Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 29/10/2013 @ 09:04:11, in Europa, visitato 1777 volte)

Mrs Jones, mamma di tutti i bimbi zingari, by SIMONETTA AGNELLO HORNBY

"Mrs Doris Jones" annunciò la segretaria, "un nuovo cliente..." e si interruppe, poi aggiunse, "Traveller, immagino" . Mi stizzii: Jones era un cognome prettamente britannico e i clienti venivano letteralmente dal marciapiede nel nostro studio, che occupava i locali di un ex negozio di mobili, al centro di Brixton.

Tutti sconosciuti: gli appuntamenti erano dati in ordine di richiesta, come alla fila dei taxi, e mai avevo ricevuto un commento sul nuovo cliente. Traveller, poi che significava? Una viaggiatrice? E come se n'e era accorta, la mia segretaria?

Ripenso a Mrs Jones leggendo ora di questi due casi di bambine, una in Grecia e l'altra in Irlanda, così poco somiglianti ai "genitori" – bionde e occhi azzurri - da suscitare il sospetto di essere state rapite. In un caso la vera mamma ha dichiarato di aver "regalato" la bambina a un'altra coppia; nell'altro caso il test del Dna ha dato ragione all'uomo e alla donna che si protestavano genitori.

Traveller, era l'ultimo nome affibbiato agli zingari. Ora in Inghilterra si preferisce chiamarli "Roma". Qualunque sia, l'appellativo, è sempre un eufemismo: la discriminazione e il sospetto reciproco continuano: gli zingari non piacciono. La gente desidera che se ne vadano: dove, non importa. Hitler, aveva le idee chiare su dove: li mandò a morire assieme agli ebrei e agli omosessuali. Noi che siamo buoni, rispettiamo la loro cultura e il loro modo di vivere, vogliamo aiutarli ad adattarsi al ventunesimo secolo, è tutto lì. Così credevo.

Mrs Jones mi ha aperto gli occhi. La matriarca del clan degli zingari del Sud-Est di Londra, tutti chiamati Jones e imparentati, era la scrivana e la portavoce della sua gente. Lei era andata a scuola da bambina perché durante la guerra era stata evacuata presso una famiglia inglese. Scriveva, compilava e ahimè firmava documenti, moduli e lettere alle autorità, dei membri del suo clan, tutti meno istruiti di lei se non analfabeti. Accompagnava la sua gente dall'avvocato e al tribunale: piccoli reati, furti, la lite andata oltre lo scazzottamento. E da quando la legge inglese ha riconosciuto i diritti dei minori e li ha protetti attraverso il sistema legale, casi di bambini. "Noi li amiamo i nostri figli, li alleviamo in modo diverso. Ce li portiamo dietro quando lavoriamo, e li affidiamo a parenti e amici se dobbiamo allontanarci per lavoro". Era fiera di essere una traveller, anche se lei in particolare, rimaneva a Londra per aiutare la sua gente. "Non stiamo bene in un posto solo, abbiamo parenti dappertutto. Ci visitiamo, molto del nostro lavoro è occasionale. Veniamo chiamati nelle fattorie, facciamo i lavori duri, trasporti, costruzione, nelle campagne. Senza costare allo Stato. Usufruiamo poco del Welfare".

I figli degli zingari appartengono alla famiglia allargate, come era in Sicilia. I minori stavano dai nonni, e venivamo mandati a vivere presso gli zii che non avevano avuto figli. A volte erano casi di vera adozione informale. In genere, erano periodi che duravano anni, ma non definitivi.

Per anni rappresentai genitori o bambini zingari introdotti da Mrs Jones in casi che andavano dai problemi scolastici - assenze ingiustificate e prolungate, i bambini non facevano i compiti, non partecipavano alle gite, sembravano emaciati, erano malvestiti - a problemi della povertà e dell'ignoranza. Riuscivamo, Mrs Jones ed io, a presentare la realtà: genitori inadeguati ma capaci di migliorare e collaborare con le autorità e a evitare l'allontanamento dalla famiglia. In altri casi, era una lotta per l'affidamento dei figli. Anche in quelle situazioni, Mrs Jones assieme agli assistenti sociali, riusciva a trovare un compromesso per il bene dei bambini. Gli adulti del clan obbedivano a Mrs Jones.

Ebbi una causa di abuso sessuale tra i travellers. Tragico, come tutti, ma isolato, tra le centinaia di cause del mio studio.

Lo Stato ha il dovere di proteggere i minori, qualunque sia la cultura a cui appartengono. Giustamente. Ma i pregiudizi permangono. Gli zingari - gli ultimi degli abitanti dell'Europa rimasti migranti, sono fortemente leali alla propria cultura e restii a mettere radici in un posto e legarsi ad uno Stato: loro sono una nazione, hanno una potentissima identità. Nel mondo di oggi non c'è la volontà di fare posto per gli zingari. Loro lo sentono e si chiudono nel proprio riccio.

Quando, come la famiglia di Mrs Jones, si fermano in un posto per l'istruzione dei figli, si sentono attaccati dalla comunità. Un volta ebbi un caso simile a quello irlandese - una bimba diversa dagli altri e, secondo la scuola, maltrattata. I servizi sociali volevano toglierla dalla famiglia. Mrs Jones spiegò che i genitori erano andati nel Galles per un periodo e l'avevano affidata agli zii, che stavano per separarsi: la bambina ne aveva risentito più dei cugini.

Non è vero che i bambini zingari sono maltrattati più degli altri bambini inglesi. E vero che hanno una educazione diversa, meno tecnologica, più domestica, e che lavorano sin da piccoli, accanto a genitori e parenti - la loro e una società chiusa e di clan. Amano i figli quanto li amiamo noi. E li proteggono, a modo loro. Noi sospettiamo di loro e viceversa. Mentono per paura di essere fraintesi. Mrs Jones firmava documenti per tutti, che era un reato. Glielo dissi. Mi rispose: "E lei che farebbe al mio posto, se non sanno scrivere?".

Col passare degli anni i clienti di nome Jones si ridussero e lei scomparve. Mi chiesi se fosse stato merito di Mrs Jones o, come temo, i Jones siano stati costretti ad andare altrove. Per me è stato un privilegio lavorare per gli zingari.

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Di Fabrizio (del 30/10/2013 @ 09:07:59, in scuola, visitato 1799 volte)

28 Ottobre 2013

La mancata riattivazione del servizio di accompagnamento scolastico degli alunni rom e sinti dai campi comunali sta provocando, com'era prevedibile, una riduzione della frequenza scolastica e notevoli disagi alle famiglie in difficoltà.

Quello che fino ad oggi era stato un punto fermo dell'intervento comunale a favore della scolarizzazione dei bambini zigani rischia di venir definitivamente messo da parte non solo per questioni di Bilancio che afferiscono alle reali difficoltà di gestione di questo o quello specifico Settore ma, più in generale, alla trascuratezza e abbandono dell'azione sociale nei campi comunali in continuità con l'operato delle precedenti Amministrazioni.

Il concetto di "superamento dei campi", com'era prevedibile fin dall'inizio, sta rapidamente diventando il pretesto di un colpevole abbandono di luoghi di vita riconosciuti e attrezzati che sono o dovrebbero essere tutelati dal Comune, dove le persone che vi abitano non hanno più interlocutori credibili con cui affrontare i problemi della vita quotidiana e del loro futuro.

Che a farne le spese siano poi i bambini e i giovani verso cui si spreca da sempre una retorica vuota di contenuti credibili e interventi utili alla costruzione di un futuro migliore risulta ancora più inaccettabile.

Le linee guida d'intervento approvate un anno fa dalla Giunta sono rimaste solo dichiarazioni d'intenti smentite dai fatti, o meglio ancora dal non fare che rivela una incapacità di comprendere i fenomeni sociali e di avvertire l'urgenza di gestire l'azione pubblica con strumenti adeguati. Il giudizio negativo, appesantito da un uso strumentale e ipocrita del rapporto di sola facciata con i soggetti operanti nel volontariato e terzo settore che pure avevano offerto la più ampia collaborazione, riscontra una condivisione "inaspettata" e trasversale che accomuna soggetti tra loro diversi ma che pure intuiscono la necessità di un repentino cambio di rotta di questa scriteriata gestione nell'interesse delle comunità zigane, ma anche nella speranza di condividere l'idea di una città che si adoperi al miglioramento della vita dei propri concittadini.

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Di Fabrizio (del 31/10/2013 @ 09:04:31, in Kumpanija, visitato 2278 volte)

Torniamo a bomba, come si dice. Da rileggere: allegrofurioso. E a tutti un buon HALLOWEEN

Facciamo un altro esperimento mentale. Poniamo che avete una bambina. Di, diciamo, sette anni. Un bel giorno la polizia ve la toglie. Perche' si dice che non e' vostra.

Si scatena allora una campagna stampa contro di voi e contro i vostri vicini di casa. Si dice che voi, o i vostri parenti, o i vostri vicini di casa rubate i bambini, per farli a fette, metterli sul mercato degli organi, venderli ai pedofili, ecc. ecc. Una campagna di stampa con articoli in prima pagina. Sui quotidiani locali (quelli che la gente legge al bar; e ovviamente non avete il coraggio di entrare in alcun bar). Su quelli nazionali. Allarme pedofili, centinaia di bambini spariti. Su quotidiani di tutta Europa. Pensose analisi su come il crimine verso i piu' deboli sia endemico nella vostra comunita'. E pagine facebook so come siete una banda di bastardi, che qualcuno prova ad aiutarvi e si ritrova che gli rubate il portafoglio. E allarme bambini spariti. Intanto vostra figlia sa il cavolo dove e'. Contattate avvocati (e loro aprono il conto). Assistenti sociali. Se vi va bene vi ascoltano; di solito pero' va male e gli assistenti sociali hanno il loro interesse professionale a mantenere i bambini lontani da voi e sotto la loro tutela.

Magari la bambina e' in ospedale. Non ve lo dicono. Poniamo anche che il vostro nonno aveva un fratello, anzi due, gemelli, e anche loro sono finiti in ospedale, un ospedale in un posto in Polonia, dove c'era un dottore tedesco molto interessato ai bambini come voi, per via della leggenda che venite dall'India, e quel dottore si chiamava Mengele e in ospedali e posti di polizia e' successo che sono morti 800.000 persone come voi, e adesso possono essere 800.001 e quell'uno e' vostra figlia. La bimba bionda che vi e' stata sottratta da gente in divisa e la cui foto e' su tutti i quotidiani d'Europa, e in prima pagina su quello che la gente legge al bar, e voi non sapete dove e' la bimba. Vostra figlia.

E poniamo che una vostra zia sia stata sterilizzata, nella Cecoslovacchia comunista, o nella Svizzera capitalista, o nella Svezia socialdemocratica, non fa 'sta gran differenza, c'e' questa idea che voi i bambini non li sapete tenere, per questo le donne della vostra famiglia hanno questa paura di entrare negli ospedali, e di uscirne sterilizzate, ed e' per questo che quando andate in ospedale ci andate con tutta la famiglia, anzi diciamo la tribu', e non lasciate mai l'ammalato solo un momento, per questa terribile, ancestrale paura, che qualche fondamento diciamo ce lo ha. Una paura tanto forte che basta per sopportare le proteste dei parenti degli altri ammalati, la arroganza degli infermieri (ve lo raccontava uno zio, cosa fanno, ai bambini come voi, quelle signore bionde con il camicie bianco).

E andando indietro nel tempo, non e' cosi' raro che bambini vengano tolti a quelli come voi. C'e' sempre qualcuno nella vostra famiglia a cui e' successo. Per esempio perche' non li mandava a scuola. Ma a scuola venivano malmenati dai compagni. Messi in classi separate, a studiare assieme ai bambini con difficolta' cognitive. Mentre loro sono intelligenti. E vivaci. Troppo vivaci, dicono le maestre. E poi le mamme degli altri bambini si lamentano. Quindi il vostro cugino non e' andato a scuola; ma voi ci andreste a scuola a subire umiliazioni e sentir dire che non vi lavate, e spiegare che l'acqua c'era, ma il sindaco la ha tolta? No che non ci andreste. E difatti il cugino non ci andava. Ma sono venuti ancora quelli della polizia e gli assistenti sociali e hanno portato via vostro cugino. E dove sara' vostra figlia adesso.

La hanno portata via. Come succedeva ai vostri cugini. Come succedeva, anche, all'epoca dei vostri zii. Sempre per questa idea che voi non sapete tenere i bambini, che prolificate troppo e di bambini ne fate troppi, che SIETE troppi. Pero' nel contempo, illogicamente, anche attentate ai bambini degli altri, e quindi voi i bambini li rapite. Come se non ne aveste abbastanza dei vostri. Che puttanata. Ma la ggente ci crede. La ggente lo scrive su facebook. La polizia interviene. Gli assistenti sociali confermano. Voi fate troppi bambini E IN PIU' rubate i bambini degli altri. Non perche' ci sono tra di voi dei criminali, come ci sono in ogni gruppo umano (poniamo, tra i preti; o tra i militari). No, perche' proprio SIETE dei criminali, tutti, siete pericolosi. Tutta la vostra famiglia. Tutto il vostro vicinato. Tutta la vostra comunita'. Tutti quelli come voi, sparsi per l'Europa (e anche America, o Sudafrica, o Australia, o persino, come detto, India). Siete dappertutto. E l'allarme bambini spariti e' dappertuttto. E tutto e' iniziato, stavolta, quando vi hanno tolto vostra figlia. Che da settimane non sapete dove e'.

Poi arrivano le analisi del DNA

La bambina era vostra. Scusate, ci siamo sbagliati. Vabbe' succede. Come, risarcimento? E' un casino. Ma mica possiamo andare a chiedere i danni al direttore di un quotidiano polacco, o greco, o spagnolo, che ha trovato interessante la notizia. Si', dai: verificare… Certe notizie non si verificano. E' senso comune. E come si fa a documentare tutto. Che pretese. E da dove si inizia a calcolare il risarcimento? Da quegli 800.000 uccisi? Da quei bambini scomparsi grazie ad assistenti sociali molto zelanti? Lasciate perdere, che se insistete con 'sta cosa del risarcimento succede un casino. Sapete, ci sono pregiudizi, in giro, su di voi. Vedete di rigare dritto, piuttosto.

Ecco, per noi e' un esperimento mentale. Per altri una realta'. Come vi ci trovate?

Male, suppongo. Da schifo.

Benvenuti tra i Rom, i Sinti, i Travellers. Gli zingari, insomma.

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Di Fabrizio (del 01/11/2013 @ 09:06:15, in Europa, visitato 1390 volte)

by John Feffer

Spesso è stato fatto il paragone tra i Rom dell'Europa centro-orientale e gli Afro Americani negli Stati Uniti. Allo stesso modo i Rom hanno patito la schiavitù, la segregazione, una discriminazione rampante, assimilazione forzata. Hanno anche svolto campagne per i diritti civili in quasi tutti i paesi dove vivono. Tuttavia, sinora sono state campagne dall'effetto limitato. Anche se alcuni Rom hanno raggiunto successo sociale, economico o politico, la comunità nel suo complesso resta ai margini.

Nel 1995, partecipai ad uno scambio tra attivisti romanì e veterani afro americani del movimento civile, a Szentendre vicino a Budapest. I due gruppi condivisero molte storie sulle rispettive storie ed esperienze. Erano storie che si muovevano spesso in un pensiero parallelo a distanza di anni. Un partecipante afro americano, ad esempio, descriveva il sit in di Greensboro del 1960, a Woolworth in Carolina del Nord. Un partecipante rom dalla Repubblica Ceca ha raccontato una storia suoi suoi recenti sforzi per organizzare dei sit-in nella sua città natale, dove diversi ristoranti hanno posto agli ingressi dei cartelli che vietano l'ingresso ai Rom.

Ricorda: "Quando proposi questo sit-in la prima volta, molti amici mi dissero che non c'era ragione per farlo." Infatti, la prima protesta si presentarono solo in dieci ai tavoli chiedendo di essere serviti. La voce si sparse in fretta. La seconda protesta le persone erano di più. "Alla terza protesta, si mostrò anche mio padre," continua l'attivista. "E vennero anche persone bianche in solidarietà."

L'organizzatore dello scambio di Szentendre era Michael Simmons, che aveva condotto il programma Est-Ovets dell'American Friends Service Committee (AFSC). Veterano dei movimenti dei diritti civili USA, Simmons andò anche in prigione per le sue prese di posizione. Lì, entro in contatto con i quaccheri e poi iniziò a lavorare per AFSC sulla relazioni USA-URSS. Gradualmente, il programma si allargò all'Europa Centro-Orientale.

Fu anche il primo che mi assunse una volta che uscii dal college, come assistente amministrativo nel 1987. Più tardi, nel 1990, viaggiai attraverso l'Europa Centro-Orientale, proprio per intervistare le persone su cosa doveva essere fatto nella regione dal programma Est-Ovest. In cima alla lista dei miei compiti era il lavoro sulle tematiche rom. Il programma di scambio a Szentendre nel 1995 fu soltanto una della serie di iniziative di AFSC per favorire un approccio da diritti civili nelle comunità rom.

Dopo aver lasciato AFSC, Michael Simmons decise di rimanere a Budapest e continuare nel suo lavoro sui diritti umani. Lo ricontattai a Filadelfia, dove aveva fatto ritorno per prendersi cura di alcune questioni personali. Parlammo di parecchie cose, ma fui particolarmente interessato al suo punto di vista sul lavoro coi Rom 20 anni dopo. Nel corso degli anni era diventato piuttosto pessimista.

Da un lato, la situazione dei Rom non era migliorata significativamente. "La situazione dei Rom è peggio di quella degli Afro Americani - non in termini di schiavitù o di mezzadria, ma in termini di realtà attuale." sottolineava. "Ci sono un paio di ragioni. Una è che in questo paese, gli Afro Americani furono capaci di costruire una società alternativa. Nella comunità Afro Americana era possibile studiare dalle elementari al dottorato, senza avere troppi contatti con i bianchi. Incontravi tutte le tue necessità all''interno della comunità, i Rom non hanno niente del genere."

Dall'altro, l'organizzazione politica non è realmente penetrata nella società rom. "Ci sono formazione, conferenze e seminari rom, come avevo fatto altre volte, non sapendo fare di meglio. Ma non significano niente," dice. "E così i Rom - non voglio dire che siano opportunisti, perché non hanno nessuna possibilità di lavoro - aspirano ad arrivare in una OnG a Budapest, Bruxelles, ora anche in Polonia, all'OCSE, Ginevra, New York, o una borsa di studia a Cambridge o da qualche altra parte. Ma non esiste una sforzo organizzativo sul locale. Non c'è un senso di un'organizzazione democratica comunitaria. A livello base non c'è nessun cambiamento. La condizione odierna dei Rom è la stessa del 1989, al di là delle cifre che sono state spese."

Abbiamo parlato della prima visita in Unione Sovietica, della crescita dell'estremismo di destra, e del perché si fosse trasferito a Budapest, dopo avermi detto tempo fa che non avrebbe mai potuto vivere se non a Filadelfia.

[...]

To read the interview, click here

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Di Fabrizio (del 02/11/2013 @ 09:08:29, in media, visitato 1385 volte)

Mymovies.it

Un film di Joanna Kos, Krzysztof Krauze. Con Jowita Budnik, Antoni Pawlicki, Artur Steranko, Andrzej Walden, Zbigniew Walerys Biografico, durata 131 min. - Polonia 2013. MYMONETRO Papusza * * 1/2

Papusza ("bambola" in lingua Rom) è Bronislawa Wajs (1908 - 1987), vissuta in Polonia. E' la prima poetessa di etnia zingara di cui siano state pubblicate le opere. Poco dopo la nascita le viene predetto un futuro di onore, ma anche di dolore e di vergogna. Da bambina apprende a leggere e a scrivere in segreto, sfidando i divieti della tradizione familiare e del clan. Dopo essere scampata al genocidio operato dai nazisti (35.000 polacchi di etnia Rom furono uccisi nel corso della II Guerra Mondiale), la sua famiglia vende Papusza a uno zio più anziano, leader di una banda musicale, che la sposa. Nel 1949 lo scrittore ed etnografo Jerzy Fikowski, perseguitato dalla giustizia del regime comunista, si rifugia nel campo di gitani dove vive Papusza. Inizia a conoscere il modo di vivere degli zingari, le tradizioni e la musica e, pur essendo un gadjo (ovvero un non-Rom) impara i rudimenti della loro lingua. Poco a poco intreccia una sincera amicizia con Papusza. La donna giunge a recitargli i suoi poemi in cui si mescolano passato e presente. Fikowski la invita a trascriverli. Nel 1951 l'uomo, essendo stato amnistiato, torna a Varsavia e pubblica un libro su storia, usi e costumi degli zingari polacchi, dopo aver ottenuto l'appoggio di alcuni intellettuali influenti. Nel frattempo il governo emette un decreto legge che impone agli zingari di abbandonare la loro vita nomade itinerante e li costringe a stabilirsi in case di muratura. La vita dei Rom diventa misera. Papusza, costretta dalla necessità (il suo bambino malato ha bisogno di cure), scrive a Fikowski e gli invia i suoi scritti poetici. Quest'ultimo riesce a farli pubblicare e a farle pervenire un compenso. Tuttavia, ben presto, i gitani iniziano ad accusare Papusza di aver rivelato i loro segreti e le loro tradizioni ataviche, attraverso i suoi scritti. La donna deve quindi subire l'ostracismo del suo stesso popolo, vive nell'isolamento ed è frastornata dai sensi di colpa. I coniugi Krauze hanno scritto e realizzato un biopic senza dubbio interessante e non privo di alcuni momenti commoventi.

Il contenuto drammatico, e a tratti poetico, del film, girato in bianco e nero, è esaltato dalla ampia gamma di toni della fotografia curata da Krzysztof Plak e da Wojciech Staron. Inoltre un altro merito viene dal fatto che buona parte di Papusza è parlato in idioma Rom, con presenza di attori coadiuvanti gadzi. La messa in scena, pur rispettosa delle tradizioni gitane, appare piuttosto convenzionale e la rappresentazione della vita nell'accampamento mostra spesso immagini stereotipate.
Peraltro, nonostante diverse sequenze enfatiche e una recitazione dei protagonisti spesso sopra le righe, non mancano alcuni momenti di efficace e sincera evocazione di una figura femminile dignitosa, sensibile e sofferente. La narrazione non avviene secondo una scansione cronologica tradizionale e si sviluppa attraverso una mescolanza di flashbacks e flashforwards di epoche diverse del secolo scorso. I registi vorrebbero forse far intendere la peculiare concezione del tempo e della storia nella cultura dei Rom, ma indeboliscono la carica emotiva del film. In sintesi siamo lontani dalla credibilità dei film di Tony Gatlif, regista franco-algerino di etnia Rom, ma anche, fortunatamente, dagli eccessi strumentali dei film di Emir Kusturica dedicati agli zingari.

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Di Fabrizio (del 03/11/2013 @ 09:05:22, in musica e parole, visitato 1891 volte)

Parlo di questo libro PROPRIO perché non c'è una sola parola su rom, sinti, travellers, gorani, askali ecc.

    Che poi, più che altro per ragioni di sintesi, è il motivo per cui Polansky continua ad adoperare la parola zingari, non volendo riscrivere ogni volta le Pagine Gialle. Ovvio che questa parola a molti non va giù e vedrò in seguito di capire perché a volte le parole sono un muro ed altre un ponte.

Leggo nell'introduzione:

    Dopo aver vissuto con gli zingari nei ghetti dell'Europa dell'est, nei campi dei rifugiati delle Nazioni Unite in Kosovo, in Macedonia, e sui marciapiedi in India, credevo di aver capito finalmente cosa significasse essere poveri, perché loro erano poveri.
    Ma quando sono tornato negli Stati Uniti dopo aver vissuto all'estero per 37 anni, non ero così sicuro di capire i poveri in America. Perché c'erano cosi tanti senzatetto nel paese più ricco del mondo? Perché centinaia di migliaia dormivano all'aperto o cercavano un letto nei rifugi dei senzatetto e nelle missioni?
    Sapevo che c'era un solo modo per scoprirlo: vivere con i senzatetto così come avevo fatto con gli zingari in Europa e in India. Alla fine non c'è stato bisogno di andare a New York, Chicago o San Francisco per trovarli. Ce n'erano anche nella mia città, dappertutto nel cuore dell'America.
    Per parecchi mesi durante l'inverno del 2000-2001 ho ammazzato il tempo con loro, ascoltando le loro storie. Come con gli zingari, non ho giudicato la loro scelta di vita. Ho solo raccolto le loro storie e usato le loro parole per scrivere queste poesie.

Da qua parto con una riflessione: perché ci sono persone che a vario titolo e dalle posizioni più diverse, scrivono di rom e sinti (per non parlare del resto)?

  1. C'è chi lo fa, perché attratto dalla cultura, dalle origini, dalla lingua di un popolo misterioso, anche se presente da secoli nel nostro continente.
  2. C'è chi invece è spinto a farlo dall'esposizione scandalosa della miseria che è legata a questo stesso popolo.

Sospetto che esista un collegamento tra i due punti, ma non mi è chiaro: da un lato questa miseria contribuisce a rendere più oscuro il fattore storico-linguistico-culturale, dall'altro l'isolamento indotto dalla miseria è un fattore di conservazione di questi tratti.

Non me ne voglia il primo gruppo, ma è il secondo aspetto quello che ci impatta (per razzismo o all'opposto per pietismo). Ci IMPATTANO non tanto i furti, i bambini malnutriti, lo schifo dei campi, ma il fatto che nella nostra società sopravvivano e siano SOVRAESPOSTE simili condizioni di vita medioevali, un affronto alla nostra ricchezza. Ricchezza, specifico, di ex poveri che hanno una paura fottuta della crisi e di ritornare con le pezze al culo.

Fosse una povertà, una miseria lontana, sarebbe tollerabile, ma con questa occorre fare i conti. Razzismo e pietismo sono la sintesi dell'impossibile tentativo di ignorare o esorcizzare questa esibita differenza.

Ecco che la prefazione citata sopra smaschera una parte del trucco: anche nei ricchi Stati Uniti, dove Rom e Kalé sono relativamente invisibili, c'è gente che vive come questi ultimi in Europa. Tra loro, molta gente bianca.

Credo che abbiamo una paura fottuta, nelle attuali incertezze, di finire come questa gente. Scrive Paul Polansky di aver "usato le loro parole" nelle sue poesie. Parole violente, rabbia, che ci sembrano estranee alla nostra tranquillità (che prima o poi sarà rotta da qualche scandalo), ma ancora non bastano a stabilire un confine con l'ALTRO. Leggo, a pagina 11:

    Per lo più si pensa
    che se vivi sulla strada
    sei solo un pezzo di merda
    che non vale niente.

    Sì, ci insultano,
    ci prendono a calci in culo.
    I porci ci sbattono in galera,
    o ci dicono di andar via.

    Alcuni senzatetto chiedono l'elemosina,
    altri mostrano un cartello.

    Ehi, abbiamo anche bisogno di aiuto.
    Sigarette, birra, cibo,
    benzina, droghe.

    Proprio come
    tutti gli altri.

Polansky non giudica, riferisce. E per farlo, per riportare quei pensieri così come nascono nudi e crudi, vive e convive. Quello che manca a gran parte del resto della cronaca. Potremmo chiamarla empatia, in ogni caso è la lezione che dovrebbe arrivare anche a chi SCRIVE-GIUDICA-DECIDE PER Rom, Sinti ecc.

Il secondo insegnamento che arriva da questa raccolta è, forse, culturale. C'è violenza, crudeltà, scandalo, nelle poesie, ma senza compiacimento. Quegli homeless rischiano un annichilimento culturale, se mai hanno avuto una cultura come noi la intendiamo, al pari dei loro sfigati cugini rom e sinti in Europa. Ma la perdita della propria cultura, non necessariamente significa il vuoto. Spesso significa adattare la propria cultura e le proprie tradizioni alla situazione contingente, poter creare prima o poi una cultura che sarà differente dalla tradizione e anche dal modello maggioritario. Se riusciremo a capire e rispettare, prima che la testa, l'ingombrante presenza fisica dei dropout.

Termino, con gli appuntamenti a Milano e dintorni:

  • Lunedì 4 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la partecipazione di Enzo Giarmoleo poeta e traduttore del libro. L'incontro avrà luogo al CAM Ponte delle Gabelle, in via San Marco, 45 a Milano.
  • Martedì 5 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la partecipazione di Valeria Ferrario che avrà luogo allo Spazio Cantiere "Simon Weil" in Via Giordano Bruno 9 a Piacenza;
  • Mercoledì 6 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la partecipazione di Luca Chiarei e Gaetano Blaiotta con intrattenimento musicale a cura di Achille Giglio al contrabbasso. L'incontro avrà luogo al Twiggy Club via de Cristoforis n. 5, a Varese;
  • Mercoledì 12 novembre 2013 alle 21,00 - Incontro con la partecipazione di Tito Truglia ed Enzo Giarmoleo che avrà luogo all'Osteria Letteraria Sottovento in Via Siro Comi n. 8 a Pavia;
  • Giovedì 14 novembre 2013 alle 18,30 - Incontro con la partecipazione di Giorgio Mannacio e Beppe Provenzale che avrà luogo alla Libreria Linea d'Ombra in Via Calocero, 29 (MM2 Sant'Agostino) a Milano;
  • Venerdì 15 novembre 2013 alle 20,30 - Incontro con la partecipazione di Enzo Giarmoleo, vari studiosi e rappresentanti di alcune associazioni che si occupano dei senza dimora nella nostra città. L'incontro avrà luogo alla CGIL in Piazza Segesta con ingresso da Via Albertinelli 14 (discesa passo carraio ) a Milano;
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Di Fabrizio (del 04/11/2013 @ 09:08:47, in media, visitato 1445 volte)

di Cinzia Gubbini su Cronache di ordinario razzismo

La giovane rom espulsa dalla Francia verso il Kosovo durante una gita scolastica in Francia ha scatenato un aspro dibattito politico sulle leggi sull'immigrazione. In Italia ci concentriamo sui reati del padre della ragazza e sulla "cultura rom"

Léonarda Dibrani ha 15 anni, e la sua è una storia che ha fatto il giro del mondo. Nella Francia socialista, dove mai si era assistito a una cosa del genere nei due mandati del presidente Sarkozy, la giovane rom la cui famiglia è originaria del Kosovo, è stata prelevata dal bus della scuola mentre era in gita scolastica con i suoi compagni. Da lì è stata portata direttamente in aeroporto per essere espulsa con sua madre e i suoi cinque fratelli. Il padre era già stato rimpatriato a Mitrovica. In Francia la storia è diventata un affare di Stato. Il presidente Hollande è intervenuto in televisione per lanciare un messaggio alla nazione: l'espulsione di Léonarda ha rispettato la legge, ma la polizia ha agito "senza discernimento". Per questo il presidente ha proposto a Léonarda di tornare in Francia per continuare i suoi studi. Ma senza la famiglia. Altro "inciampo" del governo socialista che ha scatenato una nuova esplosione di polemiche. Il ministro dell'Interno Valls ha inoltre diramato una circolare in cui vieta di intervenire nel "quadro scolastico" per effettuare delle espulsioni.

La storia di Léonarda
La ragazza rom e la sua famiglia hanno fatto per quattro volte (c'è chi dice sette) domanda di asilo in Francia. Si sono stabiliti lì il 29 gennaio del 2009 nel Comune di Levier, vicino al confine svizzero. Secondo quanto raccontato dal padre di Léonarda venivano dall'Italia. La stessa ragazza era nata in Italia, a Fano, mentre l'ultima della famiglia, una bambina di un anno, è nata in Francia. Ma il padre, Resat Dibrani, 47 anni, ha spiegato di aver distrutto tutti i documenti italiani e raccontato che la famiglia arrivava dal Kosovo - dove lui è nato - sperando di avere qualche possibilità di ottenere asilo. "Se avessi detto che venivo dall'Italia mi avrebbero immediatamente rimandato indietro", ha spiegato. La famiglia Dabrani invece vuole vivere in Francia. E che siano intenzionati a fare sul serio lo dimostra il fatto che i figli vanno tutti a scuola, sono ben integrati, parlano perfettamente francese tanto che le due ragazze più grandi sono in possesso dei requisiti di lingua e conoscenza della cultura francese inseriti da Sarkozy per ottenere la naturalizzazione.

Tutto però finisce quando il padre viene arrestato per mancanza di documenti a Colmar, in Alsazia. Lui viene rinchiuso in un centro di detenzione a Strasburgo. La sua famiglia viene messa in una casa di accoglienza, in ottemperanza alla legge che prevede il divieto di "trattenere" i minori, dove tentano la regolarizzazione in base alla circolare Valls del 2012 (di cui parleremo più avanti). Il 9 ottobre, all'improvviso, la polizia si presenta alle 7 di mattina alla porta della famiglia Dibrani. Solo Léonarda non c'è: ha dormito da una amica - ora che da due mesi è costretta a vivere nel centro di accoglienza- in modo da essere puntuale alla partenza per la gita scolastica, che prevede la visita a una officina della Peugeot. La prefettura rinuncia? Neanche per idea: uno dei professori viene raggiunto sull'autobus da una telefonata del sindaco: l'autobus si deve fermare perché una volante della polizia sta per andare a prendere Léonarda per eseguire l'espulsione. Si può immaginare il panico: il professore dice di non poter fare una cosa del genere, ma a fargli cambiare idea ci pensa la polizia. Nella lettera dei professori viene descritta molto bene quella giornata.

In Francia, e in Italia
La vicenda ha scatenato un putiferio quando gli studenti sono scesi in piazza per protestare contro questa espulsione. C'è stata una vera e propria rivolta dei ragazzi. Viene da chiedersi se in Italia sarebbe mai avvenuta una cosa del genere. E forse è interessante leggere la storia di Léonarda analizzando come è stata affrontata in Francia, e come è stata affrontata in Italia. Il dibattito in Francia ha riguardato soprattutto (e quasi esclusivamente) la legge che ha portato alla espulsione della famiglia Dibrani. Quando è stato eletto il nuovo governo, si è subito posto il problema se fare o no una regolarizzazione ("tradizione" presto abbandonata dall'Italia). La risposta è stata sì ed è stata emanata la circolare Valls che prevede la possibilità per le persone irregolari soggiornanti da almeno cinque anni in Francia di presentare richiesta di permesso di soggiorno. E' stata molto criticata, perché prevede un esame individuale assegnato alle prefetture, il che rende molto discrezionale la sua applicazione. Ma leggerla è comunque interessante, soprattutto per fare un paragone con l'Italia, per l'approccio che propone sottolineando le storie di sfruttamento sessuale, presenza di minori scolarizzati, e così via. Ma aldilà di questo, la questione è che permane un elemento di "temporalità" che ha escluso a priori casi come quelli della famiglia Dibrani. Che aveva tutte le caratteristiche previste nella circolare, solo che mancavano pochi mesi al compimento del quinto anno su suolo francese. Il che ha obbligato Hollande a sostenere che l'espulsione era stata eseguita "secondo la legge".

Secondo aspetto: la reazione della "comunità". Come abbiamo visto i professori e la scuola hanno preso parola, scritto una lettera pubblica e apertamente condannato l'espulsione, anche se in linea con la legge del governo socialista. Gli studenti sono scesi in strada, protestando contro l'espulsione violenta di una minorenne e della sua famiglia. Una famiglia rom. Sarebbe mai accaduto in Italia? Il tutto in un contesto di forte spaccatura visto che secondo un sondaggio tre francesi su quattro sono d'accordo con la decisione di espellere la famiglia Dibrani.

La stampa italiana
E veniamo all'Italia. Dopo le prime notizie che hanno reso conto di quanto accaduto, e delle conseguenze di questa storia sulla calante popolarità di Hollande ecco cominciare i reportage. Anche i giornalisti italiani, come i giornalisti di molti paesi, si sono recati a Mitrovica per intervistare la famiglia Dibrani. Leggere questi articoli è interessante: sembra esista una specie di "lente italiana" di cui i giornalisti italiani non riescono a disfarsi quando devono osservare una famiglia rom. Persino una famiglia espulsa da un altro paese, in tutt'altro contesto, completamente estraneo alla politica italiana. Ad esempio: Francesco Battistini che tiene un blog sul Corriere della Sera dal titolo "La città nuova", dedicata ai temi interculturali, descrive un quadro in cui il papà - noto come una persona violenta - è il cattivone (qui l'articolo). I bambini più piccoli sono "gattini", molto contenti di vivere in una catapecchia kosovara "perché c'è il sole". Il loro entusiasmo rovinerebbe il "copione mediatico" messo in piedi dal papà rom violento, che invece vuole per forza tornare in Francia con la sua famiglia. Battistini non lo dice, ma sembra voler sottolineare: a fare qualcosa di losco! La conclusione del giornalista è che nella cultura rom, definita "gattare rom" (sempre per la metafora dei gatti, che all'autore pare evidentemente essere molto efficace), è meglio essere "bradi ma tutti uniti". Ovvero: se fossero una famiglia mediamente più "evoluta" la quindicenne la manderebbero di corsa in Francia a studiare. Sola come un cane, verrebbe da dire.

Ma di questi giudizi un tantino affrettati è zeppa la stampa nostrana del "dopo choc" da espulsione. Pure per il corrispondente da Parigi Alberto Mattioli de La Stampa, 10 giorni dopo l'espulsione di Léonarda, il tono dedicato all'espulsione della giovane rom cambia totalmente. Prima è di cronaca, anche vagamente indignato. Il 19 ottobre, parlando dell'intervento televisivo di Hollande ecco cosa dice il giornalista: " ha trasformato definitivamente l'«affaire Leonarda» in un affare di Stato o, a seconda dei punti di vista, in un'incredibile telenovela politico-mediatico-emozionale con complicazioni da psicodramma nazionale" (qui l'articolo). Su Il Giornale del 17 ottobre i precedenti del padre di Léonarda diventano "violenza fisica contro la moglie e la figlia". Una accusa piuttosto pesante, addossata a un uomo in un momento difficile, inserita in una frase e tra due virgole e introdotta da un "pare peraltro".

Insomma: una storia che mette sul piatto un problema serio, complicato da risolvere, ma anche urgente come la gestione di famiglie che hanno bambini scolarizzati anche se non "regolarmente soggiornanti", in Italia assume un tono moraleggiante. Sotto i riflettori non c'è la "rule of laws" e il sistema di controllo dei flussi migratori. Ma la famiglia-vittima, le sue presunte contraddizioni. E, ovviamente, il reato bieco.

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Segnalazione di Tommaso Vitale

Molte persone rom, nate in Italia o che vi risiedono da decenni, non hanno alcun documento di identità né un regolare permesso di soggiorno. Si stima che circa 15.000 minori rom siano apolidi o a rischio di apolidia. Senza i documenti, ogni percorso di inclusione sociale è loro precluso: queste persone non possono lavorare regolarmente, affittare una casa o iscriversi all'Università. Restano "invisibili", privati di diritti fondamentali, generazione dopo generazione.

Per contribuire a risolvere questo grave problema, ASGI (associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione), Associazione 21 luglio e Fondazione Romanì, con il sostegno di Open Society Foundations, promuovono un corso finalizzato a formare 15 operatori para-legali specializzati nel supportare le persone rom nell'ottenimento dei documenti (permesso di soggiorno, passaporto, carta d'identità ecc.) e nel promuovere il miglioramento delle relative prassi a livello locale e nazionale.

Nell'ambito del corso saranno affrontati i seguenti temi: la normativa rilevante in materia di ottenimento dei documenti (riconoscimento dello status di apolide, rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari e di altri permessi di soggiorno in deroga alle norme generali in materia di ingresso e soggiorno dei cittadini stranieri in Italia, acquisto della cittadinanza italiana, ottenimento del passaporto del paese d'origine); metodi per promuovere il diritto delle persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale (supporto individuale, attività di advocacy, iniziative di informazione rivolte alla comunità ecc.); il ruolo degli operatori para-legali e le modalità per seguire i casi individuali.

Il corso prevede la partecipazione a due workshop residenziali di due giornate a Firenze; l'impegno a seguire, con il supporto degli avvocati dell'ASGI e dell'Associazione 21 luglio, tre casi di persone rom prive di documenti, affinché possano regolarizzare il loro status giuridico; la partecipazione al convegno finale e a una giornata conclusiva di valutazione e progettazione.

I partecipanti interessati saranno inoltre invitati a presentare progetti per la realizzazione di micro-interventi finalizzati a promuovere il diritto delle persone rom prive di documenti e apolidi a uno status legale. Il progetto selezionato come migliore riceverà un finanziamento di 5.000 euro.

I costi di viaggio, vitto e alloggio saranno coperti dal progetto.
I requisiti per partecipare al corso e le modalità per la presentazione delle domande sono specificati nel bando allegato.

Le domande di iscrizione, corredate della documentazione di supporto completa, devono essere inviate per e-mail all'indirizzo formazioneasgi@gmail.com entro il 15 dicembre 2013.

Il bando e il modulo per l'iscrizione possono essere scaricati QUI

Si prega di girare questa comunicazione a tutti coloro che potrebbero essere interessati.
Corso realizzato nell'ambito del progetto "OUT OF LIMBO" con il sostegno di Open Society Foundation

ASGI
Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione
Via Gerdil n. 7
10152 Torino
Tel./Fax: 011.4369158
sito web: www.asgi.it
email : formazioneasgi@gmail.com

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Di Fabrizio (del 06/11/2013 @ 09:05:07, in Europa, visitato 1608 volte)

In effetti, sulla piccola Maria, greca o bulgara che sia (apposta, non ho usato rom), ne hanno scritto tutti, da tutti i punti di vista. Razzisti, buonisti, populisti, legalitari, opinionisti... (ho dimenticato qualcuno?) hanno esposto la loro commozione PER LA RICADUTA MEDIATICA di questo caso, creando un coro di voci diversissime tra loro.

Sia detto, se si parla di opinioni, ognuno ha diritto a dire e a difendere la propria. Anche con veemenza, ci mancherebbe. Anche usando SOLITI e RITRITI strumenti retorici. Quindi: accalorandosi. TUTTO GIUSTO.

Ma poi, e questa è la retorica di chi ha assistito a molte storie simili, cala il sipario. Il pubblico torna a casa e pulisco la platea. C'è un tipo, seduto in sala regia, che si sta chiedendo cosa sia rimasto nella testa della gente di questo "spettacolo".

Avevo segnalato all'amico Giancarlo Ranaldi un link in inglese: Bulgaria insisting Romani girl be returned from Greece E lui, che magari sarà pieno di difetti ma è comunque persona sensibile e attenta, mi ha girato un commento, che vale la pena leggere:

    Quindi... le autorità Bulgare insistono per il ritorno di Maria. La Grecia non sa bene cosa fare e, per il momento, si è limitata ad arrestare gli "affidatari". Ma, allo stesso tempo, in Bulgaria hanno arrestato i "genitori biologici", che rischiano sei anni di carcere. Degli altri bambini, fratelli e sorelle di Maria, non è dato sapere e, forse, è pure meglio. I "media" Bulgari, infatti, sconvolti dalla povertà, chiedono al Governo d'intervenire, ma sarà molto difficile che Maria possa essere riaffidata ai suoi genitori e potrebbe finire in orfanatrofio (per la rieducazione?) fino al compimento del 18o anno di età. Ma povera figlia...

Intendiamoci (è sempre il testimone di storie passate a dirlo): lo scorso mese è successo qualcosa di insolito e di positivo, a Napoli, a Parigi, sulla psicosi greca (e quella irlandese), ci sono state tante persone, persone comuni intendo, che hanno espresso solidarietà e sentimenti umani verso i Rom. Niente che non faremmo per un nostro vicino, amico, per una bestia domestica, ma questa volta erano Rom. E quattro casi distinti. E' IMPORTANTE.

Ma se rileggo le riflessioni di Giancarlo, penso che poi la vita continua, anche per i Rom, quando si spengono i riflettori dell'attenzione pubblica. Se le previsioni greche possono apparire impietose, non è che negli altri ultimi casi siano migliori. Difficile, anche su queste pagine, dare conto delle evoluzioni, di tutto ciò che succede o succederà: tenetemi informato, se ce la fate, o tenetevi informati su MAHALLA INTERNATIONAL o sul suo corrispondente su Facebook.

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Di Fabrizio (del 07/11/2013 @ 09:06:41, in Italia, visitato 1114 volte)

Il Messaggero Domenica 03 Novembre 2013 - 19:29 "Divieto di sosta ai nomadi, rimozione forzata": il cartello fa scoppiare la polemica

Sta facendo parecchio discutere un singolare divieto di sosta presente sul territorio comunale di Fermo. Per l'esattezza a Casabianca, in un'area comunale, a due passi dal centralissimo viale che porta al mare. Cos'è? Un divieto di sosta "ai nomadi" che rischiano, stando al messaggio che arriva dal cartello, la rimozione forzata della vettura.

Chiaramente il messaggio non è rivolto al noto gruppo pop rock che tanti successi ha mietuto nella storia musicale italiana che, anzi, se venisse a soggiornare a Fermo sarebbe certamente benvenuto. No, il messaggio è per i nomadi veri, ovvero per quelle popolazioni che vivono spostandosi da un posto all'altro. Ma attenzione: non ai pastori, ai beduini o ai berberi ma, mettiamola così, agli zingari, ecco! Nessuna multa è stata finora elevata e, a quanto risulta, nemmeno un'auto, una roulotte o un camper sono stati portati via dal carroattrezzi.

Allora a che serve quel cartello? E soprattutto: non rischia di essere discriminatorio? Se non lo è allora il sindaco di Porto Sant'Elpidio Nazareno Franchellucci può mandare una pattuglia dei suoi vigili a Fermo per apprendere le modalità in base alle quali i nomadi possono essere multati, i camperisti "normali" no. Così risolverebbe una volta per tutte l'annoso problema dell'area camper sul lungomare della sua cittadina dove d'estate arrivano, insieme ai camperisti, carovane di zingari e nessuno può dire loro niente perché altrimenti sarebbe discriminatorio. Se funziona potrebbe piazzare un cartello come quello di Casabianca e via. Problema risolto.

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