Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
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La redazione
-

Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 
Di Fabrizio (del 10/04/2008 @ 09:01:45, in musica e parole, visitato 1652 volte)

Ricevo e porto a conoscenza:

Salve mi chiamo Cosimo e scrivo per segnalarvi un romanzo "Il circo capovolto" di Milena Magnani ed. Feltrinelli che ho visto presentato in forma di reading spettacolo con attore e fisarmonica ( più autrice) due sere fa al teatro Parenti di Milano, nella rassegna racconto italiano.
Finalmente un romanzo che parla in maniera decisa dell'olocausto rom e che al tempo stesso pone il lettore in collegamento con il mondo interculturale di oggi, dove le lingue della nuova immigrazione hanno un ruolo di rilievo.
Essendo ambientato in una baraccopoli, racconta il convivere di persone di diverse etnie che si devono confrontare e misurare su ciò che li unisce e non su ciò che li divide.
Bellissimo è il fatto che l'autrice, oltre alla narrazione in lingua italiana, abbia lasciato idiomi riferibili a cinque diversi ceppi linguistici (non solo albanese, ma anche rumeno, ungherese, ceko, romanes) e che non abbia sentito il bisogno di metterne la traduzione in italiano a fondo pagina. Su questo punto ho avuto modo di ascoltare le sue motivazioni durante la presentazione che ha fatto in mezzo alle straordinarie letture di Andrea Lupo e alla fisarmonica gitana di Sanelli e mi è piaciuto sentirle dire che il senso della storia, e quindi di una trama comune, si afferra e procede al di là che dei personaggi e delle loro culture non si capisca tutto tutto fino in fondo.
E su questo devo concordare che l'intento è pienamente riuscito. Le differenze non sono ostacolo qui ma solo elementi normali della vita intorno a cui si adatta una volontà di comunanza. La storia poi, la trama che il romanzo sviluppa, ruota intorno a un ungherese Branko Hrabal che arriva in questa baraccopoli portando con se i vecchi materiali appartenuti al circo di suo nonno, un circense deportato a Birkenau. Raccontando ai bambini delle baracche la storia di questo magico circo e affidando loro i materiali che ha recuperato, riesce a restituire lai bambini oro un senso e una dignità del loro stare nel mondo e nella storia.
Quasi certamente voi conoscete già questo libro, io sono stato molto colpito dal tipo di presentazione che è stata fatta in forma di spettacolo perchè è stato come fare un'immersione dentro il libro.
Un romanzo così meriterebbe risonanza in luoghi dove si fa cultura di pace.
Se per caso poi non lo conoscevate, spero di avervi fatto segnalazione gradita.

Cosimo

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Di Fabrizio (del 09/04/2008 @ 10:55:04, in Italia, visitato 1761 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

LUCE SU CASILINO 900 - il video http://it.youtube.com/reterom

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Di Fabrizio (del 09/04/2008 @ 09:31:54, in media, visitato 1689 volte)

Agostino Rota Martir segnala un'intervista interessante del vescovo di Pisa (ormai ex), Mons. Plotti sugli accattoni di Firenze, apparso su La Repubblica, pagina regionale.

Una delle voci più coraggiose della Chiesa tuona contro Cioni:
il decoro, che concetto ipocrita
“Quella proposta è un abominio”

Plotti: si cacciano i poveri perché intralciano lo shopping

MARIA CRISTINA CARRATÙ

«Dietro proposte del genere c’è una fìlosofìa terribile: far finta che la povertà non esista».

Monsignor Alessandro Plotti, arcivescovo uscente di Pisa, una delle voci più alte e coraggiose della Chiesa, non ha dubbi: la proposta dell’assessore Cioni sui mendicanti è «un abominio».

Un abominio, sostiene, come lo sono altre proposte che si preoccupano del«decoro» della città piuttosto che delle esigenze dell’umano».

E’ anche vero, però, monsignor Plotti, che un responsabile delle istituzioni deve cercare di contemperare esigenze diverse, sia quelle dei poveri, che quelle di chi ha il diritto alla propria incolumità, soprattutto se debole e sofferente, come la signora caduta a causa del barbone steso sul marciapiede.

«Si, ma la risposta non mi sembra tanto a questa esigenza, quanto a quella di garantire una certa immagine a una città che si offre al turismo, ovviamente in una logica prevalentemente commerciale. L’avversione per i poveri, per chi ‘intralcia’ il passo a chi viene in visita, o a chi cammina per fare shopping, è palpabile ovunque, mica solo a Firenze. A Milano si dà la caccia ai rom in assetto da sommossa, a Pisa perfino delle suore hanno protestato contro il progetto per un dormitorio di poveri vicino al loro asilo, per paura che i bambini si spaventassero».

Secondo l’assessore Cloni, però, dietro l’accattonaggio può esserci un giro di affari, che può far pensare, almeno in qualche caso, a una falsa mendicità.

«Non so, certo che i falsi mendici, che esibiscono una povertà presunta, ci sono sempre stati, la loro è una frode e mi chiedo perché si sia aspettato tanto ad estirparla. Ma non facciamoci fuorviare. La grande maggioranza di chi chiede l’elemosina è fatta di poveri veri, prodotto sempre più numeroso, fra l’altro, della stessa società che poi li perseguita, e che non sanno realmente come vivere. E come si può pensare che un concetto ipocrita come il decoro, un certo perbenismo di maniera, possano ispirare una qualunque iniziativa efficace riguardo a bisogni reali, concreti, spesso drammatici?».

Lei, allora, dovesse dare un consiglio a un amministratore, cosa gli suggerirebbe?

«Intanto è indispensabile che non una sola istituzione pubblica, ma tutte quante, e con la Chiesa in prima linea, lavorino insieme. Quindi, bisogna partire da un punto di vista totalmente diverso: pensare di avere davanti non un problema di decoro, ma un problema umano. E che ogni persona ha diritto di venire avvicinata, ascoltata, compresa, prima che allontanata. Ma per far questo ci vogliono squadre di operatori che vadano in giro, e soprattutto strutture per accogliere chi, certamente, va prima o poi tolto dalla strada. Nessuno ama chiedere l’elemosina, ma per impedirglielo bisogna offrirgli un’alternativa, non limitarsi a sperare che non si faccia più vedere, ciò che fra l’altro è del tutto illusorio. La cittadinanza deve essere sempre e comunque accogliente, non solo a certe condizioni».

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Di Fabrizio (del 08/04/2008 @ 08:58:30, in Italia, visitato 1491 volte)

Ricevo da Marco Brazzoduro

DICHIARAZIONE DI ANTONIO SCLAVI, PRESIDENTE DI UNICEF ITALIA SU SGOMBERO BAMBINI ROM A MILANO

Roma, 2 aprile 2008 - “Quale progetto di vita per quei bambini e quelle famiglie sgomberate dal campo rom a Milano in via Bovisasca? Perché ad uno sgombero previsto risulta difficile individuare alternative altrettanto prevedibili? Lo Stato italiano, tutto lo Stato ha una responsabilità precisa nel garantire i diritti di tutti i bambini e gli adolescenti a diverso titolo presenti sul suo territorio. E’ questo quanto sancito dalla Convenzione sui diritti dell’infanzia: una responsabilità comune, che attraversa tutti i diversi livelli delle istituzioni competenti.

Il diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, il diritto all’istruzione e alla salute dei bambini rom, sinti e camminanti non possono che essere assicurati dalla collaborazione positiva tra tutti i soggetti in campo, istituzionali e non.

La presenza di questi minorenni nei nostri Comuni non può essere trattata come un’emergenza temporanea: occorre che nel Piano nazionale infanzia venga dedicata una parte specifica a definire una strategia nazionale per loro, risorse adeguate, ma anche un Garante a livello nazionale e regionale che sappia rafforzare il sistema di garanzia a loro tutela.

La Convenzione ONU del 1989, ratificata dall’Italia, ribadisce l’uguaglianza fra tutti i bambini come principio cardine e sottolinea come l’interesse superiore del bambino debba sempre prevalere su ogni altra considerazione.

E’ l’ennesima circostanza, questa, in cui l'UNICEF rinnova l’ appello al Governo, ai politici e ai media affinché si adoperino attivamente al superamento dei pregiudizi per contrastare la diffidenza e il razzismo diffuso verso la più vasta minoranza etnica in Europa, che conta tra gli 8 e i 10 milioni di appartenenti.

In uno stato di diritto la sicurezza affidata alle forze dell’ordine non può prescindere da interventi a favore della sicurezza sociale. Per un bambino, per ogni bambino, ‘essere al sicuro’ equivale a ricevere protezione e rispetto per la propria dignità.”

Per maggiori informazioni: Ufficio stampa UNICEF Italia, 0647809233/287 – 335 333077, press@unicef.it, www.unicef.it

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Di Fabrizio (del 07/04/2008 @ 08:55:58, in casa, visitato 2219 volte)

Da British_Roma

Lucas Dudi non si lamenta della sua vita a Glasgow. "La mia sistemazione è buona. Tutto è a posto. Non c'è lavoro in Slovacchia. C'è lavoro a Glasgow, e così sono venuto qui."

Come molti lavoratori migranti dalla Slovacchia, lavora nell'industria alimentare, con uno stipendio che non gradito a molti scozzesi ma è attraente per chi arriva da paesi dove c'è un alto tasso di disoccupazione. Lavora nel processo alle patate. Altri slovacchi sono impiegati nell'inscatolamento della carne, in altri campi alimentari e nel lavaggio delle auto.

Ma Dudi, che condivide un confortevole appartamento al piano terra con la sua famiglia, è tra i fortunati. Migliaia di lavoratori slovacchi e le loro famiglie sono arrivati a Glasgow nel 2004, quando il  loro paese si è unito alla UE. Molti sono rom - dall'est estremo della Slovacchia, che fuggono da persecuzioni ed esclusioni tra cui la disoccupazione.

La sfida posta ai servizi sociali dell'area sud di Glasgow è stata immensa. Le famiglie migranti hanno richiesto uno sforzo al NHS (Servizio Sanitario Nazionale) e alle scuole, oltre che alla polizia.

Attraverso accordi e collaborazioni molte di queste agenzie dicono che grandi progressi sono stati fatti nell'affrontare i problemi più seri. Ma altri ammoniscono che i rom slovacchi continuano a sovraccaricare riguardo gli slum abitativi e le agenzie di collocamento.

Per paradosso, quando un gruppo pone domande dirette ai servizi locali, i rom tendono ad essere profondamente sospettosi delle autorità ed hanno basse aspettative di aiuto sociale. Ma portano significanti problemi speciali. Per contrasto, ad esempio, gli immigranti polacchi - che tendono ad essere ben organizzati e i cui numeri includono interlocutori di lingua inglese - i rom  slovacchi sono esclusi dalla casa [...] La maggior parte delle agenzie hanno lottato per comunicare con loro e la traduzione rimane il problema più grande.

Diverse agenzie hanno fatto stime differenti sul numero degli arrivati, la cui cifra oscilla dai 1000 ai 3000 individui o forse più. Molti abitano in case affittate privatamente, spesso di dubbia qualità - una situazione esacerbata dal sovraffollamento. In situazioni limite si sono incontrate famiglie di 14 persone in appartamenti a due stanze ed altri che ospitano tre famiglie in un unico spazio. Questo crea problemi in particolare con i servizi sanitari ed i rifiuti.

Anche se di bassa qualità, la casa non è economica. Qualcuno paga sino a 650 sterline al mese per un appartamento base, e queste case sono spesso legate a disoccupazione, con la sistemazione ritirata se il lavoro manca.

Anna Lear, direttrice della Govanhill Housing Association, è allarmata dalla mancanza di politiche sulle condizioni degli immigrati slovacchi. La sua organizzazione ha rinnovato circa 2000 proprietà abitative nell'area, teme che molto lavoro andrebbe perso a causa del deterioramento delle proprietà.

Quest'associazione sta portando avanti una dettagliata ricerca su uno delle quattro strade chiave che forniscono alloggio a molti dei migranti slovacchi, in un quadrato costituito da Calder Street, Dixon Avenue, Westmoreland Street e Annette Street. Sono incluse proprietà davvero povere. Dice Lear: "Abbiamo nuovamente scene di povertà comparabili agli slums degli anni '60".

"In certe case le condizioni sono terribili. La gente continua a pagare 650 sterline al mese per un appartamento con blatte, ratti, insetti o deve si deve cucinare con un fornellino a gas.

Non c'è niente di nuovo, fa notare. Le condizioni erano molto dure prima degli ultimi arrivi. "Abbiamo contato 600 appartamenti sfitti nell'area. I problemi non sono nuovi, ma il cambio della popolazione rendono tutto più difficile."

La popolazione base di Govanhill è di circa 10.000. Così, a seconda che siano qui 1000, 1500 o 2000 rom slovacchi, c'è una crescita tra il 10% e il 20%. Fa notare che "Se avessimo il 20% d'aumento nell'uso della scuola, lavoro sociale, casa e così via, ci sarebbero le possibilità di fare pressione." Ma è la casa l'elemento chiave: "Vorremmo vedere i governi locali e centrali impegnarsi per ammodernare le rimanenti proprietà."

Basta dare un occhio ai due lati di Allison Street, la via pubblica principale di Govanhill, per scoprire le condizioni degli edifici. Una finestra si apre al cielo, con la pioggia che cade sulle scale ed un gruppo di piccioni vi staziona. Gran parte della scala è coperta di escrementi d'uccelli.

Mucchi di rifiuti, confezioni di giocattoli e tubi che escono dal suolo non sono rari nelle corti interne. Qualcosa o qualcuno ha fracassato le finestre, con le inferriate della scala tagliate e "fissate" con compensato. Altri hanno messo un avviso comunale sulla presenza di veleno per ratti.

Gli slovacchi condividono gli spazi con alcuni residenti locali meno desiderabili. I graffiti indicano il mari di aghi scartati probabilmente lasciati da alcune persone indigene.

Il consiglio ha difficoltà nell'affrontare il sovraccarico dei residenti che, per paura di perdere le loro case, colluderanno spesso con i proprietari nel fornire dati imprecisi [...]

Lentamente si affrontano i problemi di comunicazione. La Govanhill Housing Association ha ingaggiato uno studente slovacco dell'Università di Glasgow per sviluppare il lavoro. Nel frattempo, altre due slovacche, Lydia Zelmanova e Marcela Adamova, sono stati impiegati da Oxfam e dalla Glasgow Braendam Link per aiutare le famiglie migranti nell'accedere ai servizi e offrire loro aiuto per l'emergenza. Anche se Zelmanova è tornata in Slovacchia il mese scorso, le posizioni sono state formalizzate e la Community Health Care Partnership ha assunto la direzione dei lavori, impiegata da NHS e il suo rimpiazzo è in divenire.

Prima di lasciare, Zelmanova ha detto a The Herald che le lacune nel sistema stavano conducendo alla frode e allo sfruttamento. Anche se gli interventi sono principalmente intesi per affiancare i servizi sociali e sanitari, la maggior parte degli interventi richiesti riguarda il  lavoro. Dice: "La gente pagherà per ottenere il lavoro per diverse settimane, ma allora non ce ne sarà più. E' stato detto loro che se desiderano un secondo lavoro debbano pagare £50-200."

Zelmanova aggiunge quanto le frodi fossero comuni. I lavoratori la cui occupazione termina sono rimandati a casa, dice, mentre alcune bande di malavitosi continuano ad esigere i benefici quali gli accreditamenti di imposta sui figli. Adamova ha detto che parecchi casi sono stati segnalati all'autorità.

Dicono i lavoratori slovacchi che questi problemi vengono affrontati dando lezioni di inglese, così che siano meno dipendenti dai loro sfruttatori. Questi corsi sono offerti, ma la richiesta supera l'offerta.

Adamova dice che pure la sistemazione è un problema arduo da affrontare, parzialmente perché i migranti tollerano condizioni peggiori dei locali. "Molto slovacchi non direbbero di vivere in sovraffollamento, perché per noi è comune da tre generazioni vivere in due stanze."

D'altra parte, i lavoratori credono che i proprietari siano degli sfruttatori. Molti non hanno contratto d'affitto e le somme richieste sono alte. "Se termina il lavoro, l'agenzia non pagherà l'affitto," spiega Adamova. "Per terminare, abbiamo degli homeless."

Mike Dailly, della Govan Law Centre, dice che finché non ci sono soluzioni complessive, la legge dovrebbe essere in grado di fornire una vita migliore ai lavoratori migranti. Questo è il motivo per cui si srta progettando un centro legale a Govanhill, dice."Gli avvocati non hanno tutte le soluzioni ma la gente ha i suoi diritti."

C'è molta manipolazione ed i Rom stanno tollerando le condizioni degli slums. Molta gente è cosciente dei limiti dei problemi. Sono membri di un'etnia che negli anni è stata un capro espiatorio e non vogliamo che questo succeda a Glasgow.

I programmi per il centro legale hanno una solida base e potrebbe essere in servizio in una coppia dei mesi se si potesse assicurare un contributo finanziario sufficiente.

Spiega Dailly che se il centro aiuterà i migranti slovacchi, sarà comunque a disposizione per chiunque abiti l'area. "Srà er chiunque secondo i nostri criteri si trovi in stato di necessità." Questo approccio dovrebbe mitigare le tensioni sociali, ragiona Dailly.

Una delle sfide per la polizia è data dagli atteggiamenti sociali differenti dei rom e degli altri residenti di Govanhill. In particolare, molte delle famiglie slovacche gradiscono riunirsi sulle vie nella prima sera e più tardi nella notte, non causando danni ma disturbando altri residenti.

Tutte queste cose assieme creano tensioni sociali e dividono la gente," dice Dailly. "La comunità può declinare se non è indirizzata."

By STEPHEN NAYSMITH, Society Editor

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Di Fabrizio (del 06/04/2008 @ 09:44:31, in Europa, visitato 1892 volte)

Da Roma_Francais

I Sulejmani  vivono ad Herbiers da più di un anno. La loro domanda d'asilo rifiutata, queste vittime dimenticate della guerra del Kosovo non immaginano di dover ancora ripartire. E per andare dove?
La famiglia Sulejmani lasciò il Kosovo nel 1999. "Come molte altre case dei Rom, la nostra fu bombardata", dice il padre Bun Sulejmani, 47 anni. Oggi, l'avvenire della famiglia è di nuovo incerto.

I Sulejmani abitavano a Mitrovica. "Prima della guerra, vivevamo bene in Kosovo. Avevamo una drogheria, non c'erano problemi. Ma oggi, i Rom non sono più accettati da nessuna parte. Siamo come palloni da football."

I Rom sono le vittime dimenticate della guerra che ha devastato il Kosovo alla fine degli anni '90. Una minoranza presa nella tenaglia del confronto che opponeva Serbi ed Albanesi. Oggi, i Rom restano indesiderabili in questo paese divenuto indipendente lo scorso 17 febbraio. "Prima della guerra, c'erano circa 144.000 Rom in Kosovo," completa Yvon Albert che insegna il francese alla famiglia Sulejmani. "Oggi, non ne restano che il 10%"

Attorno a Yvon Albert, nell'appartamento della famiglia messo a disposizione dal Centro d'accoglimento dei richiedenti asilo (CADA), si sono raggruppate una dozzina di persone. Sono cittadini di Herbiers sensibili alle sorti di questa famiglia. "I bambini vanno a scuola, i genitori imparano il francese. E' una famiglia molto unita, che chiede di integrarsi. Una petizione recentemente lanciata ha raccolto 1.500 firme."

Bun e Sheribana hanno sei figli. Quattro di loro vivono a Herbiers. La più giovane, Ikbal, ha 11 anni. Frequenta la scuola del quartiere, ha lasciato il Kosovo che aveva 3 anni. "Non mi ricordo di quel paese. Io, voglio restare in Francia, continuare ad andare a scuola."

Dopo il bombardamento della loro casa, la famiglia s'è ritrovata in un campo a Podgorica, nel Montenegro. "Gli otto membri della famiglia ci sono restati per otto anni, min una baracca grande come una stanza," dice Geneviève Cantiteau, dell'associazione Actif, che milita per i richiedenti asilo. "Alimentazione e cure erano aleatori." La famiglia è riuscita infine a pagare uno spallone che li ha condotti in Francia. Dopo aver soggiornato in diverse città, sono arrivati ad Herbiers nell'aprile 2007.

"Là, abbiamo seguito la prassi abituale," illustra Geneviève Cantiteau. "La loro prima domanda di regolarizzazione è stata rifiutata. Ugualmente per il ricorso. Sembra per ragioni amministrative."

La famiglia dovrà lasciare l'appartamento entro il 10 aprile. Ha indirizzato un ultimo ricorso alla prefettura della Vandea. E' l'ultima possibilità. "Vogliono che ritorniamo in Kosovo, ma non è possibile," continua il padre della famiglia. "L'indipendenza non cambia niente per noi Rom. I Serbi ci detestano, gli Albanesi pure. Non abbiamo nessun posto dove andare."

Sua moglie Sheribana, silenziosa sino a questo momento, alza le braccia e gli occhi al cielo. "Meglio morire che rientrare in Kosovo."

E' stata pubblicata su Internet una petizione: http://www.educationsansfrontieres.org/

[...]

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Di Sucar Drom (del 05/04/2008 @ 21:01:07, in blog, visitato 1595 volte)

Firenze, caccia ai mendicanti
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Di Fabrizio (del 05/04/2008 @ 09:16:17, in Italia, visitato 1731 volte)

LA SINISTRA L’ARCOBALENO

Martedì 8 aprile 2008 dalle ore 18 alle 20.30
presso la Camera del Lavoro di Milano corso di Porta Vittoria 43

In occasione della GIORNATA INTERNAZIONALE DEL POPOLO ROM

Presentazione di:
RACCOMANDAZIONE del CERD
(Comitato ONU per l’eliminazione della discriminazione razziale)
a cura di MAREK HOJSIK, Chore (Centre on housing rights and evictions)

RAPPORTO SULL’ANTIZIGANISMO IN ITALIA
prodotto da OsservAzione, CHORE, ERRC (European roma rights centre)
a cura di PIERO COLACICCHI,

Interventi di
MARIO AGOSTINELLI, capogruppo PRC in Regione
CHIARA CREMONESI, coordinatrice Sinistra democratica
CORRADO MANDREOLI, Camera del lavoro Milano
DIJANA PAVLOVIC, attrice
TOMMASO VITALE, sociologo, Università Bicocca
Coordina: Paolo Cagna Ninchi, associazione Upre Roma

Partecipano e intervengono:
Comitato Rom e Sinti insieme, Coordinamento Rom di Milano,
rappresentanti dei campi Rom di Milano

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Di Fabrizio (del 04/04/2008 @ 09:27:59, in Italia, visitato 1484 volte)

Ricevo da Maria Grazia Dicati

Nemmeno l’Europa, nonostante le sanzioni e le denunce, era riuscita a sollevare così fulmineamente il dibattito politico sulla questione Rom in Italia, dibattito a cui ognuno vuole partecipare più per visibilità e tornaconto elettorale che per un reale interesse ad affrontare la gravissima e vergognosa condizione delle famiglie rom, in cui vengono ignorati i più elementari diritti.

Ma, mentre la Curia di Milano, dopo l'abbattimento di 187 baracche, ha sentito l’obbligo morale e cristiano di muovere pesanti critiche ai raid nelle baraccopoli, in molte altre città e regioni, continuano con la medesima crudeltà gli sgomberi e gli allontanamenti nell’indifferenza e nel silenzio assordante delle Istituzioni e dei massmedia.

RomSinti@politica rivolge un appello a tutti i partiti affinché la problematica rom in Italia venga affrontata con serietà, determinazione e concretezza, coniugando legalità e sicurezza con solidarietà e rispetto delle regole tra persone che convivono nello stesso territorio.

RomSinti@politica chiede giustizia anche per tutte le minoranze Rom e Sinte in Italia attraverso la partecipazione politica degli stessi Rom e Sinti che possano dare voce ad un popolo costretto a subire le decisioni e le scelte di altri non appartenenti alla nostra comunità.

In questi ultimi anni la problematica rom, insieme a molte altre questioni irrisolte , non solo è stata ignorata, ma utilizzata e strumentalizzata per fini propagandistici al servizio di una politica ipocrita ed incapace di affrontare e risolvere i problemi.

A tutt’oggi molti rom e sinti devono modificare il loro cognome per sfuggire alla discriminazione razziale, in nome di quella “tolleranza zero” sbandierata indiscriminatamente e non utilizzata invece per colpire i veri criminali.

Il rinnegare il proprio cognome quasi per liberarsi di un’appartenenza troppo ingombrante è solo uno degli esempi a cui le minoranze Rom e Sinte devono ricorrere se vogliono lavorare, acquistare un’abitazione o inserire i loro figli a scuola senza pericolo che siano discriminati.

Per governare le città, non servono fossati che dividono cittadini di sere A da cittadini di serie B, ma corrette scelte di politica sociale, culturale ed economica capaci di promuovere l’inclusione e la coesione sociale, evitando che sacche di disagio si trasformino in devianza e illegalità.

Perché candidare proprio un Rom? Perché non candidarlo?

A Pescara la candidatura del Rom cittadino italiano Nazzareno Guarnieri nella lista civica “Pescara futura” è la dimostrazione concreta di una volontà politica che intende trattare la problematica Rom nel segno e nella prospettiva della “NORMALITÀ”, della “NON DISCRIMINAZIONE” e della “SICUREZZA”

Nella lista “PESCARA FUTURA” la presenza del Rom Nazzareno Guarnieri costituisce prova tangibile di una politica che non dovrebbe discriminare nessuno per la sua appartenenza etnica, concetto basilare su cui si fonda legalità e giustizia.

Votare un Rom al Consiglio Comunale di Pescara rappresenta un momento storico importante e un laboratorio anche a livello nazionale (come già avviene in altri paesi europei e come chiede l’Europa); solo in questo modo i Rom possono essere protagonisti e responsabili del loro futuro e della loro vita : I valori hanno coraggio e chi crede nei valori deve esercitare questo coraggio!

AssociazioneRomSinti@politica

Quanti volessero sottoscrivere il seguente documento, sono pregati di indicare il loro nome,cognome,comune di residenza o domicilio, specificando la loro eventuale appartenenza ad un’associazione, ad un Ente o altro

http://coopofficina.splinder.com/post/16591437#more-16591437

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Di Fabrizio (del 04/04/2008 @ 09:00:04, in Europa, visitato 1867 volte)

Da Euobserver

Alcune OnG europee contro il razzismo hanno criticato la Commissione Europea per aver erogato soldi per attività durante l'anno europeo del dialogo interculturale ai governi UE, piuttosto che a chi lavora direttamente per aiutare le comunità minoritarie.

Dice Bashy Quraishy, presidente di European Network Against Racism (ENAR) a Euobserver: "Se la Commissione Europea voleva il multiculturalismo ed il dialogo interculturale, avrebbe dovuto dare almeno metà dei soldi alle OnG che interagiscono con i soggetti reali con cui vogliono creare un dialogo."

La sua organizzazione raggruppa oltre 600 OnG che operano nel combattere il razzismo, la xenofobia, l'antisemitismo e l'islamofobia nei 27 stati membri della UE.

Quraishy, di origini pakistane, dice che se ogni paese scegliesse di spendere i fondi UE secondo la propria definizione di "dialogo interculturale" le minoranze oggetto avrebbero scarse possibilità di essere coinvolte nel dialogo con le comunità maggioritarie.

Si rivolge al suo paese, la Danimarca: "Il governo danese non crede nell'interculturalismo. credono nella cultura danese. Il governo non ha invitatao una singola OnG locale per discutere le attività dell'anno," dice Quraishy.

Ciononostante, ha elogiato la Commissione Europea per la sua iniziativa, sottolineando che ogni iniziativa sul multiculturalismo è utile e che Bruxelles è stata molto più attenta dei singoli stati membri.

D'altra parte, i politici UE dovrebbero richiedere ai governi di spendere i fondi secondo una definizione condivisa delle parole "multiculturalismo" e "dialogo interculturale", prima di dar fondo alla cassa, ha aggiunto.

"La commissione avrebbe dovuto dire: -Per interculturalismo intendiamo che le maggioranze con tutte le proprie risorse e denari interagisce con le minoranze che non ne anno.- Chiedere loro [le minoranze] che tipo di attività vogliono nel programma di dialogo interculturale. Il quadro è completamente differente da quello dei governi," dice Quraishy.

"La mia più grande preoccupazione è che questo tipo di anni, come quello scorso che era quello delle pari opportunità, diventano simbolici, si parla e ci scambiano sorrisi e parole gradevoli," conclude.

Una piccola torta da condividere

L'anno Europeo per il dialogo interculturale ha un budget di 10 milioni di €, da spendere in sette progetti pilota multi-europei e 27 progetti nazionali, che riguardano la cultura, l'istruzione, i giovani, lo sport e la cittadinanza.

Lo scopo è di incoraggiare la comprensione, la tolleranza, la solidarietà e il senso di destino comune tra i popoli di tutte le origini e culture in Europa.

Dei 10 milioni di € garantiti da Bruxelles, il 40% è dedicato alla campagna e altri lavori di pubbliche relazioni per l'anno. Un altro terzo è direttamente investito nel co-finanziamento di progetti nazionali, lasciando soltanto 2,4 milioni di €, divisi tra le capitali europee, per essere liberamente allocate.

"C'è pochissimo denaro da usare quando i fondi sono stati divisi tra i 27 stati membri" dice un incaricato di Bruxelles coinvolto nella pianificazione annuale, spiegando che la difficoltà amministrativa nel dividere tali piccole somme non soltanto tra i diversi governi ma anche con le OnG non valgono semplicemente la pena.

"Sembra ragionevole che la commissione dia il denaro ai governi, considerato che queste somme possono aggiungersi a quelle stanziate nazionalmente per finanziare i differenti progetti," continua.

Dice che diversi stati sono stati scettici nel spendere grandi somme in campagne sui media e altre attività di PR, e avrebbero preferito aver visto i soldi direttamente investiti in azioni concrete sui temi del dialogo interculturale.

"C'è stata una divisione tra paesi che volevano spendere maggiormente in -progetti emblematici- per alzare il profilo e quanti volevano allocare più denaro per i governi e progetti," spiega.

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