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La redazione
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Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 02/12/2012 @ 09:06:44, in scuola, visitato 1056 volte)

Da Czech_Roma

  Prague, 23.11.2012 20:46, Per avere successo studentessa rom deve lasciare le scuole ceche

Il portale di notizie Novinky.cz ha pubblicato (in lingua ceca, tradotto in inglese da Gwendolyn Albert ndr.)) la seguente intervista con Magdaléna Karvayová, una donna rom che ha frequentato le superiori, nonostante la perdurante discriminazione a causa del colore della sua pelle. Sin da giovane si è trovata di fronte odio, non ha mai avuto molti amici a scuola ed era disprezzata dagli insegnanti, anche se i voti che prendeva dimostravano che era un'alunna di talento. Si è iscritta ad una scuola superiore internazionale per sfuggire da quell'ambiente sgradevole, ed anche là ha ottenuto successo. Per lungo tempo nessuno ha creduto che potesse farcela, ma alla fine è riuscita a segnare un percorso praticabile per i suoi fratelli più piccoli.

Cosa faceva tuo padre per vivere?

Si guadagnava da vivere come indovino. Aveva una laurea, che dopo la rivoluzione non è stata riconosciuta. Mia madre faceva le pulizie.

Sei cresciuta in una vasta comunità rom?

Allora a Jince u Příbrami c'erano solo tre famiglie rom, ma avevamo sempre dei parenti in visita, quindi di volta in volta mi trovavo in una specie di comunità rom.

Incontravate intolleranza e pregiudizi?

All'inizio. Ho avuto dei conflitti con dei bambini che avevano qualche anno più di me, e non solo a scuola. Ad esempio, una volta era andata in negozio ed un ragazzo che era in agguato mi ha afferrato la gola. Era è più tranquillo, perché tutti ci conosciamo.

Quanto, i tuoi genitori ti hanno motivato a studiare?

Mi hanno appoggiato, ma la motivazione veniva soprattutto da me stessa. Avevo due fratelli e sorelle più piccoli e dovevo prendermi cura di loro, ma quando uscivo dicevo loro che dovevo studiare.

Com'era a scuola?

Una catastrofe. In tutta la scuola eravamo soltanto due studentesse rom. Non avevo amiche e le mie compagne mi perseguitavano. Se solo camminavo nel corridoio, i ragazzi mi spintonavano dicendo "Fuori di qui grassa zingara!". Mi avrebbero spinto la testa nella tazza del gabinetto. Se mi lamentavo con l'insegnante, lei mi accarezzava il viso rispondedomi "Facendo così, ti succederà di nuovo". Così mio padre veniva a scuola tutti i giorni per lamesso.entarsi, ma il direttore si limitava ad annuire ed il giorno seguente era lo stesso.

Com'erano i tuoi voti?

Non ho mai preso meno del massimo dei voti. Facevo del mio meglio per combattere, per mostrare loro - posso studiare anche meglio di voi, allora perché mi trattate così? Poi è scattata una reazione e ho iniziato io stessa a diventare una persona aggressiva, cosa che non piaceva a me né alla mia famiglia. Decidemmo che avrei studiato alla Scuola Superiore Internazionale (Mezinárodní gymnázium), dove c'erano sol studenti stranieri. L'ambiente multiculturale mi attraeva. Ci sono andata a 12 anni.

Il tuo ambiente come ha reagito quando ti hanno accettata?

Gli insegnanti delle elementari mi hanno detto che non dovevo nemmeno provarci, nessuno di loro credeva in me. Quando ho ottenuto un premio come miglior studentessa del mese, mio padre l'ha portato alla scuola elementare per mostrarlo. Dopo, anche i miei fratelli minori sono andati alle stesse mie elementari, Anche loro hanno incontrato problemi, ma mai quanto me.

Com'era alle superiori?

Esattamente all'opposto. Il personale mi ha baciato e abbracciato per tutti i miei sei anni di scuola. Il mio inglese non era del livello richiesto lì, ma gli insegnanti mi aiutavano. Mi sono integrata in pochi mesi. Non c'era nessuna ragione perché gli stranieri mi discriminassero, al contrario: ero qualcosa di speciale per loro. Gli altri studenti venivano da tutto il mondo, ma io ero la prima romanì.

Perché hai deciso per l'Anglo-American College?

Quando volevo iscrivermi alla Charles University, la prima domanda che mi hanno fatto, guardando la mia carta d'identità, è stata: "Tu non sei Ceca, vero?" Quell'approccio mi ha spento, avevo paura di ritrovarmi quella roba daccapo. Dato che l'istruzione individualizzata funzione anche meglio per me, ho scelto di frequentare l'Anglo-American.

Come fai fronte alla retta, che è piuttosto alta?

Lì c'è una borsa di studio per gli studenti rom - copre il 100% della retta se si mantiene una certa media di valutazione. Così finora non ho pagato nessuna tassa scolastica.

Perché stai studiando diritto comparato?

Dopo le esperienze che ho passato, ho deciso di aiutare gli altri, perché sono sicura che non è capitato solo a me. Dovevo scegliere tra diritto e psicologia, e diritto mi è sembrato più confacente. Voglio dedicare me stessa all'istruzione, ai diritti umani e soprattutto alla minoranza romanì.


da Czech_Roma

Ostrava, 24.11.2012 20:16, Gli insegnanti cechi affermano che la comunità romanì non è interessata allo studio Deník.cz, translated by Gwendolyn Albert

I genitori di alcuni studenti rom di Ostrava sono recentemente scesi in strada a manifestare davanti al Municipio Nuovo. Tra i problemi che li preoccupano, il fatto che ai bambini romanì non siano offerte le stesse condizioni educative degli altri bambini, che vengono discriminati ed esclusi dall'istruzione regolare, per essere mandati in scuole e classi per soli rom. Il portale di notizie Deník.cz ha ora pubblicato un rapporto sulle esperienze negative e positive di quanti insegnano hai rom nella scuola pubblica. Romea.cz ne presenta qui la traduzione.

Esperienze negative

Gli insegnanti contattai da Deník.cz e quanti lavorano nella scuola con i bambini romanì, dicono che la situazione è un po' differente da come è stata dipinta dai suoi critici. Dicono che i genitori rom non partecipano spesso alle riunioni di classe e non mostrano interesse nell'istruzione dei loro figli, e spesso, neanche lo mostrano i bambini stessi.

Il punto è che l'istruzione non è importante nella loro cultura. Un altro problema è che i genitori di questi bambini non hanno mai completato l'istruzione primaria, quindi per loro è difficile aiutare i loro figli con le responsabilità scolastiche, questi è la reale situazione," dice Šárka Honová, direttrice dell'elementare Trnkovecká a Slezská Ostrava. Molti degli alunni sono rom.

Honová dice che un altro problema è che i bambini romanì spesso non hanno il materiale scolastico che serve. "E' stato annullato il beneficio per le matite e le famiglie semplicemente non hanno i soldi per comperarle, o li usano per altro," ritiene Honová.

Barbora (36 anni) è un'insegnante con parecchi bambini romanì in classe. Dice che non è facile interessarli nell'istruzione. "Funziona quando sono più giovani, ma già a 13-14 anni non hanno più alcun interesse nell'istruzione. Non ho il tempo per focalizzarmi solo su di loro, specialmente quando le famiglie non cooperano," dice Barbora, che non vuole rivelare il suo vero nome, per paura che dei genitori si vendichino su di lei. "I genitori di questi studenti non sono mai venuti alle riunioni di classe.

Secondo Jolana Šmarhovyčová, un'assistente sociale, sarebbe d'aiuto contare più mediatrici scolastiche romanì, che aiuterebbero i bambini nell'uso del materiale scolastico e nel rapporto con le insegnanti. Anche la direttrice Honová è dello stesso parere.

Aggiunge: "Sfortunatamente, nessuno ci da il denaro che servirebbe. Però, se i genitori non hanno interesse nell'istruzione dei figli, neanche gli assistenti potranno servire."

Esempi positivi

Markéta (26 anni) lavora per un'organizzazione che assiste i bambini romanì ad Ostrava. Dalla sua esperienza ha appreso che a molti di loro piace andare a scuola.

"Ho visitato la famiglia di un bambino di 10 anni. Durante il periodo in cui l'ho aiutato, i suoi voti sono migliorati di molto. Occorre pazienza," dice la giovane.

Šmarhovyčová sottolinea che spesso i bambini romanì vivono segregati dalla società maggioritaria. Anche se ufficialmente classi e scuole per soli rom non esistono, dice che nel pratico ci sono queste divisioni.

Chiede: "Come possono questi bambini essere sufficientemente motivati, quando mancano di esempi positivi? Quando i loro compagni di classe sono tutti nella loro stessa situazione?"

Recentemente si è tenuta ad Ostrava una conferenza sull'istruzione per le minoranze. Vi hanno preso parte autorità locali e organizzazioni non-profit, oltre a genitori e dirigenti scolastici.

"Abbiamo proposto che l'ente legale incaricato delle scuole, monitori la percentuale dei bambini romanì che le frequentano. Se la percentuale dovesse raggiungere una data cifra, lì non si dovranno più iscrivere bambini romanì," dice Šmarhovyčová, aggiungendo che dev'essere aumentato anche il numero di mediatrici scolastiche. "Penso che le parti si apriranno tra loro e che la situazione migliorerà."

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Di Fabrizio (del 04/12/2012 @ 09:07:27, in Europa, visitato 1406 volte)

27 novembre: Finalmente, dopo sette mesi il municipio [di Nish, ndr.] ha fornito la corrente elettrica a questi esseri umani. by Paul Polansky

Il caso presentato luglio scorso

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Di Sucar Drom (del 05/12/2012 @ 09:05:40, in blog, visitato 1041 volte)

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Di Fabrizio (del 05/12/2012 @ 09:06:32, in musica e parole, visitato 1764 volte)

  A rivista anarchica - anno 42 n. 375 - novembre 2012
in direzione ostinata e contraria 6

Intervista a Santino "Alexian" Spinelli
di Renzo Sabatini

Rom abruzzese, compositore, musicista, insegnante, poeta, saggista, studioso di linguistica e musicologia, insegnante di cultura Romanì all'Università di Trieste, ambasciatore della cultura Romanì nel mondo... una biografia molto ricca! Da dove nascono tutte queste tue passioni?

Dalla famiglia di origine. Ho una grande passione per le lingue ma soprattutto, fin da piccolo, ho avuto una grande passione per la musica. Questa della musica è una cosa che si eredita all'interno delle famiglie Rom.

Esistono varie culture e lingue Rom. Chi sono i Rom abbruzzesi?

Noi siamo la prima comunità Rom arrivata in Italia, alla fine del 1300, quindi la nostra comunità è in Italia da molti secoli, ma la lingua Romanì non ha nulla a che vedere né con il rumeno né con le lingue romanze, né tantomeno con il romanesco! Č una lingua che deriva dal sanscrito e che si è arricchita nei secoli con le lingue dei paesi che abbiamo attraversato e dei popoli con cui siamo entrati in contatto. I Rom, suddivisi in cinque grandi gruppi e innumerevoli comunità, provengono dall'India del nord e attraverso la Persia, l'Armenia e l'Impero Bizantino sono arrivati in Europa. I Rom abruzzesi in particolare sono approdati all'epoca sulle coste di quelle regioni oggi conosciute come Abruzzo e Molise.

Fabrizio De André nel 1996 ha pubblicato Khorakhané, una canzone interamente dedicata al popolo Rom, con una poesia finale in Romanì. Tu ne hai curata una bellissima versione in Romanì abruzzese, ci puoi raccontare come nasce questo progetto?

Mi è stato proposto dalla rivista anarchica e ho accettato molto volentieri, essendo De André uno strenuo difensore della nostra cultura e soprattutto dei diritti umani del nostro popolo, purtroppo ancora oggi vittima di una serie infinita di discriminazioni. Khorakhané in realtà è il nome di un sottogruppo, una comunità particolare di Rom, che pratica la religione musulmana. Io ho visto come molto significativo il sottotitolo della canzone: "a forza di essere vento", che sottolinea come De André avesse capito perfettamente che i Rom non sono nomadi per cultura ma piuttosto itineranti coatti; un sottotitolo con cui voleva, secondo me, allo stesso tempo, sottolineare lo stereotipo romantico che avvolge da sempre il nostro mondo, sottolineare quindi il fatto che i Rom, in realtà, non sono assolutamente conosciuti per quello che sono veramente.
Questa canzone non voleva essere soltanto un omaggio ma anche un veicolo di conoscenza, un ponte per oltrepassare l'ostacolo del pregiudizio e far conoscere meglio la nostra realtà culturale. Quindi, da parte mia, nel momento in cui mi è stata offerta la possibilità di lavorare su Khorakhané grazie a questa rivista che aveva proposto a una trentina di gruppi di nicchia di fare un omaggio a De André, ho accettato volentieri. Dal Romanes harvado della poesia ho curato una versione in Romanes italiano, ovviamente con una interpretazione assolutamente originale, consona alla tradizione dei Rom italiani.

  • La sensibilità: dei Rom italiani

La canzone rappresenta i tratti essenziali della cultura e storia dei Rom. Č come se in poche righe fossero condensati decine di libri. In effetti prima di lavorare al testo della canzone De André ha voluto studiare tutto il materiale disponibile. Pensi che abbia colto nel segno? Anche se non era un Rom trovi che abbia parlato in maniera corretta del tuo popolo?

Assolutamente sì, perché ha capito, ripeto, che i Rom non sono nomadi per cultura ma itineranti coatti, eterni perseguitati, costantemente discriminati. Per questo il sottotitolo è per me così importante, perché noi siamo definiti spesso, romanticamente: "i figli del vento" e in realtà con questo romanticismo si sono istituzionalizzate in Italia la segregazione razziale e la discriminazione. I campi nomadi sono una realtà orrenda del nostro mondo, rappresentano una forma di segregazione razziale e di apartheid di casa nostra e attraverso questa canzone De Andrè denuncia questo, fin dal titolo.

Quindi a tuo parere i Rom sono essenzialmente un popolo discriminato?

Certamente. I Rom rappresentano la minoranza etnica più diffusa in Europa e, secondo le ricerche della Commissione della Comunità Europea, è anche la minoranza che subisce, nel continente, le maggiori discriminazioni. I Rom subiscono ancora oggi la violazione dei diritti più elementari e l'Italia purtroppo si trova al primo posto per ciò che riguarda la discriminazione nei nostri confronti.

Per la poesia che chiude la canzone De André si è servito della collaborazione di Giorgio Bezzecchi, un Rom harvado. Tu per fare la tua versione hai avuto modo di confrontarti con lui?

No, io sono andato direttamente alla musica di De André e Fossati e ho lavorato su quella, facendo però una versione assolutamente originale, cercando di mettere in risalto la sensibilità dei Rom italiani, senza però nulla togliere al valore semantico, alla bellezza di questa poesia e alla bellezza della musica. Perché la musica, nella sua semplicità, è fortemente evocativa e carica di pathos, e questo va a merito di De André e Fossati per la loro straordinaria sensibilità. Insomma il brano è di per sé già bellissimo, io non ho fatto altro che dare una mia interpretazione.

Bezzecchi ha scritto che: "Khorakhané è in fondo una canzone sulla libertà conquistata attraverso l'emarginazione". Condividi questa affermazione?

Si, la condivido, anche se a me interessa maggiormente sottolineare l'aspetto della denuncia sociale da parte di De André. Certo, comunque sicuramente la canzone esalta la libertà. La libertà ad esempio di avere una identità che sia ben chiara, al di là delle discriminazioni e delle politiche di assimilazione. La popolazione Romanì è rimasta sé stessa nel tempo e nello spazio senza aver mai fatto guerra a nessuno, senza aver mai avuto un esercito, senza mai aver attuato alcuna forma di terrorismo. Questa senz'altro è anche l'essenza di questa canzone.

Ma allora secondo te il popolo Rom per essere libero, per rivendicare questa libertà deve per forza anche accettare l'emarginazione?

Assolutamente no, anzi, al contrario! La popolazione Romanì che si trova in Italia è generalmente composta da cittadini italiani e non deve essere discriminata, perché questo ce lo dice la Costituzione. Non possiamo accettare che ci siano cittadini di serie A e cittadini di serie B. Cittadini che hanno diritti ed altri che non li hanno. I diritti elementari: scolarizzazione, lavoro, casa, assistenza sanitaria, sono diritti inalienabili. Invece nel caso dei Rom questi diritti elementari, che conferiscono cittadinanza, vengono violati quotidianamente. Questo è non solo ingiusto ma anche anticostituzionale, perché stiamo parlando di cittadini italiani. Quindi, per quanto riguarda la libertà, si tratta di essere cittadini soggetti di diritti e questa è la vera libertà che i Rom devono ancora conquistare sul suolo italiano.

Nella tournée di "Anime Salve" De André presentava Khorakhané parlando a lungo degli "zingari". La sua riflessione lo portava a chiedere, per gli zingari, il premio Nobel per la pace perché, come hai appena sottolineato anche tu: "girano il mondo da duemila anni senza armi". Questa è una bella provocazione rispetto ai tanti italiani che gli zingari invece li considerano addirittura pericolosi. Qual è stata la tua reazione a questo atteggiamento di De André?

Secondo me ha colto l'essenza, ha capito fino in fondo la nostra cultura e l'ha difesa a spada tratta. L'errore però è definirci: "zingari", noi non siamo zingari, siamo Rom. Zingaro è offensivo ed è un eteronimo, non è la maniera in cui definiamo noi stessi, è la maniera in cui i gagé, i non Rom, ci definiscono, spregiativamente. Anche questo concetto quindi va superato.

  • Ribellione e richiesta di aiuto

Penso che De André usasse il termine: "zingari" a mo' di provocazione e anche per maggiore chiarezza. Visto che al termine è associato il disprezzo generale dire: "Nobel per la pace agli zingari" è certamente più forte, come provocazione, che dire "Nobel ai Rom".

Si, ne sono convinto anch'io. Lui utilizzava il termine a mo' di provocazione ma sapeva perfettamente che noi siamo Rom. Però per me è importante chiarire, per chi ci ascolta, per coloro che non conoscono profondamente la nostra realtà culturale ma ci conoscono solo attraverso il filtro di stereotipi negativi che spesso allontanano, spingono a non manifestare neanche l'interesse nei nostri confronti. Così succede, da una parte, che un enorme patrimonio culturale e artistico non viene valorizzato e dall'altra che dei semplici fatti sociali vengono addirittura elevati a modelli culturali, per cui l'errore del singolo porta inevitabilmente alla condanna di tutte la comunità, che sono invece tante e molto diversificate fra loro.
Eppure i Rom, nonostante la discriminazione in Europa, hanno contribuito a crearla, l'Europa! Pensiamo alla cultura musicale: nel periodo romantico, nel momento in cui si sviluppa il concetto di "nazione", in cui si parla di fattori locali e di radici culturali, in quella fase i Rom hanno dato un contributo enorme ai grandi compositori. Listz, Brahms, Schubert, Granado, Debussy, Mussowski, Stravinskij, Chaikovski, Dvorak, Bela Bartok: tutti si sono ispirati alla nostra musica. Fino ad arrivare ad oggi. Pensiamo a Goran Bregovic: che operazione ha fatto? Ha preso a piene mani dalla musica dei Rom in macedonia, ma poi per quanto riguarda i diritti di autore risulta che questa musica è sua! La stessa cosa che ha fatto Brahms con le danze ungheresi o Listz con le rapsodie ungheresi.
I Rom poi hanno arricchito l'Europa portando strumenti fondamentali. Anzitutto il "cimbalom", introdotto in Europa ad immagine e somiglianza del "Santur" indiano. Dal cimbalom ungherese e rumeno nacque il clavicembalo, da cui poi, per altre vie, nacque il pianoforte. Quindi lo strumento dei Rom è stato l'antenato del pianoforte e questo ben pochi lo sanno! Così come nei territori balcanici i Rom hanno introdotto la "zurna", uno strumento a doppia ancia dal quale in Europa derivano due strumenti, uno colto e l'altro popolare: l'oboe, che si suona nelle orchestre sinfoniche e, nel sud dell'Italia, la ciaramella, che è uno strumento conico di forma allungata a doppia ancia.

Ma tornando a questa idea di De André, il premio Nobel per la pace ai Rom. Tu come reagisci?

I Rom hanno risposto alle discriminazioni con un atteggiamento di passività che voleva essere una forma di ribellione e una pacifica richiesta di aiuto. Hanno utilizzato forme di resistenza passiva analoghe a quelle adottate da Ghandi secoli dopo. Credo sia molto significativo avere un popolo che non ha mai usato le armi in un'Europa in cui l'etnocentrismo ha causato danni incalcolabili. De André aveva capito perfettamente il nostro spirito e la qualità, la carica emotiva della nostra musica, il coinvolgimento fisico della nostra ritmica. Aveva capito perché aveva studiato i Rom e in questa canzone, Khorakhané, aveva riassunto tutta la sua esperienza, la sua profonda conoscenza di un mondo che ancora, a molti, appare sconosciuto, negativo, degradato, perché in realtà non lo conoscono.

Insomma, sul Nobel non ti sei sbilanciato! Con la frase: "i soldati prendevano tutti e tutti buttavano via", De André nella sua canzone affronta anche il tema delle persecuzioni subite dai Rom...

Certo. I Rom e i Sinti sono stati barbaramente massacrati durante la seconda guerra mondiale. Oltre mezzo milione di Rom e Sinti trucidati, seviziati, usati come cavie per gli esperimenti, depredati dei loro averi: oro, terre, case e soldi mai restituiti. E su questo, da subito c'è stata una rimozione: nessun Rom o Sinto è stato chiamato a Norimberga a denunciare i propri carnefici. Quindi questo genocidio, nella storia, è stato totalmente rimosso. Ancora oggi l'Europa deve un riconoscimento, dal punto di vista morale, psicologico, culturale e storico, perché oggi, quando si celebra la giornata della memoria, si celebra una giornata mutilata, offensiva e discriminante, perché si ricorda soltanto una parte delle vittime, non tutte. Quindi i Rom sono vittime discriminate anche nel ricordo.

Infatti lo sterminio nazista delle popolazioni Rom è un capitolo della storia poco noto e poco studiato sia in Italia che altrove...

Sì, però bisogna dire che all'estero se ne parla molto di più che in Italia. In Germania per esempio ci sono stati anche dei risarcimenti, esiste un museo dell'Olocausto Rom, vengono promosse delle iniziative importanti. Ne cito una per fare un esempio: nel 2008, di fronte al Parlamento tedesco che nel 1933 Hitler fece bruciare, dove già c'è un monumento che ricorda lo sterminio degli ebrei, sorgerà un monumento enorme, anche molto bello (ho visto il progetto), dedicato a Rom e Sinti. Tra l'altro sul monumento apparirà proprio una mia poesia, Auschwitz, che sarà illuminata ventiquattro ore su ventiquattro.

  • Fabrizio, un precursore

La canzone riassume i tratti essenziali della cultura e della storia dei Rom. Paolo Finzi, anarchico e amico di Fabrizio, ci raccontava che prima di scriverla De André aveva studiato tutto il materiale disponibile. Secondo te De André ha colto nel segno? Ha parlato correttamente del tuo popolo, pur senza essere lui stesso Rom? Ha colto l'essenza?

Certo. Io penso che sia straordinario come De André abbia sintetizzato in una sola canzone, in poche righe, tutto il mondo Rom. Ha fatto una sintesi che solo un genio artistico poteva fare in quel modo. Per questo ho cantato questo brano con una particolare dedizione e con tanta attenzione, perché era importante sottolineare tutto quello che lui aveva scritto cercando però di dare al pezzo l'anima Romanì. Ecco questo è stato il mio contributo: ho cercato di dare a questo pezzo un'emotività tipicamente Romanì.

Tu dicevi che i Rom sono spesso conosciuti solo attraverso gli stereotipi, magari ammantati di romanticismo. Con Khorakhané invece De André ci ha avvicinato al popolo Rom così com'è, in carne ed ossa. Mi piacerebbe sapere se questa canzone si è fatta strada anche nel popolo Rom. Se è conosciuta, apprezzata, se la gente è stata contenta, se si è sentita magari, per una volta, ben rappresentata.

Come no, certamente. Ovviamente, fra i Rom, gli intellettuali, quelli con un grado di istruzione più elevato, hanno capito meglio, hanno potuto cogliere la profondità, la valorizzazione del mondo Rom che c'è dietro questa canzone. Altri invece magari hanno apprezzato soprattutto la musica, perché la musica già di per sé è un linguaggio, che arriva al cuore prima che alla mente. Per cui molti Rom e Sinti apprezzano tantissimo questo brano. Ma del resto molti Rom e Sinti appezzano proprio l'artista De André in maniera particolare, anche al di là di questo brano.

Parlando invece degli "altri", dei non Rom, De André ha raccontato che questo testo ha sollevato qualche malumore. Aveva anche ricevuto qualche lettera di protesta, come del resto c'era da aspettarsi.
Tu hai avuto la sensazione che comunque la canzone sia servita, che sia arrivata al cuore di qualcuno, che magari prima aveva un atteggiamento negativo e che poi, a partire da una riflessione su Khorakhané, abbia cominciato a porsi in modo nuovo nei confronti dei Rom?


Ma io direi che la canzone in realtà rappresenta un pezzo, una testimonianza di un movimento in atto in Italia, un movimento di opinione che coinvolge in qualche misura il mondo Rom e Sinto che per ora, in questo paese, è ancora segregato e discriminato. Forse De André di questo movimento è stato proprio un precursore, gli ha dato l'input, perché ha scritto questa canzone quando questo movimento ancora non esisteva. Quindi io gli riconoscerei questo grandissimo merito: come in tanti altri casi, come per tante altre sue canzoni, lui è stato un precursore. E il genio è anche questo: il saper cogliere prima degli altri determinati aspetti della nostra società, del mondo, della stessa città in cui viviamo. Lui, da questo punto di vista, è stato sicuramente un precursore.

In questa canzone c'è anche la gioia di stare assieme, divertirsi, fare festa. C'è una strofa che, non a caso, viene subito dopo quella sulle persecuzioni, come se il momento della festa fosse anche un momento di riconciliazione con la vita, con il mondo e con gli altri.

Infatti qui Fabrizio ha colto perfettamente questo aspetto della nostra cultura. Se da una parte ci sono le discriminazioni, le persecuzioni, dall'altra esce fuori l'aspetto reale dei Rom, l'essenza, il carattere brioso, allegro, di persone che, in qualsiasi condizione, riescono a sorridere alla vita. Laddove altre persone, nelle stesse condizioni, finirebbero per cadere in depressione o fare scelte estreme, come il suicidio, i Rom, invece, comunque sorridono alla vita non ostante tutto. Credo che questo aspetto abbia colpito profondamente De André e quella strofa della canzone ce lo fa capire. Lì lui ha colto la baldanza, l'allegria, la voglia di vivere di un popolo che non si è mai rassegnato. Del resto persino ad Auschwitz i bambini Rom, fino all'ultimo giorno, fino all'ultimo respiro, hanno sempre mostrato la loro voglia di vivere. Questa è una cosa che tanti, molti ebrei, molti sopravvissuti, hanno sottolineato: erano proprio i Rom che ad Auschwitz riuscivano a dare una dimensione un po' più umana del lager, di quel campo di orrore e morte.

La canzone parla di Rom senza avanzare giudizi, com'era nello stile di De André. C'è però un passaggio particolarmente coraggioso che mi piace sottolineare: quando parla delle "spose bambine" che vanno a "caritare". Qui non solo non si avanzano giudizi ma si invitano gli ascoltatori alla cautela nell'esprimerli perché: "Se questo vuol dire rubare, lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca il punto di vista di Dio".
Su questo tema poi De André nei concerti diceva; "certo gli zingari rubano, ma non ho mai sentito dire che abbiano rubato tramite banca". Ancora una volta c'è un bel ribaltamento della morale comune.


Beh, De André sapeva già ed aveva capito perfettamente che rubare per sopravvivere è ben diverso dal rubare per arricchirsi. Rubare del resto non è per i Rom un fatto culturale, come molti credono, infatti i Rom fra di loro non si rubano né si chiedono l'elemosina. Quindi bisogna dare il giusto valore alle cose, capirle, conoscerle profondamente. I Rom, quando venivano fatti oggetto di violenza, nel corso dei secoli, non volendo né potendo controbattere con altrettanta violenza o con la guerra, si sono ripiegati su atteggiamenti solo apparentemente umili, come la mendicità.
Ma la mendicità in realtà è una forma di resistenza passiva e di ribellione pacifica e questo De André l'aveva capito. Perché il fatto di dire, provocatoriamente, che i Rom rubano... ed è vero che molti rubano, certo, non tutti, perché anche qui generalizzare è assurdo, perché ci sono Rom medici, ingegneri, docenti universitari, artisti, vigili urbani, ci sono tanti Rom impegnati nei mestieri più vari quindi, ovviamente, quando si parla dei Rom che rubano, esce fuori uno stereotipo, per cui i Rom così vengono generalmente definiti come criminali e questo è profondamente ingiusto. Č altrettanto vero che discriminazione e degrado portano inevitabilmente all'illegalità. Però, non ostante tutto, i Rom anche nell'illegalità si sono sempre limitati a cose tutto sommato futili, quelle necessarie alla sopravvivenza. Non si sono arricchiti tramite le banche, appunto. Quindi sono altri i veri criminali a mio avviso. Quelli che rubano per arricchirsi e per detenere un potere soggiogando le masse.

  • Il concetto di multiculturalità

Nelle canzoni degli anni Sessanta De André invitava alla compassione e alla pietà. Invece negli anni Novanta con Khorakhané, parlando dei Rom, che la società considera un problema, lui li considera portatori di valori.
In un'intervista aveva detto che: "gli zingari custodiscono una tradizione che rappresenta la cultura più vera e semplice dell'uomo" e che: "potrebbero insegnarci un cammino più umano e più spirituale per un futuro migliore". Tu la condividi un'affermazione di questo genere?


Sì, perché la società Romanì è una società semplice, precapitalistica, basata sui concetti di dare, avere e ricambiare. Il tutto regolato dalla morale di "fortuna / sfortuna", e dal concetto di "puro e impuro", laddove al concetto di puro si collegano parole e comportamenti che danno al soggetto onorabilità e rispetto e al concetto di impuro tutto il contrario. Questo è il mondo Rom, che evidentemente De André aveva capito nella sua essenza.

Nel documentario "Faber" di Bigoni e Giuffrida c'è un'intervista a Giorgio Bezzecchi che tra l'altro dice che De André anche se era un "Gagé" in fondo, spiritualmente, era un Rom. Cosa voleva dire? Cosa si può cogliere in De André che lo faccia sentire così vicino alla tua gente?

La solidarietà umana! La sua solidarietà con il popolo Rom. Lui aveva capito la discriminazione, l'ingiustizia, il fatto che questo popolo è imbavagliato, senza diritto di espressione, in un'epoca in cui la diversità ancora non era un valore ma qualcosa da eliminare.
Oggi il concetto di multiculturalità è entrato a far parte del nostro vocabolario quotidiano ma ancora è di là da venire una vera società multiculturale, che abbia una vera base interculturale; cioè una società in cui non basti la conoscenza ma dove ci sia anche la capacità di viverla un'altra cultura. Oggi noi siamo preparati ad accogliere l'altro come noi stessi? Siamo incuriositi? Abbiamo la capacità di valorizzare l'altro per quello che è e non per quello che noi vorremmo che fosse? Questi sono i quesiti che De André ha posto e ancora non ci sono delle risposte.

All'inizio di questa serie radiofonica abbiamo intervistato lo scrittore Stefano Benni, il quale tra l'altro ci ha raccontato di aver avuto una nonna Rom. Lui sostiene che queste canzoni, proprio perché raccontano senza giudicare, sono un antidoto contro ogni razzismo.
Tu pensi che una canzone possa davvero combattere pregiudizio, razzismo, addirittura aiutare concretamente un popolo discriminato?


Certamente sì, la canzone può essere parte di un percorso di formazione. La canzone arriva al cuore, prima che alla mente, parla alla parte più intima dell'essere umano, dialoga, e può davvero svelare delle verità a persone che non conoscono. Spesso la disinformazione impedisce il dialogo, impedisce il confronto costruttivo, la conoscenza. Nella ricerca della verità una canzone sicuramente aiuta. Pensiamo al successo straordinario che ha avuto questa canzone di De André: ha formato, incentivato, stimolato la curiosità nei confronti dei Rom e questo, sicuramente, è un grandissimo merito.
Proprio da questo punto di vista De André è stato un Rom e non un Gagé. Ha fatto ancor prima di me ciò che io sto facendo per la mia gente, che è il tentativo di valorizzare un enorme patrimonio culturale che è patrimonio dell'intera umanità. Perché la lingua, la cultura, la storia dei Rom appartengono all'umanità tutta e se un domani dovessero scomparire l'umanità intera ne sarebbe impoverita. Bisogna allontanare lo spettro dell'appiattimento del genere umano e questo è il valore profondo del canto impegnato di De André: evviva la diversità! Evviva l'essere individuo nella sua essenzialità, nella sua ricchezza, nella sua complessità, nella sua pienezza. Questo è il valore profondo della testimonianza di De André e Khorakhané lo rivela chiaramente.

  • La salute e la fortuna

Oltre a De André ci sono stati altri artisti Gagé che hanno cantato dei Rom? E se sì, lo hanno fatto in maniera corretta e utile o restiamo nel campo degli stereotipi?

Pochi, però in genere siamo ancora nel campo dello stereotipo: "Ho visto anche degli zingari felici"... è bello sì, però nessuno vuole essere discriminato. Bisogna stare attenti, perché è un po' come l'olocausto: il termine è sbagliato, perché nessuno voleva morire. Non è che ci si volesse immolare per qualcosa. Bisognerebbe parlare di genocidio. E allo stesso modo, non è che i Rom cerchino la discriminazione, l'emarginazione: i Rom sono discriminati dal sistema. Ma non c'è nessuno a cui piace vivere nel fango, o senza diritti. Quelli che vengono a fare oggi in Italia i "nomadi", ieri nella ex Jugoslavia o in Romania avevano tutti le loro case!
Noi Rom italiani abbiamo le case, non da adesso, da secoli! Č la disinformazione dilagante che vuole vedermi per forza o criminale, da una parte, oppure, dall'altra, il rovescio della medaglia, vuole vedermi in quell'idea romantica del Rom libero, che sta al di fuori delle istituzioni... tutte queste stupidaggini! In realtà la cosa più difficile da far capire all'opinione pubblica è che i Rom sono esseri umani normalissimi e che come tutti gli esseri umani vogliono avere rispetto, diritti, vogliono vivere in pace con tutti. Questo ci racconta la storia secolare dei Rom, all'eterna ricerca di uno spazio vitale e invece costretti ad essere eterni migranti, perché scacciati da una parte e dall'altra dell'Europa, perché non protetti dalla politica, perché non rappresentati nelle istituzioni.
Č facile prendersela con chi non può reagire! Ho visto delle trasmissioni televisive che sono veramente dei crimini contro l'umanità! Trasmissioni dove viene presentato il popolo Rom senza dare l'opportunità di esprimersi, dove quindi viene influenzata l'opinione pubblica che diventa una vittima di questo sistema. Č chiaro che poi diventa molto difficile rivendicare i propri diritti! Certi servizi giornalistici, certi articoli, sono, assieme ai campi nomadi, dei crimini contro l'umanità.

Quindi la disinformazione è uno dei problemi maggiori che dovete affrontare?

I Rom non hanno spazio nei mass media, ma non è solo questo. Non c'è ad esempio una valorizzazione dal punto di vista artistico-culturale. La musica che faccio io è presente in Italia da oltre sei secoli. Chi la conosce? E questo ti fa capire. Se provi a chiedere a un laureato di indicare un solo nome di un artista Rom, di citare una poesia Rom, ti risponderà che non ne conosce. Il livello di ignoranza è altissimo nei confronti dei Rom. Ecco perché poi gli stessi intellettuali non esprimono solidarietà. Č questa la differenza di De André: ha mostrato solidarietà. Uno fra i primissimi e uno fra i pochissimi intellettuali e artisti italiani che abbia mostrato solidarietà umana nei confronti delle popolazioni Romanì indifese e discriminate. Č questo il fatto straordinario. Per questo per noi Rom De André è un alfiere d'amore e di pace. Io se avessi potuto incontrarlo gli avrei stretto semplicemente la mano e lo avrei salutato fraternamente alla maniera Rom: (pronuncia una frase in lingua Romanì)...

Noi allora ti salutiamo con le stesse parole, anche se non saprei proprio pronunciarle...

(ridendo) ...il saluto lo estendo fraternamente a tutti gli ascoltatori. Queste parole significano letteralmente: "Che possiate essere sani e fortunati". Perché la salute e la fortuna sono due elementi importanti nella cultura Romanì. Nel mondo Rom stare bene e non incappare in qualcosa di negativo, per una società fortemente oppressa come quella Rom, è l'augurio più grande e più profondo che si possa esprimere nei confronti di un congiunto. Io lo esprimo altrettanto fraternamente alla famiglia di De André, alla sua memoria e a tutti quelli che ci stanno ascoltando. Vi abbraccio forte e spero che questa musica di cui De André si è fatto alfiere sia sempre più conosciuta, apprezzata e valorizzata.

  • Renzo Sabatini

(intervista realizzata via telefono nell'aprile 2007. Registrata presso gli studi di Rete Italia - Melbourne. Andata in onda nell'ambito della trasmissione radiofonica settimanale: "In Direzione Ostinata e contraria", dedicata ai personaggi delle canzoni di Fabrizio De André)


In direzione ostinata e contraria

Con questa intervista a Santino "Alexian" Spinelli, prosegue la pubblicazione su "A" di una parte significativa delle 27 interviste radiofoniche realizzate da Renzo Sabatini e andate in onda in Australia nel programma "In direzione ostinata e contraria" sulle frequenze di Rete Italia fra il maggio 2007 e l’agosto 2008. In tutto si è trattato di sessanta puntate (ciascuna della durata di circa quaranta minuti, per un totale di quasi 40 ore di trasmissioni), nel corso delle quali sono state trasmesse le 27 interviste e messe in onda tutte le canzoni di Fabrizio De André. Si tratta dunque della più lunga e dettagliata serie radiofonica mai dedicata al cantautore genovese.

Se proponiamo questi testi, è innanzitutto per dare ancora una volta spazio e voce a quelle tematiche e a quelle persone che di spazio e voce ne hanno poco o niente nella "cultura" ufficiale. E che invece anche grazie all’opera del cantautore genovese sono state sottratte dal dimenticatoio e poste alla base di una riflessione critica sul mondo e sulla società, con quello sguardo profondo e illuminante che Fabrizio ha voluto e saputo avere. Con una profonda sensibilità libertaria e - scusate la rima - sempre in direzione ostinata e contraria.

Precedenti interviste pubblicate: a Piero Milesi ("A" 370, aprile 2012), a Carla Corso ("A" 371, maggio 2012), Porpora Marcasciano ("A" 372, maggio 2012), Franco Grillini ("A" 373, estate 2012), Massimo ("A" 374, ottobre 2012).

  • la redazione di "A"


Santino Spinelli

in arte Alexian, nasce a Pietrasanta (Lu) nel 1964.
Č musicista, cantautore, insegnante, poeta e saggista.
Ha due lauree: una in Lingue e letterature straniere e l'altra in Musicologia, entrambe conseguite presso l'Università degli Studi di Bologna.
Attualmente vive a Lanciano, in Abruzzo. Insegna Lingua e cultura romaní presso l'Università di Chieti e con il suo gruppo, l'Alexian group, tiene numerosi concerti di musica romaní in Italia e all'estero.
Tra i suoi numerosi lavori discografici ricordiamo:
Romano Thèm - Orizzonti Rom (CNI - Compagnia Nuove Indie, 2007)
Andrè mirò Romano Gi, viaggio nella mia anima Rom (Ass. Thèm Romanó e Provincia dell'Aquila)
Romano Drom - Carovana romaní (Ethnoword, Milano, 2002)
Dromos (Associazione Dromos, 2001)
Segnaliamo inoltre alcuni lavori di natura letteraria e saggistica:
Princkarang - Conosciamoci, incontro con la tradizione dei Rom Abruzzesi (Editrice Italica, Pescara, 1994)
Baxtaló Divès (Collezione Interface, Centro di Ricerche zingare dell'Università di Parigi, Consiglio d'Europa, 2002)
Baro Romano Drom - la Lunga strada dei Rom, Sinti, Kalé, Manouches e Romanichals (Meltemi editore, Roma, 2003)

Per chi volesse approfondire la conoscenza con Santino Spinelli:
e-mail: spithrom@webzone.it - telefono: 0872.66.00.99
sito ufficiale: www.alexian.it

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Di Fabrizio (del 06/12/2012 @ 09:03:40, in musica e parole, visitato 1163 volte)

movieplayer.it a cura di Luciana Morelli pubblicato il 26 novembre 2012
Presentato in anteprima mondiale al Torino Film Festival 2012 nella sezione Festa Mobile il nuovo film del regista di origini sarde ambientato nel campo nomadi di Cagliari e incentrato sull'emarginazione.

Dopo I bambini della sua vita e il documentario su Liliana Cavani, Peter Marcias torna nella sua Sardegna per raccontarci una storia di emarginazione e insieme un dramma di volti e corpi che cerca di aprire lo sguardo ed allargare l'orizzonte su una realtà dolorosa e ingiusta che riguarda strettamente il nostro paese, un argomento che il cinema 'ufficiale' troppo spesso tende ad ignorare. Scritto da Gianni Loy, il film parla sì di un popolo relegato ai margini della società dallo Stato ma più in generale affronta il tema della diversità e dell'integrazione ma parla anche d'amore, amicizia e di comprensione, valori che vanno oltre la razza, il colore della pelle e la nazionalità. Ad accompagnare il film a Torino il giovane regista insieme allo sceneggiatore e ai due attori protagonisti Luli Bitri e Salvatore Cantalupo, rispettivamente una ragazza di origini rom che vive in Francia e un ispettore di polizia di mezza età che diventano amici. Prodotto e distribuito da Gianluca Arcopinto, rispettivamente con la Axelotil Film e con la Pablo, Dimmi che destino avrò è sostenuto dall'Unicef come film di interesse sociale per l'alto valore del messaggio e del tema trattato e sarà nelle sale a partire da giovedì 29 novembre.



Signor Marcias, ci spiega com'è entrato in contatto con la realtà dei campi rom?
Peter Marcias: Per la realizzazione di questo film siamo partiti da una sceneggiatura di Gianni Loy che collabora con la Fondazione Anna Ruggiu onlus e lavora con i tanti campi nomadi presenti in Sardegna, per lo più campi amministrati dalle autonomie locali. Personalmente era la prima volta che entravo in un campo rom, per me è stato un po' come seguire lo stesso percorso umano che intraprende il commissario nel film. E' stata un'esperienza importante per me sia dal punto di vista umano sia professionale.

Come descriverebbe il suo film in poche parole?
Peter Marcias: Dimmi che destino avrò è più di tutto un film sull'interazione più che sull'integrazione, un film che sfrutta elementi di fiction per raccontare la realtà.

Ci spiega perché nel suo film il rapporto che si instaura tra il commissario e la ragazza rom è un po' in controtendenza e cioè è l'autorità ad essere meno forte della parte 'lesa' vista solitamente come la più debole?
Peter Marcias:
Era sostanzialmente quello che volevo venisse fuori dal film, mi sembrava troppo semplicistico realizzare il solito thriller in cui c'è un commissario che esegue le indagini all'interno del campo rom, ho preferito farlo entrare a contatto con la realtà dei nomadi un po' in sordina, quasi in punta di piedi. Mi interessava poi che fosse una donna a prendere il sopravvento sulla vicenda ma non nascondo che questa linea è venuta fuori successivamente e cioè quando il film era già in corso d'opera. Capisco che questo aspetto possa sembrare un po' inverosimile ma ho preferito dirigere la storia verso binari non consueti, è per questo che abbiamo fatto in modo che non accadesse nulla di romantico tra i due protagonisti. Devo ammettere di aver un po' giocato sotto questo aspetto.



Ci spiega come sono andate le riprese nei campi e in che zone è stato girato il film?
Peter Marcias:
Abbiamo girato in due diversi campi, quello di Monserrato e quello vicino a Selargius. Il bello è che dovevamo stare una settimana ed invece alla fine ci siamo stati un mese e mezzo, all'inizio non è stato facile farsi accettare dalla comunità rom ed è anche comprensibile visto che siamo piombati nella loro vita all'improvviso con le nostre attrezzature senza aver loro prima spiegato il tutto. Successivamente si sono dimostrati curiosi nei confronti del film, dei meccanismi organizzativi sul set, dei ciak, degli attori mentre noi dal canto nostro abbiamo cercato di coinvolgerli in tutto e per tutto nelle scene del film facendo interpretare ad alcuni di loro il ruolo di alcuni poliziotti durante la scena della perquisizione. Quello che non volevamo era approfittare del loro naturale folklore per raccontare la nostra storia, abbiamo voluto raccontare la loro vita nella loro essenza.



Come hanno vissuto i due attori questo stretto contatto con la comunità rom e come hanno lavorato per affrontare al meglio i loro personaggi?
Luli Bitri: Per me era un po' più difficile perché dovevo essere una di loro, per prepararmi ho fatto ricerche letterarie ma quel che mi ha più aiutato è stato l'incontro con una ragazza che era nella stessa situazione di Alina, il mio personaggio, e quindi ho usato i suoi consigli linguistici e comportamentali per entrare nella psicologia delle donne della comunità. Col passare dei giorni poi sono diventati degli amici per me, mangiavamo insieme, stavamo ore a chiacchierare e qualcuno si è anche confidato intimamente con me, alla fine mi sono dimenticata di essere un'attrice. Posso dire di aver preso parte ad un pezzettino della loro vita e di aver regalato loro qualche momento di riflessione stuzzicando la loro curiosità e le loro speranze per il futuro.
Salvatore Cantalupo: Mi sono molto rispecchiato nei bambini rom che ho allenato sul campo di calcio nel film, facevano gli stessi giochi che facevo io da scugnizzo napoletano, ma più di ogni altra cosa ho cercato di vivere il più umanamente possibile il mio personaggio.

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Di Fabrizio (del 06/12/2012 @ 09:04:05, in Italia, visitato 1821 volte)

Indice

Volete fare un regalo e (tanto per cambiare) avete già spremuto la vostra fantasia (e le vostre tasche) nel corso delle feste passate? Senza nessuna pretesa di completezza, ecco i suggerimenti di Mahalla:

Libri:

Vicini Distanti, presa diretta di vent'anni di storia di un gruppo di Rom Harvati, raccontati "come sono", senza retorica e romanticismi. Un bigino su come "provare" a creare convivenza. Costo unitario 14 euro. Promozione natalizia di Mahalla: 3 copie (firmate dall'autore) 30 euro.

  Luoghi Comuni, ovvero la lunga lotta attraverso paradossi ei stereotipi, tramite una mini-guida turistica ai segreti, le bellezze e i monumenti che possono nascondersi in un campo rom. I ricavati della vendita vanno a finanziare le attività proposte dalla locale comunità rom. Costo unitario 5 euro.

Inoltre: sorprese in preparazione per i lettori di Mahalla.


Arte:

Rebecca è una ragazza di origine Rom. Un'arte innata, la sua, nell'esprimersi attraverso i disegni. Fin da bambina usa ciò che trova in natura per rappresentare le sue idee: terra bagnata, erba, petali di fiori, sassi... Per contatti QUI


Creazioni sartoriali:


Gite fuori porta:

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Di Fabrizio (del 07/12/2012 @ 09:05:08, in Italia, visitato 1251 volte)

Karin Faistnauer, Presidente dell'Associazione "Donne e Futuro", scrive alla cittadinanza lametina

Vivo da tanti anni a Lamezia Terme e sono stata accolta subito in modo speciale dalla popolazione calabrese. Perciò quando ho capito che tra la popolazione Zigara e non-zigara c'è un difetto di comunicazione mi sono sentita in dovere di mettermi in prima persona a vedere come si poteva risolvere il problema. Sapevo che non sarebbe stato facile, poiché tanti altri avevano già provato a "civilizzare" gli Zingari. Ma io avevo un vantaggio in più, straniera, venivo da Innsbruck, non avevo mai avuto contatto con gli Zingari e così non avevo nessun pregiudizio verso di loro come popolo. Lì vedevo come singole persone che si comportano più o meno bene e che non conoscono il "nostro" mondo postmoderno.

Spesso mi chiedono perché mi occupo soltanto delle donne Zingare e io rispondo sempre che, in effetto, mi occupo di tutti, perché se noi riuscissimo a risolvere "il problema zingaro" tutti potremmo vivere bene a Lamezia Terme, perché ci sarebbe finalmente la Pace (guerra non è soltanto quando ci si spara).

Per questo scrivo questa lettera con la preghiera di pubblicarla. Per far notare che c'è una guerra in atto alimentata anche da un'informazione sbagliata che aumenta l'astio verso questo popolo misconosciuto: circolano su Facebook delle foto, dove degli zingari, due donne e un ragazzo, "bruciano" provocando una grossa nuvola di fumo bianco.

Dopo un'assemblea aperta con il Prefetto dove ha partecipato anche una delegazione Zingara alla quale è stata rivolta la richiesta formale di non bruciare più copertoni e rame, gli abitanti "italiani" vicini al campo nomade sono, giustamente, all'erta per controllare se la promessa da parte degli zingari, verrà mantenuta. Dopo anni di convivenza difficile anche il fumo bianco dei rami bagnati dell'albero di olivo accesi per riscaldare i container gelidi o per cucinare quando non ci sono i soldi per comprare la bombola di gas, viene visto come una presa in giro, pensando che si vuole nascondere con la sterpaglia i copertoni o il rame da bruciare. Non è così. Le foto che circolano su Facebook fanno vedere una famiglia Zingara che non ha mai bruciato ne copertoni, ne rame. Questa famiglia vive con la vendita di frutta ma si riscalda al caminetto con il fuoco acceso nell'oliveto.

Adesso, ogni volta che vado al campo nomade, gli zingari che cercano di sopravvivere in un mondo alieno al loro modo di vivere, mi dicono orgogliosi "hai visto non bruciamo più", non sapendo che per gli "italiani" anche il fumo dei rami di olivo bagnati è una minaccia e io spero che chi legge queste righe mi dirà come posso spiegare a loro che non devono più riscaldarsi o cucinare perché il fumo è sempre fumo !

Karin Faistnauer

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Di Fabrizio (del 07/12/2012 @ 09:08:31, in Italia, visitato 1293 volte)

Da Cagliaripad, di Alessandra Ghiani

L'ex campo sulla 554 oggi

Stanchi delle polemiche sulla pulizia dell'ex campo sulla 554 i Rom si appellano agli amministratori dell’ex giunta comunale colpevoli, secondo quanto dichiarano, di averli emarginati e abbandonati a loro stessi contribuendo così al degrado dell’area nella quale erano stanziati:

"La comunità Rom si rende disponibile volontariamente e gratuitamente a lavorare per la bonifica del luogo (…). Saremmo felici se si rendessero disponibili volontariamente e gratuitamente gli ex amministratori del Comune di Cagliari (…)".

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Di Fabrizio (del 08/12/2012 @ 09:04:34, in Europa, visitato 1121 volte)

Da Czech_Roma

Prague, 27.11.2012 0:31 Commento: "Yuck, l'hanno toccato gli zingari!" First published in Deník Referendum. Miroslav Hudec, translated into English by Gwendolyn Albert

"Yuck, l'hanno toccato gli zingari!" Il grido proveniva dalla madre di un bambino di due anni che, spaventato, è scoppiato a piangere. Si era incuriosito per qualcosa sopra un cestino dei rifiuti in una città della Boemia del Nord. Il primo ammonimento di non toccare il cestino sembrava aver terminato il suo effetto - sembrava non aver capito.

Dall'aspetto e dal comportamento, immaginai che probabilmente venivano da una famiglia povera. La madre indossava un cappotto rosa un po' sporco e fumava mentre parlava ad alta voce col ce3llulare attaccato all'orecchio, controllando il bambino di tanto in tanto con rapide occhiate, mentre lui cercava in giro qualcosa di divertente.

Mi è venuta in mente quella madre "bianca" quando ho letto l'articolo su Právo intitolato "A nessuno piacciono i Romanì, ma gli estremisti stanno perdendo" del 22 novembre. Non so chi abbia effettivamente toccato il cestino prima del bambino, e probabilmente non lo sa neanche sua madre. La piazza era silenziosa come se tutti lì attorno fossero morti da tempo in quel noioso, ventoso tardo pomeriggio di sabato. Evidentemente, la madre aveva usato quello che considerava il suo argomento pregnante per non toccare il cestino.

Nel concetto popolare, il termine "zingaro" intende qualcosa di realmente detestabile. Sostanzialmente, un sinonimo per asociale. Questo stereotipo concettuale dura da decenni e viene tramandato da generazioni. "Sono come zingari bianchi", dicevano i nostri genitori 50 anni fa, parlando di gente disordinata, il cui aspetto personale o i quartieri dove vivevano erano trascurati, o in qualche manieri problematici. Se gli intervistati di recente dall'agenzia di sondaggi STEM soltanto hanno avuto un ricordo di quelle nozioni, quando hanno risposto alle domande sulle persone rom, non c'è da stupirsi se il risultato è che "nessuno" li ama.

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