Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 14/11/2008 @ 14:38:39, in Italia, visitato 1846 volte)

Ricevo da Roberto Malini

12 novembre 2008 Comunicato stampa: FIRENZE, ROM BRUTALMENTE PICCHIATA AL MERCATO DI SANT'AMBROGIO DA UNA COMMERCIANTE. PARTE DENUNCIA

GRUPPO EVERYONE E L'AURORA ONLUS: "E' CLIMA DI ODIO RAZZIALE E IMPUNITA VIOLENZA CONTRO ROM, MIGRANTI E SENZATETTO"

E' accaduto lunedì 10 novembre 2008 al mercato di Sant'Ambrogio a Firenze: Aurica C., rom romena di 34 anni, è stata selvaggiamente picchiata intorno alle 9 del mattino da una commerciante del mercato, fiorentina, che vende abiti usati. La donna rom, in compagnia di un'altra ragazza, chiedeva come tutte le mattine da oltre nove anni l'elemosina ai passanti e agli avventori del mercato quando è stata invitata ad avvicinarsi dalla donna. "Pensavo volesse darmi dei vestiti, o qualche spicciolo" ha raccontato all'associazione L'Aurora onlus e al Gruppo EveryOne la donna aggredita, che ha costante necessità di accompagnamento per una grave forma di depressione e continui disturbi da attacchi di panico. "Invece ha iniziato a urlare che sabato scorso, sempre al mercato, avevo rubato un braccialetto da un banco con la mia accompagnatrice. Io ho spiegato che un commerciante, che mi conosce da anni, mi aveva regalato della bigiotteria, ma che mai e poi mai rubato qualcosa. Al mercato ci passo tutti i giorni, mi conoscono tutti e una volta ho anche riportato un portafoglio trovato per terra al forno del mercato, affinché i legittimi proprietari lo riprendessero". Versione, questa, che è stata confermata ai rappresentanti delle due associazioni da molti commercianti del mercato. "Uno di loro" dichiarano Stefania Micol, presidente dell'associazione L'Aurora, e Matteo Pegoraro, co-presidente del Gruppo EveryOne "ci ha anche rilasciato una testimonianza scritta, dove conferma di aver regalato della bigiotteria alle due donne rom". Dalle accuse, la commerciante sarebbe passata alle offese verbali, e subito dopo avrebbe iniziato a strattonare Aurica e l'accompagnatrice, graffiata a uno zigomo. Dopo di che, come riferisce il referto medico rilasciato dal Pronto Soccorso dell'ospedale di Santa Maria Nuova, Aurica è stata presa a calci e gomitate, e, spintonata, è caduta e ha continuato a ricevere calci alla gamba sinistra. A quel punto, è stata colta da un attacco di panico. "Ho preso una pasticca di Xanax per calmarmi, come mi hanno prescritto i medici, non riuscivo a respirare ma la commerciante continuava a calciare e a insultarmi" ha proseguito la rom. La prognosi dell'ospedale è per il momento di 5 giorni, per "addome dolorabile diffusamente alla palpitazione e lieve trauma contusivo dell'addome da aggressione a mani nude". La ragazza, affiancata dall'assistenza delle due associazioni, proseguirà con una denuncia.
"Ciò che è accaduto" commentano i leader del Gruppo EveryOne e la presidente dell'associazione L'Aurora "è sintomo del clima di odio razziale e di impunita violenza contro rom, migranti e senzatetto che è sempre più grave in Italia".

"Le segnalazioni di abusi si susseguono ormai quasi quotidianamente. Qualche giorno fa abbiamo condotto in ospedale un giovane Rom romeno, pieno di contusioni" continua EveryOne. "Ha dichiarato di aver subito un pestaggio a Cesena, da parte di uomini in divisa. Abbiamo trasmesso referti medici e una sconvolgente videotestimonianza alla Commissione europea. A Rimini un senzatetto italiano è stato cosparso di benzina e dato alle fiamme da ignoti. E' in gravissime condizioni. Abbiamo segnalato più volte il clima di intolleranza che esiste proprio a Rimini" proseguono gli attivisti "e che ha già scatenato episodi di violenza e di ingiustizia sociale, ma il nostro allarme è stato sottovalutato dalle Istituzioni. Il fenomeno della discriminazione e della violenza contro le minoranze è fuori controllo e il Governo non dimostra certo una volontà di attuare piani di inclusione sociale. Forse il buon esempio dovrebbe arrivare dalle amministrazioni di sinistra, che invece gareggiano con la controparte politica nell'inventare forme di persecuzione sempre più crudeli. "Ci auguriamo" concludono EveryOne e L'Aurora "di notare, in seguito a quest'ennesima, sconcertante denuncia, un ‘sussulto' antirazzista, seguito da un concreto impegno per arginare la discriminazione e la violenza contro le minoranze".

Per ulteriori informazioni:
Gruppo EveryOne
Tel: (+ 39) 334 8429527
www.everyonegroup.com :: info@everyonegroup.com

L'Aurora onlus
Tel: (+ 39) 055 2347593 - (+ 39) 339 8210866

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Di Fabrizio (del 14/11/2008 @ 09:34:17, in Europa, visitato 1688 volte)

Segnalato da Eugenio Viceconte

Da Virgilio notizie

Inneggiano al fascismo e contengono messaggi razzisti

Bruxelles, 11 nov. (Apcom) - Il capogruppo del Pse al Parlamento europeo, Martin Schulz, ha lanciato una campagna per l'espulsione dal sito di 'networking sociale' Facebook di sette gruppi neo-fascisti italiani, sostenendo che contengono messaggi "ripugnanti" contro i rom. "Mi appello a Facebook affinché li rimuova immediatamente", dichiara in un comunicato Schulz, appoggiato dal capodelegazione italiano al Pse Gianni Pittella.

"E' vergognoso che nel giorno in cui l'Europa ricorda i caduti in guerra Facebook aiuti coloro che vogliono riportarci indietro a quell'epoca oscura", continua Schulz, ricordando che la Giornata dell'Armistizio oggi celebra il 90esimo anniversario della fine della Prima guerra mondiale.

"E' una giornata vergognosa per Facebook. Spero che tutti si uniscano a me e Martin su Facebook per esprimere la loro rabbia per quanto sta succedendo", aggiunge Pittella.

Nel comunicato del Pse vengono citati in particolare i gruppi "Bruciamoli tutti" (15 membri), "Rendiamo utili gli zingari: trasformiamoli in benzina verde" (279 membri) e "Diamo un lavoro gli zingari: collaudatori di camere a gas" (649 membri), tutti gestiti da italiani.

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Di Fabrizio (del 14/11/2008 @ 09:32:59, in Italia, visitato 1464 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

Assistiamo, in Europa e in particolare in Italia, al dilagare di politiche razziste e securitarie: dalla legge Bossi-Fini ai "pacchetti sicurezza" fino alle ordinanze di troppe amministrazioni locali. Tutto ciò è amplificato da un'informazione distorta e manipolata, che diffonde nell'immaginario collettivo la paura del diverso.

E diciamo no a tutti i razzismi.

Per questo, invitiamo le comunità straniere, le associazioni, il movimento dell'università e della scuola, le organizzazioni sindacali e politiche, la cittadinanza ad una grande Manifestazione
Sabato 22 Novembre a Pisa
Concentramento ore 16 P.za S.Antonio

  • Per una regolarizzazione dei cittadini stranieri
  • Contro l'idea della creazione di classi separate per gli alunni stranieri
  • Contro le discriminazioni verso Rom e Sinti (come per le impronte ai bambini)
  • Perché a Pisa non si approvino le ordinanze di sgombero e "antiborsoni"
  • Per i diritti e la dignità dei venditori ambulanti stranieri
  • Nessun CPT in Toscana!

Ogni diritto in meno per i cittadini e i lavoratori migranti è un diritto in meno per i cittadini e lavoratori italiani.
 
Primi firmatari:
Comunità migranti senegalesi - Pisa; Federazione Rom e Sinti; El Comedor estudiantil Giordano Liva onlus; Spazio Antagonista Newroz; Africa Insieme; Associazione Mezclar; Laboratorio Rebeldia; Circolo Agorà; Partito della Rifondazione Comunista – federazione Pisa; Socialismo Rivoluzionario; Mensile "Valori"; Rete dei Comunisti; Fratelli dell’Uomo - ONG ONLUS; confederazione COBAS; Partito dei Comunisti Italiani-Federazione Pisa; Partito dei Verdi-Federazione Pisa; ARCILESBICA-Pisa; Precari/ie autorganizzati/e-Pisa;

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Di Fabrizio (del 13/11/2008 @ 12:45:31, in scuola, visitato 1364 volte)

Da Fondazione Anna Ruggiu

Comunicato stampa con preghiera di diffusione

Anche per l’anno 2008, la Fondazione Anna Ruggiu conferisce alcune Borse di studio riservate a giovani appartenenti all’etnia Rom che frequentino con profitto la scuola.

L’iniziativa, giunta ormai alla V° edizione, ha favorito la scolarizzazione di diversi giovani Rom che abitano nei campi della Sardegna, alcuni dei quali hanno già conseguito un diploma delle scuole secondarie, altri le frequentano con soddisfacenti risultati e ci si aspetta che il contributo offerto dalla Fondazione possa rafforzare ed accelerare il processo di scolarizzazione ormai da anni in atto tra le comunità rom della Sardegna.

L’obbiettivo è quello di favorire, attraverso l’elevazione culturale, la comprensione reciproca tra le culture, nella convinzione che il raggiungimento di elevati livelli di istruzione tra gli appartenenti all’etnia Rom, possa svolgere una funzione estremamente positiva in tale direzione. Alcune esperienze scolastiche, peraltro, dimostrano come sia possibile raggiungere elevati livelli di integrazione.

La cerimonia di consegna delle borse di studio, che ammontano a complessivi 5.000 euri, si svolgerà sabato 15 novembre e 10,30 presso il Centro di aggregazione sociale di Pabillonis,

I ragazzi premiati quest’anno non sono semplicemente studenti che riescono a superare una classe, ma giovanissimi che si sono distinti per il merito e che, in alcuni casi, possono a buon titolo figurare tra i migliori della propria classe. Provengono da realtà diverse, Sassari, Pabillonis, Monserrato e ciascuno di essi si distingue per propri peculiari talenti.

Speriamo, un giorno, di trovare alcuni di essi tra i banchi dell’Università.

L’iniziativa, è realizzata in collaborazione con l’Unicef della Provincia di Cagliari, e con l’Amministrazione comunale di Pabillonis e coinvolge altre istituzioni, a cominciare dalla Caritas, particolarmente attive in questo settore.

Speriamo che, almeno per un giorno, le cattive notizie di cronaca relative ai Rom, alle quali siamo abituati possano lasciare il posto ad altre notizie di cronaca più positive e, soprattutto, capaci di creare un clima di fiducia e di speranza.

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Di Fabrizio (del 13/11/2008 @ 09:50:56, in Italia, visitato 1904 volte)

Da ReteRom

18 novembre - ore 17.30 TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO Via Castellaneta, 10 - Roma

Incontro con:
Beppe Rosso e Filippo Taricco, autori del libro La città fragile.
Najo Adzovic, autore del libro Il popolo invisibile.
Francesco Careri, autore del libro Walkscapes. Camminare come pratica estetica.

Proiezione del video:
"Savorengo Ker: la casa di tutti" presentato alla XI Biennale Architettura di Venezia nell'ambito della mostra L'Italia cerca casa - Padiglione italiano.
Regia e montaggio di Fabrizio Boni.
Immagini di Donatello Conti, Frediano Iraci Sareri, Aldo Innocenzi, Francesco Careri, Azzurra Muzzonigro.

Beppe Rosso legge:
"Seppellitemi in piedi", primo capitolo del libro La città fragile. Zingari romeni scappati dal loro villaggio in fiamme e accampati nella periferia di una metropoli; ragazze albanesi rapite di casa e gettate sui marciapiedi; italiani che vanno in rovina e sono costretti a vivere in strada. Vite consumate nella violenza di uno spazio aperto con i tentativi di abitarlo, i gesti quotidiani e il bisogno di ritrovare una dignità e un'ironia per stemperare il dramma.
Tre racconti in cui la città fragile si sovrappone alla città di sempre collocandosi al centro della narrazione, e la vita, quella più vera e umana, prende la parola al di sopra e dentro il brusio metropolitano.

Al termine scambio interculturale di sapori e saperi

INGRESSO LIBERO
TEATRO BIBLIOTECA QUARTICCIOLO
Via Castellaneta, 10 - Roma
info 0645460705
www.teatrobibliotecaquarticciolo.it

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Di Fabrizio (del 13/11/2008 @ 09:42:58, in Kumpanija, visitato 2965 volte)

di Sergio Franzese
pubblicato su HaKeillah, giornale del Gruppo torinese di Studi Ebraici

Lo scorso numero di Ha Keillah ha dedicato ampio spazio alla questione Rom pubblicando interventi da cui emerge la preoccupazione degli ebrei torinesi per i provvedimenti dal forte sapore discriminatorio varati dal governo Berlusconi. Tra questi, ad aver suscitato maggiori critiche, è il progetto di schedatura con rilevamento delle impronte digitali a tutti i residenti all’interno dei campi nomadi, anche ai minori, compresi coloro che come i Sinti sono cittadini italiani. Dello stesso argomento si era parlato in occasione dell’incontro "Società e xenofobia" organizzato dalla Comunità e dal Comitato Oltre il Razzismo svoltosi il 7 luglio nei locali del Centro Sociale e che ha visto un’ampia ed attiva partecipazione.

A settant’anni dalla promulgazione delle leggi razziali è doloroso constatare il riaffiorare di sentimenti di ostilità verso una parte della popolazione considerata estranea, complice un clima di paura irrazionale fomentato da forze politiche che in questo momento sono alla guida del paese e che attraverso la progressiva demolizione dei principi democratici fanno paventare il rischio di un ritorno al fascismo (il quale, per essere considerato tale, non ha bisogno di olio di ricino e manganelli).

Per tornare alla questione, come scrive Francesco Ciafaloni nel suo articolo (Ha Keillah n.3/2008 – pag. 8), "gli tzigani, per lo più, sanno poco dei gaggi e i gaggi non sanno assolutamente nulla degli tzigani, al di là della caricatura negativa, e di quella romantica, che possono tranquillamente convivere" (gaggi o gagé è il termine in lingua romaní che indica chi non appartiene all’etnia zingara). Credo che in linea di massima abbia ragione. Una migliore conoscenza degli aspetti storico-culturali e delle problematiche di questo popolo può far meglio comprendere le dinamiche che sono all’origine dei conflitti che da sempre segnano il rapporto tra zingari e gagé; per questo ho ritenuto che valesse la pena suggerire alcune letture che potranno aiutare a gettare uno sguardo verso quell’altrove (sia esso luogo o dimensione) nel quale Rom e Sinti vengono spesso relegati.

La bibliografia in lingua italiana sull’argomento è vasta ma non abbondante. Essa comprende sia testi di autori italiani che traduzioni di autori stranieri. Diversi libri, tra cui anche alcuni basilari, purtroppo sono ormai fuori commercio ma possono essere reperiti in biblioteca. Tra questi i titoli più significativi sono Mille anni di storia degli Zingari di François de Vaux de Foletier (Jaca Book, Milano, 1978) e Il destino degli Zingari di Donald Kenrick e Grattan Puxon (Rizzoli, Milano, 1975). Sul versante culturale, una trilogia a cura del gruppo Arca, è stata pubblicata dalla casa editrice milanese IGIS tra il 1978 ed il 1982: La mano allo zingaro (magia di una cultura), Arte nomade (il senso artistico degli Zingari), Gli ultimi nomadi (poesia nel mondo zingaro). Da segnalare anche Zingari ieri e oggi, a cura di Mirella Karpati (Lacio Drom, Roma, 1993), i volumi di Leonardo Piasere, Popolo delle discariche. Saggi di antropologia zingara (CISU, Roma, 1991), Un mondo di mondi. Antropologia delle culture rom (L’ancora del Mediterraneo, Napoli, 1999) ed infine la rivista di studi zingari Lacio Drom, pubblicata dal 1965 al 1999.

Sul "Porrajmós", lo sterminio nazifascista nel quale furono uccisi mezzo milione di zingari, hanno scritto Christian Bernadac, Sterminateli! Adolf Hitler contro i nomadi d’Europa (Fratelli Melita Editori, La Spezia, 1988), Otto Rosenberg, La lente focale. Gli zingari nell’Olocausto (Marsilio, Venezia, 2000) e Guenter Lewy, La persecuzione nazista degli zingari (Einaudi, Torino, 2002). Sullo stesso argomento vorrei ancora ricordare l’ottima documentazione contenuta nei DVD e nel libretto ad essi allegato dal titolo A forza di essere vento. Lo sterminio nazista degli Zingari (editrice A, Milano, 2006) da me recensiti su questo stesso giornale (n. 1/2007).

Con questo articolo intendo però soffermarmi su quattro recentissime pubblicazioni, uscite quasi contemporaneamente nei mesi scorsi e che seguono di poco il saggio curato da Marco Impagliazzo, Il caso zingari (Leonardo International, Milano, gennaio 2008 – pagg. 126 - € 12), di cui ci parla Emilio Jona sempre su Ha Keillah n. 3/2008 a pag. 9. La prima di esse è La città fragile (Bollati Boringhieri, Torino, aprile 2008 - pagg. 92 - € 12). Si tratta della raccolta dei testi teatrali della "Trilogia dell’invisibilità" curata dall’attore teatrale torinese Beppe Rosso e dallo sceneggiatore Filippo Taricco. Dei tre capitoli il primo di essi "Seppellitemi in piedi" ripercorre la vicenda dei Rom rumeni approdati alla periferia di Torino dieci anni fa e raccontata da Marco Revelli nel suo libro-testimonianza Fuori luogo. Cronaca da un campo Rom (1999, stessa casa editrice). È interessante, alla luce dell’ "emergenza" dei Rom rumeni di cui tanto si continua a parlare, riesaminare gli esordi di una vicenda che mette a nudo non solamente la fragilità dei protagonisti ma anche quella delle istituzioni che di fronte a ciò che interviene a scompigliare l’ordine costituito si mostrano quasi sempre ed ovunque incapaci di fornire soluzioni adeguate e spesso ricorrono a decisioni di natura repressiva (sgomberi, allontanamenti, espulsioni, ecc.).

Lorenzo Monasta, medico epidemiologo con esperienze di lavoro in Africa e nei campi nomadi in Italia, è l’autore de I pregiudizi contro gli "zingari" spiegati al mio cane (BFS-Edizioni, Pisa, 2008 - pagg.80 - € 8). Il titolo potrebbe indurre a pensare che si tratti di un libro ironico e poco impegnativo. Anche se in alcuni punti l’ironia non manca il testo pone il lettore di fronte agli atteggiamenti di rifiuto che molte persone adottano nei confronti dei Rom e dei Sinti, di cui conoscono poco o nulla, e ancora una volta mette in risalto l’analfabetismo culturale dei politici e delle amministrazioni locali. Facendo venire allo scoperto ed analizzando i comportamenti sbagliati, incoerenti, buonisti, che impediscono un approccio normale con la realtà zingara, il lettore viene posto di fronte a più di un interrogativo; la sfida è trovare in sé le risposte. In breve, un libro sintetico ma niente affatto banale.

Anche se il titolo Zingari di merda (Effigie, Milano, maggio 2008 - pagg.93 - € 15) appare spiazzante e provocatorio, si deve dare atto ad Antonio Moresco e a Giovanni Giovannetti di aver saputo descrivere, il primo con la narrazione ed il secondo con le immagini, le tristi condizioni di vita di una comunità di Rom rumeni costretti ad una dolorosa odissea tra l’Italia e la Romania, il luogo da cui erano partiti e nel quale sono stati ricacciati dopo lo sgombero dall’ex fabbrica Snia alle porte di Pavia, dove avevano trovato rifugio. Insieme a Dimitru che fa loro da accompagnatore gli autori hanno intrapreso un viaggio verso Slatina e Listeava, dove l’esistenza priva di prospettive trascorre in case di fango o dentro buche scavate nel terreno. Moresco descrive situazioni al limite dell’incredibile che spiegano le ragioni della fuga verso l’occidente in cerca di condizioni di vita migliori; narra ciò che vede con un linguaggio aspro e politicamente scorretto, riesce quasi a farci percepire la puzza che lo circonda in luoghi che sembrano concepiti per negare la dignità agli esseri umani. La lettura di questo libro non può non turbare la coscienza di tutti coloro che "vivono sicuri in tiepide case e tornando a casa la sera trovano cibo caldo e visi amici".

Con Non chiamarmi zingaro (Chiarelettere, Milano, giugno 2008 - pagg. 227 - € 12,60) Pino Petruzzelli, attore anch’egli come Beppe Rosso, ci introduce ad una realtà a dir poco stupefacente. Gli zingari da lui incontrati non sono soltanto quelli emarginati e sudici, ladri ed accattoni, bensì quelli che la gente non vede e quindi non giudica positivamente come dovrebbe: una romní medico con specializzazione in neurologia, una laureata in geopolitica, una maestra, un frate, un pittore, un giostraio, una zingara sottratta dalle istituzioni ai genitori naturali per essere educata in una famiglia "rispettabile" (con buona pace di chi afferma che gli zingari rapiscono i bambini).

Molti Rom e Sinti vivono con disagio la loro condizione, quella che li costringe a tacere sulla loro vera identità per non correre il rischio di essere discriminati. Le testimonianze raccolte da Petruzzelli, che tra l’altro ha partecipato all’incontro "Società e xenofobia", costituiscono un pesante atto d’accusa rivolto ad una società ipocrita, quella che rimprovera gli zingari di non volersi integrare ma per la quale "uno zingaro resta sempre uno zingaro", qualcuno di cui diffidare (quanti, in fondo, la pensano allo stesso modo nei confronti degli ebrei e, in genere, di chiunque appartenga ad una cultura, ad un gruppo sociale o ad una religione diverse da quelle nelle quali si riconosce la maggioranza dei cittadini?).

Questa guerra tra e contro i poveri e non contro le ingiustizie che sono all’origine della povertà è, nell’Italia delle leggi "ad personam", al tempo stesso cinica ed allarmante. Identificare negli zingari il capro espiatorio di turno consente di tacere sulle vere emergenze del paese e permette che gli istinti più bestiali si traducano in azioni di violenza e squadrismo: dai pogrom di Ponticelli ai presidi contro la sistemazione di un nuovo campo nomadi a Mestre, passando per numerosi episodi di aggressione taciuti dai media, questo solo per citare fatti recenti. Che queste deplorevoli iniziative siano firmate camorra, naziskin o Lega nulla cambia: intolleranza e razzismo, lo sappiamo, sono un’idra dalle molte teste di fronte a cui non dobbiamo mai abbassare la guardia.

In conclusione, la lettura dei libri che ho menzionato in precedenza permette di andare oltre l’informazione distorta che su questo argomento ogni giorno ci viene propinata da tivù e giornali, colmando quelle lacune di conoscenza che sono alla base di giudizi non obiettivi.

Porsi all’ascolto di persone che vivono al nostro fianco, imparare da un popolo che con gli ebrei ha condiviso una storia di esili forzati e di persecuzioni, può anche aiutarci a riflettere su noi stessi e fornirci delle motivazioni in più per contrastare la deriva morale e culturale di questo paese. Con l’aria che si respira ha ragione Guido Fubini quando afferma che "non basta più essere vigilanti!". Bisogna essere pronti ad agire.

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Di Fabrizio (del 13/11/2008 @ 09:21:37, in Europa, visitato 1798 volte)

Da Czech_Roma (nessuno sa autoincensarsi come uno statunitense, talvolta a ragione...)

La reazione di ISN alla vittoria di Obama nelle elezioni

Queste elezioni ovviamente hanno detto molto dell'America ma, per me e probabilmente per molti Americani che vivono all'estero, probabilmente si tratta di un esercizio di comparazione o contrasto con le nostre patrie di adozione. Due le cose impressionanti. Mentre guardavo un gentile Mc Cain esprimere nel suo discorso finale ammirazione per la capacità di Obama di ispirare e un Obama sobriamente (e non trionfalmente) parlare di lavorare assieme e dei profondi valori del Partito Repubblicano, pensavo: "Qui non sarebbe potuto accadere affatto." Parliamo della polarizzazione negli USA, ma non possiamo paragonarla all'odio amaro tra i due principali partiti qui nella Repubblica Ceca; è semplicemente inimmaginabile che possano lodarsi l'un l'altro in quel senso, figura o forma. La mancanza di cooperazione è stata la principale ragione per la mancanza di riforme chiave.

Ad un livello più personale, sono rimasto deluso nell'ascoltare alcuni Cechi che conosco focalizzati sulla razza; appaiono abbastanza sbalorditi che un uomo negro sia stato eletto e ancora di più dall'idea che un Ucraino o un Vietnamita (le due maggiori comunità minoritarie qui) sia a capo della Repubblica Ceca. Sono semplicemente impenetrabili al pensiero che qualcosa di simile possa succedere qui -  benché sia comprensibile. La II guerra mondiale eliminò molta della diversità della Cecoslovacchia (i nazisti che uccidevano gli Ebrei e poi i Cechi che cacciavano chi era di etnia tedesca)  ed il regime comunista mise un coperchio sull'immigrazione, il paese divenne incredibilmente omogeneo. Tutto questo è cambiato, lentamente, negli ultimi 20 anni, ma di sicuro ci vorranno generazioni per i candidati delle minoranze progrediscano nelle elezioni generali e convincano i Cechi che loro sono come tutti gli altri (senza menzionare la minoranza Rom, che è qui da generazioni).

Così noi, in quanto Americani, dovremmo essere a ragione orgogliosi tanto dell'elezione di Obama che, infine, per lo spirito di mutua appartenenza, ma dobbiamo tenere a mente che tanto il nostro multiculturalismo che il sistema politico sono maturati in centinaia di anni, potrebbe essere una lezione importante per alcune delle democrazie più giovani, ma ci vorrà una lunga strada perché qualcosa di simile accada nel loro cortile.

Jeremy Druker, ISN Security Watch contributor based in Prague and Director of Transitions Online

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Di Sucar Drom (del 12/11/2008 @ 12:33:21, in blog, visitato 1754 volte)

Roma, a Casilino 900 è allarme sanitario
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Firenze, Olmatello ultimo atto
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Roma, la Croce Rossa nella casta di lupomanno
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Arriva il registro per schedare i senza fissa dimora
Il democratico Casson, quando governo e maggioranza danno il via libera all'emendamento leghista (firmato Bricolo, Mauro, Bodega, Mazzatorta, Vallardi), lo ribattezza subito "il registro dei clochard" ...

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Di Fabrizio (del 12/11/2008 @ 09:37:11, in media, visitato 1580 volte)

Segnalato da Paolo Andreozzi

[ricevo da Beatrice Montini e volentieri inoltro] Sono una giornalista e scrivo per segnalare un'iniziativa GIORNALISTI CONTRO IL RAZZISMO che stiamo portando avanti attraverso il sito http://www.giornalismi.info/mediarom/
Al momento stiamo cercando di diffondere e far discutere sulla campagna "Mettiamo al bando la parola clandestino (e non solo quella)" (anche nomade, zingaro, extracomunitario, ecc ).
Da ieri l'agenzia Dires ha deciso di eliminare dai suoi lanci queste parole. Copincollo qui sotto il lancio dell'Ansa.

(ANSA) - ANCONA, 10 NOV - Da oggi i lanci quotidiani del notiziario DiReS - frutto della collaborazione tra l'Agenzia Dire (Canale Welfare) e l'Agenzia Redattore Sociale - non conterranno più la parola "clandestino". L'iniziativa, spiega una nota, è maturata anche in seguito all'appello lanciato dal gruppo Giornalisti contro il razzismo.
«Oltre a essere impropria, la parola ha sempre più assunto nell'immaginario collettivo un'accezione offensiva e spesso criminalizzante, che rischia di estendersi a tutta la popolazione immigrata - dice il direttore di Redattore Sociale, Stefano Trasatti -. Eliminarla dal nostro notiziario ci sembra una scelta doverosa e di rispetto della dignità delle persone straniere». «L'uso di un linguaggio corretto - aggiunge il direttore di Dire, Giuseppe Pace - è sempre importante per un'agenzia di stampa, ma lo è ancora di più quando si trattano fenomeni, come l'immigrazione, su cui è facile alimentare paura, xenofobia e razzismo».
Al posto dalla parola "clandestino", che verrà usata solo in eventuali dichiarazioni tratte da comunicati stampa e riportate tra virgolette, o se necessaria per riportare fedelmente il contenuto di un'intervista, saranno preferiti termini come irregolare, migrante, immigrato, rifugiato, richiedente asilo, persona, cittadino, lavoratore, giovane, donna, uomo. Sarà evitata anche la parola "extracomunitario", a meno che non sia essenziale per chiarire aspetti tecnico-giuridici.

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Ricevo da Eugenio Viceconte

(L'avevo anticipato QUI)

(2008-11-10)- L’ampia ricerca "Adozione di minori rom/sinti e sottrazione di minori gagé" commissionata dalla Fondazione Migrantes al Dipartimento di Psicologia e Antropologia culturale dell’Università di Verona e alla direzione del Prof. Leonardo Piasere, si articola in due studi volti a rispondere a differenti ma complementari interrogativi.

L’uno –– in corso di pubblicazione presso CISU – volto a verificare quanti bambini figli di rom o sinti siano stati dati in affidamento e/o adozione dai Tribunali per i Minori italiani a famiglie gagé, condotto da Carlotta Saletti Salza. L’altro – già edito dallo stesso editore col titolo "La zingara rapitrice. Racconti, denunce, sentenze (1986-2007) – sui presunti tentati rapimenti di infanti non-rom da parte di rom, condotto da Sabrina Tosi Cambini.

Il progetto di ricerca "Adozione dei minori rom e sinti" prevedeva la raccolta il più esaustiva possibile di dati documentati relativi all’affidamento e all’adozione di minori rom e sinti a famiglie non rom da parte dei tribunali dei minori italiani, nel periodo compreso tra il 1985 e il 2005, nonché un’analisi dei dati raccolti. La scelta è stata quella di condurre una ricerca sull’affidamento e sull’adozione dei minori rom e sinti a partire dai dati relativi alle dichiarazioni di adottabilità che sono registrati presso le sedi dei tribunali minorili e dalle informazioni raccolte nei servizi sociali di territorio, comunali e ospedalieri, in materia di allontanamento dei minori dal nucleo famigliare. Quindi, sono stati raccolti i dati relativi alle dichiarazioni di adottabilità presso otto (Torino, Bologna, Bari, Lecce, Trento, Firenze, Venezia e Napoli) delle ventinove sedi dei tribunali minorili e sono stati svolti colloqui con i servizi sociali di riferimento. Complessivamente, i casi di minori rom e sinti dichiarati adottabili sono oltre duecento.

I dati raccolti in ciascuna delle sedi dove si è svolto il lavoro di ricerca mostrano differenze rilevanti legate al contesto storico e sociale all’interno del quale, nel corso degli anni, si sono inserite le differenti comunità rom e sinte. Per fare un esempio, vi sono situazioni nelle quali troviamo una mancanza di tradizione del lavoro dei servizi sociali (come a Lecce, dove assistiamo a una pericolosa inversione di ruoli dal momento che l’Autorità Giudiziaria minorile si sostituisce alla tutela sociale che dovrebbero invece esercitare i servizi di territorio) e contesti nei quali invece i servizi sociali vantano una sorta di specializzazione nel lavoro con le comunità rom (vedi il caso di Firenze, Torino, Venezia), con una pericolosa stigmatizzazione della cultura da parte dei differenti operatori coinvolti.

Nel complesso, l’analisi dei dati mostra la facilità con la quale, nelle diverse realtà analizzate, la tutela sociale (dei servizi di territorio) e civile (dell’Autorità Giudiziaria) scivolano nell’indifferenziare l’identità di un minore rom con quella di un minore maltrattato. Come se la cultura "altra" potesse fare del male al bambino. Questo è ciò che pensano molti degli operatori incontrati. Tutti i minori rom, in quest’ottica diventerebbero dei bambini maltrattati. L’intervento di tutela operato in molti contesti diventa quindi quello di allontanare, togliere il minore dal suo contesto famigliare, per educarlo, come se la cultura rom non avesse un modello educativo o, per lo meno, come se la cultura rom non avesse un modello educativo valido. I concetti impliciti che precedono questa riflessione propria di molti operatori così come di molti magistrati minorili, vedono il bambino rom come soggetto di una situazione di pregiudizio solo e proprio perché è rom o perché vive su quel pezzo di terra dove si trova il "campo nomadi". Precisamente, i presupposti impliciti di molti operatori sono che:
- la cultura rom è da considerarsi "mancante", sempre e comunque, con tutti i bambini;
- nella cultura rom vi è un’assenza delle capacità genitoriali;
- da parte dei genitori e/o della famiglia rom vi è un’assenza della tutela dell’infanzia.

Sono proprio questi i presupposti in funzione dei quali l’intervento di tutela sociale e/o civile del minore rom diventa facilmente quello di tutelarlo dalla sua famiglia o dalla sua cultura. Cosa accade allora ai minori rom? La ricerca svolta evidenzia che la difficoltà di molti operatori nel riconoscere l’identità del bambino rom, il suo modello educativo, porta a gravi situazioni in cui di fatto il minore non viene tutelato. I circa duecento casi riscontrati di dichiarazione di adottabilità, infatti, denunciano un grave "pregiudizio" (così come inteso dal codice civile) nel quale si troverebbe questa volta non il minore rom, ma il contesto istituzionale che ruota intorno a quella che dovrebbe essere la tutela di qualsiasi minore. Una tutela dalla quale il minore rom, paradossalmente, resta escluso.

Abbiamo quindi situazioni nelle quali i minori trovati in strada da soli o con gli adulti di riferimento vengono allontanati dai genitori e poi inseriti in comunità. Una volta in comunità il provvedimento del Tribunale dei Minorenni dispone che i minori non possano più incontrare i propri famigliari, fino al termine dell’istruttoria. Concretamente questo vuol dire che potrà accadere che i bambini non possano più incontrare i propri genitori per lunghi mesi, con gravi conseguenze nella loro relazione. Gli avvocati che seguono questi casi affermano che, probabilmente, in questi casi, il reale interesse dei vari operatori coinvolti è di trovare il maggior numero possibile di minori per le famiglie non rom che fanno domanda di adozione. Come reagire di fronte a queste gravi denunce? Oppure abbiamo casi in cui i minori vengono allontanati dalla famiglia perché i servizi sociali valutano che le condizioni abitative del nucleo, ovvero quelle del "campo nomadi", non sono adeguate alla tutela di un minore. Ancora, molte volte ci troviamo di fronte a casi di allontanamento che avvengono con molta violenza, sulla base del mero pregiudizio personale di un operatore qualunque che scrive che quel minore non è tutelato perché "mangia con le mani" o "non indossa il pigiama per andare a dormire". Con quale presunzione noi non rom continuiamo a immaginare che il nostro modello di vita sia il migliore e quello ideale? E, soprattutto, chi lavora nel sociale non dovrebbe avere una formazione adeguata per lavorare con soggetti che appartengono a culture differenti?

Talvolta la responsabilità della mancata tutela del minore viene data alla cultura, talaltra alle istituzioni, che non sarebbero in grado di offrire a questi nuclei situazioni abitative appropriate. In entrambi i casi, il risultato è che non viene salvaguardato l’interesse del minore di vivere nella propria famiglia. Accadrebbe lo stesso se si trattasse di minori italiani?

Non si vuole qui escludere che possano esserci situazioni di abbandono dei minori rom, non si vuole accusare gratuitamente il lavoro degli operatori, ma si vuole mettere in evidenza la contraddizione nella quale invece cadono in molti (sia gli operatori sociali che della magistratura minorile), identificando sempre il minore rom come abbandonato, potremmo dire, "alla" e "dalla" sua cultura.

Possiamo aggiungere quindi che il tema attorno al quale si sviluppare questa analisi è quello di tutela. Qual’é la nostra concezione tutela e qual’é quella dei romá? Cosa accade al bambino rom mentre per l’operatore si sta verificando una situazione di maltrattamento? Da questo interrogativo si apre una riflessione su due aspetti:


- sulla definizione di quella che viene genericamente definita come la soglia in funzione della quale l’operatore, genericamente inteso, stabilisce che il minore si trova in una condizione di "pregiudizio". Una soglia viene banalmente interpretata e descritta con un criterio di tolleranza personale: per qualcuno sono i piedi scalzi, piuttosto che il furto o l’accattonaggio o l’appartenenza alla cultura rom, senza riconoscere che il "pregiudizio" dovrebbe essere quello ravvisato specificatamente nell’interesse di ciascun minore. Quello che accade è che i minori rom verranno segnalati all’Autorità Giudiziaria in funzione del grado di tolleranza personale degli operatori sociali, che, come quella di molti cittadini, è molto bassa.

- L’altro aspetto riguarda l’applicabilità della norma giuridica italiana a un contesto culturale differente, un tema che in Italia resta poco approfondito. Al centro di quest’analisi vi è una discussione sulla definizione dei margini dell’applicabilità della norma giuridica a un minore il cui contesto famigliare potrebbe non riconoscere la stessa norma e le sue finalità. In funzione di quali criteri potremo definire l’abbandono di fronte a un minore che appartiene a un contesto culturale differente da quello nel quale è stata elaborata la norma giuridica? Alcuni magistrati portano riflessioni interessanti a questo proposito, affermando che di fronte al minore straniero occorre sempre considerare e decodificare il contesto culturale dal quale proviene, ma il tema resta ampiamente marginale nell’ambito della magistratura minorile. Il risultato è che pochi magistrati minorili riconoscono la necessità di decodificare il contesto culturale del minore e che in molti invece ritengono non opportuno riconoscerne la specificità dettata dall’appartenenza culturale. Questo è quanto emerge nell’ambito del lavoro di ricerca svolto.

Quale soluzione proporre? Frequentemente la cultura non-rom si presenta come "egemone", più forte di quella dei romá, identificati come appartenenti a una minoranza culturale. Se davvero si riconosce come tale, la nostra cultura dovrebbe prendersi la responsabilità di assumere fino in fondo questo ruolo, creando quegli strumenti che potrebbero anche tutelare il minore rom e la sua famiglia. Questo vorrebbe dire disporre di quegli strumenti di conoscenza che si avvicinino il più possibile al contesto culturale del minore, con il risultato di mettere il minore in una condizione che lo veda tutelato da entrambe le parti: per la magistratura minorile e per la sua famiglia.

Dovremo infine smettere di pensare alle cultura rom come una cultura statica e immutabile, come se i minori fossero destinati alla povertà materiale e culturale dei loro genitori. Se molti romá oggi vivono nei "campi nomadi" è perché si tratta di una chiara scelta delle amministrazioni comunali di mantenere queste comunità in una condizione di grave precarietà sociale e civile. Se i minori rom oggi non sono tutelati e c’è un sistema giudiziario minorile che non li tutela la responsabilità è solo nostra.

La seconda indagine "Sottrazione di minori gagé" originariamente copriva il ventennio dal 1986 al 2005, ma per i fatti successivamente accaduti si è protratta fino al 2007. I casi sono stati individuati e analizzati partendo dall’archivio Ansa e arrivando alla consultazione dei fascicoli dei Tribunali, adottando, oltre a quella giuridica, più prospettive: etnografica, dell’antropologia giuridica ed etnometodologica.

Per dare un quadro del lavoro svolto, possiamo dire che la ricerca si è strutturata in tre fasi: individuazione nell’archivio Ansa dei fatti di nostro interesse; studio del corpus ricavato dall’archivio Ansa per individuare i casi; lavoro sui casi: consultazione dei fascicoli processuali, ricostruzione, comparazione. Quest’ultima fase – che partiva, appunto, dalle informazioni contenute nelle notizie Ansa – ha avuto la sua attività principale nel contatto con le Forze dell’ordine, Procure e Tribunali al fine di verificare se il fatto avesse avuto un prosieguo significativo in termini penali. In caso affermativo, si è cercato di ottenere i permessi per la visione dei fascicoli. Alcune volte, è stato possibile avere un colloquio con il PM e con gli avvocati; in altre, la distanza temporale ha complicato questi passaggi. Per molti è stato possibile anche raccogliere gli articoli apparsi sui giornali e anche su Internet.

Nella nostra analisi prendiamo in considerazione ventinove casi, oltre undici di sparizione di minori (dunque, 40 in tutto), sui quali è da subito opportuno indicare il risultato principale della ricerca, e cioè che non esiste nessun caso in cui sia avvenuta una sottrazione del bambino: nessun esito, infatti, corrisponde ad una sottrazione dell’infante effettivamente avvenuta, ma si è sempre di fronte ad un tentato rapimento, o meglio, ad un racconto di un tentato rapimento.

Alla confusione che generano i media al momento della denuncia del fatto, dando come provato e "vero" il tentato rapimento, se non vi è un arresto non corrisponde quasi mai la notizia dell’esito dell’azione delle Forze dell’ordine. Nei pochi casi in cui questo accade, la notizia non è per comunicare che i rom non c’entrano niente, ma è perché l’esito scioglie in sé altri eventi: truffe, fatti drammatici, situazioni che suscitano ilarità.
In maniera random si è cercato anche di verificare se per i casi in cui era stata sporta denuncia, ma in cui i presunti rapitori si erano dati alla fuga, le indagini avessero risolto la vicenda in qualche modo: si tratta di un ulteriore accertamento rispetto al fatto che se non c’è stata più nessuna notizia in merito questo ci può far dire che non si era poi svolto nessun arresto. D’altra parte - come dicevamo e come alcuni casi dimostrano - laddove le Forze dell’ordine tramite le proprie indagini verificano che è stato solo un equivoco, una percezione errata della situazione, la stampa ne dà poca o nessuna notizia.

La comparazione dei casi ci ha aperto a strade particolarmente significative, attraverso le quali si sono potuti individuare gli elementi cardine dei racconti dei tentati rapimenti, che sono pochi e si ripetono come un frame, un canovaccio concettuale con poche varianti: ad esempio, nella grande maggioranza, si tratta di ‘donne contro donne’ ossia è la madre ad accusare una donna rom di aver tentato di prendere il bambino; non ci sono testimoni del fatto, tranne i diretti interessati; gli eventi accadono spesso in luoghi affollati come mercati o vie commerciali; nessuno interviene in soccorso della madre; non di rado appare la paura che vi sia uno ‘scopo oscuro del rapimento’ per cui la presenza di alcuni mezzi e persone nelle vicinanze vengono interpretate dalle madri (o da altre figure) come complici della zingara (ma i controlli lo smentiscono regolarmente).

L’analisi comparativa dei casi, infine, ci porta a poter affermare che laddove vi è la presenza di un infante, l’avvicinamento di una persona rom è subito vissuto come un pericolo per il proprio figlio: lo stereotipo "gli zingari rubano i bambini" risulta essere molto più potente di qualsiasi altro. Non si ha paura, infatti, che sottraggano il portafogli o la borsa (secondo lo schema mentale "gli zingari rubano"), ma che portino via il bambino.

Dai ventinove, estrapoliamo i sei casi che hanno portato all’apertura del procedimento e dell’azione penale, che rappresentano il cuore del lavoro di ricerca e che nel testo vengono presentati e discussi uno ad uno in particolar modo attraverso i fascicoli processuali.
Si tratta di:

Desenzano del Garda (Brescia) 02/12/1996. Sentenza di colpevolezza [art. 56 c.p. (delitto tentato) art.605 c.p. (sequestro di persona)].
Castelvolturno (Caserta) 18/01/1997. Sentenza di assoluzione perché il fatto non sussiste.
Minturno (Latina) 30/08/1997. Archiviazione del caso.
Roma 10/10/2001. [Sentenza di colpevolezza art. 56 c.p. (delitto tentato) art. 574 c.p. (sottrazione di persone incapaci)].
Lecco 04/02/2005 (il procedimento penale è in corso – II grado).
Firenze 25/10/2005 (il procedimento penale è in corso – I grado, il PM nell’ultima udienza del 17 ottobre 2008 ha chiesto l’assoluzione).

Lo sguardo critico proprio della disciplina antropologica fa emergere dalle carte e dalle aule del tribunale l’utilizzo delle categorie del senso comune da parte degli operatori del diritto come base attraverso cui adattare la categorizzazione prevista nei codici alle circostanze del caso e la costruzione della credibilità dei testimoni nella quale assume un forte peso la capacità retorica delle due parti, intesa anzitutto come coerenza interna del discorso quale testimonianza dell’accaduto. Il tutto retto anche da un ‘ragionevole’ assunto iniziale: la madre non avrebbe nessun motivo per accusare la zingara di un atto non compiuto, in pratica non avrebbe alcun senso che la madre si fosse inventata tutto, per cui quello che ella dice è di partenza da considerarsi in qualche modo "vero". Non dobbiamo scordarci che ci troviamo davanti a persone appartenenti a gruppi socialmente e giuridicamente deboli: non solo persone immigrate, ma soprattutto e in primo luogo rom (ma chiamati sempre nomadi) e nella maggior parte dei casi "sedicenti". Addirittura nella sentenza di Brescia si legge che la pericolosità sociale della donna è "in una con la sua condizione di nomade". Allo stesso modo per il caso di Roma, non ha nessun peso il fatto che il certificato dei carichi pendenti dell’imputata risulti negativo: la sua condizione di nomade sedicente basta – secondo il giudice - a renderla pericolosa e capace di commettere azioni criminose. Il fatto di essere definite nomadi, giustifica di per sé nei confronti delle imputate qualsiasi decisione a tutela della collettività.

Infine, per quanto riguarda episodi di sparizione di bambini (11 casi analizzati), nella maggioranza molto noti all’opinione pubblica, abbiamo ricostruito i vari momenti in cui i rom e sinti entravano tra i soggetti sospetti e gli esiti degli accertamenti che derivavo dall’attività investigativa (sempre negativi). La drammaticità delle vicende di queste sparizioni si rende ancora più acuta in quelle narrazioni di cui si conosce l’epilogo: l’opposizione fra ciò che è accaduto realmente a questi bambini e l’immaginario stereotipico del rapimento da parte dei rom emerge con una forza squassante. Questi bambini sono stati vittime di una violenza brutale tutta interna ai contesti dove vivevano: pedofili, conoscenti, parenti. Anche a partire da questo, il forte invito è quello di allargare il nostro sguardo, interrogarci e riflettere maggiormente su noi stessi (sempre che questo noi così netto esista...).

Le autrici della ricerca

Carlotta Saletti Salza, dottore di ricerca in Antropologia ottenuto presso la Facultat de Ciències Humanes i Socials – Departament d’Història, Geografia i Art – di Castellón de la Plana (Spagna). Svolge da svariati anni attività di ricerca presso Fondazioni e Univeristà. Ha condotto ricerca etnografica tra le comunità xoraxané a Torino e in Bosnia su tematiche relative all’educazione famigliare e scolastica e sulla rappresentazione della morte.
Sabrina Tosi Cambini, dottore di ricerca in Metodologie della ricerca etno-antropologica presso l’Università degli Studi di Siena, svolge da svariati anni attività di ricerca presso Fondazioni, Istituti e Università; è stata operatrice di strada e da tempo coordina progetti sperimentali di lavoro sociale. Attualmente è docente a contratto di Antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Firenze e di Antropologia sociale presso l’Università degli Studi di Verona. (10/11/2008-ITL/ITNET)

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