pubblicamente le associazioni del comitato 'Non avere paura' promotore...

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Di Fabrizio (del 06/05/2009 @ 09:20:58, in Europa, visitato 3927 volte)

Di Alberto Maria Melis, tratto da "La terza metà del cielo"

(foto tratta da "Romà anni 80 e 90 Selargius Cagliari")

Roger Bastide, nel volume "Ethnologie Général, EncycIopedie de la Pléiade", dice che ogni rito "... è un ricominciare ciò che è accaduto nei tempi primordiali, ma non è una semplice commemorazione, abolisce il tempo profano per fare penetrare l'uomo nell'eternità. Il mito rivive, il tempo mistico viene restaurato, ridi viene presente, con tutta la sua forza attiva. Cosicché tutte le feste, tutte le cerimonie, non sono altro che il ricominciare di ciò che è accaduto... La natura e la storia vengono rigenerate mentre sono reintegrate in questo "illo tempore ", che in effetti ha fondato all'inizio del mondo sia la natura che la storia".

Il rivivere di questo mito, la restaurazione di questo tempo mistico, esplode con incommensurabile vitalità quando i Roma cagliaritani festeggiano alcune ricorrenze di carattere religioso, delle quali la più importante e la più sentita è certamente la Festa di Primavera, che si svolge il 6 Maggio e che viene anche chiamata Gurgevdan, cioé Festa di San Giorgio.

È parere di alcuni ziganologi che gli Zingari festeggino le ricorrenze in qualche modo assimilate dalle popolazioni cristiane e islamiche che hanno incontrato lungo la strada dall'India.

Di questa assimilazione sarebbero un esempio i festeggiamenti più noti tra gli Zingari di fede cristiana, quelli cioè relativi al pellegrinaggio che ogni anno essi fanno sino al Santuario di Saintes-Maries-de-la-Mer, in Camargue, dove la leggenda vuole che nel 40 d.c. fossero approdate tre donne, insieme a San Lazzaro resuscitato, a Massimino e a Sidone, su una barca abbandonata in alto mare dagli Ebrei.

Delle tre donne, le cui reliquie sarebbero state riportate alla luce da Re Renato di Provenza nel 1448, gli Zingari ne venerano in particolare una, Santa Sara l'Egiziana, la santa di pelle nera che essi hanno adottato come loro patrona e che dicono fosse della loro stessa razza.

Secondo il De Foletier è probabile che questo culto abbia avuto inizio solo in tempi non troppo remoti e grazie all'identificazione in una santa che come loro era "Kalé", cioè di pelle scura.

Nel caso del Gurgevdan invece le origini sono probabilmente assai più lontane nel tempo e se assimilazioni vi sono state è altrettanto probabile che esse si siano innestate alla perfezione su ricorrenze ancora più antiche.

Il San Giorgio, la Festa di Primavera, come cadenza temporale, si collega ad un periodo che per gli Zingari ha un'importanza fondamentale: viene a morire l'inverno e la Primavera dà inizio ad un nuovo ciclo vitale, le tenebre vengono sostituite dalla Luce, cessa il sonno della natura che si risveglia nella sua nuova esistenza.

Può essere un fatto casuale, o da ricollegarsi ad altre usanze rituali, ma appare opportuno ricordare che anche nel Peloponneso, e parliamo di più di seicento anni fa, gli Zingari del Feudo degli Acingani, nel mese di Maggio, si recavano in festante corteo sino alla residenza del feudatario e qui, tra balli e canti, rizzavano l'Albero di Maggio.

E sono proprio l'albero e l'acqua, come vedremo più avanti, i simboli primordiali della vita, che ritornano con puntualità nelle celebrazioni della Festa di Primavera e in quella, per gli Zingari cristiani, del San Giorgio Verde (altra ricorrenza che si svolge in primavera).

Nel San Giorgio Verde un ragazzo viene "vestito" con rami e foglie di salice, quasi a diventare un albero vivente il cui compito sarà quello di esorcizzare, tra le altre cose, i corsi d'acqua.

Nel Gurgevdan invece i corsi d'acqua e gli alberi trovano una diversa collocazione. Prima di descrivere nei particolari lo svolgersi della festa occorre dire due parole sulla figura di San Giorgio, che nella mistica cristiana è il simbolo della lotta del bene contro il male e di cui si sa, ma con poca certezza, che potrebbe essere stato un guerriero martire a Lydda, in Palestina, sotto l'impero di Diocleziano.

Ma San Giorgio è un santo particolare anche per un altro motivo: egli è l'unico riconosciuto tale sia dai cattolici, sia dagli ortodossi e sia dai musulmani. Viene festeggiato anche nella ex-Jugoslavia e più in generale in tutti i Balcani. Nel Kosovo, il 6 Maggio di ogni anno, i pellegrini si recano alla Roccia di Drahovco, luogo in cui, secondo le leggende locali, San Giorgio arrestò il proprio cavallo sul finire di una dura battaglia. Perito ed assetato venne salvato dall' animale, il quale, battendo gli zoccoli su una grande roccia nera, ne fece sgorgare l'acqua che lo dissetò.

Nei Campi di Cagliari i preparativi per la ricorrenza cominciano solitamente alcuni giorni prima. Tutte le famiglie, anche quelle più povere nelle quali di norma i pasti non sono certo abbondanti, si sono costrette al risparmio perché per il giorno della festa niente venga a mancare.

Gli uomini hanno provveduto per tempo ad ordinare una o più pecore, il piatto più importante dei banchetti, presso i pastori che pascolano le greggi nelle campagne circostanti la città.

La mattina presto, appena sorge il sole, le donne, gli uomini e i bambini più grandi, preparano i fuochi. Mentre il Campo prende vita e il fumo dei fuochi si confonde con la bruma, tutti si scambiano i saluti augurali: un abbraccio e un bacio sulle labbra ripetuto alcune volte.

Poi, mentre le auto sono state agghindate con fiori e pezze di tessuto colorato, ci si prepara ad un breve viaggio: la sua meta è un corso d'acqua, un fiumiciattolo, sito ad una ventina di chilometri dalla città. Quando la carovana di auto giunge sul posto è ancora molto presto e le acque del piccolo fiume sono molto fredde.

Nonostante questo tutti fanno in modo di bagnarsi almeno le gambe; per alcuni minuti, tra grida di gioia e grandi risate, si cammina o si corre nell'acqua, poi ci si avvicina agli alberi che cingono le rive del fiume e ognuno prende alcuni ramoscelli.

Anche i ramoscelli vengono immersi nell'acqua.

Prima di andar via si effettua un brindisi e si scambiano altri saluti augurali. Rientrati al Campo i ramoscelli vengono offerti a quelli che non hanno potuto recarsi al fiume (gli anziani, i malati, le donne rimaste a custodire i bambini più piccoli) e altri vengono posti sulla porta di ogni baracca. L'intera mattinata verrà poi trascorsa nei preparativi per la festa vera e propria, che comincerà nelle prime ore del pomeriggio.

Le pecore vengono uccise, appese sui pali o sui rami degli alberi e accuratamente scuoiate. Poi, ripulite, vengono infilzate su lunghi pali e lasciate un paio d'ore ad asciugare al sole.

Sulla tarda mattinata gli uomini, che hanno già preparato i tappeti di brace, sistemano le pecore sui fuochi e ne curano la cottura, girando ogni tanto i pali per far sì che essa sia ben uniforme. Nel pomeriggio, quando anche gli ospiti gagé sono ormai arrivati al Campo, si dà inizio alla festa.

Non si tratta, in questo caso, di un unico grande banchetto: ogni famiglia prepara nella sua baracca il proprio personale pranzo, che viene sistemato o su lunghi tavoli o su grandi piatti circolari chiamati Tevsie e direttamente poggiati sui tappeti: la pecora arrosto, E Bakri, riveste un significato particolare. Il suo sacrificio, secondo i Roma più anziani, ricorda l'episodio di Abramo e Isacco presente nel Vecchio Testamento ed in qualche modo funge da ringraziamento per le grazie ricevute. Se queste vengono ritenute particolarmente importanti allora il Kurbano (il sacrificio), assume un significato più solenne e con la carne della pecora viene cucinata la Shastimace, il cibo della guarigione.

Esso viene poi offerto a tutte le famiglie del Campo perché ognuno possa partecipare alla gioia del ringraziamento.

Il fatto che ogni famiglia abbia preparato il suo tavolo imbandito non significa affatto che la festa venga celebrata in forma privata.

Infatti, mentre tra le baracche cominciano a risuonare le musiche slave emesse ad altissimo volume dagli altoparlanti, l'intero gruppo si muove compatto e dà inizio ad un'interminabile teoria di visite che lo porterà, di baracca in baracca, a rendere reciproco omaggio a tutte le famiglie del Campo.

Sulla porta di ogni baracca tutti vengono accolti dal capo-famiglia, al quale entrando si rivolge il saluto "Bahatalò givé" (felice giornata) e dal quale si riceve l'augurio "The avé sasto taj bahatalò" (vieni salvo e fortunato).

Il capofamiglia porge poi ad ognuno dei nuovi arrivati un bicchierino di liquore, che viene bevuto tutto d'un fiato prima di accomodarsi sui tappeti. Poi, incrociando le gambe, ci si siede e si fa veramente festa.

Rispetto alla povertà dei pasti di ogni giorno la quantità di cibo messa in mostra appare addirittura spropositata. Oltre alla pecora arrosto, che a volte viene presentata ripiena con patate e riso, vengono offerti altri piatti tipici, come la Pita, un torti no a base di farina, uova e formaggio, o la Sarma, un involtino di foglie di cavolo verde con un ripieno di riso, cipolle, salsa di pomodoro e altre spezie. Altri piatti che veramente vale la pena di assaggiare sono il Suguko, una salsiccia di carne bovina, i Peré Paprike, peperoni scottati al fuoco e poi infarciti con carne macinata, spezie e riso, e la Baklava, un dolce a sfoglia i cui ingredienti sono farina, zucchero, strutto, noci e uva passa. Nel corso di ogni visita tutti badano bene a non esagerare: si assaggia qualcosa per rendere omaggio alla famiglia ma non si dimentica che si è attesi da altre visite e da altri banchetti: tanti quante sono le baracche del Campo.
Più di un vero e proprio pasto si tratta insomma di una forma di convivialità che si esprime nei canti, nelle chiacchiere, nelle risate, nella gioia di un'intensità rara a trovarsi e che traspare con forza dai visi segnati da rughe precoci.

È in questo momento che l'ospite gagé, frastornato e reso partecipe della stessa gioia, capisce con quanta forza gli Zingari vivono la propria vita oltre tutte le difficoltà alle quali sono sottoposti nella quotidianità.

Tra una visita ad una famiglia e ad un' altra, ma a volte anche durante i banchetti, si svolgono i Celipé: uomini e donne, gli uni vestiti spesso di bianco e le altre coi loro migliori e più sgargianti abiti, danzano il Kolo (molto simile al Su Ballu Tundu sardo) o l'Ingra Indja. A volte, ma solo per pochi intimi, viene ballato un ballo che ricorda la danza del ventre turca e che appare di rara bellezza e plasticità di movimenti.

Così la festa va avanti per ore e ore sino al tramonto del sole.

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Ricevo da Roberto Malini

Napoli, 4 maggio 2009. "La giovane Rom ha subito una condanna assurda, senza prove, senza indagini approfondite, senza buon senso," dichiarano i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau. "Abbiamo inviato al giudice del Tribunale d'Appello un dossier che ne dimostra l'innocenza". Il grande giurista Juan de Dios Ramirez Heredia si è detto pronto a "indossare la toga per difenderla, accanto all'avvocato Valle". Angelica viene da Bistrita-Nasaud città della Transilvania. Era arrivata in Italia da pochi mesi con il giovane marito Emiliano e alcuni familiari. Ha una figlia di 3 anni, Alessandra Emiliana, che è rimasta in Romania. "Ma come possono pensare che io abbia cercato di rapire una bambina?" protesta Angelica davanti a un attivista di EveryOne, che ha avuto il permesso dal giudice di visitarla. "Sono una mamma e se qualcuno mi portasse via la bambina, morirei dal dolore".

A Napoli la ragazza viveva di elemosina "e di qualche piccolo furto," confessa, "ma solo quando non sapevo come procurarmi da vivere, perché il mio sogno era quello di lavorare, se solo avessi avuto un'occasione". Il 10 maggio Angelica viene arrestata con un'accusa terribile: una donna di Ponticelli afferma di averla sorpresa mentre avrebbe tentato di rapire la sua bambina in fasce. "Per entrare nella stanza in cui dormiva la piccola," ricostruiscono gli attivisti, "Angelica avrebbe dovuto trovare contemporaneamente aperti il cancello esterno, il portone dell'edificio e la porta blindata dell'appartamento, senza imbattersi in un inquilino e senza che la piccola, una volta afferrata, si mettesse a piangere. Tutto questo, in un periodo caratterizzato a Ponticelli da una vera e propria fobia nei confronti degli 'zingari', tanto che tre mesi prima era nato un Comitato di Ponticelli per il problema dei Rom. Inverosimile".

Leggendo gli atti del processo e il dispositivo di sentenza, si rileva che non esistono prove a carico di Angelica, ma solo la testimonianza della madre della bambina neonata. "Non vediamo perché la donna avrebbe dovuto mentire," scrive il magistrato. "E' una sentenza priva di razionalità, proprio per la 'zingarofobia' che si era impadronita in quei giorni degli abitanti di Ponticelli," prosegue EveryOne. "La Storia ci insegna che fin dal Medioevo la sola presenza di 'zingari' vicino a un bambino 'cristiano' faceva gridare le comunità locali al ratto di minore. Anche volendo credere alla buona fede dell'accusatrice, il fattore-pregiudizio non può in alcun modo essere ignorato nel giudizio di un caso come questo. Una perizia, che non è stata mai eseguita, avrebbe dimostrato che Angelica avrebbe dovuto muoversi al rallentatore per essere vista dalla madre, già sul pianerottolo e con la bimba in braccio, e quindi raggiunta e bloccata. Sembra che la madre della neonata descriva una propria paura piuttosto che un evento reale. I seguito è ancora più irreale. La madre leva la piccola dalle braccia di Angelica, rientra in casa, pone la bambina a terra, grida e... Angelica è rimasta ancora sul pianerottolo, giusto per farsi raggiungere dal nonno della neonata e poi da altri vicini, che cercano di linciarla".

Alcuni cittadini di Ponticelli hanno ricordato che l'accusatrice ha precedenti giudiziari per falso ideologico. Le stesse conclusioni tratte dal Gruppo EveryOne e dal giurista spagnolo Heredia sono state tratte dal giornalista investigativo spagnolo Miguel Mora sulle pagine di El Pais: "Il teorema che ha portato alla condanna si basa solo sulle parole contraddittorie dell'accusatrice. "Il caso di Angelica ha scatenato gli abitanti di Ponticelli," commentano gli attivisti, "che in men che non si dica hanno sgomberato con brutalità i terreni occupati da Rom romeni, che erano al centro di un progetto urbanistico in attesa di un finanziamento pubblico di milioni di euro, finanziamento che poco dopo il 'pogrom' sono arrivati".

Angelica, secondo la giurisprudenza, è una "minore non accompagnata" e il legislatore ritiene che un minore di età debba rimanere in Istituto il minor tempo possibile, favorendo tutte le possibilità di reinserimento sociale. "Ma Angelica è già dentro da un anno," conclude EveryOne, "e sconcerta il fatto che non le sia stato concesso il patrocino gratuito per un motivo surreale: era impossibile al magistrato stabilire le sue condizioni economiche in Romania". Se in appello sarà fatta giustizia, per Angelica si aprono due possibilità: tornare in Romania e ricostruirsi una vita con i suoi cari oppure restare in Italia, grazie a una famiglia che si è offerta di aiutarla in un percorso di inserimento sociale positivo, in attesa di ricongiungersi alla famiglia. Intanto il suo caso ha destato l'attenzione della Commissione europea, del Cerd (Nazioni Unite) e delle più importanti organizzazioni contro la discriminazione e gli abusi che colpiscono il popolo Rom in Europa, da Union Romani a ERRC, dall'OSI al Coordinamento Antirazzista Sa Phrala.

Scriviamo al Presidente della Corte di Appello di Napoli Sezione Minorenni dr Vincenzo Trione e al Presidente del Tribunale per i Minorenni di Napoli dr. Stefano Trapani:
info@tribunalenapoli.it
tribmin.napoli@giustizia.it

Per informazioni:
info@everyonegroup.com
www.everyonegroup.com

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Di Fabrizio (del 05/05/2009 @ 14:26:33, in casa, visitato 1601 volte)

Segnalazione di Ernesto Rossi

Popica onlus

Venerdì 1 maggio 2009, circa 60 rom romeni tra uomini, donne e bambini, dell'insediamento romano di via di Centocelle, hanno deciso di partecipare al corteo della MayDay con un proprio spezzone aperto da uno striscione sul quale era scritto: "SIAMO ROM, NON SIAMO NOMADI VOGLIAMO LA CASA. I Rom e le Romnì di via di 100celle". Durante il percorso della manifestazione, nella quale si rivendicava casa e reddito per tutti e tutte, la comunità ha anche diffuso un volantino nel quale veniva illustrata la propria volontà di uscire allo scoperto e a rivendicare i propri diritti. Noi di POPICA ONLUS, da sempre vicini alla comunità di via di Centocelle, esprimiamo il nostro totale apprezzamento per l'iniziativa dei Rom e delle Romni, coi quali quotidianamente collaboriamo. In particolare con questo comunicato vogliamo segnalare all'opinione pubblica che quest'importantissima iniziativa cancella il luogo comune dei Rom "geneticamente" predisposti a vivere in baracche senza luce né acqua o nei cosiddetti campi nomadi. E mostra inoltre come in alcune comunità Rom stia nascendo un genuino e fondamentale movimento per la rivendicazione dei diritti. Noi di POPICA ONLUS continueremo ad essere al fianco di questa comunità che sta smettendo di aver paura, cominciando un nuovo cammino sul quale ci troveranno compagni di viaggio

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Di Fabrizio (del 05/05/2009 @ 09:25:44, in Europa, visitato 1578 volte)

Da Roma_Francais [Di Yenisch (o Jenisch) se ne è già scritto, soprattutto riguardo alle persecuzioni che hanno patito. Qua invece si parla dei loro problemi pratici nella vita di tutti i giorni. Mi interessa anche l'attenzione data ai rapporti non facili con i "nomadi" stranieri, il doversi differenziare da loro per sopravvivere all'ondata di stigmatizzazione che riguarda tutti.  Se alcune affermazioni possono sembrare non condivisibili, teniamo conto che queste difficoltà ci sono anche da noi, ad esempio tra Sinti/Rom italiani e stranieri.]

Da AgriHebdo par Pierre-André Cordonier

Le famiglie Yenisch della Svizzera cercano disperatamente dei posti dove stazionare. Fanno appello agli agricoltori che disporrebbero di terreni.

Gli Yenisch svizzeri, circa 3.500 famiglie o più, che in occasione del ritorno del bel tempo si preparano a levare i campi per esercitare i loro mestieri tradizionali in tutta la Svizzera. Dei nomadi, o piuttosto dei semi-sedentari, svizzeri da secoli, e che soffrono della cattiva reputazione che ha la gente di viaggio presso la popolazione.

Confusione ed amalgami

Succede che Zigani, Rom o Manouche provenienti dalla Francia sbarcano tutti gli anni in Romandia nello stesso periodo. Una concorrenza per gli Yenisch, ma soprattutto molta confusione ed amalgami. I piccoli furtarelli, danni, inciviltà delitti commessi da questi nomadi venuti da fuori aizzano la popolazione che non fa differenze. Risultato, gli Yenisch svizzeri hanno sempre più difficoltà a trovare posti dove accamparsi per proseguire lo stile di vita a cui tengono caramente.

"La situazione ha cominciato a deteriorarsi da una ventina d'anni ed è andata peggiorando. Noi prima eravamo conosciuti e spesso ben accetti, ma oggi abbiamo perso il nostro status svizzero", spiega Francis Kalbermatter. "Da qui la creazione di un'associazione, che ha già un anno, allo scopo di sostenere la ricerca dei luoghi di stazionamento e di offrire una garanzia a terzi, agricoltori, comuni o altri. I membri che contravvengono alle regole in vigore o si rendono colpevoli di delitti sono esclusi dall'associazione, dove le regole sono molto severe.

Domiciliati e viaggianti in Svizzera

Non è che gli Yenisch della Svizzera vogliano stigmatizzare i loro confratelli stranieri. "Abbiamo sovente relazioni di vicinato serene", aggiunge Sylvie Gerzner. Ma gli Yenisch tengono a smarcarsi da questa cattiva reputazione, ereditata malgrado loro. "Noi siamo dei veri Svizzeri, abbiamo comportamenti tipicamente elvetici, come l'igiene e la proprietà. Rispettiamo le regole. E soprattutto, siamo domiciliati in Svizzera. Siamo quindi rintracciabili facilmente e veniamo perseguiti legalmente se commettiamo delle infrazioni. Cosa che sarebbe suicida, dato che siamo soliti tornare ogni anno", intonano in coro i due responsabili. Gli Yenisch svizzeri d'altronde hanno come tradizione di viaggiare solo in Svizzera.

Nessun problema oltre la Sarine (vedi ndr)

Le autorità sono sensibili a questo problema e anche loro cercano delle soluzioni. In tutti i cantoni. Vaud ha sistemato due posti di transito per la gente di viaggio ed i comuni possono proporre luoghi di stazionamento secondo il proprio bisogno, informa Pierrette Roulet-Grin, prefetto del distretto Jura-Nord Vaudois, dal 2000 presidentessa del Gruppo di lavoro Gitans-Vaud (GT-Gitans-VD). Ma questi ultimi non si presentano.

"Noi abbiamo dei comportamenti tipicamente svizzeri"

Ultima speranza: i contadini o proprietari di terreni sono pronti ad affittare puntualmente un lotto. Nella Svizzera tedesca, è così da tempo, senza alcun problema. Christian Stähli, agricoltore di Orges, è uno dei pochi a farlo nella Svizzera romanda e conta circa 4.000 pernottamenti di gente di viaggio all'anno, ha scritto il 16 aprile il 24 Heures Nord vaudois-Broye. La famiglia Mast a Denens accoglie ugualmente degli Yenisch durante sei mesi su 15 aree.

Ritorno per il contadino

"E' un ritorno per i contadini", precisa Francis Kalbermatter, "e stimiamo che noi facciamo la nostra parte: le famiglie yenisch comperano i loro prodotti all'azienda agricola se esiste l'offerta." Lo stesso per la legna, per il mitico e tradizionale fuoco del campo al cadere della notte.

Riferimenti

Per tutte le proposte di messa a disposizione di terreni, contattare Francis Kalbermatter, 1950 Sion 4, CP 4175, tél. 079 347 50 89, francis-kalbermatter@hotmail.com o Sylvie Gerzner, 1462 Yvonand, CP 158, tél. 076 222 2 66, sylvie70g@yahoo.fr

Quanti sono sensibili al mantenimento della cultura degli Yensich svizzeri possono diventare membri-amici di Association Yenisch Suisse con una domanda scritta e firmata al comitato dell'associazione yenisch.suisse@gmail.com Sito ufficiale: www.yenisch-suisse.ch

Per una ricerca su Internet, sono utilizzati diversi termini: Yenisch, Yenische, Yenich, Jenisch, Jenische, ecc.

Blog: http://yeniche1969.skyrock.com/

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Di Fabrizio (del 05/05/2009 @ 08:58:11, in media, visitato 1424 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Cari Amici, Colleghi e Fratelli!

Mi chiamo Sami Mustafa, vengo dalla comunità rom in Kosovo del piccolo villaggio di Plemetina. Ho prodotto e diretto circa 20 documentari sulle tematiche rom e dei diritti umani in generale in Kosovo, Polonia (documentario promozionale) e Bosnia Erzegovina negli ultimi sette anni.

La maggior parte dei miei lavori è stata presentata in festival mondiali, e "La Strada verso Casa" (documentario) è stato premiato dalla Critica al Festival di Cannes del 2007. [...]

Quest'anno sono stato accettato alla Scuola Filmica di Praga (PFS) per un corso di un anno nella sezione documentari e premiato col dimezzamento delle tasse scolastiche dalla PFS e dalla Fondazione Ralph per una cifra di 6.900 euro. La Scuola Filmica di Praga è riconosciuta in tutto il mondo come una delle migliori, ed io sono l'unico Rom a cui sia stato concesso di studiarvi. Ho quindi bisogno di 6.900 euro per il resto delle tasse scolastiche, 2.500 per i seminari estivi che servono a terminare il corso di studio, e 2.000 per le spese vive durante l'anno. Quindi, in totale 11.400 euro per iniziare i miei studi quest'anno e non perdere la borsa di studio della PFS e della Fondazione Ralph.

Dato che la PFS è un'università privata, non ho diritto a borse di studio pubbliche per i Rom. Per questo, vi chiedo la possibilità di sponsorizzazioni/donazioni ed in cambio posso lavorare ai vostri film promozionali per le vostre compagnie, o in lavori che comprendano qualsiasi tipo di processo filmico per ripagarvi, ma sicuramente non sono in grado di ridare i fondi ricevuti in denaro.

Se avete consigli, suggerimenti o volete farmi da sponsor, potete contattarmi a romawood@gmail.com [...] Ulteriori dettagli sul corso universitario, sui miei film o la mia biografia, li trovate su www.romawood.org o anche www.myspace.com/sami_mustafa

Sperando di sentirvi presto, in fede

Sami Mustafa
Plemetina Obilic 28213
10000 Pristina, Kosovo

Tel: +381 28 467813
Mob: +381 65 6594567 | +377 44 908234

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Di Fabrizio (del 04/05/2009 @ 16:39:17, in media, visitato 1362 volte)

Incredibile! Basta una storia strappalacrime perché uno dei più razzisti giornali italiani decida di fare quello che sarebbe il suo compito: informare e non fare da altoparlante ad una sola voce (quella del più forte, di solito). Riporto tutto il pezzo, non perché sia veritiero o magari commovente al punto giusto, ma perché in tutta la vicenda del un padre di un personaggio pubblico, nessuno prima aveva voluto sapere anche la sua versione.

INTERVISTE 04/05/2009 - Si chiama Sahit Berisa, ha 39 anni ed è il padre di Ferdi, il vincitore dell'ultima edizione del Grande Fratello. Oggi vive in un campo nomadi del Centro Italia e ha rilasciato una lunga intervista al settimanale Di Più, nella quale si rivolge direttamente al figlio "Quando ti ho portato sul gommone in Italia, volevo solo il tuo bene". Sul suo conto sono state dette tante cose, il figlio ha raccontato con amarezza la sua triste infanzia ma ora Sahit cerca un riavvicinamento, giurando: “non voglio i tuoi soldi”.

Tutto è iniziato con la separazione in casa, tra i genitori del giovane rom: “Io e mia moglie non andavamo più d’accordo, litigavamo sempre. Io avevo le mie colpe, non ero un marito perfetto, un padre perfetto, non trovavo un lavoro stabile, continuavo a vendere stracci e a vivere alla giornata, a volte facevo tardi, esageravo con il bere. La vita a casa nostra era diventata impossibile, mia moglie aveva un altro e non mi voleva più. Lei al Gf, rivolgendosi a Ferdi, ha raccontato che la maltrattavo che ero io ad avere un’altra ma non è così. Non so perché mia moglie scarica tutte le colpe su di me, so che la verità è che ormai non potevamo più stare insieme..."

"Ricordo che me ne sono andato di casa dopo un brutto litigio. Mi sono trasferito da un mio parente e fin da quel momento il mio unico pensiero è stato il bene dei figli. A casa mia non ci potevo più tornare perché mia moglie mi cacciava, il suo nuovo uomo non mi faceva entrare, non mi facevano vedere i bambini. Se mi avvicinavo mia moglie urlava: "'Ho una nuova vita, qua non c'è posto per te vattene!". Ho provato a mettere a posto le cose, ma non ci sono riuscito. Mi tormentavo, sapevo di avere sbagliato anch'io: la mia vita disordinata, la mancanza di un lavoro, non mi avevano dato la possibilità di garantire alla mia famiglia la serenità, e la situazione era tracollata. Mi ero ritrovato da solo. E mi preoccupavo per Ferdi, perché senza un padre accanto qualcuno poteva metterlo fin da piccolo su una brutta strada, in una realtà come la nostra, di grande povertà. Tanti amici, tanti parenti, mi dicevano che Ferdi e sua sorella non erano sereni a casa con la mamma...".

"Allora, mi sono detto che c'era un solo modo per risolvere il problema: portare via i figli da quella casa. Così ho organizzato tutto. In una valigia ho messo qualche vestito; sono andato di nascosto a prendere i bambini. Ho portato Elfa da mia mamma, in un paese vicino, e le io detto: "Mamma, crescila meglio che puoi: se viene mia moglie a cercarla. spiega che Elfia sta meglio con te". Poi, sono andato via con Ferdi. Lui allora aveva 9 anni. Volevo andare in Italia con un gommone, assieme ad altri come me, come noi, perché tutti dicevano che in Italia c'era la ricchezza, che si poteva trovare la felicità. Tanti rom come me fanno così, anche questo fa parte della nostra storia, del nostro modo di vivere. Avevo organizzato il viaggio con persone che conoscevo. Mi è costato tre milioni, una cifra enorme. Avevo raccolto tutti quei soldi facendo debiti con alcuni miei parenti, avevo promesso che in Italia avrei trovato un lavoro e avrei restituito tutto. Ricordo solo che Ferdi, quando siamo saliti sul gommone, mi ha detto: "Papà, dove andiamo?", e io gli ho risposto: "A cercare una vita migliore, figlio mio".

Per sfamare mio figlio dovevo arrangiarmi con l'elemosina per le strade, ed ero costretto a portare Ferdi con me, non potevo lasciarlo solo. La notte dormivamo nei campi rom, il giorno lo passavamo agli angoli dei marciapiedi. Una vita dura, durissima. Alcuni come me, gente di strada che incontravo, avevano scelto una via più facile, piccoli espedienti, piccoli furti. Ma io non volevo farmi trascinare, per il bene del bambino, e continuavo ad andare avanti solo con l'elemosina. Di una cosa sono orgoglioso: in tutti quei mesi che ho passato con lui in Italia gli ho sempre dato un tetto sotto cui dormire. Non l'ho mai fatto dormire per strada. Se un giorno, con l'elemosina, riuscivo a raccogliere quaranta o cinquantamila lire, non lo portavo neanche al campo rom. Cercavo qualche pensione da poco per dargli un letto come si deve.

C'era la paura di essere fermati dalla polizia, noi clandestini senza un permesso di soggiorno. Infatti, quello che temevo è successo. Un giorno ci hanno fermato per strada. Hanno controllato i documenti e mi hanno portato via il mio bambino, perché hanno detto che non ero nelle condizioni di crescerlo. Sì, avevano ragione, ero e rimango un vagabondo senza fissa dimora, ma che cosa potevo fare? Ferdi piangeva: "Papà papà, stai con me", mi diceva tra le lacrime. Non potevo fare niente per trattenerlo. È l'ultima volta che l'ho visto, ricordo i suoi occhi gonfi e il suo sguardo spaventato. Non mi hanno neanche voluto dire dove lo portavano. "Ecco, Sahit", mi dicevo "hai sbagliato tutto". "Hai perso tutto", mi ripetevo. "Tuo figlio te l'hanno portato via, tua figlia non sai come sta, non hai più nessuno". Ero disperato. Ricordo che ho preso un treno per raggiungere il campo rom dove ho gli amici più cari. Ma non ho dormito in roulotte. Ho dormito per una settimana sulla spiaggia, al freddo. Questo è successo dodici anni fa, nel 1997, quando Ferdi aveva 10 anni, dopo che eravamo stati insieme un anno in Italia. È allora che mi sono perduto”.

“Quando ho perso mio figlio, sono morto dentro e sono finito su strade sbagliate. Ho cominciato a rubare, ho ripreso a bere. Sono finito in carcere quattro volte, ho condiviso anche una cella con dodici persone e un solo bagno per tutti. A volte mi ha sfiorato il pensiero di farla finita, ma non ho avuto il coraggio perché, in fondo continuavo ad avere un obiettivo, ritrovare i miei figli, riabbracciarli. La mia era ed è una vita da fuggitivo, disgraziato. Ma non ho mai smesso di pensare a Ferdi. Chiedevo di lui ai parenti che vivono nei campi rom. Sì, perché tra noi ci si aiuta, se si può. Siamo tanti, sparsi ovunque. Una volta un cugino mi ha detto che forse Ferdi era a Cagliari mi sono precipitato là. in un istituto religioso. Ma non mi hanno neanche fatto entrare”.

“Dopo tante ricerche, tre o quattro anni fa, sono riuscito ad avere il suo numero di telefono tramite un nostro parente. L'ho chiamato con le mani che mi tremavano e gli occhi lucidi. Ma lui, mio figlio, è stato freddo, mi ha detto solo: "Papa, quando sarò pronto mi farò vivo", e ha messo giù il telefono senza neanche dirmi dove era. Allora, sono stato male, ho pensato che ce l'aveva con me, che non mi perdonava la vita che gli aveva fatto fare, e chissà cos'altro.
Io cercato di capire, ho fatto tante telefonate, finché un parente che è rimasto in contatto con lui mi ha detto che Ferdi aveva saputo brutte cose sul mio conto e non voleva vedermi: pensava che l'avevo portato via con la forza da casa, diceva che l'avevo picchiato e che lo avevo costretto a rubare”.

“Mi trovavo nel campo rom della Romagna quando Davide, un mio amico, mi ha detto: "Sahit, credo proprio che tuo figlio sia in televisione". Tutti là, infatti, sanno da anni la mia storia, sanno di Ferdi, del mio tormento. Non volevo crederci: mio figlio in televisione? Quando ho visto Ferdi, al Grande Fratello, ho fatto salti di gioia. Vedere che stava bene, che è bello, che è sano mi rendeva contentissimo. L'ho baciato sullo schermo, ho pianto. Per tre mesi ho guardato sempre Ferdi, attaccato alla televisione. Ho seguito tutto, mi sono emozionato, ho riso, ho pianto. Sono stati i tre mesi più belli della mia vita. Ho visto il messaggio della mamma, la mia ex moglie, mi accusava di averla maltrattata, e ho sofferto. Allora, ho contattato la redazione del Grande Fratello, ma mi hanno detto che Ferdi non voleva vedermi. Lo immaginavo, lui pensa che io sia stato cattivo con lui. Poi, ho rivisto mia figlia in televisione che parlava dalla Germania con Ferdi che era nella Casa. Anche lei non la vedevo da moltissimi anni, e ho pianto ancora. Poi, mi sono arrabbiato quando Gianluca, il concorrente di Napoli, ha accusato mio figlio di volere fare piangere con la sua storia e gli ha dato una spinta. Poi. sono stato contento quando Ferdi ha raccontato di essere cresciuto bene all'istituto Don Orione e con un'altra famiglia. Ho applaudito quando Ferdi ha baciato Francesca e ho festeggiato con i miei amici rom quando ha vinto. Così sono come rinato”.

“Quando Ferdi è uscito, ho tirato nuovamente fuori il bigliettino su cui anni prima avevo segnato il suo numero. Non sapevo se chiamarlo o no, ero combattuto. Ho deciso di chiamarlo dopo che a un giornale, il vostro Dipiù, Ferdi ha detto che poteva dimenticare il passato, e che poteva pensare di riabbracciare me, suo padre. L'ho chiamato con il cuore che mi batteva: "Figlio mio. sono tuo padre...", gli ho detto. Ma lui, proprio come aveva fatto anni prima, mi ha interrotto e ha detto: ' Papà, mi farò vivo io quando sarò pronto, ora devo andare". In quel momento, ricordo, sono crollato su una sedia, con gli occhi gonfi. Lo so, forse ho chiamato troppo presto, ma ho agito d'istinto, non potevo aspettare, Ferdi ha bisogno di tempo. Lo so. lui pensa ancora che io ho fatto del male, e non sarà facile fargli cambiare idea dopo tanti anni”

“Lo so. forse qualcuno, lui stesso pensa che adesso io mi sono fatto vivo perché è ricco famoso. Ma non è così. Non ho mai avuto una casa. Vivo con i vestiti che trovo. E credo di avere pagato per gli errori che ho fatto. I guai e l'amarezza mi hanno consumato nel corpo e nella mente. Da quando ho perso mio figlio, non ho più avuto un obiettivo. Ho solo il pensiero fisso di rivedere lui e la sorella. Il Grande Fratello ha riportato la speranza, mi ha fatto ritrovare mio figlio. Il mio sogno è uno solo. Abbracciare, anche solo per un minuto. Ferdi e sua sorella, parlare con loro...".

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