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Incontro della Commissione Europea sui Rom
Di Fabrizio (del 09/04/2010 @ 09:38:52, in Kumpanija, visitato 2368 volte)

Da Baltic_Roma (interessante ma lunghetto. Potete farcela, lo so)

Roma Buzz Aggregator Bruxelles 10 marzo 2010 - concetti chiave di Ian Hancock  

Al primo incontro della Commissione Europea sul popolo romanì (in tutto il testo si usa il termine romanì per comprendere le varie popolazioni rom, sinte, kalé e romanichals, ndr) nel settembre 2008, il presidente José Manuel Barroso disse "la drammatica situazione dei Rom in Europa non può essere risolta a Bruxelles", e premeva perché quella "non diventasse solo un'altro incontro di chiacchiere". L'unica decisione presa fu di indire un altro incontro. Così ora ci troviamo un'altra volta a Bruxelles, e siamo proprio qui a discutere su come risolvere la drammatica situazione. Non lasceremo niente di irrisolto, continueremo a cercare e forse potremo esplorare nuove direzioni che ci porteranno alle soluzioni che tutti noi cerchiamo.

Prima di iniziare questo incontro molto importante, mi è stato chiesto di condividere con voi alcuni pensieri sull'attuale situazione dei Rom, tanto dalla prospettiva contemporanea che da quella storica, e di fornire alcuni spunti sui principali elementi che dovrebbero essere considerati quando si pianificano le future politiche ed i programmi per l'inclusione dei Rom.

I due decenni passati hanno visto enormi cambiamenti sia per il popolo romanì, che per quanti ci studiano e lavorano con noi. Per molti romanì, questi cambiamenti hanno significato adattarsi un'altra volta a nuovi ambienti tipicamente ostili, cercando sicurezza nel lavoro, nell'istruzione, nell'alloggio e nell'assistenza sanitaria e legale. Per il mondo non-romanì ha significato fare posto ai nuovi arrivati, che si presentano con un bagaglio complesso di stereotipi ed un'eredità di persecuzioni.

Dopo il collasso del comunismo venti anni fa, centinaia di migliaia di Rom dell'Europa orientale si sono riversati verso ovest in cerca di una vita migliore. Per gli occidentali, una colorita ed assolutamente inoffensiva popolazione che era ristretta nell'opinione pubblica a film e libri di racconti, improvvisamente divenne una presenza reale ed evidentemente minacciosa. Questo non ha riguardato la sola Europa occidentale; pure nei paesi d'oltreoceano ci sono stati casi simili, basta vedere la ricezione ostile dei Rom dalla Repubblica Ceca e dall'Ungheria in Canada, per esempio.

Quattro anni fa in Italia c'erano 180.000 Romanì, ma oggi sono meno di un quarto di quel numero. Tra loro, quelli dalla Romania sono meno di 6.000, 4.500 dei quali sono incarcerati, soprattutto per accattonaggio, furto, resistenza ed ingresso illegale (queste cifre - di cui ignoro la fonte - non corrispondono ai dati ufficiali sulla presenza di Rom e Sinti in Italia, ndr). Questi sono, incidentalmente, proprio gli stessi crimini esposti nello Zigeunerbuch di Dillman del 1905, che spianò la strada al genocidio nazista. Non ci sono proiezioni certe di quanti Rom siano ora apolidi attraverso l'Europa, anche se le stime danno un numero di 10.000 in Bosnia, 1.500 in Montenegro, 17.000 in Serbia e 4.090 in Slovenia.

I rapporti rilasciati dall'Agenzia UE per i Diritti Fondamentali lo rendono chiaro in maniera cristallina: il razzismo contro i Rom è dappertutto in crescita attraverso l'Europa. Oggi i Rom sono poveri, marginalizzati, disoccupati e senza casa (o mal alloggiati) come mai in passato. Sono tanto lontani dal vivere la vita di normali cittadini nel loro paese come lo erano prima dell'espansione UE, e vengono fatti paragoni con l'atmosfera della Germania negli anni '30. Negli ultimi due anni, almeno dieci Rom sono stati uccisi - e questi sono solo i casi riportati. Si stima che l'80% degli incidenti di antiziganismo non siano stati denunciati. Le famiglie sgomberate lasciate per strada dopo che i loro insediamenti sono stati demoliti sono particolarmente vulnerabili ad atti di violenza di bande ostili. Sono comuni pestaggi e violenze.

Nel settembre 2001, un lancio d'agenzia della BBC dichiarava che il Consiglio d'Europa "ha lanciato una rovente condanna sul trattamento dell'Europa verso la comunità zigana, dicendo che sono oggetto di razzismo, discriminazioni e violenza... le Nazioni Unite dicono che sono il più serio problema nei diritti umani in Europa." Un editoriale di The Economist nel 2005 descriveva i Romanì in Europa come "in fondo ad ogni indicatore socio-economico: i più poveri, i più disoccupati, i meno istruiti, con la più bassa aspettativa di vita, i più dipendenti dal welfare, i più imprigionati e più segregati." Un rapporto UE la chiamava "una delle più importanti questioni politiche, sociali ed umanitarie nell'Europa di oggi". Siamo a metà nel Decennio dell'Inclusione Rom, ma chiaramente i risultati degli sforzi per arrivare ad un cambiamento devono essere ancora giudicati, e sinora non abbiamo fatto molto bene.

Pure quanti sono passati prima di noi non hanno avuto successo. Stavo leggendo recentemente un rapporto di quarant'anni fa, pubblicato da Studi Sovietici, che descriveva la situazione dei Rom in un particolare paese del blocco orientale. Vi si dice che mentre il sistema aveva creato tutti i prerequisiti necessari per affrontare il "problema Zingaro", quei "prerequisiti" non stavano funzionando. Quel "problema Zingaro" era descritto come "mancanza di comprensione della formula deterministica Marxista" da parte dei Rom, incolpati per aver ereditato le nozioni pre-comuniste del capitalismo e, con una o due eccezioni, gli Zingari erano ancora "mendicanti, ladri, violenti ed un flagello nel paese," cito da un rapporto governativo. Eravamo da rimproverare perché eravamo deliberatamente antisociali aderendo alla nostra distinta identità, dato che come popolo, dicevano, provenivamo dallo stesso ceppo razziale della popolazione non-romanì. Ciò contraddice, tra l'altro, un ministro degli esteri rumeno, che dichiarava pubblicamente non molto tempo fa che la criminalità è una caratteristica razziale, che ci pone a parte dal resto della popolazione. Non soddisfacevamo la definizione di Stalin di nazionalità, sostenevano quei rapporti, perché "non possedevamo né un comune territorio, né una cultura comune ed un unico modo di vita." L'ideologia marxista diede ai Rom un'identità sociale, ma non una etnica.

Quattro decenni di comunismo non sono bastati a risolvere il loro "problema Zingaro", ed altre due decadi che sono passate non hanno compiuto molto. E vero che abbiamo visto un certo numero di cambiamenti positivi, per esempio il governo ceco ha recentemente bandito il Partito dei Lavoratori, in quanto xenofobo ed una minaccia alla democrazia, citando espressamente i suoi attacchi contro i Rom. Ma per ogni passo avanti, c'è chi opera contro di noi. Il governo francese è appena finito sotto le critiche per aver mancato di fornire una sistemazione adeguata ed il diritto di voto ai Viaggianti; il più recente rapporto sulla Svizzera della Convenzione Quadro per la Protezione delle Minoranze Nazionali ha detto che non stava studiando la possibilità di ratificare la Convenzione 169 dell'Organizzazione Internazionale del Lavoro a causa delle preoccupazioni che il trattato potrebbe significare per i Rom; il Canada sta progettando una nuova legge sull'immigrazione che darà al Ministero dell'Immigrazione il potere di dichiarare quale paese sia sicuro in Europa, così da stabilire da quali paesi non possano arrivare i rifugiati. Possiamo prevedere che tutti i paesi UE rientreranno in questa lista, cioè che con la nuova legge i Rom non potranno più chiedere asilo in Canada.

E' quasi prevedibile che qualsiasi rapporto formale sui Rom userà la parola problema; una rapida ricerca che ho fatto il mese scorso su Internet delle parole "problema Zingaro (Gypsy problem nell'originale, ndr)" scrivendo questa presentazione, mi ha ridato oltre 22.000 risultati. Ripeto: una ricerca su Internet delle parole "Gypsy problem" mi ha ridato oltre 22.000 risultati.

Dovrebbe forse essere più apertamente riconosciuto che abbiamo anche un problema gadjo; dopotutto, quei 22.000 risultati su Internet non sono originati con noi. Ma la realtà è che noi Romanì e voi gadjè abbiamo tanti problemi l'un l'altro. E devono essere affrontati [...] proprio come in un matrimonio riuscito le parole chiave sono comunicazione e compromesso.

Vivo, come un numero crescente di Romanì, con un piede in due mondi, e posso identificare diverse di queste tematiche da entrambe le prospettive. Il mondo non-Romanì ci vede come eterni outsider, che non vogliono ancora adattarsi, viventi di furti ed inganni, che tutto prendono mentre non contribuiscono a niente, eccetto forse l'intrattenimento - urlanti, sporchi e con una coda di disordine dietro di noi.

Dal nostro punto di vista, il problema più schiacciante con i gadjé è il razzismo. E' direttamente alla base e sostiene gli altri problemi - quelli della povertà, della disoccupazione, della scuola, della sanità e della casa, e nei diritti umani e civili. La povertà di alcune popolazioni romanì è assolutamente opprimente. Nel 2006 un rapporto della Banca Mondiale diceva "I Rom sono il gruppo a rischio più povero in molti paesi dell'Europa Centrale ed Orientale. Sono più poveri di altri gruppi, più facili a cadere nella povertà, e più facili a rimanere poveri. In alcuni casi i tassi di povertà per i Rom sono dieci volte superiori a quelli dei non-Rom. Una recente ricerca ha trovato che quasi l'80% dei Rom in Romania e Bulgaria vivevano con meno di $4,30 al giorno... persino in Ungheria, uno dei paesi di nuovo accesso più prospero, il 40% dei Rom vivono sotto la linea di povertà." George Orwell scrisse che "il primo effetto di povertà è che uccide il pensiero." Benché vederci come vittime, è un gioco a perdere; dobbiamo usare le nostre capacità per cambiare la nostra situazione, e se non abbiamo queste capacità dobbiamo acquisirle. Infine, dobbiamo contare su noi stessi. Il mondo fuori non risolverà per noi i nostri problemi e se ce lo aspettiamo, sarà una lunga lunga attesa.

Quindi, che fare?

Una gran targa sul muro del mio ufficio recita che L'Istruzione è il Passaporto per la Libertà. Lo credo fermamente, e insisto perché facciamo dell'istruzione la nostra più alta priorità nelle discussioni che seguono qui a Bruxelles. Non elaborerò sulle questioni più pesanti che provengono dal razzismo, la soluzione verrà una volta che adeguati programmi educativi verranno progettati ed applicati. Così come questioni riguardo il lavoro e la casa esistono a causa del razzismo, la loro soluzione arriverà attraverso l'istruzione. E non parlo semplicemente di educare il popolo romanì, ma anche la popolazione non romanì.

Ho puntualizzato recentemente in una pubblicazione che la vaghezza riguardo l'identità romanì ha permesso la manipolazione con indifferenza di chi ci è estraneo, e questo mi porta al punto focale del mio discorso [...]. Se avessimo saputo chi siamo, e avessimo avuto la possibilità di essere ascoltati, avremmo potuto dire la nostra su come siamo ritratti. Se un giornalista vuol dire che siamo originari dell'Egitto, come è successo di recente, chi siamo noi per dire che non è così, e cosa diremmo per correggerla, e dove mai sarebbe ascoltata e conosciuta questa protesta? Abbiamo perso noi la nostra storia molti anni fa così non possiamo raccontarla, ed il mondo non-romanì non si tirato indietro nel fornire varie identità al posto nostro. Non credo che potremo fare la storia se non ne conosciamo la nostra; Alain Besançon ha detto che "un uomo senza memoria è assolutamente plasmabile. E' ricreato in tutti i momenti. Non può guardarsi indietro, neanche sentire una continuità con sé stesso o preservare la sua identità." Finché i racconti sugli Zingari influenzeranno i giornalisti ed il ritratto romanzesco che ne consegue, finché gli esperti dell'ultimo momento nei media saranno fiduciosi di poter scrivere senza nessun controllo, finché la loro immaginazione avrà le briglie sciolte, continueremo ad "essere ricreati ad ogni momento," come dice Besançon, senza mai il controllo della nostra identità.

Senza istruzione non possiamo essere articolati, manchiamo di una voce abbastanza forte. Ci lamentiamo, ma non siamo uditi. Ci recente cinque membri dell'Alleanza Civica Rom presenti ad una conferenza sui Rom a Bucarest, sono stati allontanati quando hanno criticato l'inazione del governo. La loro voce è stata soffocata. Senza istruzione non possiamo dire chi siamo e da dove veniamo, e come abbiamo avuto la forza e la determinazione di sopravvivere a secoli di persecuzioni, schiavitù e genocidio ed essere ancora qui. Quando avremo i nostri educatori, avvocati e dottori, non avremo più bisogno di appoggiarci al mondo esterno, e di andare dai gadjé con le mani protese. Fintanto continueremo a farlo, non saremo mai rispettati. A tal riguardo, non vogliamo che i non-romanì ci amino, ma vogliamo il loro rispetto.

I programmi di studi per i Rom devono essere pianificati con attenzione. Promuoveranno l'integrazione o l'assimilazione? Le generazioni più anziane saranno confortate nel sapere che non si tratta di convertire i loro figli in gadjé, cosa che è la grande paura tra i Romanì d'America. A sua volta, la formazione sui romanì nelle scuole pubbliche deve presentare la nostra storia e cultura in maniera uniforme.

Ho già menzionato i media. Mentre potrebbero essere un potente alleato, sono assolutamente l'opposto. Un quarto di secolo fa Kenedi Janós scrisse "i media di massa, in maniera velata, e spesso esplicita, incitano l'opinione in una direzione anti-zingara." I giornali disseminano regolarmente opinioni spacciandole per notizie. I giornali plasmano la mente delle persone. Creano attitudini. Quando il più grande quotidiano rumeno, Evenimentul Zilei, scrisse che "Si ritiene che gli Zingari siano geneticamente inclini a diventare criminali" ripeteva le ragioni di Hitler per lo sterminio dei Romanì nel III Reich. Quando un altro giornale rumeno, Cronica Romana, avvisa i clienti a non fare affari con un venditore perché "il colore della sua pelle" è indicativo del suo essere "poco credibile", il messaggio è chiaro. E questa non è un'attitudine ristretta alla sola Europa centrale e orientale. In Inghilterra titoli come "Zingari! Non potete entrare!" dal Sunday Express o quello del Sun "Quanto tempo prima di mandarli fuori a calci?", per esempio, hanno infiammato l'ostilità pubblica e segnato l'opinione pubblica con l'antiziganismo. Sono rimasto scioccato nell'apprendere che la Foreign Press Association ha appena premiato la produzione della BBC "Bambini Zingari Ladri" col Media Award per la miglior Storia Televisiva dell'Anno. La mossa irresponsabile da parte della BBC, nel trasmetterlo per la seconda volta nonostante le proteste delle organizzazioni romanì in seguito alla prima proiezione sei mesi fa, a cui la Foreign Press Association ha replicato che lo scopo di "aumentare la comunicazione e la comprensione tra le ricche diversità delle culture di questo mondo e la comunità globale" è un travisamento. Dal documentario non arriva nessuna comprensione della situazione di quei bambini, ed in nessun modo ha presentato la nostra "ricca cultura". Invece ha aiutato a rafforzare ancora di più la crescente romafobia in Bretagna, il paese dove sono nato, assicurando nuovi titoli d'odio nei giornali. Il documentario è stato presentato anche in Italia ed in Belgio, e sono arrivate proteste dal Centro Belga per l'Uguaglianza e dall'Autorità di Supervisione dei Media per gli Audiovisivi del Belgio.

Anche la stampa d'intrattenimento può perpetuare stereotipi, come solitamente quelli di romanzesco, di magico e mistero. Due titoli recentemente pubblicati sono quello di Sasha White "Cuore Zingaro"; leggo sulla copertina: "Può un uomo piegato alla sedentarietà convincere una donna dallo spirito libero... a rischiare il suo Cuore Zingaro? Attenzione: questo libro contiene immagini esplicite di sesso con linguaggio contemporaneo," e quello di Isabella Jordan "Zingari, Vagabondi e Calore: un'Antologia del Romanzo Erotico", che recita ai lettori: "Perdetevi negli occhi scuri e nella sfera di cristallo di un amante zingaro!"

Anche i film presentano i Romanì in maniera negativa, soprattutto quelli di intrattenimento. Ora con Il Lupo Mannaro, un anno fa guardavamo Drag Me to Hell e prima Thinner. La prima esperienza con gli Zingari dei miei studenti fu attraverso la versione disneyana del Gobbo di Notre Dame. Su internet c'è un link apposta per "Film zingari maledetti (Gypsy curse movies, ndr)", e digitandolo su Google ritorna oltre 64.000 risultati.

Mentre nel documentario della BBC c'era un rapido riferimento alle vergognose esperienze provate dai Rom nell'Europa di oggi, non è stato fatto nessun tentativo o analisi per spiegare come si sia arrivati a questa situazione, nessuna spiegazione della profonda eredità psicologica che i Rom rumeni hanno ereditato da 550 anni di schiavitù, a dire il vero neanche una menzione a questa schiavitù, quando sono stati gli ex schiavisti a ricevere un indennizzo dal governo per la loro perdita, quando non è stato creato nessun programma per aiutare l'integrazione degli ex schiavi romanì, non istruiti e senza un soldo, nella società libera. Non c'è menzione in quel documentario neanche al fatto che dopo l'Olocausto i sopravvissuti romanì al genocidio ritornarono dai campi senza alcun aiuto, senza indennizzi di guerra, a ricostruire le loro vite frantumate in un mondo ostile dove le leggi contro di loro erano ancora in vigore.

I Cinesi dicono che l'inizio della saggezza è chiamare le cose col loro nome esatto. Se trattiamo gli "Zingari" come un popolo unico, una "comunità", stiamo semplificando una situazione complessa ed ignorando le grandi differenze che distinguono le differenti popolazioni romanì. A luglio2007, Newsweek International pubblicò una storia intitolata "In tutto il mondo, la gente sta abbracciando la cultura dei Rom", ma naturalmente non abbiamo una singola cultura, e le culture che abbiamo di sicuro non sono abbracciate dai popoli di tutto il mondo. [...] I Kaale finnici ed i Calé spagnoli hanno tra loro più differenze che similitudini; i Romanichals differiscono considerevolmente dai Kalderasha, e così via. Queste differenze sono state usate per negare alle popolazioni romanì qualsiasi identità etnica condivisa, ed invece per usare criteri sociali e comportamentali per definirci. La citazione di prima da Studi Sovietici è un esempio di quel modo di pensare, e tante volte ho ripetuto le parole del sociologo ceco Jaroslav Sus, che osservava come ci fosse "un'opinione assolutamente falsa che gli Zingari formino una nazionalità o una nazione, che abbiano una propria cultura nazionale, una propria lingua nazionale."

Invece di pensare negativamente in termini di identità, sulle cose che rendono differente un gruppo dall'altro, dovremmo pensare a tutto ciò che condividiamo in termini di lingua, cultura ed ascendenza. Dopo tutto, è il patrimonio che abbiamo portato in Europa. Le caratteristiche che ora ci dividono sono state acquisite dal mondo non-romanì.

Torniamo a quelli che secondo me sono i principali punti in questione.

Primo: procederemo guardando ai Rom d'Europa come una popolazione definita etnicamente o socialmente? E' chiaro che sinora si è trattato soprattutto del secondo caso, cosicché Romanì e non-Romanì sono stati solitamente raggruppati assieme, ad esempio dalle varie organizzazioni e festival Rom e di Zingari Viaggianti. Certamente, la causa comune è la ragione perché differenti gruppi lavorino insieme, e se è il caso continuino a farlo. Ma insisto che non è stata fatta abbastanza opera di conoscenza sulla distinzione culturale dei popoli romanì, distinzione di cui si deve tener conto, per esempio, nelle aree dell'insegnamento o della casa. Il fatto è che differenti sottogruppi romanì non sono ansiosi di lavorare tra loro, avendone la possibilità, lasciati soli con gruppi non- romanì che, dal punto di vista romanì, sono dopotutto gadjé.

Se i Rom devono essere guardati etnicamente, ci sono diverse questioni che saltano fuori immediatamente. Difatti, possiamo parlare di UN  popolo romanì? Bene, la risposta è sì e no. Provo a spiegarmi meglio.

Un'origine militare per i Romanì non è una nuova idea, in un secolo e un quarto di ricerche, studiosi come Goeje, Clarke, Leland, Burton, Kochanowski, Bhalla, Courthiade, Mróz, Haliti, Lee e Knudsen hanno concordato su questa ipotesi - l'invasione ghaznavida nel primo quarto dell'XI secolo portò alla fuga dall'India. Il lavoro di Soulis, Fraser, Marushiakova & Popov e più recentemente di Marsh hanno ancora di più dimostrato che fu l'espansione dell'Islam il principale fattore nella migrazione dei nostri antenati dall'Asia all'Europa durante il periodo medievale. Non scenderò qui nei dettagli storici e linguistici, sono presentati in un libro sui miei scritti di Dileep Karanth che a breve verrà pubblicato dall'Università di Hertfordshire. L'importante ora è capire che i nostri antenati non furono mai un popolo unico con un'unica lingua quando lasciarono l'India, ma includevano diverse componenti etnolinguistiche.

Altrove ho argomentato che come la nostra lingua, la nostra identità come Rom proviene dal periodo sedentario anatolico, lo status preciso di Indiani e la varietà dei linguaggi si cristallizzarono nella lingua e nel popolo romanì, particolarmente sotto l'influenza dei Greci bizantini. Non c'erano "Rom" prima dell'Anatolia.

Qui vorrei avanzare una prospettiva differente che, ritengo, fornisca un'alternativa di comprensione alla questione dell'identità, e sul perché la questione dell'identità confonda giornalisti e sociologi, e perché ci causi così tanti problemi.

Alla luce dei dettagli delle nostre origini e della nostra storia sociale condivisa o meno, bisogna trarre alcune conclusioni: Primo, che si tratta di una popolazione composita sin dall'inizio, che allora venne definita in base all'occupazione piuttosto che sull'etnia; Secondo, che mentre le componenti originarie - linguistiche, culturali e genetiche - sono tracciabili in India, essenzialmente costituiamo una popolazione che ha acquisito la sua identità e lingua in Occidente (accettando l'Impero Bizantino, cristiano e di lingua greca, come culturalmente e linguisticamente "occidentale"), e Terzo, che l'ingresso in Europa da quella che attualmente è la Turchia non avvenne come un popolo singolo, ma attraverso diverse migrazioni più piccole e forse in un intervallo di due secoli. Questi fattori combinati hanno creato una situazione in un certo senso unica, siamo cioè una popolazione di origine asiatica che ha passato essenzialmente l'intero periodo della sua esistenza in Occidente. Siamo il proverbiale pezzo quadrato che si tenta di infilare in un foro rotondo.

Visto che la popolazione era frammentata e si spostava in Europa nello stesso periodo in cui emergeva come identità etnica, non c'è senso di essere mai stati un popolo singolo ed unificato in un posto in determinato periodo. Possiamo parlare di "centro di ritenzione diretta" consistente di fattori genetici, linguistici e culturali tracciabili dall'Asia ed evidenti in misura maggiore o minore in tutte le popolazioni che si identificano come romanì, ma dobbiamo anche essere coscienti che tutte queste aree sono state aumentate attraverso il contatto coi popoli e le culture europee, e sono gli accrescimenti posteriori che rappresentano le differenze a volte estreme tra gruppo e gruppo.

Per qualcuno, la cultura romanì "pura" è stata praticamente diluita, talvolta da deliberate politiche governative come in Ungheria o Spagna nel XVIII secolo, anche se tali popolazioni sono nondimeno guardate come "zingaresche" dalla società maggioritaria sulle basi di apparenze, vestiti, nomi, occupazioni e stazionamento e come tali trattate, senza avere una tradizionale comunità etnica in cui cercare rifugio. All'estremo opposto sono le popolazioni romanì di numeri sostanziali, come i Vlax o i Sinti, che vigorosamente mantengono lingua e cultura e che a causa di ciò sono tenute fuori dall'accesso alla società europea maggioritaria. A causa di questa, non esiste una soluzione educativa unica buona per tutti i gruppi. Abbiamo bisogno di programmi specifici per gruppo - nel quadro delle più ampie specifiche nazionali.

Mentre questi forniranno la conoscenza di un'origine comune e della storia precedente, e spiegheranno le nostre differenze, non devono intendersi per unire tutti i gruppi in uno. Resta da vedere quale tipo di relazioni creeranno, ma idealmente dovrebbe ottenersi una sorte di comunanza - nei numeri c'è la forza.

Il secondo punto che vorrei fosse discusso riguarda i danni psicologici dovuti alle persecuzioni - non soltanto la paura che i Rom vivono giornalmente in molte parti, paura che ha effetti tanto mentali quanto fisici, ma il danno psicologico più profondo che la storia ha modellato. Non credo che vi sia stata data la dovuta attenzione. Nel 988 in Austria, nell'anniversario dell'Anschlüss, i sopravvissuti romanì raccontarono al reporter del London Times di essere ancora tormentati dalla paura delle ricorrenti persecuzioni naziste. Ci sono storie di isolate famiglie romanì nell'estremo est d'Europa che credono che i nazisti siano ancora al potere.

Alcuni Romanì pagano altro, un'eredità più pesante - una prospettiva di vita trasmessa da centinaia d'anni di schiavitù. Per oltre cinque secoli, i Rom Vlax non hanno avuto alcun potere decisionale. Questo ha creato un punto di vista che vede la situazione di Roma creata da chi non lo è, ed avendo questi generato il problema, sono a loro volta responsabili del trovare una soluzione. Non avendo autonomia interna o potere di risolvere i problemi, gli schiavi dovevano rivolgersi ai gadjé per ogni cosa. Se, per secoli, un popolo ha vissuto in una società dove ogni singola cosa, incluso cibo, vestiti e persino la/lo sposa/o era fornito dall'esterno, a discrezione del padrone, e l'ottenere qualsiasi extra, favori inclusi, dipendeva dal rapporto con quel padrone, si installa così il presupposto che è così che si sopravvive nel mondo. E mentre la schiavitù è stata abolita da un secolo e mezzo, sopravvivono rimasugli di quel modo di pensare. Non solo l'assistenza ed i beni materiali sono ricercati all'esterno piuttosto che nella comunità, ma anche il coltivare contatti utili ed influenti fuori dal mondo romanì è una priorità, e diviene un segno di prestigio. Uno può diventare il leader ella sua comunità su questa semplice base. Questo modo di pensare non incoraggia l'auto-determinazione o l'iniziativa personale, ma prima di essere individuato e cambiato, dev'essere compreso.

Per finire vorrei dire qualcosa su quanti talvolta sono chiamati pasaxèrja in Vlax americano. E' una parola che significa "passeggeri" e si riferisce non a quanti genuinamente vogliono lavorare con noi e ci aiutano nel cambiamento - sono benvenuti - ma invece a chi si è attaccato al carrozzone dell'Industria Zingara, chi ne ottiene un guadagno, scrive una o due cose su di noi quando l'argomento è scottante, e poi sparisce. E' gente che non ci conosce socialmente, e non ha comprensione sulla mentalità o cultura romanì. L'autore di uno dei più quotati lavori sull'etnopolitica dei Rom dell'Europa Orientale, ora dice nell'introduzione del suo libro "Non amo molto gli Zingari", un altro libro altrettanto di alto profilo sul trattamento dei Rom nell'Olocausto include le parole secondo cui noi siamo "con poche eccezioni, un popolo pigro, bugiardo, ladro e straordinariamente sordido...gente eccessivamente sgradevole da avere intorno". Questo tipo di persone servono a se stesse, prendono ma non danno niente. Parliamo anche di cosa fare a tal proposito.

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