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\\ Mahalla : Articolo
Anche loro sono Rom
Di Fabrizio (del 24/05/2007 @ 09:44:07, in Kumpanija, visitato 2166 volte)

Da Repubblica.it

Quelli che sono riusciti a trovare un lavoro e a mandare i figli a scuola
Da Milano a Roma passando per Fano. Ma solo il dieci per cento degli zingari ce la fa
Le danze di Belykize e i camion di Arif

Storie di ordinaria integrazione
La storia di Vintila, rom romeno titolare di impresa edile e judicator nel suo campo
Il paradosso di Walter, sinti, italiano, quattro figli, paga le tasse ma non riesce ad avere una casa

di CLAUDIA FUSANI

ROMA - "Mi chiamo Belykize, nella mia lingua era il nome della regina di Saba. Ho 19 anni, sono zingara e ne sono fiera. E questa, l'Italia, è la mia terra". Belykize è una rom kosovara nata in Italia, a Napoli, dove la sua famiglia è arrivata nel 1985 da Mitrovica, città ora sotto il controllo delle Nazioni Unite, uno di quei distretti simbolo dei furori etnici scoppiati nei Balcani. Belykise è sempre andata a scuola, fin dall'asilo, e ora frequenta l'ultimo anno dell'istituto tecnico "Adriano Olivetti" di Fano. "So cucire, modifico i vestiti, so ballare, mi porto dietro tutti i colori e i suoni della cultura della mia gente e il mio sogno è aprire un negozio oppure lavorare come commessa".

Poi le voci di Arif Thairi, il padre di Belykise; di Costantin Marin Vintila, rom romeno, un judicator a capo del cris, il tribunale della sua comunità che è il campo nomadi vicino al Cimitero Maggiore a Milano. E di Walter Tanoni, un sinti italiano, giostraio figlio di una famiglia di giostrai da quattro generazioni e ora preoccupato di segnare le differenze: "I sinti italiani sono zingari ma più nomadi: siamo cittadini italiani in tutti i sensi e paghiamo le tasse. Il problema sono gli altri zingari, gli slavi e adesso i romeni, che rischiano di avere più diritti di noi". Sono quelli che ce l'hanno fatta. Che si sono integrati senza omologarsi, senza rinunciare a ciò per cui i popoli e le culture zigane sono riuscite nel tempo - ma sempre meno - ad affascinare: quel misto di anarchia mescolato alla capacità di fare festa, di gioire e di convivere con le tragedie quotidiane. Secondo il presidente dell'Opera Nomadi Massimo Converso "in Italia solo il 10 per cento dei 160 mila rom ufficiali si sono integrati". Forse una percentuale ottimista. Di sicuro minima. Ognuno di loro ce l'ha fatta in un modo diverso.

Belykize, 19 anni, fiera di essere zingara - La voce di Belykize arriva squillante via cellulare. E' domenica sera ed è appena tornata dal mare con gli amici "...e col mio fidanzato". Italiano? "No, rom kosovaro come me, della mia stessa città...". E le scappa da ridere. La prima cosa che impressiona è la qualità dell'italiano. "Per forza, sono nata qui, sono andata a scuola da sempre, fin dall'asilo. Comunque, oltre all'italiano, so parlare cinque lingue: romanì (l'idioma dei rom ndr), inglese, serbo, croato, bosniaco. Con i miei cugini però parliamo sempre italiano". Belykize abita a Fano, nella Marche. "Io e la mia famiglia viviamo in una casa, ho appena finito di cucire delle tende che a me piacciono molto, piene di colori, mi sono fatta dare degli scampoli nei negozi, li buttavano via e me li hanno regalati. Essere sempre vissuta in una casa è stata, forse, la cosa più importante, non mi sarebbe piaciuto vivere in una roulotte. Quando andavo a trovare mio nonno a Napoli, al campo, non mi piaceva. Ora vive in Francia, in un casa, anche lui" .

Belikyze trasmette normalità e leggerezza. "Non mi sono mai vergognata di essere una rom. Anche a scuola, non ho mai avuto problemi. Io parlo, sono una aperta, se qualche volta qualcuno mi ha detto "tu sei una zingara" non l'ho mai rinnegato, anzi, me ne vanto. Lo so cosa vuoi sapere, te lo dico subito: mi vesto come una qualsiasi ragazza italiana, sono pulita e in casa mia nessuno è mai andato a rubare. Quindi nulla di cui vergognarmi. Quest'anno mi diplomo, ho già fatto degli stage di due settimane in un supermercato e in un negozio. Il preside è stato molto contento".

La giornata tipo di Belykize è la mattina a scuola, "il pomeriggio aiuto un po' mia mamma in casa dove viviamo in otto e faccio i compiti" Le piace ballare, anzi è una apprezzata ballerina di cocek, tipo danza del ventre, e di oro, un ballo di gruppo gitano. "Appena posso guardo la tv, soprattutto i telefilm che mi piacciono tanto. Seguo molto anche i telegiornali per capire in che mondo mi trovo". La questione nomadi nelle ultime settimane è spesso nei tg. "Io non posso dare la mia mente e il mio cuore agli altri - dice Belykize - se questi rom trovano normale uccidere, rubare, bere, vivere con i soldi degli altri e non fare nulla, restare sporchi e incivili, io posso dire che sbagliano, che stanno sbagliando tutto. Lo dico, sempre, anche a scuola. Ma poi loro sono loro e io sono io. Voglio dire che noi zingari non siamo tutti uguali, non andiamo tutti a rubare e non siamo dei mostri".

Zingaro deriva dal nome del monte Athinganos con cui i greci indicavano una setta eretica di intoccabili. Gitano e zigano deriva da egiziano. Rom vuol dire fango. Ma uno dei primi nomi degli zingari è stato anche bohèmien, chi vive in miseria della propria arte e delle proprie passioni, glielo aveva dato il re di Bohemia. La condanna, ma anche le contraddizioni, delle gente rom comincia dall'inizio, dal nome. E si nutre di secoli di ruberie, furti, violenze, maltrattamenti. Cervantes nel '500 così raccontava la vita con gli zingari in Spagna: "Sembra che gitani e gitane non siano sulla terra che per essere ladri; nascono da padri ladri, sono educati al furto, s'istruiscono nel furto e finiscono ladri belli e buoni al centro per cento". E l'inventore di Don Quixote era certamente un sognatore democratico.

Belykize ne è consapevole. "Quasi comprendo il disprezzo per la mia gente. Molti rubano, sono sporchi. Ma qualcuno ce la può fare, se il padre lavora il figlio andrà a scuola, se la donna è rispettata anche la figlia lo sarà, se avranno un lavoro potranno avere una casa, pagare affitto e bollette e tenerla pulita. Da qualche parte bisogna cominciare". La prima cosa che farebbe Belykize è "riscattare le donne, toglierle dalla rassegnazione che devono subìre". "Nella nostra società - ammette - il capofamiglia è e sarà sempre un uomo ma questo non vuol dire che le donne debbano accettare un marito ubriaco che le picchia o fa altro".

Arif, tre nazioni in una sola casa - Belykize non è un "miracolo". E quindi può non essere un'eccezione. Se lei ce l'ha fatta - e senza nemmeno troppo faticare - dietro di lei ci sono un padre e una madre che invece di fatica ne hanno fatta molta. Arif Thairi, il padre, oggi ha la sua partita Iva e una ditta di autotrasporti e facchinaggio a Fano. Prima, per 14 anni, ha lavorato nei cantieri navali. Prima ancora ha lottato con le unghie e con i denti nei campi rom di Napoli e Messina. E' originario di Mitrovica ed è arrivato in Italia nel 1985. Ha 45 anni ma se lo ascolti sembra che abbia già fatto sette vite. "Da Mitrovica negli anni è scappato un intero quartiere, 180 mila persone, prima per le persecuzioni poi per la guerre. La mia famiglia è di origine rom, zigana, ma noi a Mitrovica avevamo la nostra casa e quando ci passavano davanti quelli con le roulotte dicevamo che non avremmo mai voluto fare quella fine. Poi siamo dovuti scappare e adesso non abbiamo più documenti di nulla, nè della casa, nè del casellario giudiziario, nè del comune perchè Mitrovica non si sa più di chi è. Così, io che potrei avere la carta di soggiorno e chiedere la cittadinanza, non posso avere nulla perchè l'Italia non sa se sono serbo, kosovaro o croato".

Non avendo un paese di origine, Arif e tanti altri come lui non possono neppure avere un paese che li accoglie. Un po' come Tom Hanks nel film di Spielberg The Terminal . Come Tom Hanks, Harif si è arrangiato. "Quando con mia moglie e due figli vivevo nel campo nomadi di Napoli, ho trovato lavoro nei cantieri navali di Fano. Ero abbastanza disperato, mi sono fatto coraggio, sono andato dal sindaco e gli ho detto che volevo trasformare la mia famiglia in persone tranquille e normali. Mi ha ascoltato e ha avuto fiducia". Nel 1987 Arif ha avuto il primo permesso di soggiorno. Dal 1990 ha vissuto per undici anni in una casa comunale. Ora in una casa popolare di cui paga affitto, bollette e tutto il resto. "Siamo in otto e tre paesi diversi: io e mia moglie kosovari, due figli croati, due figli e una nipotina di otto mesi italiani". Arif non ha dubbi su quella che può essere la via dell'integrazione: "La prima cosa che l'Italia deve fare è un censimento vero, reale, di tutti i rom dividendoli però per etnia. Poi ci deve essere una verifica altrettanto reale di chi ha la volontà di cambiare, di faticare e di inserirsi. A quel punto dare i documenti e la possibilità di un lavoro qualsiasi per responsabilizzare le persone. Vivere nel campo può andare bene all'inizio, appena arrivi, ma poi te ne devi andare perchè, se non ci sono controlli molto severi, il campo serve solo a moltiplicare chi ruba e chi si ubriaca. Chi sbaglia, chi delinque, deve essere fuori per sempre, dall'Italia e dalla comunità rom. Come quello di Napoli, quello che ha rubato la macchina e ha ucciso la donna: quello faceva meglio a buttarsi già da un ponte quel giorno". Arif mette in guardia da un rischio che si chiama rom romeni: "Loro adesso stanno arrivando in massa, senza controlli perchè sono cittadini europei e avranno molti più diritti di me che invece sono qui da più di vent'anni. L'Italia deve stare attenta perchè rischia di fare molti errori con questi nuovi arrivi".

Vintila, il rom romeno - Una barbona bianca folta, 54 anni, venti nipoti, capo-famiglia di un clan di 50-60 persone: Costantin Marin Vintila è proprio lo zingaro dell'immaginario romantico, per quel poco che può sopravvivere in qualcuno di noi. "Sono anche judicator - racconta - sono l'anziano che giudica le liti interne e familiari, convoco il cris e decido chi ha torto e chi no". Una giustizia parallela a quella italiana? "No per carità, sto parlando di questioni interne, liti di famiglia. Per il resto posso dire che siamo l'occhio della polizia dentro il campo". Vintila è in Italia dal 1991, vive a Milano nel campo vicino al cimitero Maggiore che ospita 7-800 persone. Non è certo uno dell'ultimo flusso dalla Romania. Però si dichiara con grande orgoglio "cittadino europeo, sono come un francese e un tedesco". Non ha una casa, ("e come potrei se non ce l'hanno neppure gli italiani") ma ha una ditta edile e la sua partita Iva. "I miei figli lavorano con me, uno fa il benzinaio, qualcuno ha trovato casa, in affitto, ma non ha detto di essere rom". Vintila è per la tolleranza zero:"Servono più controlli e pene rigorose per i genitori che non mandano i bambini a scuola e li mandano a chiedere l'elemosina. Pene ancora più dure per gli adulti che rubano. Deve restare qui solo chi rispetta le regole. Gli altri fuori, altrimenti danneggiano tutti noi che siamo venuti per lavorare".

Walter, il giostraio - In questo viaggio tra i rom che ce l'hanno fatta, la storia di Walter Tanoni è forse la anomala - è un sinti italiano, quindi cittadino italiano - e la più incredibile. E anche la più simile a un vecchio film. "Ho 38 anni, sono figlio e nipote di giostrai, veniamo dal nord Italia ma ho sempre vissuto nel Lazio. Mio nonno, per dirne una, lavorava con Moira Orfei che abitava nella roulotte davanti a noi. Quando ero ragazzino eravano ancora nomadi, giravamo di paese in paese e la gente ci veniva incontro felice perchè portavamo la festa, la musica e l'allegria. Avevo una ragazzina in ogni paese e mia moglie, che è italiana di borgata, è diventata la mamma dei miei quattro figli anche perché è stata l'unica che ha voluto seguirmi sulla roulotte". Da quando, nel 1998, è stato abolito il Dipartimento dello Spettacolo viaggiante e i giostrai hanno perso un interlocutore istituzionale vero e unico: "La nostra attività sta scomparendo. I giostrai sono sempre meno, restiamo sulle roulotte e non abbiamo una casa. Sono molto preoccupato". Il problema sono quelli che ottengono, per mille altri motivi, le licenze per i parchi giochi e simili. "Ci levano il lavoro e partono troppo avvantaggiati perchè hanno il terreno e i mezzi" spiega Walter. La sua è una battaglia per la sopravvivenza. Di un favola e di un sogno, come le giostre. "I giostrai hanno la fama di rapire i bambini? Guai a generalizzare. Anche i pastori sardi hanno questa fama...". Walter si è arrangiato così: "Grazie al comitato di quartiere mi hanno affidato un'area verde in zona Torraccia. Qui ho montato le giostre fisse, tengo pulito e sono un po' il custode del giardino pubblico della zona. Sono anche l'unico punto di aggregazione sociale in questa zona". Walter è amico di tutti nel rione. Ma preferisce non dire che è zingaro di etnia sinti e che vive con la famiglia in una roulotte a Casal Bertone, un piccolo campo di circa sessanta persone, tutte italiane. "Dico che sto in una casa popolare. Ho quattro figli dai quindici ai tre anni che vanno tutti a scuola, perfettamente integrati, bravi, pago le tasse ma quando chiedo la casa mi dicono che ho solo otto punti. E restiamo nella roulotte. Non capisco e non so più a chi chiedere". Far vivere il mondo delle giostre e dei giostrai. La via dell'integrazione dei popoli rom passa anche da qui.
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