Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Abbiamo bisogno dell'impronta del dialogo
Scrivo con profondo rammarico e con un senso di fastidio. Fastidio che nasce dal
mio essere prete, dal mio essere cittadino, ma prima di tutto uomo. Fastidio per
la proposta del Ministro Maroni di schedare dei bambini pur nell'intento...
Rom e Sinti, tutti a Roma ...
Ue, l'Italia discrimina i Sinti e i Rom
Il testo della risoluzione votata oggi dal Parlamento europeo sul “censimento
dei rom su base etnica in Italia”contiene innanzitutto una “esortazione”alle
autorità italiane “ad astenersi dal raccogliere le impronte digi...
Vogliamo dire: non solo i razzisti hanno la testa dura.
Non ho idea se vi siano precedenti al voto con cui oggi il parlamento europeo ha
definito la rilevazione delle impronte digitali ai bambini rom «un atto di
discriminazione diretta fondata sulla razza e l’origine etnica»...
Maroni è rattristato...
“Sono francamente indignato, rattristato e ferito per la strumentalizzazione
fatta da una parte del Parlamento europeo”. Questo il commento del ministro
dell'Interno Maroni, in una conferenza stampa alla sed...
Rom e Sinti, un'importante assemblea pubblica
Come da programma si è svolta il 10 luglio 2008 a Roma l'assemblea pubblica
della Federazione Rom e Sinti Insieme. Sono intervenuti i delegati di tutte le
associazioni aderenti e numerosi altri cittadini, sia Rom e Sinti che attivisti
e amici. Sono intervenuti anche rappresentanti Kal...
Timori e sospetti di manovre
Il sospetto di un attacco strumentale è forte. E lo alimenta il modo plateale
col quale i socialisti europei hanno chiesto al francese Nicolas Sarkozy,
presidente di turno dell’Ue, di premere su Silvio Berlusconi. Ma le accuse di
razzismo ar...
Milano, i Sinti italiani ...
Gelmini e Maroni: quando l’orco cerca goffamente di travestirsi da agnello…
Dopo Maroni, ecco accodarsi la Gelmini: «Non voglio più lasciare soli questi
bambini che di fatto vivono in uno stato di abbandono. Sono almeno 23.000 i
minori rom che ogni giorno mancano all’appello delle maestre. Il 66% dei minori
rom non è mai andato in classe. Darò un’istr...
Impronte, ancora come cento anni fa...
Nel 1909 un’apposita conferenza dedicata "al problema zingaro" decide di
marchiare a caldo tutti i Rom e i Sinti tedeschi per una più facile
identificazione...
Rom e Sinti, Frattini vuole i Dna...
"Serve una banca dati europea con i nomi, con le impronte, con i segni del Dna"
dei minori che abitano i campi nomadi, e "se l'Europa non adotta questa
soluzione delle impronte e del Dna, che a me sembra l'unica possibile, noi
l'adotteremo comunque". Lo afferma il ministro degli Esteri Franco Frattini in
una lunga intervista al Messaggero...
Ecco, come e perché rom e sinti prendono parola
«Ci alitano sul collo, i media ci martellano, i politici ci accusano. Non è
giusto che per gli errori di uno l’intera comunità debba pagare», spiega un rom
ai giornalisti accaldati, assiepati tutti insieme sotto un tendone blu. Ci
troviamo al Villaggio globale, a Roma, sono le due del pomeriggio di giovedì 10
luglio e il caldo è asfissiante...
Bossi: “tutti i padani potrebbero far schedare figli”… ma non lo fanno
"Tutti i padani potrebbero far schedare i loro figli. Non sarebbe cosi'
drammatico". Lancia la sua ennesima provocazione, il leader della lega e
ministro delle riforme Umberto Bossi, intervenuto questa sera alla festa del
Carroccio a Treviglio...
Gelmini: gli insegnanti saranno mediatori culturali...
Il ministero dell’Istruzione Mariastella Gelmini ha annunciato che da settembre
partirà un piano di scolarizzazione per i rom e ha sottolineato la necessità dei
fare i censimenti nei campi nomadi, come passo preliminare alle politiche di
integrazione, difendendo le impronte digitali:...
Berlusconi: la "schedatura" è un bene...
Anche Berlusconi si spende a favore della “schedatura” dei Sinti e dei Rom in
Italia. Sarebbe a fin di bene. La mette così Silvio Berlusconi la questione
delle impronte ai bambini rom: «Vogliamo favorire l'integrazione dei nomadi e
prendere le impronte ai bambini ha l'obiettivo...
"Zingari" e stranieri, rifiuti ad personam di un paese incivile
Se fossimo un paese civile, ma non è il caso di formulare ipotesi
fantascientifiche, potremmo ragionare su cosa ci stia succedendo e sul perché
siamo incapaci di reagire, partendo da tre piccoli fatti che sono più
sconvolgenti di tutte le leggi «ad personam» del premier e delle banali pratiche
sessuali che allietano la vita, anche parlamentare...
Rom e Sinti, il documento
La mimesi antropologica culturale Le minoranze Rom e Sinte non sono più
considerate un soggetto socio culturale, ma l'oggetto-fenomeno, la cavia di
laboratorio su cui scatenare la "libido scientifica e politica" per scomporre e
ricomporre l'individuo in piccole particelle fisiche. Tutta questa etnologia
accanita nei confro...
Meeting Antirazzista 2008, non solo impronte
Non solo impronte. I campi, la casa, l'inserimento dei bambini a scuola, il
monitoraggio dei fondi per gli interventi di inserimento. Al meeting
antirazzista annuale organizzato dall'Arci a Marina di Cecina, in provincia di
Livorno, irromp...
Radames Gabrielli, una nuova strada
Come Sinto di nazionalità italiana, mi sento stanco di parlare e commentare
sempre e solo ciò che di negativo accade, riguardo a noi Sinti e Rom. Mi
piacerebbe utilizzare il tempo che mi e stato concesso per discutere di ciò che
invece n...
Il Ministro Maroni dice bugie al Tg1?
“Non è la questione Rom, ma quella dei campi nomadi. Questa è una differenza
fondamentale. Parlare di rom come ha fatto il governo precedente significa fare
distinzioni su base etnica. Nei campi nomadi c'è di t...
Ricevo da Union Romani
QUANDO I PRETESI INTELLETTUALI SI CONVERTONO IN AGENTI ATTIVI DELLA
REPRESSIONE RAZZISTA
Sappiamo che il nostro lamento odierno susciterà polemica. Sappiamo che altre
voci si leveranno per dirci che siamo contro gli intellettuali perché dicono
cose che non ci piacciono, inclusi quanti dall'alto della loro pretesa cattedra,
spacciando dottrina di gitanità perché grazie ai gitani hanno un nome e grazie
alla generosità dell'Amministrazione raccontano ai media per realizzare i loro
studi reiterati e tendenziosi, dirà che noi, i gitani, siamo contro la libertà
d'espressione o contro il sacro principio della libertà di cattedra. Non si
confondano. Non siamo contro la libertà d'espressione - senza cui non è
possibile la democrazia - ed al contrario apprezziamo gli intellettuali ed i
ricercatori che con vero spirito scientifico e generosità verso la nostra causa
dedicano tempi e sforzi, generalmente mal pagati, a lottare contro stereotipi e
dicerie che da sempre pesano su di noi.
Detto questo, dobbiamo manifestare la nostra ripulsa più forte
all'informazione divulgata dall'Università di Granada, estratta dallo studio
realizzato sotto la direzione di un gran gitanologo, autore di infiniti articoli
sul popolo gitano, direttore di numerosi studi sulla comunità gitana andalusa,
esperto nella conoscenza dei comportamenti sessuali delle donne gitane quando si
dispongono a contrarre matrimonio, e persona amata ed ammirata dalle donne
dirigenti dell'associazionismo gitano in Andalusia e specialmente a Granada.
Quello che è certo è che i mezzi di comunicazione di tutta la Spagna han
fatto da eco al più rilevante di questo studio. Davanti alla vista abbiamo
questi titoli:
- "OTTO DI OGNI DIECI STUDENTI VEDE I GITANI COME LADRI".
- "I BAMBINI CREDONO CHE I LORO COMPAGNI DI QUESTA ETNIA SIANO VIOLENTI O
BUGIARDI".
- "L'82% DEI BAMBINI CHE CONVIVONO CON I GITANI LI CONSIDERANO LADRI".
- "L'82,1% DEI BAMBINI TRA GLI 11 E I 14 ANNI CHE CONVIVONO CON LORO IN
CLASSE CONSIDERA CHE I GITANI SONO LADRI E MALFATTORI".
- "I BAMBINI CHE CONVIVONO CON I GITANI LI CONSIDERANO LADRI".
- IL 65,4 DEI BAMBINI CHE VIVONO NELLA CITTA' CONSIDERA I GITANI
COME MALVAGI"...
A partire da qui che ognuno tragga le sue conclusioni. Come hanno agito male
sinora i gitani e le gitane compromessi con la lotta per la difesa degli
interessi del nostro popolo! Per qualcuno, un risultato come questo, dopo 30
anni di vita democratica in Spagna, può solo dar credito alle idee di chi dice
che "i gitani non hanno rimedio, che siamo asociali e fa bene Berlusconi ad
identificare i bambini gitani perché nessuno abbia il minimo dubbio di dove
siano i piccoli ladri di oggi e potenziali delinquenti e assassini di domani".
Dov'è, ci chiediamo, il limite - se esiste - nella divulgazione di
informazioni simili, pretese scientifiche, avvallate dal nome di una università
che ha quasi 500 anni e che gode del prestigio di essere una delle università
più importanti d'Europa? Cosa ha guadagnato l'Università di Granada ottenendo
che il
DIARIO DE LEÓN, per citare uno dei più letti in Andalusia, titoli la propria
informazione dicendo che "I BIMBI CHE CONVIVONO CON I GITANI LI CONSIDERANO
LADRI"?
Noi, dall'Unión Romaní di Andalusia, abbiamo dati che differiscono
radicalmente da quelli offerti in questo studio. Noi, che abbiamo fatto uno
studio ad Atarfe, Chauchina, Fuente Vaqueros, Granada, Guadix, Loja e Pinos
Puente, diciamo che il rifiuto di cui soffrono i bimbi gitani nella scuola è
solo dell'11,36% in questi centri e del 12,30% nel totale dell'Andalusia.
Tutti gli studiosi seri sono d'accordo nell'affermare che "La verità nella
scienza non solo non è assoluta, ma non è nemmeno (né può essere) permanente".
Però questo non vale, per ciò che si vede, per gli autori dello studio. Occorre
seguire mantenendo gli stereotipi, anche quando li si addolcisce dicendo - come
no! - che il 20% dei bambini intervistati considerano che i gitani "siano
allegri". Anche i nazisti la pensavano così. Una delle prime cose che fece il
professor Josef Mengele, medico e assassino che fece esperimenti con i bambini
gitani incarcerati nel campo di sterminio di Auschwitz, fu creare un'orchestra
gitana. Chiaro, noi gitani siamo tanto allegri...!
Noi, gitani e gitane impegnati a cambiare le relazioni di confronto che
durante tanti anni hanno marcato "payos" e gitani, reclamiamo l'imperativo
dell'etica anche nel campo della scienza. Sappiamo che "l'etica dello scienziato
non è differente dall'etica del politico o del giornalista, non è ne più
colpevole ne più innocente di tutti gli altri, - dicono con successo alcuni
teorici - perché la sua etica non dipende dalla sua attività professionale ma
dalla sua partecipazione alla vita della società come qualsiasi altro essere
umano".
Dalla prestigiosa Università di Granada qualcuno ha voluto renderci le cose
più difficili. Non sappiamo realmente a favore di quale ideologia o progetto
remi. Il governo italiano pagherebbe molto di più un'inchiesta come questa di
quanto abbiano potuto fare le autorità accademiche o politiche andaluse.
A noi, gitani e gitane di Andalusia, di Spagna e del mondo solo resta da
lamentarci, una volta di più, assieme ad un altro scienziato, questo sì di
maggior peso, che mai avrebbe pubblicato i dati di questo studio: E' più
difficile disintegrare un atomo che un pregiudizio. (Albert Einstein)
Da
Mundo_Gitano
INTERNACIONAL
RAPPORTO: L'Italia non è per i gitani
"Cara Europa..."
La bambina rumena
Rebecca Covaciu resiste ad una vita di persecuzione e miseria.
Un viaggio di tristezza da Arad a Milano, Ávila, Napoli ed ora Potenza
MIGUEL MORA - Potenza - 13/07/2008
Tutta la famiglia Covaciu, con Rebecca - CARLES RIBAS
Con i suoi 12 anni, Rebecca Covaciu - occhi grandi, denti bianchi, sorriso
splendido - ha vissuto e visto così tante cose, che potrebbe scrivere, se
scrivesse, un buon libro di memorie. Rebecca è rumena di etnia romaní, ed ha
passato metà della sua vita per strada. Ha dormito in un furgone, in una
capanna, per terra. Alcuni giorni ha mendicato con i suoi genitori in Spagna ed
Italia. Altri giorni ha visto distruggere la sua baracca, è stata aggredita
dalla polizia italiana, ha ascoltato sotto una coperta quando suo padre era
picchiato per difenderla, ha visto bambini morire perché non avevano medicine,
ha conosciuto la paura dei gitani che fuggivano da Ponticelli (Napoli) quando
l'accampamento fu incendiato. Però Rebecca ha resistito. Ed ha commosso l'Italia
con la sua storia. Una lettera in cui riassume il suo sogno: andare al collegio
e che i suoi genitori abbiano un lavoro.
Con la su semplice lettera, intitolata "Cara Europa", ed una serie di
disegni, I ratti e le stelle, innocenti e precari, però speciali come
lei, ha dimostrato il suo talento. Rebecca, al posto di deprimersi con questa
"vita di tristezza", ha gridato al mondo la sua storia dickensiana in prima
persona, convertendola in un appello di giustizia e speranza. Ai suoi sogni
privati di andare al collegio e che i suoi genitori abbiano un lavoro "per no
chiedere l'elemosina", ne aggiunge un altro più grande: "che l'Europa aiuti i
bambini che vivono per strada".
Ora , Rebecca è contenta. Da alcuni giorni vive, sogna e disegna in una
piccola casa in campagna, situata vicino ad un paese della Basilicata, una
regione montagnosa ed agricola, a 250 km. a sud di Napoli.
Cade la sera e la luce dell'antica Lucana romana è uno spettacolo. Rebecca e
suo padre, Stelian, ricevono sorridenti sulla porta, sua madre Georgina prepara
un caffè turco ed un dolce, e poi la bambina trae i disegni dalla sua cartella e
li mostra. Lentamente, con orgoglio ma senza presunzione: "Degli alberi di
colore, un angelo, una spiaggia italiana, dei bambini che fanno il bagno, un
principe ed una principessa, una coppia di sposi (pure italiani), due farfalle,
un mazzo di fiori, un collier di Versace, frutta, ancora frutta..."
Rebecca Covaciu, una bambina rumena di 12 anni ed etnia romaní -
CARLES RIBAS
Rebecca partì dalla sua città, Siria jud Arad, vicino a Timisoara, circa
cinque anni fa, ora parla rumeno, romaní, italiano ed un poco di spagnolo. "Lo
imparai ad Ávila quando vivevamo in Spagna, spiega in italiano: "Non avevamo
casa e dormivamo nel furgone. Lì feci la terza elementare, mi ricordo molto
dell'insegnante. Mi voleva molto bene, le piacevano i miei disegni".
La bambina è il capo della famiglia. E gran parte del suo futuro. A parte il
suo talento per la pittura, riconosciuto il maggio scorso dall'Unicef quando
ricevette a Genova il Premio Arte ed Intercultura Café Shakerato, Rebecca è
dolce, educata e giudiziosa. Mentre parla a ruota libera, come un libro aperto,
i suoi genitori, Stelian, di 43 anni, ex contadino e pastore evangelico, e
Georgina, 37 anni, i suoi fratelli Samuel (17), Manuel (14) y Abel (9), e la
moglie di Samuel, Lazania, incinta di 16 anni, la mirano con un misto di
sorpresa e riverenza, come se fosse un'estranea. In un certo modo lo è.
I Covaciu arrivarono qui di notte. Venivano in treno, un lungo viaggio da
Milano. Giorni prima, alcuni poliziotti
avevano colpito Stelian con dei bastoni. "Mi minacciarono di tornare se li
denunciavo", ricorda. Lo fece, e dovette fuggire.
Ora, mentre prova a superare il panico ed il dolore dei colpi, Stelian, un
uomo che quando parla sembra sul punto di piangere, si dichiara "felice, grazie
a Dio e a questi signori italiani tanto generosi che ci hanno lasciato la loro
casa".
Si riferisce a G. e A., una coppia di media età che risiede a Potenza, il
capoluogo di provincia. "Conosciamo la storia di Rebecca da Internet, e dalla
notte al giorno abbiamo deciso di offrirle rifugio in questa casa che non
usiamo", spiegano. In cambio , una firma di un contratto di affitto gratuito per
un anno. G. e A. preferiscono non essere identificati. "Non vogliamo convertirci
in un prototipo mediatico della famiglia italiana solidale". Però il loro
altruismo ha restituito il sorriso alla prole di Stelian.
La famiglia da cinque anni non dormiva sotto un tetto vero. "A Siria jud Arad
avevamo casa, ma non avevamo pane", spiega Rebecca, "e mangiavamo con
l'elemosina dei vicini. Invece, a Milano i miei genitori non trovavano lavoro",
continua senza drammi, "ed anche lì dovevamo chiedere. Non potevamo andare a
scuola perché non avevamo casa. Però ora mi han detto che potremo andarci".
Per poter accedere alla scuola, i Covaciu devono dimostrare un domicilio
fisso ed essere registrati nel censimento municipale. Precisamente questa è una
delle ragioni che ha invocato il Governo italiano per elaborare il polemico
censimento della comunità romaní. Dei 140.000 gitani che vivono nel paese, la
metà sono italiani e quasi un terzo sono rumeni. Ed il 50% sono minori. Molti di
loro sono senza scolarizzazione.
Come altri compatrioti e fratelli di etnia, i Covaciu attraversarono col loro
furgone l'Ungheria e l'Austria per arrivare a Milano compiendo il rito dell'effetto
chiamata. Dopo alcuni mesi cercando fortuna, senza successo, decisero di
tentare con la Spagna. "Un amico che viveva ad Ávila ci disse che aveva la casa,
i documenti ed il lavoro, però arrivammo tardi. Mandammo i bambini a
scuola, però non trovavamo lavoro. Così andammo a Torrelavega, ci stemmo due
mesi. Tornammo a Milano".
Georgina parla italiano, qualcosa di spagnolo ed un poco di francese. Ha
vissuto anche in Germania. "Fu nel 1990, Samuel nacque lì. Stavamo bene, però
dopo due anni nn ci pagarono il sussidio e ci mandarono in Romania. Anche se si
definisce "metà rom e metà no", ha dieci denti d'oro."Costano solo 10 € l'uno!"
si difende ridendo. "Ce li ha messi un medico di Siria di passaggio a Milano, ora sono di
moda in Romania. L'unica che non vuole metterseli è Rebecca."
Al principio, a Milano, tutto andava più o meno bene, ricorda la ragazza: "Ci
costruimmo una capanna con cartone e plastica sotto un ponte del Giambellino".
Era un piccolo insediamento illegale dove vivevano altre cinque famiglie di
Timisoara. "Per mangiare, chiedevamo al mercato degli antiquari. Solo un paio
d'ore, perché i bimbi potessero mangiare", assicura la madre abbassando gli
occhi. Come si vede in uno dei disegni di Rebecca, anche lei ha mendicato un
"triste giorno"; suo fratello Manuel, che chiamano Ioni, suonava la fisarmonica.
Un anno fa, Roberto Malini, un dirigente di EveryOne, una giovane OnG per i
diritti umani che segue circa 60 famiglie di origine gitana a Milano, incrociò
la vita dei Covaciu. "Vidi un gruppo di gente che insultava un bambino gitano
molto magro che li guardava terrorizzato mentre teneva in braccio un cane." Era
Abel, il piccolino. "Lo accusavano di aver rubato il cane e volevano linciarlo.
Tentammo di riportare la calma, e nel mentre arrivò sua madre con i documenti
del cane. Lo avevano portato seco dalla Romania".
EveryOne si fece carico delle necessità basiche dei Covaciu quando iniziavano
a capire che una parte del paese andava stancandosi dei gitani. "Noi abbiamo
paura della polizia e facciamo paura agli italiani. E' così", dice Georgina.
Secondo l'ultimo
Eurobarometro sulla discriminazione, gli italiani sono gli europei che,
assieme ai cechi, si sentono più a disagio con i gitani. Un 47% degli
intervistati in Italia afferma di non volere un romaní come vicino. La
sensazione cresce in Europa, anche se la media di intolleranza nella UE dei 27 è
la metà: un 24%.
La paura s'è installata in molta gente per lo meno da otto anni. Già nel
2000, prima delle ultime elezioni vinte da Silvio Berlusconi, la Lega Nord
dell'attuale ministro degli Interni, Roberto Maroni, lanciò una furibonda
campagna contro i romaní usando gli slogan uditi tante volte da quando nell'anno
1400 i gitani arrivarono in Occidente: violano ed assassinano le nostre donne,
rapiscono i nostri bambini, rubano nelle case, non vogliono lavorare ne andare a
scuola.
La litania non includeva dati che aiutassero a completare la fotografia. La
speranza di vita dei gitani che vivono in Italia è di 35 anni. L'indice di
mortalità infantile è 10 volte più alto di quelli dei bambini non gitani.
L'ultimo rapimento di un bimbo per mano di un gitano fu registrato in Italia nel
1899.
"Scese la strategia dell'odio e diede molti voti alla Lega ed alla destra",
ricorda Malini. "I gitani passarono dall'essere una molestia a
convertirsi nel centro dell'emergenza sicuritaria. Ora, la consegna
ufficiale è salvare i bimbi gitani dai ratti e dallo sfruttamento dei loro
genitori. Per conseguire questo obiettivo tanto lodevole vale tutto: che la
polizia li accusi, applicare ordinanze discriminatorie come quella delle
impronte digitali, incluso sottrarre bambini alle famiglie accusandoli di
mendicità o furto per portarli al Tribunale dei Minori. Abbiamo denunciato al
Parlamento Europeo vari casi a Napoli, Rimini e Firenze. Chi ruba i bambini a
chi?".
Un'altra opzione consiste nel demolire le baracche illegali e invitare gli
abitanti a tornare nel loro paese. Il 24 aprile, il governatore della Lombardia
inviò le scavatrici nel quartiere milanese del Giambellino con un gruppo di
polizia anti sommossa. Il mini accampamento dove vivevano i Covaciu fu reso
sgombero in un minuto. "Fu un'evacuazione brutale", ricorda Malini. "Li
obbligarono ad uscire dalle baracche e li posero in fila a contemplare la
distruzione". Rebecca: "Ci dissero che non potevamo raccogliere le nostre cose
perché con il nuovo Governo non potevamo restare in Italia". I Covaciu e altre
cinque famiglie persero tutto. "Restammo alcuni giorni dormendo nella Casa della
Carità e Roberto ci mandò a Napoli", aggiunge.
Mentre il treno arrivava al sud, una turba organizzata dalla Camorra
attaccava e bruciava gli accampamenti di Ponticelli, dove vivevano 700 persone.
"Dormimmo in una scuola, c'erano molti rumeni", ricorda Rebecca. "Le donne
raccontavano di aver avuto molta paura. Si avvicinava gente alle finestre e ci
gridava: 'Fuori di qui, zingari, tornate al vostro paese!".
Nuovo ritorno a Milano, Rebecca continua a disegnare, il Governo annuncia le
misure di emergenza rifiutate questa stessa settimana dal Parlamento Europeo.
Oltre alle principesse e alle spiagge immaginate, la ragazza dipinge la sua vita
reale. Ritratti di emarginazione, la diaspora, la mendicità. EveryOne li
presenta al premio Unicef. Tra 150 candidati, Rebecca vince con I ratti e le stelle.
"Prima disegnai Roberto, mi disse che ero un artista. Ne feci un altro, lo mise
nella sua pagina web e mi diedero il premio e questa medaglia".
I media la convertono per un giorno nella "piccola Anna Frank del popolo
gitano". I suoi disegni viaggiano all'esposizione collettiva Psiche e catene,
inaugurata il Giorno dell'Olocausto a Napoli. E sono ricevuti come testimonianza
contro la segregazione razziale nel Museo di Arte Contemporanea di Hilo delle Hawai.
Dopola fama effimera, i Covaciu installano la loro tenda nella zona di San
Cristoforo. Una mattina, dieci giorni fa, arrivano degli uomini alla tenda e,
senza dire parola, iniziano a picchiare Ioni e Rebecca. Il padre tenta di
difenderli e anche lui le prende. L'OnG decide di raccontarlo alla stampa. Due
auto della polizia arrivano sul posto. "Erano gli stessi del giorno prima, ma
questa volta portavano l'uniforme", dice Rebecca. "Mi misi nella tenda è mi
coprii con la coperta, i poliziotti presero papà ed iniziarono a picchiarlo. Lo
sentivo gridare molto forte".
"Trauma cranico per aggressione". Questo dice il referto medico, che il
pastore evangelico ricevette al pronto soccorso. Lì lo visitarono altri
poliziotti. Il messaggio era chiaro: "Se denunci, torneremo". Covaciu decide di
denunciare. Questo suppone andarsene dalla città, allontanarsi, nascondersi. Qui
appare la coppia di Potenza. "Quando lo Stato maltratta così la gente, quel che
segue è che cresce la solidarietà", medita il signor G.
I Covaciu arrivarono di notte a questa preziosa zona d'Italia. A soli due km.
c'è un paese tranquillo, una scuola rurale ed un curato, don Michele. "La storia
dei Covaciu prova che non abbiamo una politica d'integrazione", spiega. "Tutto
dipende dal volontariato della gente. Come la Bibbia è una storia di
emigrazione, Dio non ha paura".
Rebecca si congeda regalando disegni a tutti.
- Che farai da grande?
- Voglio curare i bambini poveri e fare la pittrice.
- E credi che in Europa ci sia razzismo?
- Che significa razzismo?
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