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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 20/03/2014 @ 09:02:29, in Italia, visitato 1347 volte)

Sergio Bontempelli - 17 marzo 2014  su Corriere delle migrazioni

Nazzareno Guarnieri, della Fondazione Romanì, lancia l'allarme: in Abruzzo episodi preoccupanti di discriminazione, anche istituzionale

Nazzareno Guarnieri è uno degli attivisti rom più conosciuti in Italia. Viene dall'Abruzzo, regione dove la presenza rom ha caratteristiche peculiari, diverse da quelle che si registrano altrove: anzi, se vogliamo dirla tutta, è proprio facendo una scappata in Abruzzo che si possono sfatare gran parte dei pregiudizi sui cosiddetti "zingari".

Già, perché qui i rom non abitano - e non hanno mai abitato - nei "campi nomadi". Non vivono nelle baracche, non dormono nelle roulotte, non affollano le piazzole degli insediamenti di periferia. Tutte le famiglie vivono in casa, e se vuoi andarle a trovare devi suonare il campanello di qualche palazzo in cemento armato. Tra l'altro su quel campanello, quasi sempre, non si troverà un cognome dal sapore "esotico" - magari di origine slava, o rumena - ma uno italiano, italianissimo. Come Guarnieri, appunto. Perché in Abruzzo - dicono le statistiche più aggiornate - l'80% dei rom ha la cittadinanza, e ce l'ha da generazioni: si tratta di famiglie "autoctone" a tutti gli effetti.

Eppure, le discriminazioni esistono anche qui. Perché il razzismo non dipende dal colore della pelle, non colpisce (solo) le minoranze straniere, e ha poco a che fare con la "diversità", checché se ne dica. Ma questo è un altro discorso, e sarà meglio non divagare: le cose che ci deve raccontare Nazzareno Guarnieri sono già abbastanza delicate e complesse, e vale la pena di restare sul punto. Lo storico animatore della Fondazione Romanì è preoccupato - molto preoccupato - per quel che sta accadendo nella sua Pescara. E per la verità non è l'unico: qui, in Abruzzo, ad essere in ansia è l'intera minoranza rom. "C'è un clima molto teso nella nostra comunità. Con la Fondazione Romanì, e con l'Associazione Rom Sinti e Politica che opera a Pescara, stiamo visitando quasi quotidianamente le famiglie, facciamo riunioni e assemblee un po' con tutti. E registriamo un clima di grande angoscia, dettato dai fatti delle ultime settimane".

A cosa si riferisce? Faccia capire anche a noi che non siamo della zona... "Alcune vicende sono note e conosciute anche fuori regione. Lei ricorderà, per esempio, i fatti di Alba Adriatica: nel novembre 2009, il giovane Emanuele Fadani fu ucciso da alcuni rom nel corso di una rissa all'esterno di un pub. I colpevoli dell'omicidio furono arrestati - giustamente - e processati: è bene chiarire subito che da parte nostra non c'è alcun "giustificazionismo", e se uno ha commesso un reato così orribile è giusto che subisca i rigori della giustizia. Senza se e senza ma. Il problema è che nei giorni successivi gruppi di giovani violenti avevano organizzato una sorta di "spedizione punitiva" - di fatto, un vero e proprio linciaggio - nel quartiere dei rom: avevano preso di mira persone che non avevano nulla a che fare con l'omicidio, e che avevano l'unica colpa - appunto - di essere rom... Furono lanciati sassi contro i vetri delle abitazioni e delle auto in sosta, provocando danni ingenti".

Ma che c'entra questa lontana vicenda con la situazione di oggi? "C'entra, perché proprio in queste ultime settimane si è concluso il processo contro i giovani accusati di quelle aggressioni. E nessuno di loro è stato condannato. Di fatto, un episodio molto grave di intolleranza e di razzismo è rimasto senza colpevoli".

Il Tribunale avrà avuto le sue buone ragioni per assolvere, no? "Non voglio entrare nel merito, anche perché le motivazioni della sentenza non sono ancora note. Ma non nascondo che l'esito del processo ha provocato molta amarezza nella nostra comunità. Molti rom si chiedono come sia possibile che un fatto così grave sia rimasto senza colpevoli: anche perché le forze dell'ordine erano intervenute, avevano assistito alle violenze, avevano identificato i presenti. Perché le prime rilevazioni della polizia, le indagini degli inquirenti e poi il dibattimento in aula, non hanno portato all'individuazione dei responsabili?".

E' per questo processo che si registra preoccupazione nella comunità rom? "Non solo per quello. Ci sono altri episodi, sempre legati alla cronaca giudiziaria, che hanno suscitato rabbia e amarezza diffusa. Il primo riguarda un caso di discriminazione. Circa un anno fa, ricevetti una telefonata da una famiglia rom molto conosciuta in città. Il padre mi spiegò che aveva cercato di iscrivere il bambino a un corso di nuoto: il proprietario della piscina, che in un primo momento si era detto disponibile, rifiutò dopo aver incontrato di persona la famiglia. La sensazione era che il bambino fosse stato escluso perché era "zingaro". Questo è ciò che mi fu detto allora, da una persona che conosco bene.

Suggerii di andare dai carabinieri per fare denuncia. Il padre andò subito in caserma, e i militari presero contatti con il proprietario della piscina: lo dico perché è importante, significa che in qualche modo anche la forza pubblica ebbe modo di rendersi conto di quel che era accaduto.

Sono state fatte due denunce, una penale - per istigazione all'odio razziale - e una civile per discriminazione. Entrambi i procedimenti hanno dato esito negativo: il proprietario della piscina è stato assolto, e addirittura la nostra associazione è stata condannata al pagamento delle spese legali".

Le ripeto l'obiezione: anche in questo caso, il Tribunale avrà avuto le sue ragioni per procedere in questo modo... "Non sono un avvocato né un giudice, e non voglio insegnare il mestiere ai magistrati. Mi limito a dire che nella nostra comunità questa sentenza ha suscitato amarezza e rabbia. I rom subiscono discriminazioni di tutti i tipi, e a tutti i livelli: spesso, basta essere identificato come "zingaro" per vedersi rifiutare l'accesso a un servizio pubblico.

Certo, quando accadono casi del genere, non è facile dimostrare l'intento discriminatorio: il gestore di un servizio non andrà certo a dire che ha rifiutato l'accesso a un rom perché era rom. Porterà le sue giustificazioni, dirà che non c'era più posto, spiegherà che non c'era nessuna volontà di discriminare, e così via... Ma la nostra comunità vorrebbe che su questi fenomeni si facessero indagini e inchieste più accurate. E' necessario diffondere una cultura della non-discriminazione, anche tra gli operatori del diritto. Altrimenti, i rom rischiano di percepire la giustizia come una cosa lontana, e magari anche ostile".

Accennava prima ad altri episodi che ha suscitato preoccupazione tra i rom... "Sì, ci sono anzitutto altre vicende di cronaca giudiziaria su cui non mi soffermo in questa sede. E a queste bisogna aggiungere il fatto che in Abruzzo le politiche di inclusione dei rom sono praticamente scomparse: di fatto, le nostre associazioni sono le uniche che fanno qualcosa per la comunità, e tra l'altro lo fanno a titolo volontario, senza finanziamenti pubblici. I rom si sentono abbandonati, consegnati all'emarginazione e alla discriminazione. E percepiscono le istituzioni - tutte le istituzioni - come mondi lontani.

Noi vorremmo invece diffondere tra i rom una cultura della legalità. Ma è necessario che la legge e le istituzioni tutelino le minoranze, le proteggano dal razzismo, dalle discriminazioni, dalle violenze. Altrimenti, è naturale che si diffonda la sfiducia, che si pensi che la legge è sempre dalla parte del più forte..."


Da rileggere: Mahalla 24 maggio 2012
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Di Sucar Drom (del 19/03/2014 @ 09:04:24, in blog, visitato 1856 volte)

Milano, un altro raid razzista? Non ci manca, ci manca un po' di giustizia
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Di Fabrizio (del 18/03/2014 @ 09:09:40, in Italia, visitato 1390 volte)

- Francesca Pilla, 14.3.2014 su Il Manifesto

Campania. La commissione del senato per i diritti umani in sopralluogo a Giuliano. Mentre il campo napoletano di Poggioreale ribolle

Ieri una delegazione della commissione del senato per i diritti umani è sbarcata a Napoli e ha girato per il campo di Giugliano, nella Terra dei fuochi. Di fronte alle condizioni di degrado e disumane in cui vivono i nomadi ha sottolineato "l'irresponsabilità dell'amministrazione giuglianese nel collocare un'area di sosta attrezzata per 75 fami­glie in un luogo evidente­mente pericoloso per la salute". L'improvvisata delle istituzioni arriva a tre giorni dalle tensioni verificatesi nella baraccopoli vicino al cimitero napoletano di Poggioreale. Una storiaccia, come spesso capita. Una ragazzina di 16 anni ha infatti raccontato (presentando denuncia in un secondo momento) di essere stata palpeggiata da due membri del campo. Martedì notte i parenti hanno tentato subito di farsi giustizia da soli ed è partita una fitta sassaiola contro le baracche. Il giorno dopo i rom, per timore di nuove rappresaglie, come avvenne con gli incendi a Ponticelli nel 2008 e più recentemente a Scampìa, hanno preparato i bagagli e tentato di raggiungere altri accampamenti. Un disastro perché vicino al cimitero vivevano in centinaia, con numerosi bambini iscritti a scuola.

In tutto si stima che la comunità napoletana conti 6mila persone e 450 minori. Sulle condizioni della struttura vicino al cimitero è inutile soffermarsi, i piccoli a piedi scalzi giocavano nel fango, le fogne erano a cielo aperto, mancavano acqua corrente, luce, gas e la sera, complici i napoletani, la zona diventava luogo di sversamenti di ogni genere.

Le famiglie si sono spostate dove potevano, Gianturco e Giugliano appunto, un posto in cui le condizioni sono se possibile anche peggiori: "La zona si trova all'interno della Terra dei fuochi, circondata da discariche e fortemente contaminata", hanno spiegato dalla delegazione. Proprio qualche giorno fa sono state sequestrate diverse aree e culture perché avvelenate da sostanze tossiche.

"Quello di Poggioreale è l'ennesimo sgombero indotto - si sfoga Antonietta dell'Opera Nomadi - l'ultima dimostrazione dell'atteggiamento di questa amministrazione che con vuoti interventi si è resa corresponsabile di questa situa­zione". All'Opera Nomadi, i volon­tari che quotidianamente lavorano per garantire l'integrazione, hanno una teoria tutta loro su quanto avvenuto: "Il presunto palpeggiamento - dicono - è stato organizzato ad hoc perché è trapelata la notizia di un 'presunto' campo da attrezzare nella zona".

Le istituzioni, come confermato dal vice­sindaco di Napoli Tommaso Sodano, starebbero allestendo da almeno un mese piccole case vivibili e con tutti i confort. "Ora cosa si attende che succeda la stessa cosa in altri insedia­menti spontanei della città? - si chiede Antonietta - Ci auguriamo di no sperando che questa volta si inizi a lavorare seriamente, dando priorità all'umanità delle persone coinvolte".

Di sicuro il problema esiste ed è serio, anche perché gitani, rom rumeni o provenienti dalla Jugoslavia continuano ad arrivare.

In molti hanno trovato anche piccoli lavori. Tutti conoscono la storia di Sarita e Susanna che vendevano accendini nel centro storico e ora sono sposate con dei napoletani. Molti trovano buoni affitti nei bassi un tempo abitati dai napoletani.

Antonietta batte sul ripristino di via del Riposo vicino a Poggioreale: "Il comune ora deve continuare ad attrezzare e trasferire i rom nel territorio in cui vivono ormai dal 2006 dove, nonostante, le mille difficoltà i bambini vanno a scuola e continueranno a farlo. Così come i loro genitori - conclude - sono riusciti nel corso degli anni a costruire forme relazionali con il territorio e con tutte le strutture interessate e presenti in quel luogo. Mi riferisco anche al presidio sanitario".

Al momento sulla demolizione della baraccopoli è braccio di ferro tra Sodano e il presidente della IV municipalità Armando Coppola che voleva procedere con delle ruspe private per radere al suolo le 300 dimore di fortuna. Il vice sindaco fa la voce grossa perché bisogna rispettare le procedure. Nel frattempo intere famiglie vagano da un campo all'altro.

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Di Fabrizio (del 17/03/2014 @ 09:02:46, in Italia, visitato 1477 volte)

Il mattino di Padova 15 marzo 2014
L'intervento dell'associazione dopo le polemiche sul possibile acquisto di un terreno a Mortise da parte di una famiglia Rom. "Non è degno di un paese civile fare di tutta l'erba un fascio"

PADOVA. Riceviamo e pubblichiamo l'intervento dell'Opera Nomadi dopo l'episodio di qualche giorno fa a Mortise che ha visto alcuni residenti protestare contro il possibile acquisto di un terreno da parte di una famiglia Rom

In tempi di campagna elettorale risulta facile a tutti cavalcare il malcontento popolare, costruendo capri espiatori a cui rivolgere il livore e la frustrazione che spesso hanno molteplici origini. Recentemente nel quartiere di Mortise alcuni residenti sono insorti alla notizia che una famiglia di Rom stesse cercando un terreno da acquistare nel quale stabilirsi per diventare stanziale. La gente ha paura... i rom rubano, sporcano, deprezzano il valore delle case e, come dichiarano alcuni, ci sono stati dei furti. Le indagini non hanno ancora accertato i responsabili, ma il popolo è sicuro, ha già emanato la sua sentenza... sono gli "zingari", quelli che abitano lì a fianco, perché sono sempre loro...., storicamente è così!

Nessuno li vuole come vicini di casa, si sa poco di loro, ma tutti li conoscono: ladri nel dna. Ma i Rom non sono tutti uguali, proprio come gli italiani, i francesi, gli inglesi, i tedeschi ecc, ecc .... Non tutti rubano, c'è anche chi lavora, chi manda i figli a scuola, chi fatica ad arrivare a fine mese come tanti di noi. Ma questo non importa a nessuno, sono "zingari", quindi bisogna tenerli lontani. Si sente dire che bisogna mandarli via tutti, ma dove? Spesso si tratta di cittadini, con regolare residenza nel Comune di Padova (è il caso di molti degli abitanti dell'area di Via Bassette). Poi ci sono i Rom italiani che sono innanzitutto cittadini italiani, con eguali diritti e doveri di un cittadino italiano. Chi delinque va giudicato, ma se cerca un terreno edificabile per poter finalmente smettere di girare di parcheggio in parcheggio, ha diritto di acquistarlo e di viverci in pace.

Ci mortifica sentire che queste polemiche si alimentano nel silenzio più totale delle associazioni che a Padova hanno Convenzioni Comunali a favore dei Rom e che dovrebbero difendere i loro diritti e la loro dignità di esseri umani. Ci indigna dover leggere le dichiarazioni dell'Assessore al verde pubblico, che vuole tenere lontani i Rom da Padova e allontanare per sempre quelli che risiedono in Via Bassette. Discorsi come questi non si adattano all'immagine di una persona che si dichiara di sinistra e che dovrebbe prima di tutto aver chiaro il rispetto dei fondamentali diritti umani. Questo Assessore conosce i Rom che vogliono acquistare il terreno? Ha parlato con loro? Vorremmo sinceramente saperlo, visto che ha già sentenziato che si tratta di delinquenti senza possibilità di riscatto alcuno.

In questo modo non si fa altro che fomentare l'odio nei confronti di quelli che, nella nostra società, vengono condannati a prescindere perché appartenenti ad un'etnia altra. Dichiarazioni tali giustificano il razzismo, in qualsiasi forma esso si manifesti e lo rendono addirittura un nobile sentimento. Non possiamo rimanere a guardare quando un'amministrazione comunale di sinistra soffia sul fuoco dell'intolleranza e della xenofobia, convinta così di poter tirare su qualche voto in più, che fa sempre comodo!

Vorremmo inoltre ricordare che l'esasperazione dei residenti di Mortise è figlia di anni di lassismo della stessa amministrazione comunale nei confronti del problema del campo di Via Bassette. Si è intervenuti limitando l'area, erigendo muri di contenimento, ma nulla si è fatto sul piano sanitario, per la costruzione di un percorso di inclusione sociale serio e duraturo e per la ricerca di soluzioni abitative diverse, nonostante gli stessi residenti si siano sempre detti disponibili a collaborare con il Comune per individuare una soluzione condivisa.

Ci auguriamo di non dover più assistere a simili teatrini e che finalmente si cominci a considerare i Rom come persone diverse tra loro, persone portatrici di specificità, da conoscere prima di giudicare. Auspichiamo che l'amministrazione comunale ricordi che si tratta di esseri umani, a cui sì vanno ricordati doveri, ma che hanno anche dei diritti che loro spettano come dice la Costituzione Italiana.

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Di Fabrizio (del 16/03/2014 @ 09:03:08, in casa, visitato 1671 volte)

Il gruppo di sinti al lavoro nel deposito di Amcps. FOTO ROVEROTTO
Alloggi per l'housing sociale: i lavori verranno effettuati da Amcps Intanto quattro nomadi continuano a lavorare in viale sant'Agostino. Chiara Roverotto su
IL GIORNALE DI VICENZA

VICENZA. Ottantamila euro per il trasloco dei sinti in via Muggia. Ma quei soldi serviranno ad altro quando il campo sarà risistemato e le famiglie torneranno in via Cricoli. L'Amministrazione comunale al riguardo ha le idee molto chiare: la pressione per la richiesta di case, gli sfratti, le famiglie che si sgretolano davanti a crisi occupazionali e non solo, stanno diventando un'emergenza per un assessorato che per il sociale mette in bilancio oltre 10 milioni di euro all'anno. La spesa più ingente.

Ecco perché la scelta di via Muggia, per i Sinti che l'accetteranno, ha una duplice valenza: quella di creare appartamenti che poi serviranno per il cosiddetto housing sociale. Alloggi per chi si trova in difficoltà, per chi deve gestire un'emergenza, per chi non sa dove sbattere la testa e deve iniziare un cammino partendo almeno da un tetto. Una risposta in più che il Comune cercherà di offrire a chi continua a bussare alle porte dell'assessorato di contrà Mure San Rocco. La gestione, probabilmente, verrà affidata all'albergo cittadino, mentre del riadattamento edilizio se ne occuperà Aim (...)

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I sinti offrono il risotto e rifiutano via Muggia
Luciano Caldaras offre il risotto al campo di via Cricoli
Grande festa in via Cricoli con tanto di vino e musica "Siamo abituati a vivere dentro i nostri carrozzoni". Su
IL GIORNALE DI VICENZA

Da una parte gli incidenti e dall'altra la festa. Musica, risotto, vino e un fuoco acceso dentro un bidone per riscaldare l'atmosfera. Dista appena qualche centinaio di metri da via Muggia, ma al campo nomadi di viale Cricoli non arriva l'eco delle tensioni. Anzi, le famiglie aprono le loro “case” ai vicentini. E lanciano alla città un appello: "Noi non vogliamo andare all'interno di quella caserma".

UNA GRANDE FESTA. Luciano Caldaras è uno dei protagonisti della serata. Apre le bottiglie, serve il risotto e accoglie i visitatori. I primi ad arrivare sono i 50 manifestanti di Usb, Rifondazione e Alternativa comunista, che dalla chiesa di Santa Maria Ausiliatrice hanno raggiunto il campo per testimoniare la loro vicinanza ai nomadi. "Ci servono amici - spiega Caldaras - e gente buona. In questo momento stiamo vivendo molto male tutto quello che viene detto nei nostri confronti".
"NOI SINTI". Caldaras non entra nella polemica. Ma mette subito in chiaro una cosa: "Noi siamo sinti - precisa - e siamo ex giostrai. Avete (...)

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13 marzo 2014

Ventidue scatti raccontano volti e momenti di vita di uomini, donne e bambini appartenenti ai gruppi etnici più discriminati in assoluto in Italia e nell'Unione Europea, i Rom e i Sinti. E' "Uno sguardo per incontrarsi", la mostra fotografica itinerante che da domani, venerdì 14 marzo, apre i battenti in Regione (viale Aldo Moro 21), in occasione della Settimana d'azione contro il razzismo (17-23 marzo). Allestita grazie al progetto europeo "Roma-Matrix" (finanziato dalla Commissione Europeaall'interno del programma "Fundamental Rights and Citizenship"), di cui la Regione Emilia-Romagna è partner, la mostra sfata attraverso le immagini del fotoreporter bolognese Mario Rebeschini i tanti luoghi comuni, perlopiù negativi, su Rom e Sinti. 2745 persone, secondo i dati ufficiali (pari allo 0,06% della popolazione complessiva), che vivono stabilmente in Emilia-Romagna e che nel 90% dei casi sono cittadini italiani.

"La scelta di questa mostra non è casuale - spiega l'assessore alle Politiche sociali Teresa Marzocchi -. Recentemente la giunta ha approvato le Linee guida per rafforzare e potenziare l'operatività della rete regionale contro le discriminazioni. Un problema sempre all'ordine del giorno: si pensi a quanto accaduto alla squadra di calciatori marocchini a Forlì, cui va tutta la mia solidarietà, fatta segno di continui insulti razzisti e per questo in qualche modo indotta a ritirarsi dall'attività sportiva. Episodi gravissimi cui va posto rimedio, lesivi anche nei confronti delle stesse associazioni sportive coinvolte che sono, al contrario, costantemente impegnate nella lotta alle discriminazioni".

"E se finora ci si era occupati prevalentemente di episodi legati all'immigrazione - continua l'assessore -, i cinque anni d'attività del Centro hanno dimostrato chiaramente come la casistica si sia progressivamente ampliata verso altri fattori di discriminazione: l'età, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza a una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'orientamento sessuale e così via. Non solo: assistiamo ultimamente a una sovrapposizione di fattori, le cosiddette 'discriminazioni multiple'. Di qui la necessità di migliorare gli strumenti di cui la Regione dispone. Ricordo inoltre la nostra adesione a Ready, la Rete nazionale delle Pubbliche Amministrazioni anti discriminazioni per orientamento sessuale e identità di genere".

Per rafforzare l'efficienza del Centro contro le discriminazioni, la Regione destinerà quest'anno 40mila euro alla prevenzione con il sostegno alle numerose attività territoriali di educazione, informazione e sensibilizzazione. La Regione inoltre è capofila del progetto Star (Sportelli Territoriali Antidiscriminazioni in Rete): con i 126mila euro del Fondo europeo per l'integrazione, viene finanziata la sperimentazione di diversi assetti e funzioni dei punti che fanno parte della rete.

Il Centro regionale contro le discriminazioni: i dati
Centocinquantacinque, tra nodi, sportelli e antenne. E' questa la composizione del Centro regionale contro le discriminazioni, il cui processo di costruzione è stato avviato nel 2008. Il Centro può contare su una rete diffusa su tutto il territorio (sportelli già attivi di Comuni e sindacati, sedi di associazioni del terzo settore) che hanno deciso di includere le attività di prevenzione e contrasto delle discriminazioni nel lavoro già svolto. Parallelamente alla costruzione e formalizzazione delle rete, il centro regionale contro le discriminazioni ha organizzato corsi di aggiornamento di base per le figure incaricate da ciascun soggetto come referenti operativi dell'antidiscriminazione. Complessivamente, dalla fine del 2008 a oggi, sono stati trattati circa 300 casi di discriminazione (che si sono verificati perlopiù in ambito lavorativo), segnalati direttamente alla rete dei punti territoriali o attribuiti dal numero verde dell'Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali (UNAR) della Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Settimana d'azione contro il razzismo: gli appuntamenti in Emilia-Romagna
Anche quest'anno, in occasione della Settimana d'azione contro il razzismo, dal 17 al 23 marzo si svolgeranno numerose iniziative in tutta l'Emilia-Romagna: proiezioni di film, presentazione di un'app, letture e laboratori per i giovani, feste e aperitivi interculturali, banchetti informativi, flash mob e così via (l'elenco completo sarà disponibile a breve all'indirizzo http://sociale.regione.emilia-romagna.it/). Giovedì 20 marzo l'assessorato Politiche sociali della Regione pubblicherà una newsletter dedicata.

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Di Fabrizio (del 14/03/2014 @ 09:00:14, in Italia, visitato 1368 volte)

13/03/2014 - Comunicati Stampa: Di sgombero in sgombero!

Il 3 marzo la polizia locale ha sgomberato il campo informale sito nelle vicinanze dell'ospedale Sacco a Milano e questa mattina sono stati sgomberati due insediamenti rom situati nella zona dell'ex caserma di Viale Forlanini. Sono tutte persone provenienti da sgomberi precedenti.

Questa mattina, la Polizia Locale, Polizia di Stato e Carabinieri, con il supporto della protezione Civile, dell'Ufficio Nomadi del Comune e del Coordinamento Rom, hanno proceduto all'ennesimo sgombero di insediamenti occupati da famiglie di etnia rom.

Le modalità' di sgombero sono quelle a cui il Comune di Milano ha ormai abituato, ovvero: assenza di ordinanza di sgombero, nessuna consultazione precedente con le famiglie interessate, offerta alloggiativa deficitaria e solo temporanea. In sostanza, il Comune milanese insiste nella sua miope pratica di sgomberare interi nuclei famigliari con grande spreco di risorse pubbliche, in aperto spregio dei diritti umani fondamentali di tali persone, nel mancato rispetto degli standard internazionali e senza alcuna volontà' di trovare soluzioni durature.

Le Autorita' milanesi, quindi, si adoperano con un importante spiegamento di forze e risorse pubbliche per sgomberare - con cadenza almeno mensile - le stesse persone, spostandole da un angolo all'altro del territorio comunale, con brevi passaggi negli indecenti, sovraffollati e costosi centri di permanenza temporanea.
"Il 3 marzo sono state sgomberate 60 persone senza che venisse offerta loro alcuna soluzione alloggiativa che è stata invece in parte proposta alle 40 persone sgomberate stamani." dichiarano i volontari del Naga e gli operatori di ERRC presenti allo sgombero. "Le persone sgomberate dieci giorni fa sono per strada senza assistenza né accoglienza creando una situazione grottesca ed incomprensibile. Fermo restando che le soluzioni alloggiative proposte dal Comune si rivelano spesso inadeguate in quanto non rispettose dei bisogni e dei diritti fondamentali dei cittadini rom - e infatti sono spesso giustamente rifiutate - un minimo di accoglienza ci sembra il minimo che un'amministrazione che possa offrire a chi vive sul suo territorio." Proseguono i volontari e gli operatori.

"Ormai da tre anni aspettiamo dal Comune un segnale forte di discontinuità, gli sgomberi rimangono invece l'unica risposta messa davvero in atto. L'amministrazione dimostra così non solo di non riuscire a realizzare nessuna pratica di discontinuità, ma di non riuscire nemmeno a immaginarsela. Forse manca il coraggio di attuare una politica diversa. Di certo non manca il coraggio di sgomberare". Concludono Naga e ERRC.

Naga ed ERRC continueranno a monitorare la situazione, ad assistere le persone sgomberate e a chiedere che si trovino soluzioni strutturali per quella che, dopo tanti anni, non deve più essere trattata come un'emergenza.

Info: Naga: 3491603305 - www.naga.it - naga@naga.it
ERRC: Sinan Gökçen
Media and Communications Officer
European Roma Rights Centre
Tel. +36.30.500.1324
sinan.gokcen@errc.org

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Di Fabrizio (del 13/03/2014 @ 09:04:00, in media, visitato 1601 volte)

Avete presente quei film dove la vicenda varia a seconda di chi la racconta? Storia breve, quella che ho letto da Napoli, ma interessante perché:

  1. si parla di ZINGARI, parola che sempre risveglia il voyerismo del lettore;
  2. come nelle chiacchiere di paese, quelle che non finiscono mai, lo stesso fatto viene ricostruito da tre testate in tre maniere diverse, con un risultato finale di involontaria comicità.
  • LA PRIMA PAGINA narra di una sedicenne molestata da due "nomadi", e di una folla che assalta a sassate il campi di Poggioreale (brividi, pensando ai roghi di Ponticelli di pochi anni fa, la ragazzina racconta e non ci sono testimoni, mi viene in mente anche Torino).
  • Il caso si sgonfia (e si complica) sulla STAMPA: i giustizieri sarebbero due cugini della ragazza. Le hanno anche prese, e solo a questo punto la folla ha preso le loro parti.
  • THE BLAZONED PRESS (esiste anche un nome simile) estrae il coniglio dal cappello parlando di faida: molestatori e molestata sarebbero tutti rom, e la folla?
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Di Fabrizio (del 12/03/2014 @ 09:04:21, in casa, visitato 1812 volte)

Robb de matt, cito testuale: "... fino a quando tutti gli appartamenti non saranno occupati, e tutti gli inquilini non parteciperanno alle spese condominiali, l'ascensore ad esempio non verrà messo in funzione e la gestione delle aree comuni resterà una incognita. Il tutto per buona pace di chi, ad esempio, aveva finalmente ottenuto di trasferirsi in una palazzina più confortevole, che permettesse di far fronte anche ad alcune disabilità, e si ritrova invece a dover fare le scale per uscire e rientrare in casa, senza alternative"

  S.Bona, l'immobile nuovo e semi-sfitto

Nuovo immobile Ater a Santa Bona (investimento da 3 milioni) sfitto da mesi: diversi assegnatari non accettano di avere coinquilini rom - di Federico de Wolanski su la tribuna di Treviso

Il nastro è stato tagliato in autunno, trenta alloggi di edilizia popolare dell'Ater nuovi di zecca con tanto di riscaldamento a pavimento, pannelli solari e altri optional. Trenta case pronte, abitabili da subito, costate oltre 3 milioni di euro ma che oggi, a cinque mesi dall'inaugurazione, sono per metà vuoti, sfitti, non assegnati. Perché? Perché tra gli assegnatari in lista, i primi hanno rinunciato. Motivo: "Nel condominio ci sono gli zingari".

La realtà è sotto gli occhi di tutti: sia dei residenti della zona, sia dei pochi inquilini che invece hanno già preso casa nello stabile di via Brigata Cadore dove nel novembre scorso, per l'inaugurazione, arrivò perfino l'assessore alla Casa della Regione Veneto Giorgetti. Il palazzo (6 appartamenti a tre camere, 12 a una camera singola, altrettanti a 2 camere, tutti con disponibilità di garage, riscaldamento a pavimento e pannelli solari) è semivuoto. Gli appartamenti assegnati, ad oggi, sono solo una dozzina sui trenta totali.

E la chiave di tutto sarebbe tutta lì, nei primi arrivati: sei nuclei familiari di etnia rom, appartenenti alle famiglie “nomadi” più note nel trevigiano. Una presenza che oltre ad aver già alimentato problemi di convivenza nello stabile, avrebbe indotto più di qualche assegnatario a rinunciare all'alloggio assegnatogli dal Comune di Treviso. Gli italiani residenti - sei famiglie in tutto - preferiscono non affrontare l'argomento. Storcono la bocca e accennano, a voce bassa. Ma la questione è ben nota agli uffici comunali che gestiscono le assegnazioni. "È vero" ammette l'assessore al Sociale Liana Manfio, "quando abbiamo contattato i candidati alla casa, molti ci hanno risposto che non accettavano l'offerta per via degli inquilini, i rom. Non abbiamo potuto fare nulla". Ma perché i primi assegnatari sono state le famiglie rom? "La lista era chiara, e le assegnazioni vengono fatte in base a quella, oltre che in base alle emergenze".

Di qui la brusca frenata alle procedure di assegnazioni e la caccia a famiglie disponibili ad occupare stabili popolari in classe energetica superiore. Così, il gioiello di Santa Bona si sta trasformando in un edificio fantasma, con tutti i problemi del caso. Già, perché fino a quando tutti gli appartamenti non saranno occupati, e tutti gli inquilini non parteciperanno alle spese condominiali, l'ascensore ad esempio non verrà messo in funzione e la gestione delle aree comuni resterà una incognita. Il tutto per buona pace di chi, ad esempio, aveva finalmente ottenuto di trasferirsi in una palazzina più confortevole, che permettesse di far fronte anche ad alcune disabilità, e si ritrova invece a dover fare le scale per uscire e rientrare in casa, senza alternative.

Come se non bastasse poi l'edificio ha già cominciato a risuonare di lamentele e tensioni tra inquilini e Ater, e tra inquilini ed inquilini. Una situazione che non facilita certo l'assegnazione delle alloggi e la gestione del condominio, e sta alimentando anche il dibattito politico.

La Lega, con il capogruppo Sandro Zampese e Pierantonio Fanton, vicepresidente Ater, sta affilando i coltelli e ha pronta un'interrogazione diretta all'assessore al Sociale Liana Manfio e al sindaco Manildo: "È inaccettabile un simile spreco e una simile malagestione in un momento in cui tante famiglia attendono una casa" attaccano. La discrepanza tra l'investimento fatto, la sicurezza con cui si annunciava che "il condominio sarà riempito subito" e la realtà dei fatti, è stridente.

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Di Fabrizio (del 11/03/2014 @ 09:07:20, in casa, visitato 1680 volte)

Sergio Bontempelli - 10 marzo 2014 su Corriere delle migrazioni

Emarginazione, sgomberi, violazioni di diritti e spese fuori controllo. La politica del Comune di Roma in materia di rom e sinti non è cambiata con la Giunta Marino

Doveva essere la Giunta del rinnovamento, espressione di una politica diversa, di un vero e proprio "cambio di passo" rispetto al passato. Invece, i primi otto mesi di Ignazio Marino al Campidoglio sono all'insegna della continuità con l'Amministrazione Alemanno, almeno per quanto riguarda le politiche in materia di popolazione rom e sinti.

È questa l'accusa che l'Associazione 21 Luglio, una delle sigle più attive e conosciute della galassia romanì, ha lanciato pubblicamente presentando il dossier "Senza Luce: rapporto sulle politiche della Giunta Marino, le comunità rom e sinte nella città di Roma e il Best House Rom".

In effetti, i dati raccolti nel dossier sono impressionanti. A partire dal 12 settembre scorso, con l'intervento nel campo di Via Salviati, la Giunta Marino ha effettuato ben diciassette sgomberi: in media uno ogni quindici giorni. "Si tratta di un numero inferiore a quello registrato sotto la passata Amministrazione", spiega Carlo Stasolla della 21 Luglio, "ma comunque ancora alto e preoccupante per le modalità con cui gli sgomberi sono stati attuati, in particolare per la costante assenza di reali consultazioni con gli interessati".

Eppure, la pratica degli sgomberi è stata oggetto di durissime critiche da parte delle organizzazioni internazionali. "Gli sgomberi non servono", proseguono gli estensori del dossier, "e la stessa "Strategia Nazionale di Inclusione", approvata dal Governo italiano in attuazione delle politiche europee, chiede di superarli".

Come superare i campi? Costruendo altri campi...
Vale la pena soffermarsi proprio sulla Strategia Nazionale di Inclusione: si tratta di un documento che non è giuridicamente vincolante - non è insomma una legge, e nemmeno un'ordinanza, una direttiva o un regolamento - ma che prescrive le politiche da attuare nei confronti delle popolazioni rom e sinte. In particolare, la Strategia chiede di avviare percorsi di inserimento abitativo, lavorativo e sociale, superando le pratiche di segregazione urbana e la logica dei "campi nomadi".

A parole, la Giunta Marino si ispira alla Strategia, e la fa propria. O per meglio dire, si esprime in modo contraddittorio e ambivalente: già, perché le dichiarazioni pubbliche degli amministratori capitolini usano linguaggi diversi. C'è quello del Sindaco Marino, che non si fa scrupoli di associare i cosiddetti "nomadi" ad un problema di "sicurezza" e di ordine pubblico (il 18 luglio, nel suo primo discorso programmatico, il medico prestato alla politica spiegò che "sui nomadi abbiamo avviato una collaborazione con le forze dell'ordine per riportare nei campi attrezzati una situazione di ordine e legalità"). E poi c'è il linguaggio di Rita Cutini, assessora al Sostegno Sociale e alla Sussidiarietà, che invoca costantemente la Strategia Nazionale, parla di inclusione e rilancia la necessità di "superare i campi nomadi".

Il modo in cui l'assessora intende perseguire questi obiettivi è, tuttavia, perlomeno bizzarro. Il 13 febbraio scorso, al Tavolo Tecnico su Rom e Sinti, la Cutini ebbe a dire infatti che "la nostra idea è superare i campi immaginando di creare campi di medie dimensioni". Non è uno scherzo, è proprio così: il Comune di Roma vuole superare i campi costruendo altri campi (sia pure "di medie dimensioni"). Un po' come se uno volesse smettere di fumare accendendosi una sigaretta...

Best House Rom
Ma la vera novità delle politiche capitoline è rappresentata dall'immobile di via Visso, conosciuto col nome un po' beffardo di "Best House Rom" (per chi non sapesse l'inglese, l'espressione suona più o meno come "la miglior casa dei rom"). Si tratta di una struttura di accoglienza, utilizzata già dall'Amministrazione Alemanno, e pensata per collocare famiglie sgomberate dai campi cosiddetti "abusivi".
Qui, dal 16 al 18 dicembre 2013, sono stati trasferiti i 120 rom presenti nel "villaggio attrezzato" di via della Cesarina, mentre il 6 febbraio scorso sono state inserite 47 persone allontanate da via Belmonte Castello.

Le accuse della 21 Luglio sul "Best House Rom" sono circostanziate e durissime. L'immobile è un vecchio capannone industriale, da cui sono state ricavate piccole stanze senza finestre e senza luce naturale (di qui il titolo del dossier, "Senza Luce" appunto). La struttura non è arredata, e gli ospiti hanno a disposizione solo dei letti dove dormire.
"Gli spazi", denunciano gli estensori del rapporto, "sono inadatti e lontani da quanto previsto dalla normativa regionale: ogni nucleo familiare, composto in media da cinque persone, dispone di fatto della sola zona notte, che svolge anche funzioni di zona giorno e studio per i minori, composta da un'unica stanza di circa 12 mq. Ogni ospite, pertanto, ha a disposizione circa 2,5 mq contro i 12 mq indicati dalla Legge Regionale".
Non basta: secondo le rilevazioni effettuate dai tecnici della 21 Luglio, nell'immobile "non sono presenti adeguate misure di sicurezza. La capacità di esodo, in caso di incendio, risulta fortemente limitata per la carenza di adeguate vie di fuga".

Il regolamento interno del centro di accoglienza, infine, è gravemente lesivo dei diritti dei rom. "In teoria", spiegano ancora dalla 21 Luglio, "la permanenza nella struttura non deve essere superiore ai 90 giorni. In realtà, molti degli ospiti accolti a partire del luglio 2012 sono ancora presenti, senza che a loro sia stata formalizzata una proroga. La possibilità di rimanere nel Best House Rom è costantemente minacciata dall'assenza di trasparenza nelle procedure di rinnovo, dalle incertezze sui tempi di ospitalità, dalle clausole di espulsione contenute nel Regolamento. In caso di allontanamento improvviso, le famiglie risultano sprovviste di tutela legale, permanendo così in una condizione di costante assenza di certezza".

Quanto ci costa?
Come spesso è stato osservato, le politiche di segregazione dei rom hanno costi altissimi per il contribuente. Per il solo Best House Rom, il Comune di Roma ha speso 765 mila euro per gli ultimi sei mesi del 2012, e altri 522 mila euro da gennaio a maggio 2013. In altre parole, per il mantenimento della struttura il Campidoglio spende più di 6 mila al giorno. No, non è un errore di stampa: sono proprio 6 mila euro al giorno. Cifre altissime, a cui si devono aggiungere i costi degli sgomberi (secondo alcune stime, 15/20 mila euro per ciascun intervento), e quelle per il mantenimento dei campi e dei villaggi attrezzati.

Siamo di fronte dunque a una politica che produce segregazione, e che costa. Esistono alternative possibili? La 21 Luglio ne ha proposte alcune: la sospensione degli sgomberi, l'avvio di una reale consultazione con la comunità rom e sinti, la chiusura dei campi, l'avvio di un percorso di inclusione sociale e abitativa. Sono le medesime richieste contenute in un documento presentato - all'inizio di Settembre - dall'Arci Solidarietà e dalla stessa 21 Luglio.

"Il documento", spiega ancora Carlo Stasolla, "era rivolto alle autorità locali, al fine di indicare i principi essenziali di una nuova politica. Ma quelle proposte sono rimaste inascoltate, e la risposta del Comune è stata il trasferimento nel "Best House Rom" dei 120 rom presenti nell'insediamento di via della Cesarina". Un po' come dire: non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire.

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