 un racconto di Antun Blažević, in arte Tonizingaro
un racconto di Antun Blažević, in arte Tonizingaro
Camminava per le colline della sua infanzia ricordandosi che ancora 
esistevano, aveva voglia di raccogliere tutti i fiori del giardino creato da 
Dio, ma la mano vecchia e grinzosa, non aveva il coraggio di togliere la 
bellezza al mondo, le cose del giardino di Dio non si possono toccare, solo 
guardare e sentire. 
Si mise seduto sulla terra cercando di rubare il profumo che lo circondava, 
sapeva che questo era il suo ultimo giorno, sorrideva il suo vecchio viso pieno 
di rughe, ricordandosi il tempo passato su queste colline. Avanti gli occhi gli 
passavano le immagini delle corse con i cavalli, delle vecchie carovane, della 
sua famiglia intorno al fuoco che li scaldava durante le notti fredde. Si 
ricordava di tutto, era felice di sentire il profumo della terra ancora bagnata 
sulla quale era sdraiato guardando il cielo, dove le nuvole facevano il solito 
gioco che lo divertiva da quando era bambino: cercava di riconoscere qualche 
faccia, poi la vide... Era bellissima, sorrideva, poi a un tratto cominciò a 
piangere, le sue lacrime gli bagnavano il viso.
Non si muoveva, stava fermo cercando di capire perché lei piangeva, erano felici 
da quando si erano conosciuti: avevano solo tredici anni quando i loro genitori 
avevano deciso di sposarli, ancora gli veniva in mente il matrimonio, del quale 
sì diceva che non si era mai visto nelle vicinanze niente di simile.
Dio mio 
quanti ospiti. 
Erano venuti da tutti gli accampamenti conosciuti e sconosciuti. 
Portavano i doni ai nuovi sposi, sposati con il rito zingaro senza scrivere 
niente sulla carta, bastava la parola data, perché per lui la parola è sempre 
stata più importante di qualsiasi carta scritta. 
Il matrimonio si festeggiava per sette giorni, gli stessi giorni che Devla ha 
impiegato per fare il mondo, sette giorni e sette notti per onorare il sole, la 
luna, le stelle, il fuoco, la pioggia, la neve, onorare tutti gli accompagnatori 
della loro vita di nomadi. 
La tradizione diceva che tutti sono benvenuti, invitati e non, tutti si 
trattavano allo stesso modo, a parte gli anziani che avevano i posti 
privilegiati, quelli più vicini al fuoco per scaldare le vecchie ossa. 
Si facevano nuove conoscenze, baratti di ogni genere, c’era chi portava i 
cavalli e li vendeva per l’oro, si scambiavano i coltelli e ognuno diceva e 
giurava su Devla che il suo era stato fatto di un materiale speciale. Le donne 
fumavano le pipe osservando li bambini che si mettevano sotto li tavoli dopo 
aver rubato un pezzettino di dolce. Quando c’è un matrimonio tutti sono felici 
perché è festa e quando è festa si sa che si comincia a creare un’altra 
famiglia, quella che tramanderà le tradizioni e la vita. 
Ancora gli sembrava di sentire i suoni dei violini che accompagnavano il canto 
delle bellissime ragazze vestite con le gonne fiorite. 
Con i ragazzi che guardavano come muovevano i loro corpi sottili e le 
circondavano. 
Ancora si ricorda il viso preoccupato di sua madre per la prima notte di amore, 
poveraccia... Tutta la notte stava davanti la porta del carro per poter la 
mattina tirare fuori il lenzuolo bianco con una macchiolina di sangue per 
cominciare a urlare con voce forte e orgogliosa: era vergine e onesta, girando 
la testa verso l’alto ringraziando Devla. 
E lei, lei era bellissima con i capelli neri come il carbone e due occhi di 
smeraldo, ancora sentiva il profumo della sua pelle che profumava dell’acqua 
dove tutta la notte erano stati affogati i petali delle rose selvagge, che lei e 
le sue sorelline andavano a raccogliere nei vicini boschi, solo Devla sapeva 
quanto gli mancava in questo momento. 
Ha smesso di piangere, meno male perché lui non ha mai potuto sopportare che lei 
piangesse, non poteva sopportare la vista delle lacrime sul suo viso, infatti ha 
pianto solo due volte, quando era morto il loro primo figlio e la seconda volta 
quando si sposava il secondo: ne hanno concepito ben dieci di figli, ne sono 
rimasti vivi nove, ma lei è sempre rimasta con la stessa bellezza e il sottile 
corpo da ragazzina. Con mano tremante il vecchio si asciugò le lacrime dal viso, 
aveva chiuso gli occhi stanchi dalla vista di tutta questa bellezza che lo 
circondava, aprendoli vide davanti a sé un bellissimo cavallo bianco che lo 
spingeva con la testa come per dire: dai, alzati, facciamo una delle nostre 
solite corse. 
Lo aveva riconosciuto, era lo stesso cavallo che gli avevano donato i familiari 
della sposa. Il cuore gli diceva di alzarsi, ma le vecchia ossa non erano in 
grado di obbedire. Il cavallo aveva capito la sua difficoltà: abbassando la 
testa gli avvicinò le briglie, con la vecchia mano tremante e con enorme sforzo 
le prese e, alzandosi con grande fatica, salì sulla groppa del suo amico che con 
passi sempre più veloci si allontanò verso un posto lontano, dove regna la pace 
e dove c’è il tempo per un eterno riposo. 
Cronaca dei giornali; 
«Ieri è stato trovato dentro il più grande campo nomadi d’Europa, in condizioni 
disumane, il corpo di uno dei suoi abitanti, un vecchio zingaro che è scivolato 
sotto la pioggia ed è affogato in una pozzanghera d’acqua».
 Antun Blažević, in arte Tonizingaro, è nato nel 1961 a Sremska 
Mitrovica nella ex-Jugoslavia. Vive in Italia dal 1981, dove lavora, come 
mediatore culturale Rom, nelle scuole della capitale e presso l’Associazione 
Arci Solidarietà. Appassionato di teatro e di musica, cerca di svegliare le 
anime perdute, parlando, nei suoi spettacoli, dei diritti e dei doveri del 
popolo Rom. È protagonista, oltre che coautore dei testi, dello spettacolo 
teatrale realizzato da Moni Ovadia "Ieri e oggi, storie di ebrei e di zingari".
 Antun Blažević, in arte Tonizingaro, è nato nel 1961 a Sremska 
Mitrovica nella ex-Jugoslavia. Vive in Italia dal 1981, dove lavora, come 
mediatore culturale Rom, nelle scuole della capitale e presso l’Associazione 
Arci Solidarietà. Appassionato di teatro e di musica, cerca di svegliare le 
anime perdute, parlando, nei suoi spettacoli, dei diritti e dei doveri del 
popolo Rom. È protagonista, oltre che coautore dei testi, dello spettacolo 
teatrale realizzato da Moni Ovadia "Ieri e oggi, storie di ebrei e di zingari".
I suoi racconti e le sue poesie si alternano con vivace ritmicità e sono lì a 
testimoniare la quotidianità della sua gente, i Rom, che può insegnare ciò che 
nel nostro mondo si è dimenticato: la verità semplice di chi non ha niente, la 
cui unica ricchezza sono le proprie tradizioni e la propria cultura. Tristezza 
ironica, gioia di vivere, speranza: sono i fili conduttori che accompagneranno 
il lettore. A maggio 2009 è stato presentato il suo libro "Speranza", una 
raccolta di racconti e poesie scritte nel corso degli ultimi anni.