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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Marco Nieli (del 03/11/2005 @ 10:30:19, in Regole, visitato 4246 volte)

Di Marco Nieli due racconti (o cronache?) per condividere il 2 novembre appena terminato. Il secondo uscirà il 5 novembre

PERCHE' DA SEMPRE CI RUBANO I BAMBINI
La piccola Mirjiana Djordjevic fu prelevata dalla Polizia il 2 Novembre al Cimitero di Montesarchio, mentre "caritava" all'entrata, vicino al banchetto di un fioraio. Una solerte cittadina aveva chiamato il 113, perché aveva ravvisato nella bambina una straordinaria somiglianza con Alessandra Musella, una piccola napoletana scomparsa qualche anno prima a Casal di Principe, la cui foto era apparsa qualche sera prima al programma televisivo Chi l'ha visto? 

Le volanti partirono a sirene spiegate per prelevare la minore, senza fare accertamenti sulla prossimità o meno dei genitori o di qualche altro parente. In realtà, la madre era in un'altra zona del cimitero quando Mirijana era stata trovata dalle forze dell'ordine. Arrivò mentre le auto blu mettevano in moto sgommando e, appena compreso ciò che era successo, scoppiò in un pianto dirotto. Sua figlia era stata presa dai gagé. Quello che ogni Rom teme di più in fondo al suo cuore, si era infine avverato per Zorica Achmetovic.

La donna svenne per la paura e appena ripresi i sensi sul marciapiedi, circondata da una folla di misericordiosi, non ritrovò più la borsa con il guadagno della giornata.

Quando le volanti parcheggiarono nel cortile del Commissariato di Benevento, un folto gruppo di fotografi e giornalisti già era lì, in pieno assetto di guerra. Si era già diffusa la notizia-bomba del ritrovamento di Alessandra. L'auto dove era Mirijana fu presa letteralmente d'assalto e la piccola cominciò a urlare, a graffiare e a sputare sui suoi accompagnatori e sui fotografi. Furono costretti a coprirle la testa con la giacca di uno degli ispettori e a sollevarla per le braccia e per i piedi, mentre continuava a divincolarsi e a strillare come un'ossessa. Mirijana, come un gatto selvatico nel classico sacco, aveva imparato dalla più tenera età a difendersi da ogni tipo di insidie, ma questa volta il nemico era davvero più forte di lei. 

Arrivati al primo piano, la bimba fu affidata alle cure di una giovane e graziosa agente che, essendo anche lei madre, sapeva come prendere i bambini. Dopo un po’, Mirijana dovette per forza calmarsi, se non altro per esaurimento delle sue forze esigue.

-Allora, vediamo un po’, ti piace giocare? - disse la poliziotta, mettendole davanti un puzzle, un album di colori e una bambola. La piccola subito si asciugò le lacrime e dimenticò di trovarsi in un ambiente estraneo, potenzialmente ostile. La poliziotta le fece portare anche una coca-cola, una pizzetta e alcuni panzarotti, che Mirijana smozzicò, ma non finì di mangiare. Appena esaurita la sua attenzione verso i giocattoli che le erano stati offerti, ebbe di nuovo una crisi di pianto, chiedendo della madre. Poco dopo, si addormentò sulle ginocchia della poliziotta, che le accarezzava i capelli, parlandole a bassa voce per tranquillizzarla.

Intanto, gli ispettori si stavano dando da fare. Erano subito arrivati a Benevento alcuni dei responsabili della Scientifica di Napoli, con tutto l'incartamento relativo al caso di Alessandra Musella. L'ispettore capo di Benevento dovette constatare che, sì, effettivamente, la presunta bambina Rom assomigliava come una goccia d'acqua alla piccola scomparsa qualche anno fa dal paese del Napoletano. Determinante apparve soprattutto la ricostruzione al computer di come Alessandra sarebbe stata dopo due anni dal rapimento. Anche l'età poteva coincidere, al limite. C'erano tutti gli estremi per chiedere un test del DNA e quanti altri accertamenti si rendessero mai indispensabili nel prosieguo delle indagini. La bambina sarebbe stata trattenuta tutto il tempo necessario, affidata a un Istituto; nel frattempo, la pratica andava inoltrata al Tribunale dei Minori, perché comunque la bambina era in stato di abbandono all'atto del ritrovamento.

Questa volta, i poliziotti si muovevano sulla base di un'ipotesi di reato ben più grave del solito: il furto di minori finalizzato alla compravendita (prostituzione? sfruttamento? commercio d'organi? pedofilia?).

Finalmente, sarebbe stato possibile dimostrare quello che da sempre sapevano tutti: che gli "zingari" rubano i figli dei gagé per farne cose innominabili. Bisognava, del resto, provare che le istituzioni davano un giro di vite all'osceno spettacolo dei bambini-schiavi costretti per ore a stare ai semafori. Si era sotto elezioni e una serie di inchieste scottanti erano apparse sui più prestigiosi quotidiani locali e regionali.

Alle 15, prima che la bambina fosse trasferita, papà Zivota e la moglie arrivarono in Questura. I due apparivano sensibilmente provati, si vedeva che non avevano dormito per niente. Chiesero di poter vedere la figlia. Gli spiegarono che non era possibile, per ragioni di sicurezza. Con un'aria di cane bastonato, Zivota ebbe il coraggio di farfugliare:

-Io papà di bambina quella Mirijana. Io tenere tutto qua: passaporto mio con foto di bambina, certificato nascita, ecco, vede, nasciuta in Kragujevac di Serbia…Come sta, questa mia figlia? Lei con mamma a caritare, io no capire, perché voi prendere?

Il preposto lo squadrò glacialmente e gli disse:

-Aspetta seduto nel corridoio, per favore, l'ispettore è in riunione: appena si libera, vediamo se può riceverti.

Zivota si sedette timoroso sulla panca nel corridoio, insieme alla moglie, che singhiozzava silenziosamente, con i capelli grigi scarmigliati e le occhiaie profonde. Lui cercava di consolarla, parlandole sommessamente nella lingua materna, ogni tanto le accarezzava i capelli. Sembravano due vecchi, distrutti dal dolore. Nessuno avrebbe detto che insieme non arrivavano a settant'anni.

Lo sguardo spento, rassegnato del papà si concentrò su di un manifesto ammuffito che diceva: Polizia italiana: l'amico di ogni cittadino. Poi ritornò alla moglie, che aveva smesso di piangere e appoggiava la testa stanca al muro. Era proprio vero, non era un incubo. Si era verificato quello che da sempre avevano temuto più di tutto al mondo: la propria figlia in mano ai gagé, per qualche oscuro motivo che neanche loro avevano compreso. Avevano sentito dire che Mirijana era stata scambiata per un'altra, un'Italiana sparita qualche anno fa. Ma com'era possibile una cosa così? Avevano lì i documenti comprovanti l'identità della bambina, bastava dare un'occhiata e l'avrebbero rilasciata subito. Perché il capo della polizia non usciva da quella stramaledetta stanza? 

Gente indaffarata andava e veniva tutto il tempo, erano soprattutto agenti in divisa e funzionari dall'aria seria con plichi e incartamenti sotto il braccio. Ogni tanto scortavano qualche tipo in manette, ma di ispettori o commissari non si vedeva nemmeno l'ombra. Zivota tornò al gabbiotto all'entrata e chiese al preposto, che non era lo stesso di prima:

- Scusa, capo questo quando venire? 

L'agente rispose distrattamente, annoiato per essere stato distolto di nuovo dalla Settimana Enigmistica:

- L'ispettore Biagi? Adesso controllo.

Dopo aver confabulato alcuni attimi al telefono, giunse la risposta, telegrafica:

- No, è andato via per una questione urgente, però c'è il vice-commissario Martinelli: vuoi parlargli?

- Sì, sì. Io avere qua mio questo certificato di figlia Mirijana, io padre di lei, questa mamma. Così loro dare bambina a noi e andare a casa.

- Bene, aspetta un momento solo.

Finalmente, dopo altri venti minuti di attesa, verso le otto meno venti, arrivò il vice-commissario Martinelli, un giovane dinamico dallo sguardo glaciale, vestito in borghese e dall'espressione di duro, con la pelle abbronzata e il pizzetto. Appena visto chi lo richiedeva, i suoi tratti si irrigidirono e i suoi modi presero un che di brusco:

- Sì? sei tu che mi vuoi?

- Tu commissario? Io papà di bambina quella Mirijana, polizia presa in Montesarchio, bambina nostra figlia, tu vede qua?

Gli porse il passaporto aperto della Repubblica serba con la foto della bambina e il nome stampato a chiare lettere sotto. Il poliziotto lo prese in mano, contemplò qualche minuto la foto, poi alzò gli occhi inespressivi verso il Rom e disse:

- Bene, e allora?

- Tu dare me bambina questa figlia mia?

- Non ti preoccupare, la bambina sta bene. Almeno noi le diamo da mangiare e la trattiamo bene. Perciò deve rimanere ancora un po’ con noi, perché dobbiamo capire se è stata rubata e venduta come schiava.

- No, lei questa figlia mia, no comprata, io c'ha sei bambini, šov chavoré, questo vedere certificato qua, passaporti, tutto…

- Guarda, forse non capisci l'italiano. Per quanto mi riguarda, questo passaporto potrebbe benissimo essere falso: come faccio a credere che quella è tua figlia? Sai quanti passaporti falsi ci capitano a noi? Comunque, la pratica adesso passa al Giudice a Napoli e dovrai dimostrare a lui che è tua figlia, d'accordo?

- Mmmm…Me solo vuole vede, un momento…sì? Mamma piangiuto, piangiuto, dice no mangia più se non vide bambina sua, questa figlia…

- Bene, questo lo deciderà il giudice. Ma voi, a proposito, c'avete il permesso di soggiorno? No? Bene, allora smammate di qui, se no vi faccio subito un ordine di comparizione per identificazione.

Rassegnati a non portare via con sé la loro bambina quella sera, i due uscirono dall'edificio con il morale a pezzi. La donna non si lamentava più, ma aveva lo sguardo assorto, fisso davanti a sé, come perso nel vuoto. 
Quando la mattina seguente ritornarono, i due appresero che Mirijana era stata portata in un istituto religioso.

Nessuno volle dirgli dove. Papà Zivota mostrò al commissario il passaporto, con tanto di foto della figlia e timbro ufficiale della Repubblica serba. Il funzionario di polizia sospirò con aria di sufficienza. Anche ammesso che il passaporto forse autentico e non falsificato, disse, questo non provava nulla. Lo "zingaro" poteva benissimo aver corrotto qualche impiegato, si sa che queste cose succedono correntemente nei paesi dell'Est Europa. Il documento comunque era scaduto da due mesi. Zivota tentò di spiegare che la sua Ambasciata non glielo rinnovava, perché era fuggito dalla coscrizione obbligatoria. Ma non servì a nulla: per la Polizia, evidentemente, né lui né la moglie esistevano ufficialmente, figuriamoci se potevano essere padre e madre di una bambina! In più, se il test del DNA, come era ragionevolmente lecito supporre, avesse confermato l'identità della bambina con Alessandra Musella, i due Rom erano passibili di denuncia per rapimento di minori e sequestro di persona.

Tornati al campo con la coda tra le gambe, vi trovarono un gagiò amico, Franco Pizzimenti, con alcuni giornali sotto il braccio. Egli mostrò loro la foto di Mirijana accostata a quella di Alessandra, lesse ad alta voce l'articolo, in cui si dava per certo quello che ancora era da dimostrare e li informò anche dell'avvenuta visita in mattinata di Vincenzo Musella, il padre della bambina napoletana scomparsa. Prima che Mirijana fosse portata via, gli era stato permesso di vederla, in presenza degli agenti e con le dovute precauzioni. Vincenzo, col cuore in gola, aveva subito cercato la voglia che Alessandra aveva sul collo. Sarebbe stata la prova più evidente che si trattava di sua figlia. Il gagiò, però, era rimasto deluso: la voglia non c'era, evidentemente quella bambina non era sua figlia. 

Nonostante tutto, il giudice aveva disposto la prova del DNA e la piccola era stata trasferita in istituto. Bisognava chiedere subito un appuntamento col giudice e prendere un buon avvocato, disse l'uomo. Purtroppo, anche per vedere semplicemente la bambina, occorreva il permesso del giudice. I Rom si rassegnarono ad aspettare l'incontro. Zorica però scoppiò a piangere e chiese se per lo meno poteva parlare con la figlia telefonicamente.

- Cercheremo di ottenere una visita in istituto, non ti preoccupare. Però adesso devi mangiare, non serve a nulla a Mirijana se tu muori di fame. 

- Sì, ma Mirijana, tu sa, problema a cuore, lei da piccola già in spitale, sempre nasvalì. Dottore dice lei ha buco in cuore, non può respira quando paura…Povera figlia…

A questo punto, la donna fu interrotta dai singhiozzi, che rischiarono quasi di soffocarla. 

Dopo una quindicina di giorni di angoscia e patimenti indescrivibili, il giudice concesse finalmente il permesso di vedere la bambina, in presenza di un traduttore e di un'assistente sociale, che poi avrebbe relazionato sull'esito dell'incontro. All'ultimo momento, sembrava che il permesso stesse per essere revocato, per la mancanza di un interprete dal Romanés che non fosse di parte, vale a dire dell'associazione. Alla fine, si optò per un interprete dal Serbo-croato, con la condizione che il colloquio si svolgesse rigorosamente in questa lingua. Si era ancora in attesa del test del DNA e il clima era teso fino all'inverosimile. 

I due genitori, accompagnati da Franco, arrivarono all'Istituto di Nostra Signora della Salette e si precipitarono su per le scale, tremando per la paura che qualcosa di irreparabile fosse già successo. Il gagiò disse di avere un appuntamento con la Madre Priora e, intanto, fece conoscenza con il traduttore, un biondino slavato e smilzo e con l'assistente sociale, una donnona sciatta dalla pelle macchiata e i capelli rossicci.

A un certo punto, una suora fece capolino attraverso la porta: la madre priora aveva quasi terminato il suo impegno precedente. Ancora qualche minuto di pazienza e li avrebbe ricevuti.

Dopo un'attesa di circa venti minuti, la Madre Priora fece accomodare tutti finalmente nel suo ufficio. Il suo sorriso affettato e le sue maniere garbate non piacquero per nulla a Franco, che, tuttavia, per spirito di diplomazia, sfoggiò anche lui il suo migliore sorriso.

- Sorella, le presento i genitori della piccola Mirijana Achmetovic. Sono qui per incontrarla, la madre è distrutta dal dolore e non mangia quasi più, da circa 15 giorni. Ecco il permesso del giudice, firmato e con tanto di bollo. Come sta la bimba?

- Ah, su questo, lei può dormire tra due guanciali. Qui è senz'altro trattata come non si potrebbe meglio. Almeno mangia bene, gioca con gli altri bambini e viene accudita dalle sorelle. Riguardo alla visita con questi che chiamiamo genitori (ma le ricordo che ancora non abbiamo la prova che lo siano davvero), le disposizioni del Tribunale sono piuttosto severe in merito. Ho parlato stamattina telefonicamente con il giudice Di Palma. Vede, come Lei può certamente immaginare, la bambina è stata portata qui da noi per il suo bene. Il Giudice deve accertare se è davvero figlia di genitori nomadi o, come si sospetta con un ragionevole margine di certezza, si tratta di un'italiana sottratta ai suoi legittimi genitori, qualche anno addietro. Eppure, ciò nonostante, Lei vuole vedere la piccola. Bene, le carte sono in regola. Solamente, La informo, che gli ordini ricevuti dal Tribunale sono chiari. Solo dietro lo specchio e in presenza del traduttore. Colloquio assolutamente in serbo-croato. La Signora Di Rienzo farà poi la relazione che ci ha chiesto il Tribunale. 

Ci risiamo, pensò Franco. I soliti vecchi sistemi nazisti di una volta. Tuttavia, era chiaro che una sfuriata in questo momento avrebbe irrigidito ancora di più le posizioni e sarebbe quindi stata del tutto controproducente. Questa suora era evidentemente una vipera e lui avrebbe voluto dirle il fatto suo. Fece comunque buon viso a cattivo gioco e accettò i termini imposti dalle autorità. L'importante adesso era accertarsi che la bambina non avesse subito maltrattamenti e che stesse bene fisicamente. 

I tre seguirono la suora lungo gli anonimi corridoi dell'orfanotrofio, finché arrivarono a un androne con una vetrata e un cancello. L'ambiente era decorato squallidamente, con qualche immagine sbiadita di beati e santi dagli occhi rivolti al cielo, che si perdevano su di uno stinto parato verdemarino. Dopo qualche istante, dall'altro lato del cancello apparve, accompagnata da un'altra sorella, Mirijana, visibilmente scossa dagli eventi degli ultimi giorni e con gli occhi arrossati dal pianto. Vestiva l'uniforme rosa dell'istituto e appariva ancora più gracile di quello che era in realtà. Appena la madre la vide, le corse incontro. La suora impedì che la bimba la raggiungesse attraverso le grate e aprì invece la porta di una stanza di lato. Poco dopo, la madre e il traduttore si trovarono nella stanza di fronte alla bambina, mentre l'assistente sociale, Franco e, successivamente, la Madre Priora, osservavano non visti la scena da dietro la parete specchiata.

- Sar san tut? (come stai?) chiese la madre, apprensiva.

- Laces, mama. Mangav te aves ani ker (bene, ma voglio venire a casa.) La bambina era visibilmente commossa e scoppiò improvvisamente a piangere. 

La suora richiamò la signora Achmetovic al rispetto delle procedure previste, vale a dire l'uso del serbo, in modo da dare all'interprete la possibilità di tradurre. Altrimenti, avrebbero sospeso subito l'incontro. 

Franco notò che Mirijana era un po’ dimagrita, ma il suo viso era tutto sommato ancora paffuto. Gli occhioni neri tradivano tutto lo smarrimento e la confusione che aveva vissuto nelle ultime settimane. Aveva mangiato poco, disse la Direttrice, e chiedeva sempre della mamma. Finiti i dieci minuti concessi per la visita, i tre furono accompagnati all'uscita. Al momento della separazione, la piccola scoppiò di nuovo a piangere e la sorella dovette portarla via a forza. 

La visita seguente, otto giorni dopo, fu decisamente più drammatica. Si attendeva ormai a ore il risultato della prova del DNA. I giornali avevano bombardato l'opinione pubblica insistentemente con la notizia che era stata ritrovata Alessandra Musella. Si parlava di fantomatiche organizzazioni criminali dedite alla compravendita di minori, di maltrattamenti osceni, di sfruttamento intensivo dei piccoli schiavi. Il Tribunale dei Minori aveva rifiutato di prendere per buone le prove addotte dai genitori Rom di Mirijana e dall'associazione, che adesso minacciava denunce e querele. Lo stesso padre di Alessandra aveva detto in conferenza stampa di non riconoscere nella piccola sua figlia, ma che comunque avrebbe aspettato l'esito dell'esame. Anche la comunità Rom era in subbuglio. Tutti, Rom e gagé coinvolti in questa sporca faccenda sembravano aspettare con impazienza il responso del test per tirare un sospiro di sollievo.

Quando il padre vide di nuovo sua figlia attraverso le sbarre, si accorse subito che qualcosa non andava. I capelli erano stati pettinati in malo modo, come per nascondere qualche maldestra sforbiciata. La sorella che accompagnava Mirijana confermò che il giorno prima erano venuti gli agenti della Scientifica e avevano prelevato una ciocca dei capelli, oltre a un campione della saliva. Le avevano fatto le treccine proprio per rendere meno visibile la sforbiciata. Avevano inteso tutto a fin di bene: c'era forse qualcosa di sbagliato? 

La suora aveva raccontato tutto questo come se fosse la cosa più normale del mondo, senza cedimenti o sfumature di emozione nella voce. Non si sarebbe mai aspettata che la donna Rom, alla traduzione in Romanés fatta dal marito visibilmente alterato in volto, avesse un malore e dovessero sostenerla. La fecero sedere su di una sedia nel corridoio e le portarono un bicchiere di acqua e zucchero. Ma come potevano arrivare a tanto questi diavoli di gagé: strappare così i capelli a una persona viva! Le usanze tramandate dai padri permettevano di farlo solo coi defunti, nel periodo tra il decesso e la cerimonia chiamata pomana, quando l'anima del caro estinto si allontana definitivamente dal focolare domestico. Figurarsi su di una bambina, un essere innocente da pochi anni al mondo!

Il ritorno al campo quel giorno fu più tragico ancora del solito. La madre, caduta in uno stato di profonda catalessi, era ormai palesemente assuefatta all'Aulin consumato in grandi dosi per combattere la depressione e non mangiava quasi più. Zii e parenti più stretti degli Djordjevic, appena saputa la notizia, si strapparono i capelli e inveirono al cielo, proprio come se la piccola fosse morta. I due cugini di Mirijana andavano farfugliando di sequestrare i figli del giudice per fargliela vedere loro che significa, vedersi così sottrarre la propria carne. Oppure, sarebbero andati di notte all'istituto e l'avrebbero rapita. Gli abitanti del campo parlavano solo di quest'argomento, confabulando al buio delle baracche quasi senza luce, commentando gli eventi che avevano toccato la famiglia con la quale magari fino a qualche giorno prima erano stati nemici giurati. Gli antichi vincoli di solidarietà del gruppo si rinsaldavano adesso che la sciagura si abbatteva sulla comunità, ancora una volta come già da sempre. 

Una troupe di giornalisti vennero a filmare il campo e a fare interviste in giro. La tipa platinata e con gli occhiali a specchio che sfarfalleggiava in giro con il microfono brandito come un arma fu subito accerchiata da uno sciame di chavoré pidocchiosi e smoccolanti. Diversi maschietti bellocci la individuarono come un bocconcino niente male e la apostrofarono: 

- Ehi, bella, chi cerchi?

Uno addirittura le fischiò dietro. Volevano attaccare bottone, ma lei filò dritta col suo cameraman alla baracca degli Djordjevic. La madre non se la sentiva di parlare, era troppo debole e depressa. Il padre uscì fuori e cominciò a vomitare una sfilza di insulti intraducibili contro i giornalisti gagé, il che provò ancora una volta, se ce ne fosse stato bisogno, la proverbiale inciviltà del popolo zingaro. Unico a parlare davanti alla telecamera, un cognato di papà Djordjevic espresse un'opinione bruciante per la sua semplicità: 

- Voi sempre dire che Romi rubare bambini taliani, noi rubare per fare lemosina, per fare questo e quell'altro. Ma che pensate, che uno c'ha cinque bambini, sei bambini, va rubare figli degli altri? Chi non c'ha figli, va e ruba figli di altri, non Romi. Gagè che c'ha soldi molti ma senza figli, quelli ruba. Romi c'ha figli, e perché rubare figli di altri?

Alla giornalista che incalzava lo zingaro con domande furbe del tipo perché credeva che Rom e gagé non potessero andare d'accordo, lui rispose con la scarna faccia sorridente:

- Perché? Ma questo essere claro! Perché da sempre loro rubare i nostri bambini!

Prontamente tagliata al Tg regionale (per ragioni di spazio editoriale), la dichiarazione fu montata su di un'altra, sicuramente più moderata, formulata da un esponente dell'associazionismo cattolico. Questi faceva notare come quegli innocenti "angioletti" zingari ai semafori o sui marciapiedi, sporchi, malvestiti e malnutriti, andavano protetti a tutti i costi, se necessario anche dai propri parenti più prossimi. Ma non con intenzione repressiva, si badi bene, solo per amore e spirito caritatevole. 

L'avventura di Mirijana ebbe fine improvvisamente, così com'era cominciata, un grigio Lunedì di metà dicembre, dopo esattamente 45 giorni dall'inizio del suo sequestro. La prova del DNA aveva scagionato i Rom beneventani dall'accusa infamante di avere rubato la bambina di una famiglia di gagé. Nessun giornale pubblicò più di un insignificante trafiletto per comunicare il risultato della prova, ma Franco riuscì a fare uscire, su di un importante rotocalco locale, una lettera scritta da lui e firmata da padre Zivota, che suonava pressappoco così:

"Ringrazio tutti quelli che hanno avuto fiducia in noi e non hanno creduto che noi fossimo colpevoli di questo orrendo crimine che è rubare i figli degli altri. A quelli che ci hanno creduto, dico soltanto questo: se si fosse trattato della figlia di un avvocato, di un ingegnere o di un giudice, pensate che sarebbe stato possibile sequestrarla senza nessun motivo se non il puro e semplice pregiudizio? Sono sicuro di no. Io non sapevo nulla della scomparsa di quella bimba napoletana, Alessandra Musella, e sono veramente dispiaciuto per lei e i suoi genitori. Ma che bisogno c'era di portarmi via la mia bambina, impedendomi di dimostrare che era mia figlia? In 45 giorni ho potuto vederla solo due volte e dietro alle sbarre. E nessuno finora ci ha chiesto nemmeno scusa per quello che è successo. Credo che sia una grande vergogna per tutti gli Italiani."

Quando la piccola fece ritorno al campo, furono visti parecchi zingari piangere per la gioia. Il padre di Mirijana decise di comprare una pecora, di sgozzarla e di invitare parenti e amici nella sua baracca per festeggiare. Fu ingaggiata la migliore orchestra zigana della regione. La madre e gli zii erano su di giri e non facevano altro che parlare del pericolo scampato. Mirijana, pallida e seria come sempre, sgranava di nuovo i suoi grandi occhi intelligenti sulle facce di familiari e amici del campo. Si vedeva lontano un miglio che era contenta di non stare più con le suore, mentre badava ai fratellini, aiutava a cucinare e a pulire l'interno della baracca. Soltanto, sembrava avere un'aria un po’ più affaticata del solito, chissà, lo stress del distacco dai genitori, la paura, l'ambiente estraneo dell'istituto… Il Presidente dell'Associazione dichiarò pubblicamente che questa volta la polizia e la magistratura si erano dati la zappa sui piedi, che non l'avrebbero passata liscia, che si sarebbe ricorso alle vie legali per ottenere un risarcimento. Avrebbero chiesto un permesso di soggiorno per i genitori della piccola al Questore di Benevento, poi, poi…

Intanto, bisognava pensare solo a fare festa e a dimenticare. 

La banda cominciò a montare gli strumenti dalla cinque del pomeriggio. Papà Zivota scuoiava la pecora insieme ai cognati, mentre Djulian, il fratellino di Mirijana, tagliava la gola a un maialino urlante come un ossesso. Un sangue nero e denso come petrolio uscì da quello che sembrava uno squarcio profondo in un otre ormai floscio. Dentro, le donne preparavano sarme e baklava al caldo della stufa. Mirijana, in verità, verso le quattro aveva chiesto alla madre di fare un piccolo pisolino, perché si sentiva stanca. Le donne commentarono che era comprensibile. Doveva riadattarsi ai ritmi del campo, il lavoro in casa coi fratellini e tutto il resto. Aveva continuato a dormire placidamente nel suo lettino nella kampina per tutto il pomeriggio e nessuno aveva osato disturbarla. Alle sette, quando cominciarono a venire i parenti, Mirijana si alzò e scese in baracca per essere festeggiata. Tutti se la baciavano e stringevano come se fosse una reliquia di Santa Sara la Nera, la dea Kalì che i Rom adorano a Saintes-Maries-de-la-mer in Provenza, la prendevano in braccio e le infilavano biglietti da centomila lire nella scollatura attillata del vestitino. La bimba si sentiva frastornata, nemmeno ai suoi non numerosi compleanni era stata così vezzeggiata e coccolata. Un fotografo gagiò, invitato per l'occasione da papà Zivota, scattò parecchie foto della bambina in posa tra genitori, parenti e amici, dietro alla tavolata imbandita con ogni ben di Dio della cucina zingara. Al centro campeggiava un enorme cero giallo, con un fiocco rosa e rosso, infilato sopra di un pane benedetto, proprio come si faceva a Giurgevdan, in quella ed altre case Rom. Che a San Giorgio dovevano ringraziare, se la loro figlia era tornata da loro, disse Zorica alle comari.

Poi incominciarono tutti a mangiare nel portico della baracca, innaffiando la carne di balò e bakrì con fiumi di birra, raki e whiskey, delle migliori marche. I musicisti fuori attaccarono i primi pezzi e la gente cominciò a ballare. Donnone con i baffi e le trippe sgargianti, cariche di anelli e collane, ancheggiavano sotto gli occhi gelosi dei mariti lustrati a nuovo, fieri della nuova giacca di velluto o magari dell'ultimo dente d'oro. Poi anche questi si lanciarono nel ballo, mentre tra i loro piedi si rotolavano e azzuffavano chavoré ancora quasi senza nome e volto, che battevano la manine o i piedi al ritmo della musica, ignari di tutto. Nel corso di tutta la serata, ai pezzi musicali si alternarono parecchi discorsi di parenti sempre più ubriachi. Si benediceva, si brindava, si esaltavano le qualità dei propri figli e delle proprie mogli. Qualcuno, tra i fumi dell'alcool, si lasciò scappare qualche innocuo improperio verso la moglie del giudice e la Madre Priora dell'Istituto La Salette. Verso l'una, finalmente, Mirijana chiese il permesso di andare a letto, nel bel mezzo della festa. Aveva lo sguardo assonnato e stanco, come se mancasse di un sonno soddisfacente da tempo. La mamma la baciò ancora una volta insieme ai fratellini e le disse che presto li avrebbe raggiunti. Nello spiazzo antistante alla baracca diverse coppie continuavano stancamente a ballare e i gesti scomposti venivano ormai ripetuti in preda al parossismo della sbornia. Qualcuno portò un'altra cassa di Peroni e si ricominciò il giro delle bevute. L'orchestra aveva ormai smontato da un pezzo, ma un uomo con la fisarmonica continuava a improvvisare struggenti ballate serbo-croate e canzoni pop macedoni storpiate in malo modo. Papà Zivota era crollato sbronzo perso sulla panca e la mamma con le sorelle e le cognate rassettavano in giro per la baracca.

L'incendio, seguito a un fracasso di vetri rotti sulla parte posteriore della kampina, divampò in un batter d'occhio. I giornali, incredibilmente, avrebbero parlato di una bombola scoppiata o di una sigaretta non spenta. Le urla di mamma Zorica svegliarono tutti i presenti, alcuni dei quali tentarono di forzare la porta della kampina bloccata dall'interno. Altri si precipitarono fuori, per sfondare i finestrini laterale e posteriore. Dentro si sentivano gridare Mirijana e piangere i fratellini. Quando gli adulti riuscirono finalmente a spaccare uno dei finestrini laterali di plexigas con un mattone di cemento, i due piccoli furono pronti a sgusciare fuori, sospinti dalla sorellina maggiore, la quale però era già stata afferrata dalle fiamme. Appena sottratto alla trappola infernale, il suo corpicino avvolto dal fuoco si dimenò a terra per alcuni minuti, finché qualcuno, tra il panico e la concitazione generale, portò una coperta. La batterono sul corpo e ce l'avvolsero, ma si vedeva lontano un miglio che era troppo tardi. La madre andava avanti e indietro, con le mani nei capelli grigi e unti, gli occhi sbarrati nel vuoto, urlando per il terrore. A un certo punto svenne e dovettero sostenerla. Mirijana giaceva a terra esanime, senza dare segnali di vita, se non un flebile gemito di dolore. Il suo corpicino martoriato dalle fiamme era irriconoscibile.

Papà Zivota fu preso da un accesso di disperazione e ancora mezzo sbronzo, cominciò ad abbaiare per il campo, a quattro zampe, mentre da lontano si sentivano le sirene dei pompieri che si avvicinavano. Batteva con le mani a terra e piangeva come un neonato. Dovettero staccarlo a forza, sei di loro, da quel mucchietto di stracci carbonizzati che era stato sua figlia.

Alle otto di mattina del giorno seguente, il corpo di Mirijana era già in viaggio per la Serbia. Della famiglia Djordjevic dalle nostre parti non si è saputo più nulla.

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Di Fabrizio (del 02/11/2005 @ 23:19:27, in scuola, visitato 1926 volte)

MEGJASHI

Segnalo il sito MEGJASHI - Ambasciata dell'infanzia mondiale. Si occupa di diritti dell'infanzia, bambini profughi e rifugiati, ha una ricca sezione con documenti e iniziative dell'ONU, della Comunità Europea di MEGJASHI stessa. In lingua inglese e macedone.
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Di Marco Nieli (del 01/11/2005 @ 10:42:04, in Italia, visitato 2672 volte)

Ricevo una lettera gradita e inaspettata da Marco Nieli, vicepresidente Opera Nomadi di Napoli. Dopo Barbara, del comitato chi Rom e chi no, è la seconda voce che ci arriva da Napoli.

Comincio riprendendo due comunicati che riguardano prossime iniziative. Seguiranno da qui a domenica, altri racconti che offrono uno spaccato di vita dei Rom di periferia.

A Marco, un sentito grazie e a presto

PROPOSTA DI COSTITUZIONE DI UN COMITATO CITTADINO SULLA QUESTIONE ROM A NAPOLI
 
 
Cari compagni e amici, nell'informarvi che la prima battaglia contro il muretto previsto al campo musulmani di viale della Resistenza di Scampia (per isolare i rom dalla scuola "rosa", il 10° circolo didattico, per questo muro il comune prevedeva di spendere 55.000 euro!!!) è stata dall'assessore Tecce e dall’Opera Nomadi vinta con la sospensione della delibera, cui seguirà la rinegoziazione dell'intervento con accoglimento di alcune richieste minime di vivibilità per i Rom stessi (ormai cittadini napoletani non riconosciuti da circa 15 anni), vorrei rilanciarvi l'idea del comitato cittadino sulla questione Rom, che si potrebbe chiamare COMITATO VIA LUFRANO.
 
Prendendo spunta dalla dramnmatica situazione dei rom di Casoria, via Lufrano (circa 400 Rom rumeni sotto sgombero prefettizio per i lavori della TAV e le infilitrazioni tossiche del sottosuolo; tra l'altro il sindaco gli nega anche l'acqua e la scuola, con i bambini che muoiono sotto treni e auto), il Comitato dovrebbe essere lo spunto per una mobilitazione della società civile allo scopo di fare pressione sulle istituzioni per avviare politiche di accoglienza sul territorio napoletano di questa minoranza europea senza diritti perché ancora a torto ritenuta nomade, nonché per contrastare le uniche misure in atto, vale a dire quelle repressive (sgomberi di baraccopoli, rastrellamenti di minori, espulsioni, discriminazioni).
Come proposta di piattaforma da discutere collettivamente nella plenaria del comitato, mi sento di avanzare i seguenti punti:
-no a tutte le ipotesi di sgombero coatto delle baraccopoli (esperienze particolarmente traumatiche per questa gente pacifica e già discriminata in partenza nelle loro patrie di origine), al contrario, chiusura delle bidonville solo dopo aver preventivato una soluzione di accoglienza anche temporanea (centri di accoglienza, aree attrezzate con roulottes), in attesa di soluzioni di più lungo termine;
-differenziazione dei percorsi di inserimento e accoglienza, abitativa e lavorativa (per i Rom rumeni si è sperimentato positivamente a Napoli il centro di prima accoglienza, per poi passare alla seconda accoglienza o anche alla casa; per gli slavi, piccoli villaggi attrezzati e integrati e/o case)
-stop al rastrellamento razzista dei minori ai semafori, provvedimenti miopi e controproducenti, che su larga scala si configurano come vero e proprio genocidio culturale di un popolo; loro sostituzione con serie politiche di accoglienza, interventi sulle famiglie, sulla scuola, sul lavoro;
-pressione a tutti i livelli, locale, nazionale e internazionale affinché si concordino politiche di accoglienza nei paesi di origine, invece di deportazioni ed espulsioni di massa o individuali (il governo rumeno, che disconosce l'esistenza di una questione rom al proprio interno, non rimuove gli ostacoli a una piena integrazione di questa consistente minoranza nella società rumena, salvo poi sequestrare i passaporti ai Rom clandestini che rientrano, o rendere più difficili le partenze; con tutto ciò, l'Europa è pronta a fare entrare questo paese nella Comunità nel 2007);
-resistenza e rifiuto del razzismo e della discriminazione razziale a tutti i livelli: i Rom saranno pure degradati per l'abbandono e le persecuzioni a cui sono sottoposti da secoli, a volte sono dediti ad attività illegali, ma sono l'unico popolo pacifico per inclinazione, senza stato e senza eserciti da sempre e per questo più vulnerabili e indifesi.
Sono le persone "per bene", in giacca e cravatta, che lavorano per le impersonali multinazionali in giro per l'Occidente a provocare massacri, terrorismo di stato e non, catastrofi ambientali, fame, miseria e analfabetismo per miliardi di persone sul pianeta...
Mi piacerebbe discutere questi e altri punti con voi in un incontro specifico sul tema, in vista di una campagna da mettere in piedi e di altre iniziative che si possono concordare insieme.
Dice un proverbio rom: se vuoi rispetto, dai rispetto!!! Cominciamo a dare rispetto a queste persone, con le loro storie umane, spesso drammatiche e commoventi, per le quali si potrebbe fare moltissimo con poco, se solo se ne avesse la volontà politica!!!
 
Per adesioni e altre proposte, scrivetemi o contattatemi ai miei recapiti:
vicepresidente Opera NOmadi di Napoli,
tel./fax: 081447497 o 3382064347
NO ALLO SGOMBERO DEI ROM RUMENI DI VIA LUFRANO!!!! SI A SOLUZIONI DI ACCOGLIENZA E VIVIBILITA’ PER QUESTA MINORANZA SENZA DIRITTI!!!!
 
 
 
Per Giovedì 3 novembre 2005 si aspetta una gigantesca operazione di polizia ordinata dalla Prefettura di Napoli per i 340-400 Rom rumeni di Casoria, v. Lufrano. Dopo 3 anni di infruttuose e sterili trattative con il Comune, la Provincia e la Regione non si è trovata nessuna soluzione, anche di emergenza, per accogliere queste persone venute in Italia in cerca di una vita dignitosa, non per delinquere o per rubare i nostri figli, come vergognosamente scrivono i giornali.
Di fatto, ancora una volta, lo scenario che si prospetta è quello solito, cui abbiamo già assistito a Torino, a Foggia, a Bologna recentemente con Cofferati, e a Fuorigrotta, Napoli, l’anno scorso. Le uniche misure previste dalle istituzioni nei confronti di questa minoranza senza diritti da sempre sono repressioni, sgomberi forzati, deportazioni e rastrellamenti di minori.
Quello che invece non ci stancheremo mai di chiedere e di ripetere è che con un minimo sforzo si potrebbe realizzare una prima accoglienza per poi canalizzare e regolarizzare i singoli percorsi sulla base delle esigenze della singola famiglia (casa, lavoro, scuola e formazione, permessi di soggiorno). Politiche di accoglienza e sociali, concordate a livello internazionale, sono una soluzione certo più efficace degli sgomberi e delle deportazioni. Ma perché non si vuole arrivare a discutere seriamente queste proposte?
Forse perché l’accoglienza dei Rom non paga in termini elettorali, mentre gli sgomberi sì?
 
Riprendendo la mobilitazione dei Rom di via Lufrano insieme alle forze politiche e sociali che intendono opporsi allo sgombero, chiediamo di riprendere le trattative, coinvolgendo tutte le istituzioni (Comune di Casoria, Provincia, Regione, Prefettura e Questura) per discutere soluzioni serie e ragionevoli di breve e lungo termine.
 
Per tale circostanza, si chiede tavolo interistituzionale urgente con Prefettura, Regione e Provincia.
 
 
MERCOLEDI’ 2 NOVEMBRE ORE 10.00
PRESIDIO
IN PIAZZA DEL PLEBISCITO - PREFETTURA DI NAPOLI
 
 
 
COMITATO IMMIGRATI NAPOLI – COMUNITA ROM RUMENI DI CASORIA - OPERA NOMADI - COLLETTIVO NO BORDER – LaB. INSURGENCIA – LAB. SKA – FED. REGIONALE RdB/CUB –– Ass. SENSA FRONTIERE – RED LINK - Ass. NEW PLANET – Ass. SRI LANKESI IN ITALIA

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Di Fabrizio (del 31/10/2005 @ 07:59:06, in scuola, visitato 2703 volte)

European Roma Rights Centre
1386 Budapest 62
P.O. Box 906/93
Hungary

Notizia originale

Il 25 ottobre scorso, il tribunale distrettuale di Sofia ha stabilito che il MInistero dell'Educazione pratica la segregazione razziale nel proprio sistema scolastico, riguardo un caso sollevato da European Roma Rights Centre (ERRC).

ERRC ha portato ad esempio il caso della scuola 103, tipica scuola ghetto del quartiere Filipovtsi, all'estrema periferia di Sofia, frequentata esclusivamente da ragazzi rom. La corte ha stabilito che quegli studenti sono soggetti a segregazione e ad un trattamento differenziale e che è stato violato il loro diritto ad un'istruzione uguale ed integrata. Questo non è possibile sia per l'isolamento che vivono nella scuola 103, che per le condizioni in cui versa l'edificio e il materiale didatttico a disposizione degli stuidenti.
                            
Rif: un caso in Slovacchia

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Di Fabrizio (del 31/10/2005 @ 00:33:35, in lavoro, visitato 2598 volte)

Ho notato, che nel vecchio blog mi capitava spesso di scrivere di lavoro, ma che da qualche tempo latitano le notizie.

Due recenti segnalazioni:

Da Sucar Drom:

Il Progetto di ricerca europeo, intitolato I Rom ed il sistema economico, si prefigge di studiare i meccanismi di inclusione/esclusione dei Rom e Sinti nel sistema economico ed educativo, e di rilevare eventuali iniziative finalizzate al loro inserimento formativo e lavorativo, nonché miranti a combattere ogni forma di discriminazione in tali percorsi specie nell’ambito di lavoro.

continua


da Romanian Roma

BRAILA - La partnership tra il Gruppo Comunitario di Iniziativa Rom, il comune e l'amministrazione distrettuale di Braila ha permesso la nascita di un forno. Il progetto è stato finanziato dall'Unione Europea per 52.000 EUR e si sviluppato negli ultimi 10 mesi.

Trattasi di forno da pane, che darà lavoro alla locale comunità Rom e coinvolge anche le presenze nella campagne. 

DIVERS


Infine, ricordo che altre opportunità sono presenti nella borsa/mercato della Mahalla, LA TIENDA, dove potete anche pubblicare gratuitamente i vostri annunci.

Sul resto, ci si aggiorna

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Di Fabrizio (del 30/10/2005 @ 21:59:12, in Europa, visitato 3472 volte)
EurActiv

24. 10. 2005 - La presenza Rom europea è stimata tra i sette e i nove milioni, praticamente la popolazione di un piccolo stato. Circa il 70% di loro vive nei paesi di recente (o potenziale) adesione alla comunità europea. Pál Tamás analizza la situazione dei Rom nella Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia, chiedendosi: la UE può influenzare efficacemente la politica degli stati membri, in particolare di quelli di recente ingresso? L'articolo è stato pubblicato su The Analyst, rivista specializzata sui temi chiave della politica e degli sviluppi economici e sociale nell'Europa Centro Orientale.

[nota del traduttore: molto lungo, meglio leggere a puntate oppure offline]

Storicamente, la politica europea verso i Rom si è sempre focalizzata sull'esclusione a priori - attraverso le espulsioni, la ghettizzazione forzata e il diniego dei servizi - o viceversa perseguendo la loro piena assimilazione, spesso ricorrendo a coercizioni. Esclusione ed assimilazione forzata condividono un obiettivo: ridurre la visibilità dello stile di vita dei Rom - singoli o comunità - marginalizzandoli e infine obbligandoli all'assimilazione.

Le strategie impiegate ricadono in questi quattro gruppi: politiche di esclusione, assimilazione, integrazione e diritti delle minoranze. Questo approccio riflette risposte differenti alle due domande di base: s ei Rom devono essere considerati un gruppo distinto o membri individuali di una società più vasta, e quanto le politiche romani debbano essere perseguite attraverso misure coercitive piuttosto che col rispetto dei diritti dei Rom.

La presenza Rom europea è stimata tra i sette e i nove milioni, praticamente la popolazione di un piccolo stato. Circa il 70% di loro vive nei paesi di recente (o potenziale) adesione alla comunità europea. Difficile fornire una risposta precisa alla domanda: quanti sono i Rom in Repubblica Ceca, Ungheria e Slovacchia?

Nell'Europa Centrale ed Orientale le identità spesso sono confuse e mischiate. Per questa ragione, è impossibile disegnare una chiara distinzione tra gruppi etnici in maniera "obiettiva". Un'altra spiegazione è che durante i censimenti i Rom hanno spesso mostrato paura e riluttanza a dichiarare la loro identità etnica.

L'ultimo censimento (2001) nella Repubblica Slovacca riporta 89.920 Rom dichiarati e residenti, circa l'1,7% della popolazione totale. Al contrario altre fonti - per esempio l'OnG Minority Rights Group con sede a Londra - stimano in 500.000 la popolazione Rom, cioè il 9-10% della popolazione.

Il censimento 2001 nella Repubblica Ceca riporta 11.718 Rom nel paese, stime alternative indicano una cifra tra 160.000 e 300.000. Minority Rights Group indica il loro numero in 275.000, il 2,5% della popolazione (UNPD 2002).

La comunità Rom in Ungheria si dimensiona su circa 600-640.000. Meno di un terzo di loro si sono dichiarati col censimento.

Le testimonianze più antiche sulla presenza dei Rom nella regione datano 1322, testimonianze di gruppi nomadici con carte di viaggio compilate dall'imperatore e dal papa. I Rom furono musicisti di corte, lavoratori del metallo e servirono nell'armata reale ungherese. Le politiche anti-Rom iniziarono in Europa nel XV secolo e si intensificarono nel regno d'Ungheria nel XVI secolo, a seguito dell'occupazione turca dell'Ungheria centrale.

Le politiche restrittive continuarono nel XVIII secolo. Leopoldo I dichiarò fuorilegge i Rom. La politica cambiò con l'imperatrice Maria Teresa e con Giuseppe II. Entrambe mirarono all'assimilazione dei Rom come cittadini dell'impero. Furono introdotte misure draconiane per obbligare i Rom a stabilirsi, pagare le tasse e fornire servizi a favore dei proprietari terrieri. Altri editti riguardavano la scuola dell'obbligo e la frequenza alle funzioni religiose.

Questa doppia politica coercitiva continuo per tutto il XX secolo. Nella Repubblica Cecoslovacca (1918-38) fu votata una legislazione che limitava la mobilità e i diritti civili dei Rom, riferita ai gruppi nomadici e di senza casa. La legge istituiva carte d'identità e l'obbligo delle impronte digitali. Durante la II guerra mondiale l'espulsione dalla società coincise con lo sterminio fisico. In tutta la regione, i Rom furono il bersaglio di diverse leggi discriminatorie, e durante l'Olocausto la maggior parte dei Rom Cechi perì nei campi di concentramento, ma solo alcuni dei Rom Slovacchi andarono nei campi di sterminio, mentre la maggior parte di loro finì nei campi di lavoro forzato. Le misure anti-Rom in Ungheria raggiunsero il culmine col 1944, quando una gran parte di loro fu deportata nei campi di sterminio.

Dopo questa breve introduzione storica, vorrei soffermarmi su come i singoli paesi europei hanno influito sul destino dei Rom. Solo recentemente queste specifiche politiche sono diventate una tematica di interesse, per l'intenzione politica di migliorare la loro situazione. Le cose, tuttavia, non sono cambiate. La maggior parte dei Rom soffre l'esclusione sociale e la discriminazione, nelle opportunità di lavoro, nella scuola, nei servizi pubblici, nell'accesso alla casa. [...] Persistono i pregiudizi in tutta l'Europa Centrale e Orientale. 

La maggior parte dei Rom che attualmente risiedono nella Repubblica Ceca sono originari della Slovacchia, migrati alla fine della II guerra mondiale in cerca di migliori condizioni di vita e di lavoro. In diversi casi, fu l politica ad indurre queste migrazioni, destinando i Rom ad aree diverse.

I Rom Slovacchi arrivavano nella Repubblica Ceca lasciandosi alle spalle miseria ed ignoranza. Vennero organizzati corsi di base per gli analfabeti negli anni '50 e '60 e scuole speciali (differenziali NdR) nel tentativo di accrescere le possibilità future. Nel contempo, in alcune aree fu offerta loro la possibilità di usufruire di corsie preferenziale per gli asili nido e furono istituite delle classi preparatorie all'accesso. tutto questo, ottenne qualche successo. Il numero degli analfabeti nella generazione del dopoguerra calò significativamente. Rimanevano altri problemi.

Negli anni '70 e '80 crebbe in maniera drammatica il numero dei bambini nelle scuole per handicap mentali. E' un problema che persiste tutt'oggi, anche dopo i cambiamenti nel sistema scolastico introdotti nel 1989.

La cittadinanza è stata un argomento discusso: nell'Atto Costitutivo del 1969 erano previsti due tipi di identità: come cittadini cecoslovacchi o con doppia cittadinanza federale estesa al paese di provenienza. Sino al 1993 la cittadinanza federale ha avuto un puro valore simbolico. Con la dissoluzione della Cecoslovacchia, in molti hanno acquisito automaticamente la cittadinanza slovacca, anche se nati nella Repubblica Ceca, avessero lì vissuto per lungo tempo e lì risiedessero da tempo. Quanti erano cittadini slovacchi nel 1969, hanno dovuto richiedere nuovamente la cittadinanza ceca nel 1994 - anche se residenti permanentemente lì da decenni. Le procedure per i Rom si sono mostrate più complicate, ad esempio: chi dichiarasse di avere una residenza fissa doveva certificare che fosse almeno di 4 mq per ogni abitante. Fu a cosiddetta "clausola zingara", che voleva colpire quei Rom con famiglie numerose che abitavano in appartamenti sottodimensionati. Molto più facile acquisire la cittadinanza slovacca: era sufficiente aver risieduto permanentemente in uno dei due spezzoni federali prima che fossero dissolti. Si ritiene che così furono 150.000 i Rom che sfruttarono questa possibilità.

Già nel 1992, prima della dissoluzione dello stato federale, c'erano timori ed apprensioni su migrazioni di massa dalla Slovacchia verso la Repubblica Ceca, paure che in realtà non si basavano su alcun dato di fatto, ma che spinsero il Parlamento Ceco a proporre una legge anti-immigrazione, che non venne approvata, ma che durante la discussione fece emergere chiaramente i generali sentimenti anti-Rom.

Fu nel 1997 che nelle due differenti repubbliche iniziò un "esodo" che denunciava la volontà dei Rom di rinunciare alla cittadinanza ceca e nel contempo la richiesta di essere considerati cittadini come tutti gli altri- Nell'ottobre 1999 la Repubblica Ceca ottenne l'indesiderata attenzione internazionale, quando un comune nella Boemia Settentrionale votò per la costruzione di un muro che dividesse i quartieri dei Rom da quelli degli altri cittadini. I piani furono sottoposti al parere del governo nazionale. ma toccò alle istituzioni comunitarie europee nel 1999, dare il parere finale sul progetto.

Il destino dei Rom che vivevano nella parte slovacca fu lo stesso per decenni: politiche stringenti ed aggressive tendenti alla sedentarizzazione, che spaziavano dall'impiego alla scolarizzazione, Nel 1959 il governo iniziò una pressante campagna contro il nomadismo, affiancandola con progetti specifici a rilocare i Rom dalle aree della Slovacchia Orientale verso le aree ceche. Simili sforzi  vennero compiuti anche per aumentare la frequenza scolastica. In effetti, la percentuale nella scuola dell'obbligo salì dal 17% del 1971 al 26% del 1980.

Con i cambiamenti avvenuti nel 1991, il governo slovacco adottò "I Principi della Politica Governativa Riguardante i Rom", però l'azione del governo si avviò effettivamente solo alla fine degli anni '90. Dopo le elezioni del 1998 venne istituito l'Ufficio del Plenipotenziario per le Comunità Rom; sotto la giurisdizione del Ministero ai diritti umani, minoranze e sviluppo regionale, guidato da un Rom sin dal 1999. 

La situazione dei Rom slovacchi è così caratterizzata: la popolazione è molto giovane e cresce più rapidamente degli altri gruppi etnici, specialmente nelle aree più isolate e segregate. Il tasso di natalità slovacco è crollato dal 15,2 del 1990 al 10,7 del 1998. Viceversa la speranza di vita tra i Rom è di parecchio inferiore alla media nazionale, anche se non sono disponibili dati ufficiali; le stime comparate tra i censimenti del 1970 e del 1980 indicherebbero rispettivamente in 55 e 59 l'aspettativa di vita tra uomini e donne Rom, confrontata con 67 per gli uomini e 74 tra le donne della popolazione globale.

Una ulteriore indagine stima 591 aree di insediamento dei Rom in Slovacchia nel 1998, rispetto alle 278 del 1988. In crescita verticale il numero di chi vi risiede: da 15,.000 circa nel 1988 ai 120.000 del 1997.

Tra i Rom sono diffusi alti tassi di disoccupazione e dipendenza dall'assistenza sociale, con l'eccezioni di quanti tra loro vivano in aree completamente integrate o in insediamenti in regioni con alti tassi di impiego. Il tasso nazionale di disoccupazione era del 18% nel 2000, mentre tra i Rom era dell'85% e nelle aree più segregate raggiungeva il 100%.

Una specifica della Slovacchia sono le terribili condizioni delle "osady": i quartieri di baracche abitate esclusivamente dalle comunità rom. Erano già 1.305 le "osady" a metà degli anni '50, contavano 14.935 alloggi (l'80% dei quali giudicato inadeguato per viverci) che ospitavano 95.000 Rom.

Il rifiuto di sviluppare le politiche di supporto ai Rom, sta causando frizioni tra il governo centrale e le amministrazioni locali. In Slovacchia i servizi essenziali (scuola, alloggio, welfare, sanità) dipendono quasi totalmente dal potere locale. I sindaci rifiutano di impegnarsi a migliorare le condizioni dei Rom, adducendo che nel territorio non ce ne sono. Portano a testimonianza i risultati del censimento, dove sono registrati solo cittadini "slovacchi". Nel 2004 la cosiddetta rivolta della fame nelle zone orientali (cfr http://it.groups.yahoo.com/group/arcobaleno_a_foggia/message/261 e seguenti ndr), è stata una perfetta dimostrazione delle disastrose condizioni di vita dei Rom. Condizioni che perdurano a peggiorare, di pari passo coi pregiudizi della società maggioritaria.

La rappresentanza politica delle comunità Rom nella regione si è sviluppata sotto l'influenza della cultura maggioritaria e del sistema politico dominante. I primi giorni che seguirono la caduta del comunismo furono pieni di speranza per i Rom dell'Europa centrale ed orientale, ma presto è sopravvenuta la disillusione.

Ecco alcuni esempi: tra il 1991 e il 1994 si formarono forse una dozzina di partiti, gruppi e coalizioni politiche Rom in Slovacchia, che poi si divisero e svanirono per la maggior parte. Attualmente non ci sono Rom nel Parlamento. I due partiti di Iniziativa Civica Rom e Movimento Politica dei Rom, assieme hanno raccolto meno di 15.000 voti nelle elezioni 2002.

In Romania, nelle elezioni parlamentari del 2000, il Partito dei Rom ha mantenuto il monopolio del voto Rom e conta due membri in Parlamento. nelle recenti elezioni bulgare (cfr. http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=119 ndr), i partiti Rom hanno ottenuto scarso successo; nelle precedenti elezioni del giugno 2001, otto di loro avevano formato la coalizione Bulgaria Libera, che però non aveva raggiunto il quorum previsto del 4%. La coalizione si era fermata a meno dell'1%, a fronte di una percentuale del 70% dei Rom che avevano partecipato al voto (secondo stime UNPD, i Rom sarebbero tra l'8 e il 10% dei votanti totali). Vi sono due Rom eletti in Parlamento, uno dei quali in uno dei partiti Rom. In Ungheria ci sono poco meno di una dozzina di parlamentari Rom, tanto nella coalizione di governo che all'opposizione, e due parlamentari europee (cfr. http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=193 ndr).

Il numero dei Rom eletti attraverso i principali partiti rimane basso e addirittura si registra una loro diminuzione nell'ultimo decennio. Non ci sono forti segnali che i Rom votino necessariamente per candidati Rom, indipendentemente dalla posizione ideologica delle liste che li candidino. Diverse OnG nei vari paesi indicano che i Rom hanno un voto molto disperso e che in alcuni casi, siano attratti da partiti che hanno chiare istanze contro le minoranze.

Virtualmente, non ci sono tra i maggiori partiti politici dei Rom nei tre paesi, linee guida espressamente identificabili su principi e valori politici e filosofici, ispirati a un programma anti-discriminatorio. In tutti e tre i paesi, i Rom sono più politicamente attivi a livello locale che nazionale. La loro tradizionale leadership politica - con rare eccezioni - appare impreparata, inesperta e divisa.

Discorso simile per le elites dei Rom ungheresi. Dal 1989, lì si sono sviluppate numerose politiche e progetti specifici, più che altrove. Ciononostante, i Rom rimangono tra i gruppi più marginalizzati e le loro condizioni socio-economiche restano ben al di sotto della media nazionale.

L'Ungheria ha sviluppato un quadro di riferimento nazionale per la protezione delle minoranze; manca però una legge nazionale contro le discriminazioni e capitoli anti-disciminatori sono suddivisi in leggi specifiche, come nel campo del lavoro o della scuola. Nell'ambito del quadro di riferimento, nel 1990 è stato stabilito un Ufficio per le Minoranze Etniche e Nazionali - NEKH - per lo sviluppo e il monitoraggio delle politiche specifiche. Sin dalla metà degli anni '90, il NEKH ha assunto un ruolo guida nei rapporti tra i Rom e il governo. Dopo le elezioni del 2002, il governo ha stabilito un nuovo Ufficio Rom, sotto la responsabilità del Primo Ministro, per il coordinamento delle politiche romani, ufficio presso cui sono stati trasferiti molti dei dirigenti del NEKH, a cui rimane il compito di sovrintendere alla cultura dei Rom e ai diritti delle minoranze (cfr. http://www.sivola.net/dblog/articolo.asp?articolo=191 ndr).

La Commissione Parlamentare per le Minoranze Etniche e Nazionali (Minorities Ombudsman) è un'istituzione indipendente per lo sviluppo dei diritti delle minoranze e per indagare sulle lamentele, di conseguenza individuare i rimedi. Secondo l'ufficio stesso, la maggior parte dei ricorsi avviene da parte dei Rom, principalmente riguardo ad atti discriminatori. Circa il 48% di questi reclami è indirizzato verso i governi locali.

Il Minority Act del 1993 allarga i diritti delle minoranze in Ungheria e stabilisce un sistema elettorale, per cui le minoranze possono formare i propri corpi elettivi tanto a livello locale che nazionale. Nel 1995 è stato stabilito l'Auto-Governo delle Minoranze Nazionali.

Dal 1994 non si registrano differenze sostanziali nelle politiche verso i Rom da parte delle differenti coalizioni di governo. Anche se non si possono registrare miglioramenti significativi nelle loro condizioni, si è verificato comunque il riconoscimento che i problemi specifici dei Rom non possono essere separati da quelli della popolazione maggioritaria. 

Uno dei principali limiti del sistema di auto-governo ungherese, è che chiunque può votare per un rappresentante nel consiglio delle minoranze. Si ritiene che meno del 10% di chi ha votato per un Rom, era Rom lui stesso. Ciò è dovuto al fatto che il ballottaggio è distribuito sul voto complessivo, essendo contro la legge di registrare nazionalità o etnicità dei votanti. In questo modo, chiunque può avocare l'appartenenza ad una minoranza nazionale, anche se al solo scopo di influenzare l'esito elettorale. Le modifiche introdotte nel giugno 2005, hanno consentito di registrare l'appartenenza etnica dei votanti. Si prevede che in futuro solo chi sarà identificato come appartenente a una minoranza nazionale, potrà concorrere al voto. Le organizzazioni Rom hanno ottenuto il diritto di controllare la registrazione dei votanti. la decisione ha sollevato aspri dibattiti. Alcuni politici rom hanno attaccato la decisione senza mezzi termini, con l'argomento che molti hanno paura di identificarsi come Rom, e che così solo un terzo del totale sinora si sono identificati come tali.

Nella Cecoslovacchia fu con la Primavera di Praga che emerse la prima rappresentanza dei Rom nel dopoguerra. Nel novembre 1968 il Ministro degli Interni approvò la costituzione di Unione dei Rom a livello nazionale. La sua attività verteva a promuovere i Rom come minoranza nazionale. Ma questa esperienza si interruppe forzatamente l'anno seguente. 

Nel 1990 il primo partito Rom prese parte alle elezioni nell'allora federazione della Repubblica Ceca e Slovacca, e 11 Rom candidati in diversi partiti vennero eletti in Parlamento. Fu un successo eccezionale, dovuto soprattutto al clima di generale euforia, con l'opinione pubblica che vedeva i Rom come vittime del comunismo. Già le elezioni del 1992 videro un solo Rom eletto al Parlamento. I due gruppi tuttora più significativi nella Repubblica Ceca sono l'Iniziativa Civica Rom, fondata dopo il novembre 1989 e che contava nel 1998 circa 12.000 aderenti - l'altro è l'Alleanza Democratica dei Rom.

Il coinvolgimento dei loro attivisti nel processo di integrazione nella società, registrò un importante progresso nel 1997, con la creazione cella Commissione Interdipartimentale, divenuta nel 2001 il Collegio Governativo per gli affari della comunità Romani.

Nel marzo 1990 in Slovacchia, intellettuali Rom registrarono l'Iniziativa Civica Rom (ROI) presso il Ministero degli Interni, un partito politico Rom su base nazionale. Nel giugno 1990, concorse alle elezioni assieme al Forum Civico e a Cittadini Contro la Violenza, tutti movimenti politici che avevano contribuito alla caduta del comunismo. ROI ottenne quattro seggi nel parlamento federale cecoslovacco e uno nella Camera Nazionale in Slovacchia.

Tutto il 1990 fu un periodo di grande vivacità politica, che vide nascere nuove organizzazioni culturali e partiti politici dei Rom. Da lì, iniziò un lungo periodo che vide il disperdersi del peso politico accumulato. ROI partecipò da sola alle elezioni del 1992, come partito di ispirazione indipendente. Raccolse soltanto lo 0,52%. Rimase comunque l'entità romani politica più influente ed importante del paese. Tra la fine del 1996 e l'inizio del 1997, crebbero le tensioni interne, che videro la contrapposizione sempre più netta contro i movimenti degli skinheads. Tensioni che sfociarono in conflitti più o meno aperti col resto della popolazione e che portarono alla nascita di un nuovo partito: Intellettuali Rom per la Coesistenza nella Repubblica Slovacca (RIS).

Sino a metà 1998, ci furono diversi infruttuosi tentativi di riunire i due partiti, che riportarono però un risultato significativo alle elezioni municipali di dicembre, con diversi candidati Rom eletti nelle liste del ROI, del RIS e di altre liste locali indipendenti. Le elezioni videro la partecipazione di 254 candidati Rom, 8 dei quali concorrevano per posizioni di rilievo. Alla fine, furono eletti 56 Rom e sei divennero sindaci. Ma anche in questo caso, il risultato non fu poi ripetuto e i partiti non riuscirono ad accordarsi per una strategia comune alle elezioni del 2002. 

Contemporaneamente, negli anni '90 la situazione dei Rom entrava nell'agenda politica della Comunità Europea. Cominciava a porsi per gli stati sovrani la questione dell'accesso alle strutture decisionali, come prerequisito democratico per accedere all'Unione Europea. Il tema aveva una stretta attinenza alle politiche di inclusione dei Rom e la Commissione Europea iniziò a monitorare i progressi compiuti dai paesi candidati, sin dal 1998.

La risoluzione EU del maggio 1989 prevedeva corsi multiculturali per l'insegnamento della storia, lingua e cultura dei Rom. Nel febbraio 1993 il Parlamento Europeo adottò la risoluzione 1203 "Sulla situazione dei Rom in Europa", che conteneva le disposizioni più urgenti per gli stati candidati. Nel marzo 1994 si tenne a Siviglia il primo Congresso Europeo dei Rom. Lo stesso anno venne formato il Comitato per la Cooperazione e il Coordinamento delle Organizzazioni Rom d'Europa; tra i suoi scopi, stabilire una base istituzionale di azione permanente, tramite un Ufficio per i Rom e redigendo una Carta dei Diritti dei Rom, per definire la loro posizione legale in Europa. Nel marzo 2005 l'Ufficio delle Istituzioni Democratiche e per i Diritti Umani, formò un Punto d'Incontro sulle Tematiche Rom, il cui scopo è la diffusione di informazioni, favorire la capacità organizzativa dei Rom e studiare le discriminazioni e le violenze nei loro confronti.

Durante il processo di accesso, il principale canale EU nei paesi candidati (Bulgaria, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Slovacchia) fu il Programma Phare, che devolveva parte del budget ai programmi nazionali rivolti alle comunità Rom. Il totale dei finanziamenti è cresciuto da 11,7 milioni di euro nel 1999, ai 13,65 del 2000 3 ai 31,35 del 2001.

Un rapido sguardo ai differenti programmi e ai budget impegnati mostrano che le iniziative (che spaziano nelle aree primariamente dell'antidiscriminazione e dell'inclusione sociale, della scuola, del lavoro, delle relazioni esterne e dell'assistenza regionale) hanno un alto potenziale riguardo al miglioramento della situazione dei Rom. Il loro limite è di essere isolate l'una dall'altra e di essere scarsamente efficienti per mancanza di coordinamento e di strategie condivise. Col tempo, le strutture EU stanno mostrando più capacità di adattamento alle realtà locali e maggiore proattività verso gli stati membri.

Questi diversi processi e cambiamenti, hanno favorito la formazione di un'elite internazionale tra i Rom. E' strettamente legata alla risoluzione 1203 quando definisce i Rom "una minoranza realmente europea", il parziale rifiuto delle elites, che rivendicano il carattere non statuale di questa minoranza e la necessità di norme quadro che li proteggano in quanto minoranza non-territoriale, di conseguenza la richiesta di uno status speciale europeo.

Le tematiche Rom come istanze transnazionali, il conseguente processo di formazione politica e adattamento delle politiche nazionali, sottintendono alcuni limite che attualmente paiono di difficile superamento. Molti Rom hanno scarse capacità di spostamento e di produrre azioni positive di lobbying, e rimane da definire quale possa essere l'istanza rappresentativa, il Roma National Congress di Amburgo o invece la International Roma Union con sede a Praga? Il popolo, la nazione Rom transnazionale, la nazione della diaspora, o la minoranza presente in diversi stati, manca una definizione condivisa che permetta di inquadrare gli interessi e gli obiettivi immediati da proseguire. Nel frattempo il Roma National Congress spinge sul principio di autodeterminazione, mentre International Roma Union persegue l'obiettivo di una nazione senza stato territoriale.

Come intendere questo nuovo tipo di "cittadinanza postnazionale", nell'ottica dell'integrazione di un gruppo che è stato perennemente marginalizzato?

Già dai primi anni '90, le elites intellettuali transnazionali, hanno focalizzato la loro azione nella difesa dei diritti umani e delle minoranze, controllando che fossero tematiche presenti nelle agende e nei programmi comunitari europei. Questa strategia ha permesso di ottenere visibilità e capacità di interloquire a livello europeo e, di conseguenza, nazionale. Conseguentemente, le strategie governative si sono evolute dalla generale richiesta di democratizzazione, verso i nodi sociali da dipanare. Questo è avvenuto per fasi nell'Europa Centrale:

  • all'inizio si è trattato di sviluppare le tematiche dei diritti umani, ma senza ottenere risultati significativi contro le discriminazioni;
  • in seguito si è agito per diminuire le discriminazioni sociali ed economiche, prestando attenzione al particolare momento storico di transizione, che per molti Rom ha significato la perdita del lavoro e di conseguenza l'accesso ai servizi essenziali. Occorre tenere conto che ci si riferiamo a 1,2 - 1,5 milioni di persone, che vivono alla giornata in baia di discriminazioni e pregiudizi;
  • la terza fase vede la necessità del risveglio e della mobilitazione dei diretti interessati.

Dal 1998 ad oggi, il maggior cambiamento ha riguardato leggi e norme, che hanno dato spazio a nuove voci e sono la base per azioni future. I Rom hanno iniziato ad essere identificati come minoranze nazionali. Questa cosa, ha generato anche apprensioni in diversi stati, in particolare presso determinati strati di popolazione, che non riescono ad identificare nei Rom alcun fattore distintivo.

E' anche da ricordare che lo sforzo posto nell'enfatizzazione dei diritti civili, ha ottenuto più attenzione presso la Comunità Europea che tra gli stati nazionali. Resta da capire quanto l'Unione Europea può influenzare le politiche nazionali degli stati membri, particolarmente quelli di nuovo e recente ingresso.

Pál Tamás, è Direttore dell'Istituto di Sociologia, Accademia Ungherese delle Scienze. 

The article was published in The Analyst, a new quarterly focussed on the key political, economic and social developments in Central Eastern Europe. 

(EurActiv.com, Pál Tamás)

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Di Fabrizio (del 29/10/2005 @ 00:28:36, in Kumpanija, visitato 2523 volte)

Nella sua recente intervista in chat, Filippo Podestà diceva, parlando del Comune di Milano:

  • sarebbe bello che vincessero anche loro qualche volta... loro vincono sul campo di gioco e la MultiEtnica fuori, per la strada...

Sarà per un'altra volta. Ieri sera alla Coppa della Pace, la squadra del Comune non si è vista, per un forfait all'ultimo momento. E' dovuto intervenire lo spirito casinista che sinora ha protetto i "MultiEtnici", sotto forma di qualche telefonata concitata, e così la manifestazione si è svolta con ben quattro squadre: la "Nuova Multietnica", che ha vinto il torneo, la Provincia di Milano (arrivati ultimi, ma la colpa è anche dei pochissimi tifosi italiani che si sono presentati), una riedizione della originale Multietnica che nel 2001 dal campo di Barzaghi sfidò le ruspe e i calciatori del Comune (ieri sera classificati terzi), e una rappresentativa di immigrati - senegalesi per la maggior parte - che si è precipitata da Cremona al campo dell'Arena (avvisati nel pomeriggio, e sono pure arrivati secondi).

Alla faccia degli italiani assenti, il casinismo multietnico ha concluso la serata con musiche e balli che hanno mischiato rom, croati, argentini, senegalesi, peruviani, colombiani...

[foto scattata ieri da Filippo Podestà]


Cambiando argomento (ma di poco): dopo l'intervista a Yuri del Bar, tocca a un altro Sinto, candidato al comune di Bolzano per le elezioni del prossimo 6 novembre.

Giovedì 3 novembre

dalle ore 11.00

in chat linea diretta con

Radames Gabrielli

Radames Gabrielli

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Di Fabrizio (del 29/10/2005 @ 00:24:38, in Europa, visitato 2546 volte)

E' uscito il numero di ottobre.

Contiene informazioni su notizie e sviluppi politici riguardanti i diritti sociali fondamentali dei migranti privi di documenti in Europa. La newsletter è attualmente disponibile in formato Word e scaricabile dal sito internet di PICUM (www.picum.org) nelle seguenti lingue: inglese, tedesco, olandese, spagnolo, francese, italiano e portoghese. Vi invitiamo a diffondere ampiamente questa newsletter.
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Di Fabrizio (del 28/10/2005 @ 06:18:43, in Europa, visitato 2442 volte)
da Mundo Gitano

Alto Comissariado para a Imigração e Minorias Étnicas (ACIME) ha presentato "Olhares", una nuova raccolta di pubblicazioni sulla comunità portoghese dei Rom. Il primo argomento affrontato è la partecipazione sociale.
Articolo Permalink Commenti Oppure (0)  Storico >>  Stampa Stampa
 
Di Fabrizio (del 28/10/2005 @ 06:04:24, in Kumpanija, visitato 4716 volte)

SABATO 29 OTTOBRE

alle ore 17.00 presso la:

libreria il libro – via Ozanam, 11 - Milano

NADA STRUGAR E RAMONA PARENZAN

PRESENTERANNO IL LORO LIBRO:

"TI RACCONTO IL MIO PAESE: SERBIA E MONTENEGRO"

Vannini Editrice, Settembre 2005, pag. 80

Suggerimenti e percorsi di decentramento linguistico e culturale a scuola.

Il testo presenta livelli diversi: conoscitivo e divulgativo, ma anche educativo e didattico. La proposta delle autrici è di tipo interculturale e consiste nel promuovere la conoscenza e la narrazione, a scuola e non solo, di due importanti paesi balcanici, da noi ancora poco conosciuti dal punto di vista culturale. Il libro si offre, inoltre, come occasione preziosa per favorire l’incontro tra gli alunni e per dare spazio e voce a differenti linguaggi espressivi. Durante la presentazione saranno forniti suggerimenti didattici per costruire percorsi a sfondo ludico, linguistico e culturale. Il libro si presta ad essere utilizzato sia nelle scuole elementari sia nelle scuole medie.

A tutti i partecipanti all’incontro sarà dato un simpatico ed utile omaggio.

il libro

libreria internazionale

Via F. Ozanam, 11

20129 Milano -MI-

tel. +39022049022

fax +390229516896

info@il-libro.it

SABATO 29 OTTOBRE

dalle 18.00 alle 20.00

Libreria Utopia di via Moscova 52 Milano - 02/29003324

Incontro con Luca Bravi sulla storia, la cultura e l'identità dei Rom d'Europa 

Te informamos de que acabamos de actualizar nuestra página web.

Salud y libertad
UNIÓN ROMANI
Unión del Pueblo Gitano


Dirección Postal/Postal Address:
Apartado de Correos 202
E-08080 BARCELONA (Spain)

Tel. +34 934127745
Fax. +34 934127040
E-mail: u-romani@pangea.org
URL: http://www.unionromani.org/index_es.htm

Romany singer Vera Bila playing with new band

24. 10. 2005

Vera Bila is one of the most famous Roma singers of the Czech Republic and is often compared to Ella Fitzgerald. In the beginning of September 2005, Vera Bila split up with her band Kale and manager and producer Jiri Smetana. Kale has intended to play without its most charismatic performer whom they have replaced by Dezider Lucka, a member of Kale.

http://www.dzeno.cz/?c_id=8956
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