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La redazione
-

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Sucar Drom (del 10/12/2012 @ 09:05:30, in Italia, visitato 1084 volte)
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Di Fabrizio (del 09/12/2012 @ 09:11:54, in Italia, visitato 2027 volte)

Contributo di Enrica Bruzzichessi, collaboratrice presso l'Associazione di Studi storici "Olokaustos" di Venezia, iscritta e volontaria A.N.P.I. (le foto sono di Giacomo Baldini)

Nessuno sta facendo favori a nessuno. Questo è il messaggio che mi preme arrivi a tutti quelli che hanno partecipato al Convegno Rom-anticamente, tenutosi a Civitanova Marche, nella sala consiliare e patrocinato dal Comune; e soprattutto a coloro che, per avversione o per disinteresse, dopo aver criticato l'operato di Cittadinanza Attiva, hanno trovato qualcosa di meglio da fare sabato 24 novembre.

Fortunatamente ci sono cittadini che, invece di pensare soltanto alle faccende strettamente personali, si riconoscono nei problemi degli altri e ogni giorno si sentono in dovere di fare qualcosa per migliorare la situazione e l'ambiente in cui vivono, per sé e per gli altri. O se vogliamo, come ho affermato anche durante il mio breve intervento al suddetto convegno, rivendicano i diritti di tutti per chiedere implicitamente che vengano rispettati i propri. Ed è proprio questo, secondo me, ciò che dovremmo fare, se vogliamo veramente uscire da questa crisi. Gli strumenti ci sono. Dobbiamo solo volerlo unitariamente.

Che gli strumenti ci siano è ampiamente dimostrato; lo ha fatto anche Cittadinanza Attiva di Civitanova Marche, un comitato spontaneo di cittadini, uniti dal comune intento di prendere parte attiva alla risoluzione dei problemi che investono la sensibilità collettiva, a prescindere da appartenenze o orientamenti ideologici; un gruppo di sole quattro persone (almeno per ora), il cui fine è quello di favorire un progressivo avvicinamento tra istituzioni e cittadini. Lo ha fatto attraverso varie iniziative in passato (vedi Cittadinanza Attiva), e lo ha fatto sabato 24 novembre durante il convegno, approntando un Progetto, "CIVITANOVA SOLIDALE con i ROM" per l'inserimento abitativo e lavorativo di numero 20 persone che dormono nei locali della Stazione Fs di Civitanova. Si tratta di venti persone, tutte adulte, senza casa e senza lavoro. Sono uomini e donne di etnia rom, in città dal 2002, tutti provenienti dalla Romania.

Un progetto che nasce dalla voglia di aiutare l'integrazione (intesa come partecipazione attiva di tutte le parti coinvolte) della comunità rom nella propria città dopo anni di emarginazione, e dalla volontà di combattere il pregiudizio razziale e gli stereotipi che seguono da sempre alla parola "zingari", o nomadi. Un pregiudizio che è dominante in Italia ed è difficile da eliminare anche a livello locale. Dopo una prima azione di "sostentamento" al gruppo di 20 rom da parte di Cittadinanza Attiva con cibo e bevande, un articolo comparso sul Corriere Adriatico riportava le parole dell'ex Sindaco Massimo Mobili che, in relazione a questo fatto, ha dichiarato: "non è dando da mangiare ai rom che si argina il problema, ma lo si fa solo dando loro una casa, un lavoro e una scolarizzazione". Questa dichiarazione è stata interpretata da Cittadinanza Attiva come una sorta di apertura riguardo la tematica, così si è deciso di portare avanti un percorso "umanitario" nella speranza che, una volta raccolte tutte le informazioni necessarie, la giunta comunale e il consiglio avrebbero preso dei provvedimenti volti ad una soluzione della questione.

Cittadinanza Attiva ha ricevuto il sostegno concreto da parte di EveryOne Group, che ha messo a disposizione dei cittadini civitanovesi tutta la propria esperienza (i contatti istituzionali e la rete internazionale di organizzazioni ed organi che tutelano i diritti umani e civili, la capacità di mediazione, ecc.); il gruppo per la cooperazione internazionale, nella persona di Roberto Malini, è stato di grande aiuto, avendo anche inviato a Civitanova un mediatore di Lingua romanès che aiutasse i volontari a raccogliere le informazioni primarie sulla comunità in questione. I dati raccolti sono poi stati presi in esame e, seguendo le direttive europee per il lavoro e l'alloggio , e quelle del Ministero dell'Interno (Strategia nazionale d'inclusione dei rom dei sinti e dei caminanti), si è giunti alla compilazione di un Progetto d'inclusione che, grazie ad un interscambio di beni e competenze, potrebbe valere come progetto pilota per tante realtà marchigiane in cui sono presenti numeri esigui di senzatetto e volto alla riqualificazione di aree agricole abbandonate. Naturalmente si è arrivati a questa conclusione dopo aver coinvolto i soggetti interessati e dopo una lunga disamina dei provvedimenti europei, di quelli nazionali e di quelli della Regione Marche.

Il Progetto presentato durante il Convegno sarà portato, sempre nella persona di Roberto Malini, in Europa. Gli aspetti umanitari e quelli informativo-culturali, rientrano in molti piani e norme d'integrazione promossi dall'Unione europea; sarà dunque possibile chiedere importanti finanziamenti a progetto avviato, senza, come polemizzano alcuni, andare a pesare sulle tasche dei cittadini. Credo che tutta questa faccenda vada sottolineata e raccontata come esempio positivo di partecipazione politica da parte di alcuni cittadini che, nonostante le enormi difficoltà che si trovano ad affrontare quotidianamente (disoccupazione, intolleranza, ecc.), si rimboccano le maniche e prendono parte a quella che dovrebbe essere la vita sociale e politica di tutti. Lo fanno per la loro la città, per la qualità della vita dei propri concittadini, quindi anche per loro stessi. Lo fanno perché valgano i Diritti, in un paese dove la Legge, e prima di tutto la Carta costituzionale, vengono violate ogni giorno.

Sono intervenuti al Convegno Roberto Malini, co-presidente dell'EveryOne Group, che ha fatto un breve excursus della storia del popolo rom in Europa e ha parlato dei progetti che ha seguito negli anni precedenti e quelli che appronterà per il futuro (con riferimento particolare alla situazione della comunità romnì di Pesaro, che da anni subisce la sistematica violazione dei diritti fondamentali); Ipat Ciuraru, attivista per i diritti dei rom che ha aiutato Laura Marzola e gli altri di Cittadinanza Attiva ad entrare in contatto con gli uomini e le donne in questione, intervenuto a parlare alla platea presente, raccontando della sua vita ciò che è riuscito fare fino a che l'emozione non ha avuto il sopravvento; l'assessore ai Servizi sociali, Antonella Sglavo, che ha tenuto a precisare, proprio riguardo allo scontento generale della popolazione civitanovese, che il Progetto di Cittadinanza Attiva non toglie niente a nessuno e che, anzi, quelli come questo sono percorsi necessari da mettere in pratica se si vuole essere coerenti con la volontà europea di eliminare la discriminazione nei confronti di questo popolo e di altre minoranze; tre componenti di Cittadinanza Attiva, Vincenzo Cozzolino, Lucia Marzola e Laura Marzola che ha presentato il progetto e mediato l'intera iniziativa; Fabio Patronelli e Steed Gamero, membri anche loro dell'EveryOne Group, e la sottoscritta in quanto rappresentante A.N.P.I. (iscritta alla sezione intercomunale "24 Marzo") e "interessata dei fatti". Hanno voluto portare il loro sostegno anche una rappresentante autorevole della Regione Marche, la dott.ssa Anna Clora Borghesi (referente Cittadini Stranieri Immigrati per OMBUDSMAN, Autorità per la garanzia dei diritti degli adulti e dei bambini della regione) che ha espresso più che un parere positivo riguardo al progetto e l'intenzione di "importarlo" nella provincia di Ancona, e altri esponenti di enti e associazioni delle province di Macerata, Ancona e Fermo, (ANOLF, ARCI, ecc.) dimostratisi tutti riconoscenti nei confronti di questi quattro cittadini volenterosi di fare qualcosa per la propria città. Erano presenti, infine, sei delle venti persone a cui il progetto è rivolto. Preoccupati, come la stessa Laura Marzola che ha affermato "ci aspettavamo delle contestazioni", per l'esito che avrebbe avuto la conferenza, ma soprattutto emozionati e grati. Le contestazioni non sono arrivate in loco, ma siamo sicuri che chi non approva questo progetto farà di tutto per ostacolarne la riuscita. Durante il Convegno è stato anche anticipato da Roberto Malini che l'attività dei quattro cittadini civitanovesi verrà premiata perché esempio da tener presente nella difesa dei diritti umani. Il Premio MAKWAN 2012, dedicato alla memoria del ventunenne Makwan Moloudzadeh, condannato a morte in Iran e impiccato il 5 dicembre 2007, perché accusato di aver commesso atti omosessuali, verrà dunque assegnato all'Associazione CITTADINANZA ATTIVA di Civitanova Marche. Un riconoscimento annuale che viene assegnato in base alla decisione di una giuria internazionale, a persone o associazioni che si sono distinte per azioni o progetti a tutela dei diritti fondamentali degli individui, dei gruppi sociali e dei popoli.

Durante il Convegno è stato anche anticipato da Roberto Malini che l'attività dei quattro cittadini civitanovesi verrà premiata perché esempio da tener presente nella difesa dei diritti umani. Il Premio MAKWAN 2012, dedicato alla memoria del ventunenne Makwan Moloudzadeh, condannato a morte in Iran e impiccato il 5 dicembre 2007 perché accusato di aver commesso atti omosessuali, verrà dunque assegnato all'Associazione CITTADINANZA ATTIVA di Civitanova Marche. Un riconoscimento annuale che viene assegnato in base alla decisione di una giuria internazionale, a persone o associazioni che si sono distinte per azioni o progetti a tutela dei diritti fondamentali degli individui, dei gruppi sociali e dei popoli.

Il mio intervento è stato breve e incentrato sul problema di "definizione". Anni di ricerca in questo ambito mi hanno resa estremamente sensibile alle definizioni e alle scelte dei termini che si usano per parlare di rom e sinti. Ho accennato al grande problema del razzismo e a quello dei pregiudizi che accompagnano la minoranza rom da secoli, invitando i presenti a fare attenzione, perché nessuno di noi possiede anticorpi così forti e in misura sufficiente per sentirsi immune da questo cancro dell'Umanità che è il Razzismo. Credo che l'A.N.P.I. in questo senso, sia a livello nazionale che locale, possa fare molto attraverso la sensibilizzazione verso alcuni temi, l'educazione e la promozione di una cittadinanza attiva. L'impegno civile, solo questo, può aiutarci a cambiare strada.

Le polemiche nate e perpetrate sulla stampa locale subito dopo il Convegno sono frutto dello scontento cittadino e di una mancata puntualità nelle dichiarazioni da parte di alcuni rappresentanti istituzionali. Sono state riportate notizie inesatte riguardo al Progetto stesso e si è alimentato un clima di intolleranza verso alcuni aspetti, che era già nell'aria al momento della prima conferenza stampa di Cittadinanza Attiva. Nessuno ha mai parlato di "campo rom" o "campo nomadi", né si sta favorendo un gruppo minoritario piuttosto che un altro. L'ultima dichiarazione del Sindaco di Civitanova fa ben sperare che si voglia mettere da parte incomprensioni e posizioni ostili ad una risoluzione del problema. Il problema in questione, non è la presenza di queste quindici persone sul territorio, ma il fatto che il freddo intenso di questi giorni sta minando in modo importante la condizione di salute, già precaria, delle suddette persone.

Certi che la collaborazione tra istituzioni, enti preposti e cittadinanza sarà senz'altro costruttiva e porterà ad un'intesa sulle modalità d'intervento (ci si aspetta intanto un'accoglienza temporanea immediata per i prossimi mesi), attendiamo nuove e auguriamo buon lavoro a chi si sta impegnando a tal fine.

Con l'occasione, ringrazio ancora Cittadinanza Attiva per l'impegno e per avermi dato la possibilità di partecipare a tale iniziativa.

Enrica Bruzzichessi - Venezia, sabato 8 dicembre 2012

PS: Una cosa soltanto: ci sarebbe forse da aggiungere (anche per spiegare i motivi che hanno provocato così tanta polemica intorno a questo convegno, il primo motivo, sai benissimo anche tu, è che ci siamo avvicinati troppo al "fuoco") che l'Unar ha iniziato un'attività di monitoraggio sul gruppo facebook Civitanova Speakers' Corner e sul loro blog in quanto promotori di una petizione che chiedeva un'azione forte contro il problema dei nomadi nel centro di Civitanova Marche.

Rassegna Stampa:

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Di Fabrizio (del 09/12/2012 @ 09:08:05, in casa, visitato 1419 volte)

La Stampa di GIUSEPPE LEGATO 30/11/2012 - IL CASO Il "quartiere" sarà ricostruito lontano dalla tangenziale

Una delle villette realizzate a Tetti Rolle. Quattro sono state condonate o semicondonate: i sinti, pagando, potranno ricostruirle altrove


NICHELINO Il villaggio quasi interamente abusivo realizzato dai sinti a ridosso della tangenziale Sud - tra le uscite Debouchè e La Loggia - verrà abbattuto. L'amministrazione di Nichelino ha presentato nei giorni scorsi in commissione un progetto ribattezzato «di normalizzazione» di un'area edificata in barba a molte delle regole urbanistiche vigenti.

L'insediamento
Si tratta di una quindicina di case basse (un piano al massimo con mansarda) di cui quattro condonate (o semi-condonate). Sono state erette una ventina di anni fa e con il tempo hanno finito per costituire un autentico mini quartiere della città. Non è un luogo con tutti i comfort: l'illuminazione è scarsa, le fogne assenti. Ma il problema principale è che la maggior parte delle costruzioni siano state realizzate a una decina (al massimo una ventina) di metri dalla carreggiata della tangenziale. A dividerli dalle tre corsie d'asfalto (direzione Savona-Piacenza) c'è solo un guard-rail, poi più nulla. Una situazione rischiosissima che potrebbe trasformarsi in tragedia da un momento all'altro: se un camion o un'auto dovessero uscire di strada proprio in quel tratto piomberebbero dentro le case. E cosi all'idea del Comune di sanare un abuso clamoroso si è unito l'appello del presidente dell'Ativa (la società che gestisce la tangenziale di Torino) Giovanni Ossola, che tempo fa aveva lanciato l'allarme: «Quelle case rappresentano un pericolo enorme».

Il progetto
Ora si vara il piano che consentirà di abbatterne almeno dodici. Così spiega Domenico Sibilla, dirigente dell'ufficio tecnico all'interno del Comune: «Moltissime delle case in questione sono costruite al di fuori della fascia di rispetto». L'idea è quella di consentire ai sinti «di ricostruire interamente a loro spese le case in una zona, sempre a Tetti Rolle, lontana dalla carreggiata. Pagheranno tutto loro: per il Comune - assicura - questa sarà un'operazione a costo zero».

I tempi
Il sindaco Giuseppe Catizone definisce questa soluzione «una sintesi tra ripristino della legalità e garanzia di equità sociale. I problemi non si risolvono soltanto con le ruspe, ma anche con il dialogo». Il Comune anticiperà le spese di urbanizzazione dell'area, che saranno recuperate sul costo dei fabbricati a carico dei sinti. Solo dopo aver pagato potranno entrare nelle case nuove. Il piano presentato da Palazzo Civico offre anche dettagli architettonici: gli alloggi saranno realizzati all'interno di edifici disposti a corte e si affacceranno su un cortile interno con giardino, ipotesi progettuale che pare soddisfi anche le richieste delle famiglie. Il documento arriverà in Consiglio comunale entro l'anno, poi si aspetteranno le osservazioni della Provincia e infine partiranno i cantieri.

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Di Fabrizio (del 08/12/2012 @ 09:04:34, in Europa, visitato 1121 volte)

Da Czech_Roma

Prague, 27.11.2012 0:31 Commento: "Yuck, l'hanno toccato gli zingari!" First published in Deník Referendum. Miroslav Hudec, translated into English by Gwendolyn Albert

"Yuck, l'hanno toccato gli zingari!" Il grido proveniva dalla madre di un bambino di due anni che, spaventato, è scoppiato a piangere. Si era incuriosito per qualcosa sopra un cestino dei rifiuti in una città della Boemia del Nord. Il primo ammonimento di non toccare il cestino sembrava aver terminato il suo effetto - sembrava non aver capito.

Dall'aspetto e dal comportamento, immaginai che probabilmente venivano da una famiglia povera. La madre indossava un cappotto rosa un po' sporco e fumava mentre parlava ad alta voce col ce3llulare attaccato all'orecchio, controllando il bambino di tanto in tanto con rapide occhiate, mentre lui cercava in giro qualcosa di divertente.

Mi è venuta in mente quella madre "bianca" quando ho letto l'articolo su Právo intitolato "A nessuno piacciono i Romanì, ma gli estremisti stanno perdendo" del 22 novembre. Non so chi abbia effettivamente toccato il cestino prima del bambino, e probabilmente non lo sa neanche sua madre. La piazza era silenziosa come se tutti lì attorno fossero morti da tempo in quel noioso, ventoso tardo pomeriggio di sabato. Evidentemente, la madre aveva usato quello che considerava il suo argomento pregnante per non toccare il cestino.

Nel concetto popolare, il termine "zingaro" intende qualcosa di realmente detestabile. Sostanzialmente, un sinonimo per asociale. Questo stereotipo concettuale dura da decenni e viene tramandato da generazioni. "Sono come zingari bianchi", dicevano i nostri genitori 50 anni fa, parlando di gente disordinata, il cui aspetto personale o i quartieri dove vivevano erano trascurati, o in qualche manieri problematici. Se gli intervistati di recente dall'agenzia di sondaggi STEM soltanto hanno avuto un ricordo di quelle nozioni, quando hanno risposto alle domande sulle persone rom, non c'è da stupirsi se il risultato è che "nessuno" li ama.

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Di Fabrizio (del 07/12/2012 @ 09:08:31, in Italia, visitato 1293 volte)

Da Cagliaripad, di Alessandra Ghiani

L'ex campo sulla 554 oggi

Stanchi delle polemiche sulla pulizia dell'ex campo sulla 554 i Rom si appellano agli amministratori dell’ex giunta comunale colpevoli, secondo quanto dichiarano, di averli emarginati e abbandonati a loro stessi contribuendo così al degrado dell’area nella quale erano stanziati:

"La comunità Rom si rende disponibile volontariamente e gratuitamente a lavorare per la bonifica del luogo (…). Saremmo felici se si rendessero disponibili volontariamente e gratuitamente gli ex amministratori del Comune di Cagliari (…)".

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Di Fabrizio (del 07/12/2012 @ 09:05:08, in Italia, visitato 1251 volte)

Karin Faistnauer, Presidente dell'Associazione "Donne e Futuro", scrive alla cittadinanza lametina

Vivo da tanti anni a Lamezia Terme e sono stata accolta subito in modo speciale dalla popolazione calabrese. Perciò quando ho capito che tra la popolazione Zigara e non-zigara c'è un difetto di comunicazione mi sono sentita in dovere di mettermi in prima persona a vedere come si poteva risolvere il problema. Sapevo che non sarebbe stato facile, poiché tanti altri avevano già provato a "civilizzare" gli Zingari. Ma io avevo un vantaggio in più, straniera, venivo da Innsbruck, non avevo mai avuto contatto con gli Zingari e così non avevo nessun pregiudizio verso di loro come popolo. Lì vedevo come singole persone che si comportano più o meno bene e che non conoscono il "nostro" mondo postmoderno.

Spesso mi chiedono perché mi occupo soltanto delle donne Zingare e io rispondo sempre che, in effetto, mi occupo di tutti, perché se noi riuscissimo a risolvere "il problema zingaro" tutti potremmo vivere bene a Lamezia Terme, perché ci sarebbe finalmente la Pace (guerra non è soltanto quando ci si spara).

Per questo scrivo questa lettera con la preghiera di pubblicarla. Per far notare che c'è una guerra in atto alimentata anche da un'informazione sbagliata che aumenta l'astio verso questo popolo misconosciuto: circolano su Facebook delle foto, dove degli zingari, due donne e un ragazzo, "bruciano" provocando una grossa nuvola di fumo bianco.

Dopo un'assemblea aperta con il Prefetto dove ha partecipato anche una delegazione Zingara alla quale è stata rivolta la richiesta formale di non bruciare più copertoni e rame, gli abitanti "italiani" vicini al campo nomade sono, giustamente, all'erta per controllare se la promessa da parte degli zingari, verrà mantenuta. Dopo anni di convivenza difficile anche il fumo bianco dei rami bagnati dell'albero di olivo accesi per riscaldare i container gelidi o per cucinare quando non ci sono i soldi per comprare la bombola di gas, viene visto come una presa in giro, pensando che si vuole nascondere con la sterpaglia i copertoni o il rame da bruciare. Non è così. Le foto che circolano su Facebook fanno vedere una famiglia Zingara che non ha mai bruciato ne copertoni, ne rame. Questa famiglia vive con la vendita di frutta ma si riscalda al caminetto con il fuoco acceso nell'oliveto.

Adesso, ogni volta che vado al campo nomade, gli zingari che cercano di sopravvivere in un mondo alieno al loro modo di vivere, mi dicono orgogliosi "hai visto non bruciamo più", non sapendo che per gli "italiani" anche il fumo dei rami di olivo bagnati è una minaccia e io spero che chi legge queste righe mi dirà come posso spiegare a loro che non devono più riscaldarsi o cucinare perché il fumo è sempre fumo !

Karin Faistnauer

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Di Fabrizio (del 06/12/2012 @ 09:04:05, in Italia, visitato 1821 volte)

Indice

Volete fare un regalo e (tanto per cambiare) avete già spremuto la vostra fantasia (e le vostre tasche) nel corso delle feste passate? Senza nessuna pretesa di completezza, ecco i suggerimenti di Mahalla:

Libri:

Vicini Distanti, presa diretta di vent'anni di storia di un gruppo di Rom Harvati, raccontati "come sono", senza retorica e romanticismi. Un bigino su come "provare" a creare convivenza. Costo unitario 14 euro. Promozione natalizia di Mahalla: 3 copie (firmate dall'autore) 30 euro.

  Luoghi Comuni, ovvero la lunga lotta attraverso paradossi ei stereotipi, tramite una mini-guida turistica ai segreti, le bellezze e i monumenti che possono nascondersi in un campo rom. I ricavati della vendita vanno a finanziare le attività proposte dalla locale comunità rom. Costo unitario 5 euro.

Inoltre: sorprese in preparazione per i lettori di Mahalla.


Arte:

Rebecca è una ragazza di origine Rom. Un'arte innata, la sua, nell'esprimersi attraverso i disegni. Fin da bambina usa ciò che trova in natura per rappresentare le sue idee: terra bagnata, erba, petali di fiori, sassi... Per contatti QUI


Creazioni sartoriali:


Gite fuori porta:

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Di Fabrizio (del 06/12/2012 @ 09:03:40, in musica e parole, visitato 1163 volte)

movieplayer.it a cura di Luciana Morelli pubblicato il 26 novembre 2012
Presentato in anteprima mondiale al Torino Film Festival 2012 nella sezione Festa Mobile il nuovo film del regista di origini sarde ambientato nel campo nomadi di Cagliari e incentrato sull'emarginazione.

Dopo I bambini della sua vita e il documentario su Liliana Cavani, Peter Marcias torna nella sua Sardegna per raccontarci una storia di emarginazione e insieme un dramma di volti e corpi che cerca di aprire lo sguardo ed allargare l'orizzonte su una realtà dolorosa e ingiusta che riguarda strettamente il nostro paese, un argomento che il cinema 'ufficiale' troppo spesso tende ad ignorare. Scritto da Gianni Loy, il film parla sì di un popolo relegato ai margini della società dallo Stato ma più in generale affronta il tema della diversità e dell'integrazione ma parla anche d'amore, amicizia e di comprensione, valori che vanno oltre la razza, il colore della pelle e la nazionalità. Ad accompagnare il film a Torino il giovane regista insieme allo sceneggiatore e ai due attori protagonisti Luli Bitri e Salvatore Cantalupo, rispettivamente una ragazza di origini rom che vive in Francia e un ispettore di polizia di mezza età che diventano amici. Prodotto e distribuito da Gianluca Arcopinto, rispettivamente con la Axelotil Film e con la Pablo, Dimmi che destino avrò è sostenuto dall'Unicef come film di interesse sociale per l'alto valore del messaggio e del tema trattato e sarà nelle sale a partire da giovedì 29 novembre.



Signor Marcias, ci spiega com'è entrato in contatto con la realtà dei campi rom?
Peter Marcias: Per la realizzazione di questo film siamo partiti da una sceneggiatura di Gianni Loy che collabora con la Fondazione Anna Ruggiu onlus e lavora con i tanti campi nomadi presenti in Sardegna, per lo più campi amministrati dalle autonomie locali. Personalmente era la prima volta che entravo in un campo rom, per me è stato un po' come seguire lo stesso percorso umano che intraprende il commissario nel film. E' stata un'esperienza importante per me sia dal punto di vista umano sia professionale.

Come descriverebbe il suo film in poche parole?
Peter Marcias: Dimmi che destino avrò è più di tutto un film sull'interazione più che sull'integrazione, un film che sfrutta elementi di fiction per raccontare la realtà.

Ci spiega perché nel suo film il rapporto che si instaura tra il commissario e la ragazza rom è un po' in controtendenza e cioè è l'autorità ad essere meno forte della parte 'lesa' vista solitamente come la più debole?
Peter Marcias:
Era sostanzialmente quello che volevo venisse fuori dal film, mi sembrava troppo semplicistico realizzare il solito thriller in cui c'è un commissario che esegue le indagini all'interno del campo rom, ho preferito farlo entrare a contatto con la realtà dei nomadi un po' in sordina, quasi in punta di piedi. Mi interessava poi che fosse una donna a prendere il sopravvento sulla vicenda ma non nascondo che questa linea è venuta fuori successivamente e cioè quando il film era già in corso d'opera. Capisco che questo aspetto possa sembrare un po' inverosimile ma ho preferito dirigere la storia verso binari non consueti, è per questo che abbiamo fatto in modo che non accadesse nulla di romantico tra i due protagonisti. Devo ammettere di aver un po' giocato sotto questo aspetto.



Ci spiega come sono andate le riprese nei campi e in che zone è stato girato il film?
Peter Marcias:
Abbiamo girato in due diversi campi, quello di Monserrato e quello vicino a Selargius. Il bello è che dovevamo stare una settimana ed invece alla fine ci siamo stati un mese e mezzo, all'inizio non è stato facile farsi accettare dalla comunità rom ed è anche comprensibile visto che siamo piombati nella loro vita all'improvviso con le nostre attrezzature senza aver loro prima spiegato il tutto. Successivamente si sono dimostrati curiosi nei confronti del film, dei meccanismi organizzativi sul set, dei ciak, degli attori mentre noi dal canto nostro abbiamo cercato di coinvolgerli in tutto e per tutto nelle scene del film facendo interpretare ad alcuni di loro il ruolo di alcuni poliziotti durante la scena della perquisizione. Quello che non volevamo era approfittare del loro naturale folklore per raccontare la nostra storia, abbiamo voluto raccontare la loro vita nella loro essenza.



Come hanno vissuto i due attori questo stretto contatto con la comunità rom e come hanno lavorato per affrontare al meglio i loro personaggi?
Luli Bitri: Per me era un po' più difficile perché dovevo essere una di loro, per prepararmi ho fatto ricerche letterarie ma quel che mi ha più aiutato è stato l'incontro con una ragazza che era nella stessa situazione di Alina, il mio personaggio, e quindi ho usato i suoi consigli linguistici e comportamentali per entrare nella psicologia delle donne della comunità. Col passare dei giorni poi sono diventati degli amici per me, mangiavamo insieme, stavamo ore a chiacchierare e qualcuno si è anche confidato intimamente con me, alla fine mi sono dimenticata di essere un'attrice. Posso dire di aver preso parte ad un pezzettino della loro vita e di aver regalato loro qualche momento di riflessione stuzzicando la loro curiosità e le loro speranze per il futuro.
Salvatore Cantalupo: Mi sono molto rispecchiato nei bambini rom che ho allenato sul campo di calcio nel film, facevano gli stessi giochi che facevo io da scugnizzo napoletano, ma più di ogni altra cosa ho cercato di vivere il più umanamente possibile il mio personaggio.

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Di Fabrizio (del 05/12/2012 @ 09:06:32, in musica e parole, visitato 1764 volte)

  A rivista anarchica - anno 42 n. 375 - novembre 2012
in direzione ostinata e contraria 6

Intervista a Santino "Alexian" Spinelli
di Renzo Sabatini

Rom abruzzese, compositore, musicista, insegnante, poeta, saggista, studioso di linguistica e musicologia, insegnante di cultura Romanì all'Università di Trieste, ambasciatore della cultura Romanì nel mondo... una biografia molto ricca! Da dove nascono tutte queste tue passioni?

Dalla famiglia di origine. Ho una grande passione per le lingue ma soprattutto, fin da piccolo, ho avuto una grande passione per la musica. Questa della musica è una cosa che si eredita all'interno delle famiglie Rom.

Esistono varie culture e lingue Rom. Chi sono i Rom abbruzzesi?

Noi siamo la prima comunità Rom arrivata in Italia, alla fine del 1300, quindi la nostra comunità è in Italia da molti secoli, ma la lingua Romanì non ha nulla a che vedere né con il rumeno né con le lingue romanze, né tantomeno con il romanesco! È una lingua che deriva dal sanscrito e che si è arricchita nei secoli con le lingue dei paesi che abbiamo attraversato e dei popoli con cui siamo entrati in contatto. I Rom, suddivisi in cinque grandi gruppi e innumerevoli comunità, provengono dall'India del nord e attraverso la Persia, l'Armenia e l'Impero Bizantino sono arrivati in Europa. I Rom abruzzesi in particolare sono approdati all'epoca sulle coste di quelle regioni oggi conosciute come Abruzzo e Molise.

Fabrizio De André nel 1996 ha pubblicato Khorakhané, una canzone interamente dedicata al popolo Rom, con una poesia finale in Romanì. Tu ne hai curata una bellissima versione in Romanì abruzzese, ci puoi raccontare come nasce questo progetto?

Mi è stato proposto dalla rivista anarchica e ho accettato molto volentieri, essendo De André uno strenuo difensore della nostra cultura e soprattutto dei diritti umani del nostro popolo, purtroppo ancora oggi vittima di una serie infinita di discriminazioni. Khorakhané in realtà è il nome di un sottogruppo, una comunità particolare di Rom, che pratica la religione musulmana. Io ho visto come molto significativo il sottotitolo della canzone: "a forza di essere vento", che sottolinea come De André avesse capito perfettamente che i Rom non sono nomadi per cultura ma piuttosto itineranti coatti; un sottotitolo con cui voleva, secondo me, allo stesso tempo, sottolineare lo stereotipo romantico che avvolge da sempre il nostro mondo, sottolineare quindi il fatto che i Rom, in realtà, non sono assolutamente conosciuti per quello che sono veramente.
Questa canzone non voleva essere soltanto un omaggio ma anche un veicolo di conoscenza, un ponte per oltrepassare l'ostacolo del pregiudizio e far conoscere meglio la nostra realtà culturale. Quindi, da parte mia, nel momento in cui mi è stata offerta la possibilità di lavorare su Khorakhané grazie a questa rivista che aveva proposto a una trentina di gruppi di nicchia di fare un omaggio a De André, ho accettato volentieri. Dal Romanes harvado della poesia ho curato una versione in Romanes italiano, ovviamente con una interpretazione assolutamente originale, consona alla tradizione dei Rom italiani.

  • La sensibilità: dei Rom italiani

La canzone rappresenta i tratti essenziali della cultura e storia dei Rom. È come se in poche righe fossero condensati decine di libri. In effetti prima di lavorare al testo della canzone De André ha voluto studiare tutto il materiale disponibile. Pensi che abbia colto nel segno? Anche se non era un Rom trovi che abbia parlato in maniera corretta del tuo popolo?

Assolutamente sì, perché ha capito, ripeto, che i Rom non sono nomadi per cultura ma itineranti coatti, eterni perseguitati, costantemente discriminati. Per questo il sottotitolo è per me così importante, perché noi siamo definiti spesso, romanticamente: "i figli del vento" e in realtà con questo romanticismo si sono istituzionalizzate in Italia la segregazione razziale e la discriminazione. I campi nomadi sono una realtà orrenda del nostro mondo, rappresentano una forma di segregazione razziale e di apartheid di casa nostra e attraverso questa canzone De Andrè denuncia questo, fin dal titolo.

Quindi a tuo parere i Rom sono essenzialmente un popolo discriminato?

Certamente. I Rom rappresentano la minoranza etnica più diffusa in Europa e, secondo le ricerche della Commissione della Comunità Europea, è anche la minoranza che subisce, nel continente, le maggiori discriminazioni. I Rom subiscono ancora oggi la violazione dei diritti più elementari e l'Italia purtroppo si trova al primo posto per ciò che riguarda la discriminazione nei nostri confronti.

Per la poesia che chiude la canzone De André si è servito della collaborazione di Giorgio Bezzecchi, un Rom harvado. Tu per fare la tua versione hai avuto modo di confrontarti con lui?

No, io sono andato direttamente alla musica di De André e Fossati e ho lavorato su quella, facendo però una versione assolutamente originale, cercando di mettere in risalto la sensibilità dei Rom italiani, senza però nulla togliere al valore semantico, alla bellezza di questa poesia e alla bellezza della musica. Perché la musica, nella sua semplicità, è fortemente evocativa e carica di pathos, e questo va a merito di De André e Fossati per la loro straordinaria sensibilità. Insomma il brano è di per sé già bellissimo, io non ho fatto altro che dare una mia interpretazione.

Bezzecchi ha scritto che: "Khorakhané è in fondo una canzone sulla libertà conquistata attraverso l'emarginazione". Condividi questa affermazione?

Si, la condivido, anche se a me interessa maggiormente sottolineare l'aspetto della denuncia sociale da parte di De André. Certo, comunque sicuramente la canzone esalta la libertà. La libertà ad esempio di avere una identità che sia ben chiara, al di là delle discriminazioni e delle politiche di assimilazione. La popolazione Romanì è rimasta sé stessa nel tempo e nello spazio senza aver mai fatto guerra a nessuno, senza aver mai avuto un esercito, senza mai aver attuato alcuna forma di terrorismo. Questa senz'altro è anche l'essenza di questa canzone.

Ma allora secondo te il popolo Rom per essere libero, per rivendicare questa libertà deve per forza anche accettare l'emarginazione?

Assolutamente no, anzi, al contrario! La popolazione Romanì che si trova in Italia è generalmente composta da cittadini italiani e non deve essere discriminata, perché questo ce lo dice la Costituzione. Non possiamo accettare che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Cittadini che hanno diritti ed altri che non li hanno. I diritti elementari: scolarizzazione, lavoro, casa, assistenza sanitaria, sono diritti inalienabili. Invece nel caso dei Rom questi diritti elementari, che conferiscono cittadinanza, vengono violati quotidianamente. Questo è non solo ingiusto ma anche anticostituzionale, perché stiamo parlando di cittadini italiani. Quindi, per quanto riguarda la libertà, si tratta di essere cittadini soggetti di diritti e questa è la vera libertà che i Rom devono ancora conquistare sul suolo italiano.

Nella tournée di "Anime Salve" De André presentava Khorakhané parlando a lungo degli "zingari". La sua riflessione lo portava a chiedere, per gli zingari, il premio Nobel per la pace perché, come hai appena sottolineato anche tu: "girano il mondo da duemila anni senza armi". Questa è una bella provocazione rispetto ai tanti italiani che gli zingari invece li considerano addirittura pericolosi. Qual è stata la tua reazione a questo atteggiamento di De André?

Secondo me ha colto l'essenza, ha capito fino in fondo la nostra cultura e l'ha difesa a spada tratta. L'errore però è definirci: "zingari", noi non siamo zingari, siamo Rom. Zingaro è offensivo ed è un eteronimo, non è la maniera in cui definiamo noi stessi, è la maniera in cui i gagé, i non Rom, ci definiscono, spregiativamente. Anche questo concetto quindi va superato.

  • Ribellione e richiesta di aiuto

Penso che De André usasse il termine: "zingari" a mo' di provocazione e anche per maggiore chiarezza. Visto che al termine è associato il disprezzo generale dire: "Nobel per la pace agli zingari" è certamente più forte, come provocazione, che dire "Nobel ai Rom".

Si, ne sono convinto anch'io. Lui utilizzava il termine a mo' di provocazione ma sapeva perfettamente che noi siamo Rom. Però per me è importante chiarire, per chi ci ascolta, per coloro che non conoscono profondamente la nostra realtà culturale ma ci conoscono solo attraverso il filtro di stereotipi negativi che spesso allontanano, spingono a non manifestare neanche l'interesse nei nostri confronti. Così succede, da una parte, che un enorme patrimonio culturale e artistico non viene valorizzato e dall'altra che dei semplici fatti sociali vengono addirittura elevati a modelli culturali, per cui l'errore del singolo porta inevitabilmente alla condanna di tutte la comunità, che sono invece tante e molto diversificate fra loro.
Eppure i Rom, nonostante la discriminazione in Europa, hanno contribuito a crearla, l'Europa! Pensiamo alla cultura musicale: nel periodo romantico, nel momento in cui si sviluppa il concetto di "nazione", in cui si parla di fattori locali e di radici culturali, in quella fase i Rom hanno dato un contributo enorme ai grandi compositori. Listz, Brahms, Schubert, Granado, Debussy, Mussowski, Stravinskij, Chaikovski, Dvorak, Bela Bartok: tutti si sono ispirati alla nostra musica. Fino ad arrivare ad oggi. Pensiamo a Goran Bregovic: che operazione ha fatto? Ha preso a piene mani dalla musica dei Rom in macedonia, ma poi per quanto riguarda i diritti di autore risulta che questa musica è sua! La stessa cosa che ha fatto Brahms con le danze ungheresi o Listz con le rapsodie ungheresi.
I Rom poi hanno arricchito l'Europa portando strumenti fondamentali. Anzitutto il "cimbalom", introdotto in Europa ad immagine e somiglianza del "Santur" indiano. Dal cimbalom ungherese e rumeno nacque il clavicembalo, da cui poi, per altre vie, nacque il pianoforte. Quindi lo strumento dei Rom è stato l'antenato del pianoforte e questo ben pochi lo sanno! Così come nei territori balcanici i Rom hanno introdotto la "zurna", uno strumento a doppia ancia dal quale in Europa derivano due strumenti, uno colto e l'altro popolare: l'oboe, che si suona nelle orchestre sinfoniche e, nel sud dell'Italia, la ciaramella, che è uno strumento conico di forma allungata a doppia ancia.

Ma tornando a questa idea di De André, il premio Nobel per la pace ai Rom. Tu come reagisci?

I Rom hanno risposto alle discriminazioni con un atteggiamento di passività che voleva essere una forma di ribellione e una pacifica richiesta di aiuto. Hanno utilizzato forme di resistenza passiva analoghe a quelle adottate da Ghandi secoli dopo. Credo sia molto significativo avere un popolo che non ha mai usato le armi in un'Europa in cui l'etnocentrismo ha causato danni incalcolabili. De André aveva capito perfettamente il nostro spirito e la qualità, la carica emotiva della nostra musica, il coinvolgimento fisico della nostra ritmica. Aveva capito perché aveva studiato i Rom e in questa canzone, Khorakhané, aveva riassunto tutta la sua esperienza, la sua profonda conoscenza di un mondo che ancora, a molti, appare sconosciuto, negativo, degradato, perché in realtà non lo conoscono.

Insomma, sul Nobel non ti sei sbilanciato! Con la frase: "i soldati prendevano tutti e tutti buttavano via", De André nella sua canzone affronta anche il tema delle persecuzioni subite dai Rom...

Certo. I Rom e i Sinti sono stati barbaramente massacrati durante la seconda guerra mondiale. Oltre mezzo milione di Rom e Sinti trucidati, seviziati, usati come cavie per gli esperimenti, depredati dei loro averi: oro, terre, case e soldi mai restituiti. E su questo, da subito c'è stata una rimozione: nessun Rom o Sinto è stato chiamato a Norimberga a denunciare i propri carnefici. Quindi questo genocidio, nella storia, è stato totalmente rimosso. Ancora oggi l'Europa deve un riconoscimento, dal punto di vista morale, psicologico, culturale e storico, perché oggi, quando si celebra la giornata della memoria, si celebra una giornata mutilata, offensiva e discriminante, perché si ricorda soltanto una parte delle vittime, non tutte. Quindi i Rom sono vittime discriminate anche nel ricordo.

Infatti lo sterminio nazista delle popolazioni Rom è un capitolo della storia poco noto e poco studiato sia in Italia che altrove...

Sì, però bisogna dire che all'estero se ne parla molto di più che in Italia. In Germania per esempio ci sono stati anche dei risarcimenti, esiste un museo dell'Olocausto Rom, vengono promosse delle iniziative importanti. Ne cito una per fare un esempio: nel 2008, di fronte al Parlamento tedesco che nel 1933 Hitler fece bruciare, dove già c'è un monumento che ricorda lo sterminio degli ebrei, sorgerà un monumento enorme, anche molto bello (ho visto il progetto), dedicato a Rom e Sinti. Tra l'altro sul monumento apparirà proprio una mia poesia, Auschwitz, che sarà illuminata ventiquattro ore su ventiquattro.

  • Fabrizio, un precursore

La canzone riassume i tratti essenziali della cultura e della storia dei Rom. Paolo Finzi, anarchico e amico di Fabrizio, ci raccontava che prima di scriverla De André aveva studiato tutto il materiale disponibile. Secondo te De André ha colto nel segno? Ha parlato correttamente del tuo popolo, pur senza essere lui stesso Rom? Ha colto l'essenza?

Certo. Io penso che sia straordinario come De André abbia sintetizzato in una sola canzone, in poche righe, tutto il mondo Rom. Ha fatto una sintesi che solo un genio artistico poteva fare in quel modo. Per questo ho cantato questo brano con una particolare dedizione e con tanta attenzione, perché era importante sottolineare tutto quello che lui aveva scritto cercando però di dare al pezzo l'anima Romanì. Ecco questo è stato il mio contributo: ho cercato di dare a questo pezzo un'emotività tipicamente Romanì.

Tu dicevi che i Rom sono spesso conosciuti solo attraverso gli stereotipi, magari ammantati di romanticismo. Con Khorakhané invece De André ci ha avvicinato al popolo Rom così com'è, in carne ed ossa. Mi piacerebbe sapere se questa canzone si è fatta strada anche nel popolo Rom. Se è conosciuta, apprezzata, se la gente è stata contenta, se si è sentita magari, per una volta, ben rappresentata.

Come no, certamente. Ovviamente, fra i Rom, gli intellettuali, quelli con un grado di istruzione più elevato, hanno capito meglio, hanno potuto cogliere la profondità, la valorizzazione del mondo Rom che c'è dietro questa canzone. Altri invece magari hanno apprezzato soprattutto la musica, perché la musica già di per sé è un linguaggio, che arriva al cuore prima che alla mente. Per cui molti Rom e Sinti apprezzano tantissimo questo brano. Ma del resto molti Rom e Sinti appezzano proprio l'artista De André in maniera particolare, anche al di là di questo brano.

Parlando invece degli "altri", dei non Rom, De André ha raccontato che questo testo ha sollevato qualche malumore. Aveva anche ricevuto qualche lettera di protesta, come del resto c'era da aspettarsi.
Tu hai avuto la sensazione che comunque la canzone sia servita, che sia arrivata al cuore di qualcuno, che magari prima aveva un atteggiamento negativo e che poi, a partire da una riflessione su Khorakhané, abbia cominciato a porsi in modo nuovo nei confronti dei Rom?


Ma io direi che la canzone in realtà rappresenta un pezzo, una testimonianza di un movimento in atto in Italia, un movimento di opinione che coinvolge in qualche misura il mondo Rom e Sinto che per ora, in questo paese, è ancora segregato e discriminato. Forse De André di questo movimento è stato proprio un precursore, gli ha dato l'input, perché ha scritto questa canzone quando questo movimento ancora non esisteva. Quindi io gli riconoscerei questo grandissimo merito: come in tanti altri casi, come per tante altre sue canzoni, lui è stato un precursore. E il genio è anche questo: il saper cogliere prima degli altri determinati aspetti della nostra società, del mondo, della stessa città in cui viviamo. Lui, da questo punto di vista, è stato sicuramente un precursore.

In questa canzone c'è anche la gioia di stare assieme, divertirsi, fare festa. C'è una strofa che, non a caso, viene subito dopo quella sulle persecuzioni, come se il momento della festa fosse anche un momento di riconciliazione con la vita, con il mondo e con gli altri.

Infatti qui Fabrizio ha colto perfettamente questo aspetto della nostra cultura. Se da una parte ci sono le discriminazioni, le persecuzioni, dall'altra esce fuori l'aspetto reale dei Rom, l'essenza, il carattere brioso, allegro, di persone che, in qualsiasi condizione, riescono a sorridere alla vita. Laddove altre persone, nelle stesse condizioni, finirebbero per cadere in depressione o fare scelte estreme, come il suicidio, i Rom, invece, comunque sorridono alla vita non ostante tutto. Credo che questo aspetto abbia colpito profondamente De André e quella strofa della canzone ce lo fa capire. Lì lui ha colto la baldanza, l'allegria, la voglia di vivere di un popolo che non si è mai rassegnato. Del resto persino ad Auschwitz i bambini Rom, fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo respiro, hanno sempre mostrato la loro voglia di vivere. Questa è una cosa che tanti, molti ebrei, molti sopravvissuti, hanno sottolineato: erano proprio i Rom che ad Auschwitz riuscivano a dare una dimensione un po' più umana del lager, di quel campo di orrore e morte.

La canzone parla di Rom senza avanzare giudizi, com'era nello stile di De André. C'è però un passaggio particolarmente coraggioso che mi piace sottolineare: quando parla delle "spose bambine" che vanno a "caritare". Qui non solo non si avanzano giudizi ma si invitano gli ascoltatori alla cautela nell'esprimerli perché: "Se questo vuol dire rubare, lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca il punto di vista di Dio".
Su questo tema poi De André nei concerti diceva; "certo gli zingari rubano, ma non ho mai sentito dire che abbiano rubato tramite banca". Ancora una volta c'è un bel ribaltamento della morale comune.


Beh, De André sapeva già ed aveva capito perfettamente che rubare per sopravvivere è ben diverso dal rubare per arricchirsi. Rubare del resto non è per i Rom un fatto culturale, come molti credono, infatti i Rom fra di loro non si rubano né si chiedono l'elemosina. Quindi bisogna dare il giusto valore alle cose, capirle, conoscerle profondamente. I Rom, quando venivano fatti oggetto di violenza, nel corso dei secoli, non volendo né potendo controbattere con altrettanta violenza o con la guerra, si sono ripiegati su atteggiamenti solo apparentemente umili, come la mendicità.
Ma la mendicità in realtà è una forma di resistenza passiva e di ribellione pacifica e questo De André l'aveva capito. Perché il fatto di dire, provocatoriamente, che i Rom rubano... ed è vero che molti rubano, certo, non tutti, perché anche qui generalizzare è assurdo, perché ci sono Rom medici, ingegneri, docenti universitari, artisti, vigili urbani, ci sono tanti Rom impegnati nei mestieri più vari quindi, ovviamente, quando si parla dei Rom che rubano, esce fuori uno stereotipo, per cui i Rom così vengono generalmente definiti come criminali e questo è profondamente ingiusto. È altrettanto vero che discriminazione e degrado portano inevitabilmente all'illegalità. Però, non ostante tutto, i Rom anche nell'illegalità si sono sempre limitati a cose tutto sommato futili, quelle necessarie alla sopravvivenza. Non si sono arricchiti tramite le banche, appunto. Quindi sono altri i veri criminali a mio avviso. Quelli che rubano per arricchirsi e per detenere un potere soggiogando le masse.

  • Il concetto di multiculturalità

Nelle canzoni degli anni Sessanta De André invitava alla compassione e alla pietà. Invece negli anni Novanta con Khorakhané, parlando dei Rom, che la società considera un problema, lui li considera portatori di valori.
In un'intervista aveva detto che: "gli zingari custodiscono una tradizione che rappresenta la cultura più vera e semplice dell'uomo" e che: "potrebbero insegnarci un cammino più umano e più spirituale per un futuro migliore". Tu la condividi un'affermazione di questo genere?


Sì, perché la società Romanì è una società semplice, precapitalistica, basata sui concetti di dare, avere e ricambiare. Il tutto regolato dalla morale di "fortuna / sfortuna", e dal concetto di "puro e impuro", laddove al concetto di puro si collegano parole e comportamenti che danno al soggetto onorabilità e rispetto e al concetto di impuro tutto il contrario. Questo è il mondo Rom, che evidentemente De André aveva capito nella sua essenza.

Nel documentario "Faber" di Bigoni e Giuffrida c'è un'intervista a Giorgio Bezzecchi che tra l'altro dice che De André anche se era un "Gagé" in fondo, spiritualmente, era un Rom. Cosa voleva dire? Cosa si può cogliere in De André che lo faccia sentire così vicino alla tua gente?

La solidarietà umana! La sua solidarietà con il popolo Rom. Lui aveva capito la discriminazione, l'ingiustizia, il fatto che questo popolo è imbavagliato, senza diritto di espressione, in un'epoca in cui la diversità ancora non era un valore ma qualcosa da eliminare.
Oggi il concetto di multiculturalità è entrato a far parte del nostro vocabolario quotidiano ma ancora è di là da venire una vera società multiculturale, che abbia una vera base interculturale; cioè una società in cui non basti la conoscenza ma dove ci sia anche la capacità di viverla un'altra cultura. Oggi noi siamo preparati ad accogliere l'altro come noi stessi? Siamo incuriositi? Abbiamo la capacità di valorizzare l'altro per quello che è e non per quello che noi vorremmo che fosse? Questi sono i quesiti che De André ha posto e ancora non ci sono delle risposte.

All'inizio di questa serie radiofonica abbiamo intervistato lo scrittore Stefano Benni, il quale tra l'altro ci ha raccontato di aver avuto una nonna Rom. Lui sostiene che queste canzoni, proprio perché raccontano senza giudicare, sono un antidoto contro ogni razzismo.
Tu pensi che una canzone possa davvero combattere pregiudizio, razzismo, addirittura aiutare concretamente un popolo discriminato?


Certamente sì, la canzone può essere parte di un percorso di formazione. La canzone arriva al cuore, prima che alla mente, parla alla parte più intima dell'essere umano, dialoga, e può davvero svelare delle verità a persone che non conoscono. Spesso la disinformazione impedisce il dialogo, impedisce il confronto costruttivo, la conoscenza. Nella ricerca della verità una canzone sicuramente aiuta. Pensiamo al successo straordinario che ha avuto questa canzone di De André: ha formato, incentivato, stimolato la curiosità nei confronti dei Rom e questo, sicuramente, è un grandissimo merito.
Proprio da questo punto di vista De André è stato un Rom e non un Gagé. Ha fatto ancor prima di me ciò che io sto facendo per la mia gente, che è il tentativo di valorizzare un enorme patrimonio culturale che è patrimonio dell'intera umanità. Perché la lingua, la cultura, la storia dei Rom appartengono all'umanità tutta e se un domani dovessero scomparire l'umanità intera ne sarebbe impoverita. Bisogna allontanare lo spettro dell'appiattimento del genere umano e questo è il valore profondo del canto impegnato di De André: evviva la diversità! Evviva l'essere individuo nella sua essenzialità, nella sua ricchezza, nella sua complessità, nella sua pienezza. Questo è il valore profondo della testimonianza di De André e Khorakhané lo rivela chiaramente.

  • La salute e la fortuna

Oltre a De André ci sono stati altri artisti Gagé che hanno cantato dei Rom? E se sì, lo hanno fatto in maniera corretta e utile o restiamo nel campo degli stereotipi?

Pochi, però in genere siamo ancora nel campo dello stereotipo: "Ho visto anche degli zingari felici"... è bello sì, però nessuno vuole essere discriminato. Bisogna stare attenti, perché è un po' come l'olocausto: il termine è sbagliato, perché nessuno voleva morire. Non è che ci si volesse immolare per qualcosa. Bisognerebbe parlare di genocidio. E allo stesso modo, non è che i Rom cerchino la discriminazione, l'emarginazione: i Rom sono discriminati dal sistema. Ma non c'è nessuno a cui piace vivere nel fango, o senza diritti. Quelli che vengono a fare oggi in Italia i "nomadi", ieri nella ex Jugoslavia o in Romania avevano tutti le loro case!
Noi Rom italiani abbiamo le case, non da adesso, da secoli! È la disinformazione dilagante che vuole vedermi per forza o criminale, da una parte, oppure, dall'altra, il rovescio della medaglia, vuole vedermi in quell'idea romantica del Rom libero, che sta al di fuori delle istituzioni... tutte queste stupidaggini! In realtà la cosa più difficile da far capire all'opinione pubblica è che i Rom sono esseri umani normalissimi e che come tutti gli esseri umani vogliono avere rispetto, diritti, vogliono vivere in pace con tutti. Questo ci racconta la storia secolare dei Rom, all'eterna ricerca di uno spazio vitale e invece costretti ad essere eterni migranti, perché scacciati da una parte e dall'altra dell'Europa, perché non protetti dalla politica, perché non rappresentati nelle istituzioni.
È facile prendersela con chi non può reagire! Ho visto delle trasmissioni televisive che sono veramente dei crimini contro l'umanità! Trasmissioni dove viene presentato il popolo Rom senza dare l'opportunità di esprimersi, dove quindi viene influenzata l'opinione pubblica che diventa una vittima di questo sistema. È chiaro che poi diventa molto difficile rivendicare i propri diritti! Certi servizi giornalistici, certi articoli, sono, assieme ai campi nomadi, dei crimini contro l'umanità.

Quindi la disinformazione è uno dei problemi maggiori che dovete affrontare?

I Rom non hanno spazio nei mass media, ma non è solo questo. Non c'è ad esempio una valorizzazione dal punto di vista artistico-culturale. La musica che faccio io è presente in Italia da oltre sei secoli. Chi la conosce? E questo ti fa capire. Se provi a chiedere a un laureato di indicare un solo nome di un artista Rom, di citare una poesia Rom, ti risponderà che non ne conosce. Il livello di ignoranza è altissimo nei confronti dei Rom. Ecco perché poi gli stessi intellettuali non esprimono solidarietà. È questa la differenza di De André: ha mostrato solidarietà. Uno fra i primissimi e uno fra i pochissimi intellettuali e artisti italiani che abbia mostrato solidarietà umana nei confronti delle popolazioni Romanì indifese e discriminate. È questo il fatto straordinario. Per questo per noi Rom De André è un alfiere d'amore e di pace. Io se avessi potuto incontrarlo gli avrei stretto semplicemente la mano e lo avrei salutato fraternamente alla maniera Rom: (pronuncia una frase in lingua Romanì)...

Noi allora ti salutiamo con le stesse parole, anche se non saprei proprio pronunciarle...

(ridendo) ...il saluto lo estendo fraternamente a tutti gli ascoltatori. Queste parole significano letteralmente: "Che possiate essere sani e fortunati". Perché la salute e la fortuna sono due elementi importanti nella cultura Romanì. Nel mondo Rom stare bene e non incappare in qualcosa di negativo, per una società fortemente oppressa come quella Rom, è l'augurio più grande e più profondo che si possa esprimere nei confronti di un congiunto. Io lo esprimo altrettanto fraternamente alla famiglia di De André, alla sua memoria e a tutti quelli che ci stanno ascoltando. Vi abbraccio forte e spero che questa musica di cui De André si è fatto alfiere sia sempre più conosciuta, apprezzata e valorizzata.

  • Renzo Sabatini

(intervista realizzata via telefono nell'aprile 2007. Registrata presso gli studi di Rete Italia - Melbourne. Andata in onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: "In Direzione Ostinata e contraria", dedicata ai personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)


In direzione ostinata e contraria

Con questa intervista a Santino "Alexian" Spinelli, prosegue la pubblicazione su "A" di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate da Renzo Sabatini e andate in onda in Australia nel programma "In direzione ostinata e contraria" sulle frequenze di Rete Italia fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al cantautore genovese.

Se proponiamo questi testi, è innanzitutto per dare ancora una volta spazio e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio e voce ne hanno poco o niente nella "cultura" ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio e poste alla base di una riflessione critica sul mondo e sulla società, con quello sguardo profondo e illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con una profonda sensibilità libertaria e - scusate la rima - sempre in direzione ostinata e contraria.

Precedenti interviste pubblicate: a Piero Milesi ("A" 370, aprile 2012), a Carla Corso ("A" 371, maggio 2012), Porpora Marcasciano ("A" 372, maggio 2012), Franco Grillini ("A" 373, estate 2012), Massimo ("A" 374, ottobre 2012).

  • la redazione di "A"


Santino Spinelli

in arte Alexian, nasce a Pietrasanta (Lu) nel 1964.
È musicista, cantautore, insegnante, poeta e saggista.
Ha due lauree: una in Lingue e letterature straniere e l'altra in Musicologia, entrambe conseguite presso l'Università degli Studi di Bologna.
Attualmente vive a Lanciano, in Abruzzo. Insegna Lingua e cultura romaní presso l'Università di Chieti e con il suo gruppo, l'Alexian group, tiene numerosi concerti di musica romaní in Italia e all'estero.
Tra i suoi numerosi lavori discografici ricordiamo:
Romano Thèm - Orizzonti Rom (CNI - Compagnia Nuove Indie, 2007)
Andrè mirò Romano Gi, viaggio nella mia anima Rom (Ass. Thèm Romanó e Provincia dell'Aquila)
Romano Drom - Carovana romaní (Ethnoword, Milano, 2002)
Dromos (Associazione Dromos, 2001)
Segnaliamo inoltre alcuni lavori di natura letteraria e saggistica:
Princkarang - Conosciamoci, incontro con la tradizione dei Rom Abruzzesi (Editrice Italica, Pescara, 1994)
Baxtaló Divès (Collezione Interface, Centro di Ricerche zingare dell'Università di Parigi, Consiglio d'Europa, 2002)
Baro Romano Drom - la Lunga strada dei Rom, Sinti, Kalé, Manouches e Romanichals (Meltemi editore, Roma, 2003)

Per chi volesse approfondire la conoscenza con Santino Spinelli:
e-mail: spithrom@webzone.it - telefono: 0872.66.00.99
sito ufficiale: www.alexian.it

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