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\\ Mahalla : Articolo
Brescia: Addio Moravska
Di Sucar Drom (del 15/12/2005 @ 02:11:37, in media, visitato 2030 volte)
Venerdì 16 dicembre alle ore 21.00, presso l'Auditorio Santa Dorotea in via Cocchetti a Capo di Ponte (BS), ci sarà il primo appuntamento di "Storie, documentari per capire la Storia del presente e del futuro", ciclo di incontri promosso dalla Fondazione Cocchetti.

Si comincia con "Addio Moravska" (2004) un lungometraggio scritto e diretto da Maurizio Orlandi, che racconta la storia della famiglia rom di Speito Fetahi e di altre famiglie rom kossovare, costrette a scappare dal loro paese in seguito alla guerra nei Balcani nel 1999.

Un documento importante per comprendere una cultura diversa dalla nostra e conoscere la Storia attraverso il linguaggio cinematografico.
Ingresso libero.

La Fondazione Cocchetti è situata a Cemmo, nel Comune di Capodiponte, centro della media Valle Camonica in provincia di Brescia.
Per informazioni, telefonare in orario d'ufficio al seguente numero:
tel. 0364. 331284.

Il DOCUMENTARIO CREATIVO
Maurizio Orlandi, insegnante e regista, ci spiega il senso del suo lavoro
e offre delle utili indicazioni agli insegnanti

Intervista realizzata da Alberto Pian, tratta da E-Didateca
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Maurizio Orlandi insegna italiano e storia al liceo. Promotore di un laboratorio audiovisivo di storia. Ha realizzato il primo film nel 1997; non ha più smesso e ora è un regista professionista. Il suo genere preferito: il documentario creativo.

Com'è nato in te questo interesse per il film, dal lato della produzione?
Quando nel 1997 - 98 partecipai a un seminario di storia contemporanea sull'unicità di Auschwitz, dell'olocausto. Lì ebbi l'idea che la memoria si poteva ricuperare e raccontare. Realizzai il primo documentario fra Auschwitz e Birckenau, facemmo due ore di girato con una semplice videocamera in VHS, da cui poi si realizzò un video in b/n e che vinse il secondo premio al Torino film festival.

E' in quel periodo che hai formato il laboratorio della tua scuola? E come si è sviluppata questa tua passione?
Si, avevamo una concezione di scuola molto aperta, così io e qualche altro collega fondammo il LAG (Laboratorio Audiovisivi del Giusti). Il laboratorio era diviso in due sezioni, una teorica, di storia del cinema,che prevedeva uscite settimanali serali con gli allievi. Serali perché si voleva proprio andare al "vero" cinema, non alle proiezioni dedicate alle scuole. La seconda sezione era invece più tecnica, legata al lavoro di insegnamento di letteratura e storia. Così abbiamo fatto un lavoro di tipo biografico su una persona di Firenze, un partigiano del 1944 molto importante ma pochissimo conosciuto e abbiamo cercato di ricostruire la sua storia, entrando proprio nei luoghi della memoria, abbiamo indagato a lungo e ricostruito alcuni aspetti della sua vicenda, come il confino a Ventotene. Abbiamo girato in betacam e anche questa produzione fu riconosciuta al Torino film festival.
Nel 2000 abbiamo avuto un finanziamento dal Comune di Torino e, sotto la mia regia, i miei allievi hanno partecipato a un percorso completo di costruzione del film. Con questa produzione abbiamo vinto il primo premio al Torino film festival. Il film, girato in digitale, si intitola: "Quei ragazzi del borgo del fumo". Si tratta di un quartiere di Torino, il quartiere Vanchiglia, un tempo pieno di ciminiere, con la nebbia del fiume. Abbiamo incontrato un grande testimone, una persona anziana che ci ha fatto entrare nella storia. Questa testimonianza è stata il leit motiv del film. Inoltre abbiamo anche ricuperato dei filmati storici della città sotto i bombardamenti. Sono riprese drammatiche realizzate dai Vigili del fuoco che entravano nelle case incendiate e distrutte con le cineprese. Li abbiamo reperiti nei loro archivi. In questi film tocchiamo aspetti emotivi anche molto diversi: dalla gioia della Liberazione alla "resa dei conti", la caccia al fascista.

Quali sono i lavori più recenti che hai svolto? Il tuo genere è il documentario, specialmente quando si incontra con la "memoria"...
L 'ultimo documentario che ho realizzato si intitola "Romani rat" (la notte dei rom"). Parla degli zingari, della loro vita, certo, ma soprattutto del loro viaggio verso i campi di sterminio. Anche con gli zingari, infatti, è stato intrapreso un piano di azione molto preciso. Noi abbiamo ripercorso questo viaggio, dal campo Rom di Arrivore fino ad Auschwitz. Lo stesso loro viaggio. Con noi c'erano un Rom, che ha svolto il ruolo dei personaggio protagonista del film e poi un responsabile dell'ufficio stranieri e una antropologa polacca. Siamo passati e ne siamo stati ospiti, nei villaggi sperduti degli zingari. Il film è stato finanziato dalla Commissione Europea, dalla Regione Piemonte, dalla Provincia di Torino ed è stato anche patrocinato aella Shoah Foundation di Los Angeles (l'associazione di Spilberg, che ci ha messo a disposizione alcune interviste significative). Il film è stato venduto e adesso gira nei canali satellitari.

Attualmente sto lavorando sugli anni '60 a Torino in collaborazione con il prof. Fabio Levi, dell'Università di Torino. Vogliamo ricostruire alcuni aspetti della storia di quegli anni portando la nostra attenzione sulla banda Cavallero e in particolare su Piero Cavallero, un personaggio significativo per la sua storia, le vicende che ha attraversato in quegli anni. Un altro lavoro che sto facendo è un piccolo corto, una storia sugli anni settanta, insieme a un regista milanese che sarà presentato al prossimo Torino film festival, si intitola, "Ultima partita" è una vicenda scherzosa e seria allo stesso tempo che ruota attorno a una squadra di calcio di quartiere che esiste tutt'ora e che ispira il leit - motiv del film.

So che anche i tuoi allievi partecipano alla realizzazione dei film: si tratta di un momento didattico importante?
La storia come disciplina di studio è sempre meno apprezzata dagli allievi. Perciò si rischia l'oblio, si rischia di non capire il valore della memoria. E già... su questo punto forse si fanno troppe cerimonie e si realizzano pochi fatti. Ecco, noi abbiamo cercato di ricostruire i fatti. I ragazzi si sentono protagonisti, quando parlano con i testimoni ed entrano veramente nella storia. Questo connubio fra regia di genere storico e sociale e insegnamento ha dato dei risultati molto interessanti. Basta sapere che tutte le attività nelle quali coinvolgo i miei allievi si svolgono in orario extrascolastico e quindi i ragazzi dimostrano una partecipazione attiva.

Come sei entrato nel mondo della regia professionale?
Dopo un certo numero di anni di esperienze sono ora entrato nel campo della regia professionale e, diciamo così, ho un mio target. Inizialmente sono partito dalla narrazione: dapprima scrivevo le storie poi chiamavo un regista. Successivamente ho intrapreso il passaggio. Ora dirigo io stesso i miei film. E non solo: sto anche imparando a fare le riprese, penso che ci siano molte cose da imparare e sono tutte molto interessanti.


Puoi spiegarci come imposti il tuo lavoro?
Fondamentalmente ci sono due modi per realizzare dei documentari. Si può partire da un'idea, in questo caso si gira molto, si fanno molte riprese, si cerca di accumulare molto materiale e vario e quindi in post - produzione si "inventa", letteralmente, il documentario. In questo caso il montaggio ha una funzione decisiva. Io invece preferisco scrivere dapprima l'idea, quindi l'ideazione e in seguito il soggetto. A questo punto approfondisco l'idea e stendo il trattamento. Seguo le regole canoniche non perché debba essere così, ma perché a me piace molto scrivere e poi perché ci sono arrivato gradualmente. I primi film erano meno "programmati", più "liberi". Poi ho maturato l'esigenza di avere delle immagini ben precise, come le desideravo io e quindi ho imparato a essere più rigoroso, a impostare una struttura narrativa che avesse un momento iniziale, per presentare l'argomento, quindi il tempo di far venir fuori i personaggi, poi il culmine drammatico e l'avvio verso la conclusione.

I miei documentari sono creativi e non "tradizionali" vale a dire del genere reportage, con voce fuori campo, ecc. Cerco sempre di partire da una storia, seguo il più possibile il trattamento, anche per ottimizzare il momento produttivo. Poi è ovvio che se trovi qualcosa di particolare, un soggetto, un personaggio, ecc.rivedi il tuo lavoro. Io presto attenzione anche al carattere dei testimoni, per esempio desidero poter avere nel film un testimone con un certo tipo di personalità. Dunque bisogna fare delle ricerche, e bisogna rendere proficue le riprese per ottimizzarle dal punto di vista dei costi e perché siano utilizzabili nella fase del montaggio. Così ho imparato veramente a fare un piano, ad arrivare fino al trattamento e ad esserne fedele. Di solito faccio un grande lavoro di scrittura.

Un primo piano non deve essere messo a caso. Neppure in un documentario e così una soggettiva, una dissolvenza. Tutte queste cose devono avere una relazione con lo sviluppo drammatico della storia. Forse come insegnante di lettere mi sento a mio agio in questo ambiente: vivo nella narrazione, ma da un punto di vista tecnico c'è sempre molto da imparare, bisogna farlo con umiltà e grande voglia di raccontare.

L ' ultimo documentario che uscirà fra poco, sul Kossovo, si intitola "Addio Moravska". E' il racconto della fuga di una famiglia di rom durante la pulizia etnica. L'ho girato in digital betacam (un betacam digitale). Tratta degli zingari di Pristina e abbiamo usato anche il loro video, sono filmati sporchi girati da loro stessi durante le feste, i matrimoni, sono riprese in VHS del 94 - 95, di cattiva qualità, ma siamo riusciti a combinarle con il materiale che abbiamo girato e l'effetto è molto bello.

Che cosa potresti dire a un insegnante che desidera utilizzare le tecniche video in classe? Che cosa potrebbe fare con i suoi allievi?
Che potrei dire agli insegnanti? Di lavorare sulle storie dei ragazzi, delle loro famiglie, rendendoli portagonisti, attori. Per esempio penso a un lavoro basato su quattro "tipologie" di giovani, non so: un "tamarro", un "alternativo", un "cabinotto", un "perbene normale", ecc. Pensa a quante storie ci sarebbero da raccontare. I loro quartieri, le loro famiglie, le loro città, gli amici, il tempo...

Oggi vedo che gli insegnnati hanno molte difficoltà e la scuola sembra in profonda crisi. Spesso devono tenere in piedi una disciplina che crolla, letteralmente. Hanno dunque bisogno di nuovi linguaggi, di comunicazione, di fare qualcosa insieme ai giovani. Così quello del genere documentario creativo potrebbe essere un buon suggerimento: si parte da un personaggio, per esempio un allievo stesso, o un altro e si entra nelle sue storie. Tutta una classe potrebbe essere coinvolta: si parte e si va a intervistare la nonna o il cugino.

Se provi a ricostruire tu stesso, a partecipare, allora anche l'atteggiamento nei confronti del film e della cultura in genere cambia. Andiamo a casa di Pinco e lo riprendiamo con i suoi genitori, di dove sono? della Calabria, allora la mamma serve anche la sardella?
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