Rom e Sinti da tutto il mondo

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L'essere straniero per me non è altro che una via diretta al concetto di identità. In altre parole, l'identità non è qualcosa che già possiedi, devi invece passare attraverso le cose per ottenerla. Le cose devono farsi dubbie prima di potersi consolidare in maniera diversa.

Wim Wenders
-

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 19/02/2010 @ 12:34:35, in Italia, visitato 2022 volte)


Campo Rom Tor Dè Cenci, Via Pontina 601, Roma - l'appuntamento su Facebook

Come molti di voi sanno, le famiglie del Campo di Tor De Cenci stanno rischiando di abbandonare, senza alcun motivo plausibile, il campo dove risiedono da almeno 15 anni, che fu voluto dall'Amministrazione Comunale romana (la quale assegnò i container alle famiglie) e che ora, per motivi sconosciuti ai più, dovrebbe essere trasferito a Castel Romano.

I Rom stanno lottando per conservare quello che è un loro diritto, il rimanere "a casa propria" (se di casa si può parlare nei campi rom... ma meglio che niente).

Ma non è facile, non è mai facile, e le famiglie hanno bisogno di noi ora.

Hanno bisogno del nostro apporto tutti i giorni, per stare loro vicino, parlare della situazione, fargli sentire che siamo sempre li con loro.

Hanno bisogno di noi, di noi che percorriamo il campo, di noi che giochiamo e studiamo con i loro figli, di noi che ci interessiamo di questa vicenda inammissibile.

Hanno bisogno anche solo di un saluto al giorno, di offrirci il caffè, di due chiacchiere.

Non lasciamoli soli: siamo tutti invitati, almeno fino a lunedì 22 febbraio (giorno in cui dovrebbero andare nuovamente a colloquio con assessorato e prefettura), a frequentare il campo, ad andarci a sedere a casa loro e chiacchierare, non importa che siano chiacchiere costruttive, in questo momento è importante stargli vicino.

Vi aspettiamo insieme alle famiglie Rom per un kafava o un sok: solidarietà e amicizia per i Rom!

Gaia Moretti
Paolo Perrini
Renato Patanè
Davide Zaccheo

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Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:02:38, in casa, visitato 1654 volte)

A giugno scade l'accordo per l'area di via Lazzaretto, che sarà destinata ad altro uso. Le famiglie si dividono: alcuni pronti a fare domanda per una casa, altri a rimanere fedeli alla loro tradizione

Case popolari sì, case popolari no. È il dilemma delle famiglie del campo sinti di via Lazzaretto, che a giugno dovranno lasciare l'area attrezzata dopo che l'amministrazione ha deciso di non rinnovare la convenzione annuale di affitto, per liberare l'area per altro uso. Le famiglie del campo, una ventina, sono state convocate dall'assessore ai servizi sociali Roberto Bongini per un confronto. «Ho invitato le famiglie – spiega Bongini - a fare domanda per le case popolari, anche se ho chiarito che non hanno nessuna precedenza nelle graduatorie». Già in passato un paio di famiglie avevano accettato, ora un'altra mezza dozzina è pronta a fare domanda per il prossimo bando di marzo. Ma gli altri nuclei non hanno intenzione di abbandonare la vita legata alla tradizione nomade. Da tempo i sinti si sono stabiliti a Gallarate (sono cittadini gallaratesi a tutti gli effetti) e non esercitano più forme di lavoro itinerante, come ad esempio quello di giostrai. La vita nel campo, però, consente però di mantenere unite le famiglie allargate: i figli continuano a vivere accanto ai genitori, con i nipoti. E questo è l'aspetto a cui i sinti non intendono rinunciare.

Nell'incontro si è parlato anche delle bollette dell'elettricità e dell'acqua. «Hanno detto anche sui giornali che non paghiamo le bollette e che il Comune deve pagarle. Non è vero, per questo ci ha dato fastidio» dice Ivano, uno dei giovani capifamiglia sinti. «Molti di noi hanno pagato, altri hanno difficoltà a causa del lavoro che manca: noi abbiamo chiesto di rateizzare le bollette, che a volte sono pesanti». Sulla questione Bongini ha promesso che verificherà se ci sono stati errori e chiarirà la posizione delle famiglie.

La grande preoccupazione dei sinti, però, riguarda giugno: quando l'accordo scadrà dove andrà chi non vuole fare richiesta di case popolari? La posizione dell'amministrazione non cambia: a giugno il campo sarà sgomberato e destinato ad altro uso, in attesa di decidere, nel pgt, a quale uso destinare l'area. Nella zona non urbanizzata accanto all'autostrada dovrebbe sorgere un complesso logistico. Case popolari o meno, i sinti secondo l'amministrazione dovranno dividersi, mettendo fine a quella che il sindaco Nicola Mucci ha definito «autoghettizzazione». Soluzioni alternative, come quelle già sperimentate recentemente altrove anche nel nord Italia, non sono all'ordine del giorno.

18/02/2010 Roberto Morandi roberto.morandi@varesenews.it 

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Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:09:10, in scuola, visitato 1722 volte)

I continui spostamenti che hanno costretto i nomadi a girare per tutta la città hanno impedito alla comunità di poter proseguire in maniera efficace il proprio percorso di integrazione: lo denunciano non solo loro, ma anche le maestre che si sono occupate dei piccoli alunni rom

Il piccolo Marius, un rom di 10 anni, ha cambiato sette campi nomadi in un anno. Marius vive da alcuni anni nelle baraccopoli di Milano, insieme a una decina di altri bambini con le loro famiglie. Sono stati sgomberati sette volte, ma alla fine sono rimasti sempre nella stessa città.

Il primo campo di Marius nel capoluogo lombardo è stato quello situato presso il Cavalcavia Bacula: lui è arrivato insieme ai genitori e alle tre sorelline nel febbraio del 2009, ma il campo è stato sgomberato un mese più tardi.

Poi si sono trasferiti nell’insediamento di via Rubattino: vi hanno vissuto da aprile a novembre del 2009. Il 20 novembre sono passati nel campo di via Caduti di Marcinelle: un breve soggiorno, visto che le ruspe dello sgombero sono arrivate il 22 novembre.

Il giorno successivo c’è stato l’approdo al campo di Viale Forlanini: è stato un altro soggiorno-lampo, visto che i nomadi sono stati cacciati dopo sole 24 ore. Il “balletto” degli spostamenti ha spinto allora i rom fino al campo della Bovisaca, nella zona popolare della Bovisa. Qua hanno resistito un po’ più a lungo, fino allo sgombero del 30 dicembre.

Il pellegrinaggio è andato avanti, la “tappa” del Capodanno 2010 è stata il campo situato tra via Umbria e via Redecesio. Dopo un mese e mezzo, il 16 febbraio i nomadi hanno fatto le valigie anche da qua per spostarsi al capannone delle “Lavanderie di Segrate”. Ma lo sgombero è avvenuto nella stessa giornata.

Tutta questa “via crucis” ha creato a Marius e agli altri bambini notevoli problemi di integrazione, specie per quanto riguarda l’inserimento a scuola. A denunciarlo sono le maestre delle scuole elementari di via Pini e via Feltre: come ha spiegato un’insegnante dell’istituto di via Feltre, i continui spostamenti hanno provocato ostacoli nei percorsi di integrazione cominciati da docenti e genitori di alunni italiani.

I piccoli alunni rom sono stati dipinti come studenti desiderosi di imparare: ad esempio, sono stati quasi sempre in regola con i compiti. E proprio questa reputazione aveva aiutato i genitori italiani a superare le iniziali diffidenze nei confronti della comunità rom.

Partendo dai bambini, le famiglie italiane avevano cominciato a prendersi cura anche dei loro genitori: molte mamme nomadi hanno infatti ricevuto aiuti per poter andare dal dentista e dal ginecologo.

Le continue peregrinazioni della comunità rom milanese ha però interrotto questo processo di integrazione. I reiterati sgomberi hanno avuto anche ripercussioni economiche sugli enti locali: un volontario della comunità di Sant’Egidio ha spiegato che ogni sgombero costa al Comune fino a 30 mila euro.

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Di Fabrizio (del 20/02/2010 @ 09:30:58, in Europa, visitato 1556 volte)

Da Romanian_Roma

17/02/2010 "Naturalmente, abbiamo dei problemi fisiologici di criminalità entro alcune comunità rumene, specialmente tra i cittadini rumeni di etnia rom" - Teodor Baconschi, Ministro Rumeno agli Affari Esteri

La dichiarazione si può trovare nella rassegna stampa sul sito del Ministero degli Esteri [1 in inglese ndr] dell'11 febbraio 2010. Qualcuno potrebbe pensare che Baconschi creda nel razzismo biologico e la sua dichiarazione sembra collegare biologia, criminalità ed etnia. Ci si potrebbe anche aspettare la sua prossima sentenza circa la spazio vitale dei puri Rumeni - la Romania generò uno dei più radicali movimenti nazisti in Europa durante gli anni '30. Diverse OnG rumene, tra cui la nostra, ha chiesto una rettifica a Baconschi.

Teodor Baconschi è un diplomatico di carriera, ed ha un Rom - Gheorghe Raducanu, come consigliere. Dato che Raducanu occupa anche una posizione di alto livello - Segretario Generale - entro il Forum Europeo dei Rom e Viaggianti, un'organizzazione che è giustamente molto attiva contro l'anti-ziganismo; la nostra organizzazione richiede che il Forum renda chiara la sua posizione riguardo la dichiarazione razzista del ministro Baconschi, chiede anche che Raducanu si dimetta dalla sua posizione nel Forum o viceversa da consigliere del Ministero degli Esteri.

Policy Center for Roma & Minorities
Bucharest, 010152, Intrarea Rigas 29A, Ap. 31, Sect. 1, Romania.
Tel. 0040-742379657
Fax: 0040-318177092
www.policycenter.eu

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Di Fabrizio (del 21/02/2010 @ 09:26:03, in Europa, visitato 1705 volte)

Da Slovak_Roma

La maggioranza degli abitanti sono Rom, ma i fondi pubblici sono stati usati per dividerli dai quartieri più benestanti
TimesOnLine Adam LeBor, Ostrovany, Slovakia

18/02/2010 - La struttura più solida costruita nel ghetto rom ad Ostrovany è il muro che lo divide dal resto del villaggio, costato €13.000 ai fondi pubblici, per separare quanti vivono in condizioni di medioevale squallore dai loro vicini non-Rom.

La struttura lunga 150 m., costruita con lastre di cemento alte 2,2 m., ha oltraggiato i Rom e gli attivisti dei diritti umani. "Nessuno ci ha detto che stava succedendo questo - sono solo venuti un giorno ed hanno iniziato a costruire," dice Peter Kaleja. "Il sindaco non avrebbe dovuto spendere tutto quel denaro per il muro, ma avrebbe dovuto costruire case per noi."

Kaleja, 21 anni, vive con sua moglie e la figlia di 19mesi in una catapecchia di fango e legno. Il gelido vento invernale soffia forte attraverso le fragili pareti e non c'è acqua corrente, gas o collegamento alle fognature, ma hanno la corrente elettrica ed una stufa a legna. Sopravvivono con un assegno sociale di  €170 al mese.

In Slovacchia, come nei vicini paesi dell'Est Europa, i Rom vivono ai margini. Hanno una minore aspettativa di vita, sono di più i disoccupati ed hanno un tasso più alto di mortalità infantile. I bambini rom sono più spesso diagnosticati con disabilità mentale - anche quando non ne hanno - e come risultato sono messi in scuole speciali.

Ci sono circa 350.000 Rom in Slovacchia, circa il 7% della popolazione, ma ad Ostrovany sono circa i due terzi dei 1.786 residenti. Ma le risorse municipali non sono condivise proporzionalmente.

Gli incaricati comunali di Ostrovany dicono che il muro era necessario per proteggere i proprietari di case i cui giardini confinano con l'insediamento rom e che lamentano frequenti furti di frutta.

Le baracche dei Rom sono costruite illegalmente su terreno privato, senza autorizzazioni, dice Cyril Revak, il sindaco. "Anche i Rom sono cittadini di questo paese. Meritano tutto l'aiuto che possono ottenere ma devono obbedire alla legge. L'unica critica che posso accettare è sull'uso delle finanze pubbliche per proteggere la proprietà privata - ma non è stato un errore, perché un giorno aiutiamo qualcuno e quello dopo qualcun altro." Aggiunge che il comune sta cercando di acquistare terreno per costruire case ai Rom, e di voler lanciare un programma per aiutare i bambini rom alla scuola superiore.

Il muro, d'altronde, manda un potente messaggio di esclusione, dice Stanislav Daniel, dell'ERRC. "E' un valore altamente simbolico. Non obbietteremmo se i proprietari costruissero e pagassero il loro muro. Ma è la prima volta che un comune in Slovacchia usa denaro pubblico per proteggere la proprietà privata di pochi."

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Di Fabrizio (del 21/02/2010 @ 09:27:53, in scuola, visitato 1997 volte)

Da Romano Lil


L'assessore all’Istruzione Piron fornisce i dati: "Gli studenti che attualmente frequentano gli istituti padovani sono 129, mentre lo scorso anno erano 114. I progetti di integrazione sono stabiliti per legge"

PADOVA – L’integrazione e il successo scolastico degli alunni sinti e rom sono possibili: lo dimostrano i dati diffusi oggi dal comune di Padova, in risposta alle recenti polemiche sollevate dall’opposizione – soprattutto leghista – sul costo dei progetti per questa parte di popolazione studente. Secondo i dati, infatti, oltre l’85% degli iscritti sinti e rom ha concluso l’anno scolastico 2008/2009 con l’ammissione alla classe successiva. Se si guarda all’anno precedente, la percentuale di successo era ferma a 74,26%. “L’opposizione deve capire che non si può fare campagna elettorale ogni giorno dell’anno – è il commento dell’assessore comunale all’Istruzione Claudio Piron – e deve chiedersi quanto costerebbe tenere questi bambini in strada, da un punto di vista non solo economico, ma anche sociale e della convivenza”.

Ricordando che i progetti di integrazione di questo tipo sono stabiliti per legge e la loro attuazione non è dunque a discrezione del comune, Piron fornisce alcuni dati sull’entità e il costo dei servizi: le associazioni Opera nomadi e Aizo (associazione italiana zingari oggi) lo scorso anno hanno garantito 3.750 ore di assistenza agli studenti all’interno delle scuole, cui vanno aggiunte altre ore di difficile quantificazione destinate al contatto con le famiglie e con i servizi sociali. La spesa prevista per queste attività è di 85 mila euro, cui ne vanno aggiunti altri 26 mila per i servizi di trasporto dal campo San Lazzaro e € 400 di contributo annuale economico alle famiglie.

Complessivamente, gli studenti che attualmente stanno frequentando gli istituti padovani sono 129, mentre lo scorso anno erano 114 e l’anno ancora precedente 101. Secondo quanto sostenuto dal comune, non ci sarebbero sul territorio bambini che non ottemperano all’obbligo scolastico: l’aumento delle presenze sarebbe quindi spiegato con l’aumento di famiglie rom e sinti a Padova. Nel dettaglio, sono 11 i bambini inseriti nella scuola dell’infanzia, 73 in quella primaria, 37 alle medie e 8 in scuole superiori o in centri per la formazione professionale. “L’obiettivo – spiega Lucia Fantini, responsabile del settore Servizi scolastici – è di incrementare le presenze nelle scuole dell’infanzia e soprattutto alle superiori, per poter offrire agli studenti una prospettiva lavorativa migliore”.
E l’assessore Piron conclude: “E’ importante ricordare, in questo quadro, che la maggior parte di questi studenti sono italiani a tutti gli effetti, spesso da generazioni, e che sono stanziali. Ed è fondamentale chiedersi quali alternative ci possono essere a quanto fatto finora secondo l’opposizione: le deportazioni? Le liste? Le impronte digitali? Io non ci sto”. (gig)

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Di Fabrizio (del 22/02/2010 @ 09:12:03, in Europa, visitato 1773 volte)

Da Roma_ex_Yugoslavia

Antony Mahony, visitatore da Londra

La Voivodina, provincia settentrionale della Serbia attuale, è sempre stata considerata l'area più culturalmente mista dell'ex Jugoslavia, lo stato durato dal Trattato di Versailles del 1919 allo scoppio della guerra civile nel 1991. Ma le origini del popolo della Voivodina è posta più indietro nella storia. Al tempo dell'imperatrice Maria Teresa quella ricca e fertile pianura tra due grandi fiumi, il Danubio e la Tisa, accolse coloni agricoli dai paesi confinanti: Ungheresi, Rumeni e Tedeschi come pure Serbi. Stabilirono insediamenti che tuttora si possono riconoscere dallo stile architettonico dei loro villaggi, in particolare nelle chiese. Nel tardo XIX secolo, che fu un periodo di egemonia ungherese, gran parte del terreno venne drenato per sfruttare ulteriormente il suo potenziale agricolo. Molte delle comunità tedesche disintegratesi nel 1945 furono espulse per ordine del nuovo regime del maresciallo Tito. Ci sono anche piccole ma significative presenze di Slovacchi, Ucraini, Ruteni, Croati e Montenegrini. Sino al 1944 c'era anche una comunità ebraica a Novi Sad, dove resiste tuttora la straordinaria sinagoga di mattoni rossi. La Voivodina è sempre stata citata come esempio di area dove la coesistenza pacifica era una realtà nella vita quotidiana piuttosto che un'aspirazione.

La Voivodina è anche patria di un'altra importante minoranza: i Rom. Durante il loro lungo viaggio dalle regioni del Punjab e del Rajasthan nell'India, che iniziò nell'XI secolo, i Rom si spostarono nel Caucaso e nell'Asia Minore prima di arrivare nei Balcani. Per questo, la popolazione Rom nei paesi moderni dell'Europa del sud est è sempre stata considerevolmente più alta che nell'Europa occidentale.

Però, c'è una differenza significativa tra i Rom e le altre minoranze in Voivodina, cioè la sistematica discriminazione ai cui i primi sono stati sottoposti e rifiutati come stranieri, in particolare durante la II guerra mondiale. Non c'è dubbio che i Rom continuano ad essere tra i popoli più poveri e svantaggiati in Europa. Le loro generali povere condizioni di vita e la mancanza di accesso al sistema sanitario significa che raramente pochi raggiungono la tarda età, ed in termini di istruzione pochi proseguono dopo la scuola dell'obbligo. Nel linguaggio delle analisi sociali, gli indicatori sono molto bassi. Questi fattori pesano anche pesantemente contro i Rom nel mercato del lavoro dove la loro mancanza di istruzione e formazione professionale, assieme alla severa situazione economica di questo periodo della Serbia, sono severi ostacoli a progredire. A Novi Sad, uomini e ragazzi rom si vedono spesso sui loro carri a cavallo nella raccolta di cartoni e materiale da discarica per essere riciclati.

Il tradizionale stile di vita dei Rom è saldamente ancorato alla cultura rom e le famiglie hanno vagato per vasti territori con i loro carri trainati da cavalli, per tutta la loro storia. Ma, durante gli anni '70, il governo di Belgrado introdusse una nuova politica di insediamento forzato verso i Rom. Ma dato che i Rom non avevano mai posseduto alloggi, furono incoraggiati - per così dire - ad installarsi in edifici in disuso come unità industriali abbandonate o ex quartieri di lavoratori ai margini delle città, dove iniziarono ad apparire i cosiddetti quartieri rom. Un insediamento simile vicino a Novi Sad si è formato nei ripari provvisori di un'azienda agricola. E' il posto che ora localmente è conosciuto come "Bangladesh".

Per riconoscere le esigenze speciali dei Rom, la UE introdusse il "Decennio dell'inclusione Rom" dal 2005 al 2015, allo scopo di influenzare politiche ed azioni a livello strategico. Ma a livello base c'è un'organizzazione che ha lavorato per diversi anni a fianco della locale comunità Rom: l'Organizzazione Umanitaria Ecumenica (EHO), che è il braccio sociale delle cinque chiese della minoranza locale (protestante, riformata e greca cattolica). EHO ha lavorato con i Rom per oltre 15 anni, e l'approccio dell'organizzazione al rinnovamento sostenibile degli insediamenti rom è stato prima testato nel quartiere "Bangladesh" e mostra essere un gran successo. Questo modello è stato anche adoperato nel villaggio di Đurđevo, nel comune di Žabalj, dove c'è un altro insediamento rom conosciuto come "Ciganski Kraj" (quartiere zingaro), dove EHO sta lavorando in attiva cooperazione con la comunità rom. Qui le case sono piccole, le hanno costruite i Rom stessi usando mattoni riciclati ed altro materiale dai siti in demolizione nelle aree circostanti. Quasi senza eccezione, le case non hanno bagno o acqua corrente. La comunità ha identificato in ciò l'urgenza sociale più immediata ed è stata richiesta l'assistenza di EHO. La loro risposta è arrivata in tre tappe: prima, un processo di consultazione con la comunità ed una valutazione dei bisogni - incluso la capacità dei Rom ad intraprendere loro stessi i lavori necessari; seconda, i fondi sono stati raccolti da EHO tramite donatori in Svizzera; terza, il progetto si sviluppato nel 2009 prima di novembre e dell'arrivo dei freddi venti invernali. Con un prezzo base di €1.500 per edificio, ogni famiglia ha ricevuto il materiale per costruire un piccolo bagno interno, compresi le mattonelle e l'impianto idraulico, senza bisogno di adoperare manodopera extra. Un vero esempio di progetto di auto-aiuto che risponde ai bisogni espressi dalla comunità.

Robert Bu è il manager del programma Rom per EHO. "Attualmente siamo l'unica organizzazione di base in Voivodina con la capacità di guidare un progetto alloggiativo e di inclusione sociale. E'una sfida ed una grande responsabilità, ma qui stiamo ottenendo qualcosa di molto importante".Robert vede nella partecipazione dei Rom in tutte le fasi del progetto la differenza tra questo ed altri programmi regionali. La gente costruisce sulle proprie capacità e risorse e ciò contribuisce allo sviluppo della comunità locale. "Questo modello non impone soluzioni prefabbricate. La progettazione individuale accresce il sentimento di appartenenza del processo e permette al gruppo individuato di prendere le proprie decisioni".

Zlatko Marjanov e sua moglie stanno partecipando al progetto alloggiativo nel quartiere Ciganski Kraj. "Sono molto contento dell'approccio tenuto perché ho appreso nuove tecniche di costruzione che posso anche applicare altrove" dice Zlatko. Sua moglie annuisce, aggiungendo che senza il supporto finanziario, non avrebbero mai potuto investire soldi per un bagno loro.

Ristrutturare case e fornirle di acqua e servizi igienici è solo una parte del programma EHO per i Rom. Il programma include istruzione, educazione sanitaria di base, formazione vocazionale, consulenza legale ed aiuto nel trovare lavoro. Attraverso un impegno a lungo termine con la comunità rom in Voivodina, EHO sta creando una reale differenza nella vita di una delle più povere comunità in Europa. Come scrisse Anna Frank. "Come sarebbe meraviglioso se nessuno dovesse aspettare un solo momento per iniziare a migliorare il mondo".

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RadioCittAperta.it 

Con un grave provvedimento di chiaro stampo xenofobo,da parte dell’assessore Franzinelli e della Digos è stata vietata la conferenza “A forza di essere vento” indetta e regolarmente autorizzata per venerdi 19 febbraio 2010 alle ore 20,30 presso la sala Albertina. > Porrajmos > La persecuzione e lo sterminio nazifascista dei Rom e dei Sinti presenta Paolo Finzi, redattore della rivista anarchica “A” e produttore del DVD a forza di essere vento lo sterminio nazista degli Zingari - Alla Barriera Albertina Novara

Quindi senza una causa e senza un atto motivato si vuole impedire un diritto di manifestare da parte di chi si oppone alla xenofobia e al razzismo delle forze politiche che occupano le poltrone di sindaco e di assessore alla sicurezza.

Ci ricordiamo quello che avvenne nel maggio 2008 quando le bande xenofobe e razziste sdoganate dal Governo e sentendosi protetti dall’Amministrazione Giordano hanno assaltato nella notte di sabato (durante la cosiddetta notte bianca) il campo Rom di via Fermi, che per un puro caso non ha provocato una strage.

Condanniamo fermamente queste azioni criminali che da un po’ di tempo si stanno verificando in diverse parti d’italia in nome di una strumentale “voglia di sicurezza” dove vengono aggrediti cittadini e persone considerate diverse, che diventano le prime vittime dell’intolleranza.

Gli Antifascisti Novaresi non lasceranno passare sotto silenzio simili gravi atti squadristi e chiamano tutti i democratici alla vigilanza e a promuovere iniziative di contrasto contro il dilagare dell’intolleranza e del razzismo comunque mascherato.

Per questo respingiamo questo divieto e ribadiamo la nostra presenza alla barriera Albertina per venerdì 19 febbraio 2010 alle ore 20,30 partecipate numerosi in difesa dei diritti di manifestare il proprio pensiero.

Antifascisti Novaresi

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Di Fabrizio (del 23/02/2010 @ 09:47:16, in Italia, visitato 1796 volte)

BresciaOggi.it CRONACA IL CASO. La «ribellione silenziosa» dei nomadi di via Orzinuovi
Gordon Quirini: «Pochi mesi fa ho perso un figlio per colpa di un virus. Non voglio che accada ancora»
22/02/2010

I sinti ieri sera durante il trasloco in via Orzinuovi FOTOLIVE/Morgano

«Non possiamo andare avanti così. I nostri figli stanno male, è tutto inverno che li portiamo in ospedale, lo scorso anno mia moglie, incinta di sette mesi, perse un bambino perchè si ammalò: io non voglio che questa situazione si ripeta». Parole di Gordon Quirini, una delle centocinquanta persone che abitano il campo nomadi di via Orzinuovi 108 e che da tempo si trova a vivere in condizioni igieniche proibitive. Una realtà che cozza con quella delle «casette» fatte costruire con fondi regionali dalla giunta Corsini qualche anno fa: tredici abitazioni che possono ospitare altrettante famiglie. Strutture vuote che l'attuale amministrazione comunale ha provveduto a far chiudere tenendole sorvegliate per evitare qualsiasi tipo di inconveniente.

MA DA IERI SERA, con il calare della luce, nell'area davanti a quelle abitazioni (civico 100 di via Orzinuovi) hanno iniziato a fare capolino alcuni sinti in fase di trasloco dal campo nomadi situato a una ventina di metri. «Non possiamo occupare le abitazioni perchè sarebbe un reato e non è giusto - assicura Gordon Quirini - : però vogliamo far sentire la nostra voce a chi amministra Brescia, siamo dei residenti che vorremmo poter usare quelle case che, in fondo, sono state fatte anche per noi. Siamo pronti a usarle, le nostre famiglie ormai vivono in condizioni sanitarie impossibili. Basti pensare che non siamo nemmeno in possesso delle fognature, è chiaro che in una stagione del genere non possiamo andare avanti. Non abbiamo nessuna intenzione violenta, vorremmo solo trovare una soluzione che sia ideale per entrambe le parti».

Stamattina, quando l'occupazione dell'area antistante le «casette» sarà completate ci sarà l'inevitabile presa di posizione dell'amministrazione comunale: la zona è videosorvegliata, è improbabile che l'operazione dei sinti sia passata sottotraccia. Probabilmente ci saranno dei colloqui, degli scambi di vedute e chissà che, quelle casette costruite dalla giunta Corsini non possano essere date in uso ai sinti. A giovarne sarebbe soprattutto la salute dei quaranta bambini che abiterebbero nel campo di via Orzinuovi.

Daniele Bonetti

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Di Fabrizio (del 23/02/2010 @ 15:15:25, in Italia, visitato 1683 volte)

17 febbraio 2010 - Segnalazione (file .doc) di Agostino Rota Martir

Che vergogna essere livornesi stamani, che vergogna essere o quantomeno dirsi cristiani di fronte alla distruzione di un campo rom.

Stamani ero in via del Levante dove dei poveretti si erano costruiti delle baracchine dove dormire, per ripararsi dal freddo, visto che non hanno soldi per pagarsi un qualsiasi alloggio nella nostra città. Sono gli stessi che troviamo ai semafori o fuori dai supermercati o fuori dalle nostre chiese, con la mano tesa a elemosinare qualche spicciolo per mangiare o da portare a casa, in Romania, dove, spesso, hanno lasciato i loro bambini con qualche parente più anziano.

Vorrei riportare in queste poche righe il loro dolore, la rabbia, l'impotenza insieme alla mia indignazione per un azione come quella dello sgombero che, se non è seguita da un'alternativa abitativa per queste persone, è soltanto un intervento non solo profondamente inutile (in fin dei conti si sposteranno da un'altra parte) ma fondamentalmente dannoso e sicuramente distante anni luce - come ama dire il nostro Sindaco della sua politica rispetto a quella del sindaco di Roma - distante anni luce, dicevo, da quella politica di accoglienza necessaria ed urgente per la nostra città.

Eccole le domande dei rom: "Ma perché il Comune non ci aiuta?" "Perché ci mandano via anche dai semafori? Lavoro non lo troviamo, ai semafori non possiamo stare? Dobbiamo rubare?" "Vedete? Noi non rubiamo... non prendiamo i vostri bambini... già è difficile mantenere i nostri... Perché dovremmo prendere i vostri?!", ride la ragazza rom mentre lo afferma. Il ragionamento non fa una piega, purtroppo spesso i pregiudizi ci sono proprio perché non ragioniamo. "Perché stamani non è venuto nessuno del Comune? Per parlare con noi, per dirci dove possiamo andare?" "Noi siamo gente come voi... Anche dalle Chiese ci mandano via... Dove andiamo a dormire stanotte? "Domande rimaste senza una risposta. E' l'ora che la nostra amministrazione, la diocesi livornese e chiunque abbia a cuore la costruzione di una società migliore si adoperino per trovare, insieme, delle soluzioni.

Isabella Bianchi - Livorno

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