Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
Semplice: non lo faccio per essere alla moda!

L'OROLOGERIA DI MILANO srl viale Monza 6 MILANO

siamo amici da quasi 50 anni, una vita! Per gli amici, questo e altro! Se passate di li', fategli un saluto da parte mia...

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\\ Mahalla : VAI : Kumpanija (inverti l'ordine)
Di seguito gli interventi pubblicati in questa sezione, in ordine cronologico.
 
 
Di Admin (del 08/05/2014 @ 09:02:08, in Kumpanija, visitato 12111 volte)

Da questa settimana Mahalla è anche un'associazione. Senza fine di lucro, come avrete già capito.

Vediamo di rispondere ad alcune domande (se ne avete altre, scrivete):

Chi siete?

Tra i fondatori troverete alcuni dei redattori di questo blog. Siamo un piccolo gruppo composito per esperienze e provenienza.

Cosa fate?

Non vogliamo fare concorrenza alle tante altre associazioni che fioriscono attorno al mondo dei Rom e Sinti. Che è un mondo complesso e variegato, con diversi aspetti su cui operare. Nello specifico, l'associazione Mahalla nasce da 9 anni di vita di questo blog - sommate ad esperienze precedenti, quindi si occuperà principalmente di:

  1. informazione e divulgazione su Rom, Sinti, Caminanti e altre popolazioni romanì;
  2. cercando ove possibile di privilegiare le "buone pratiche" e le testimonianze dei diretti interessati;
  3. agirà in ambito tanto locale, quanto nazionale che internazionale (sin dove le forze e le risorse ce lo permettono);
  4. senza chiudersi in qualche torre d'avorio, ricercando invece la collaborazione con istituzioni ed enti pubblici, il mondo dell'informazione, dell'associazionismo, dell'istruzione e quello della cooperazione (sperando di non aver dimenticato nessuno)
  5. non intende chiudere le sue cronache in un ghetto, per cui affronteremo le questioni della coesistenza con la società maggioritaria (e con le sue strutture), cercando interlocutori (che potete essere anche voi)

Sì, ma praticamente..?

Stiamo iniziando. Due anticipazioni:

  1. Come anticipato da un recente sondaggio (di quelli che trovate nella colonna centrale) a breve partirà una versione di Mahalla in lingua inglese, destinata ai lettori dall'estero.

  2. In un post di metà dicembre, si accennava alla libreria di Mahalla (sempre lei) e alle sue potenzialità. Scrittori, poeti, saggisti, aspiranti cronisti o fotoamatori... se ci siete fatevi vivi.

  3. Altre novità ve le comunicheremo di volta in volta. E infine, c'è tutto il vasto mondo inesplorato delle vostre proposte, che aspettiamo e valuteremo.

Posso diventare socio?

Teoricamente, tutti possono diventare soci, basta versare la quota sociale. Nel pratico, vi chiediamo (ci sembra ovvio) di condividere le nostre finalità. Non siamo cacciatori di tessere alla ricerca di un grande numero di soci, almeno all'inizio sarà più facile muoversi e ragionare sui piccoli numeri. Dipende da voi... benvenuto comunque a chiunque possa portare idee, capacità, esperienze e/o capitali

Posso almeno aiutarvi?

E ci mancherebbe!! E vi ringraziamo sino da ora. Se guardate in alto, trovate una novità: il bottoncino PAYPAL in attesa delle vostre donazioni, la cifra non importa, basta il pensiero. Ma non è bello chiedere soldi in cambio di niente. Se volete aiutarci vi suggeriamo di dare un'occhiata alla piccola libreria di Mahalla (che da oggi è quella dell'associazione), troverete diversi ebook grandi e piccoli, in cambio di una piccola spesa avrete materiale interessante a iosa; che poi è la cultura di cui vogliamo essere parte: fatta di grandi temi, ma è anche mangiare, giocare, raccontare storie. E se per caso vi stiamo antipatici, troverete anche documenti da scaricare gratis.

Cambierà qualcosa nel blog?

Certo: come è cambiato nel corso di tutto questo tempo. Speriamo cha cambi in meglio... Se invece la domanda riguarda il rapporto del blog con la nuova associazione: condividono solo il nome, ma sono indipendenti l'uno dall'altro (resteranno comunque buoni amici).

Che altro?

Qui troverete:

 
Di Fabrizio (del 19/04/2014 @ 09:00:12, in Kumpanija, visitato 1920 volte)

16 aprile, Michela Angelini su DISEGNO DI LEGGE 405: Io sono una donna transessuale ed oggi ho scritto questo. Le analogie tra le nostre comunità sono tante, sia storiche che contemporanee. Qui racconto quella sulla sterilizzazione forzata.

Dai commenti alla petizione:

la legge sul cambio di sesso deve dare un'alternativa di vita migliore, offrendo anche la possibilità di una conversione chirurgica se è essenziale per il benessere vitale del singolo individuo come sua libera scelta, non obbligando di fatto ad una automutilazione di Stato per ottenere un cambio a livello anagrafico. Una pratica burocratica non può essere associata d'obbligo ad una pratica chirurgica nelle modalità similari a quelle applicate dal partito Nazista in Germania all'epoca della Seconda Guerra Mondiale (Barbara)

Le persone che oggi chiamiamo transessuali (termine coniato nel 1949) per il regime nazista erano omosessuali incurabili, vite indegne di essere vissute, persone utili solo ad esperimenti atroci. Il regime nazista, ma non fu l'unico, tentò di guarire l'omosessualità con massicce dosi di testosterone, con l'elettroshock, con la lobotomia, provocando la morte di quasi tutti i pazienti. Quando andava bene i "pazienti" venivano solo sterilizzati, per evitare potessero propagare i loro geni di sicura origine non ariana*.
Dobbiamo aspettare il 1966, quando Harry Benjamin dichiara che l'unico modo per guarire quel disagio che oggi chiamiamo disforia di genere è adattare il corpo alla psiche. Il Italia abbiamo dovuto aspettare fino all'82 per veder legalizzata la possibilità di cambio del sesso anagrafico e qualche anno in più per avere l'adeguata assistenza sanitaria. Resta una cosa comune ai tre periodi storici citati: c'è sempre stato qualcuno che ha dovuto dare un nome alla nostra condizione e l'ha normata come credeva. Oggi chiediamo il rispetto del diritto di autodeterminazione sui nostri corpi, oggi chiediamo di decidere della nostra identità e che la nostra identità venga riconosciuta quando lo chiediamo, e non dopo aver reso il nostro corpo sterile e gradevole per qualche autorità.

Firma la petizione http://goo.gl/BFjLxD

*c'è solo un'altra comunità che condivide con noi una storia altrettanto triste: la comunità rom. Il regime nazista sosteneva che l'eccessivo meticciamento di questa popolazione (che era comunque ariana!) provocasse comportamenti antisociali e, in virtù di questo, doveva essere eliminata. La sterilizzazione forzata delle persone di etnia romanì è stata portata avanti (e viene ancor oggi perpetuata e riproposta) da più stati, al pari di quanto è successo e succede per la comunità transessuale.

 
Di Fabrizio (del 15/04/2014 @ 09:05:49, in Kumpanija, visitato 1816 volte)

Il gagio pensa che un rom è abituato e forse ce l'ha nel sangue.

...scaldarsi con la legna d'inverno, non avere acqua per bere e lavarsi quando fa caldo. Si comincia così da bambini, noi e loro: differenti.

E di rimando, se si vive così (ma si può vivere così?), il rom impara che non ha bisogno di un lavoro, della scuola, della casa, delle amicizie con chi non è rom come lui. Ci fanno il callo e sembrano così forti. così alteri. Da trattare come cose, non come persone che hanno le stesse esigenze nostre, cioè tue, mie, dei nostri figli e dei nostri cari.

Arrivano i 40 anni e tutta quella forza dov'è finita? Quello che era il ragazzo più resistente del mondo è conciato da sbatter via. L'unica sua medicina, la bottiglia.

Ma forse, non è neppure quello ciò che ti ammazza. Ne ho visti di malandati che coi denti si aggrappano alla vita. E' che dopo una vita del genere comincia a mancare il rispetto per se stessi. Chiamala cultura, norme morali, autoconsiderazione... Quella perdita ammazza più della malattia e della fame.

 
Di Fabrizio (del 07/04/2014 @ 09:06:25, in Kumpanija, visitato 1592 volte)

Perdonami Gesù Perché anche a me fanno un po' ribrezzo gli zingari - RINO NEGROGNO, Sabato 5 Aprile 2014 ore 11.21

Perdonami Gesù perché anche a me fanno un po' ribrezzo gli zingari, ma non tutti, provo ripugnanza per il vino e la birra che i loro uomini bevono sin dall'alba, per gli zingari ubriachi, per la loro puzza di falsa libertà e, soprattutto, per il bivaccare degli uomini nelle piazze mentre attendono il malloppo delle loro donne coi loro sacchi di bambini. Perdonami Gesù perché non li posso proprio sopportare anche se, appena l'olezzo di disperde, penso che quegli ubriachi senza terra e senza voglia di lavorare, siano stati bambini pure loro e che loro non abbiano giocato e, al posto di giocare, abbiano vissuto l'odore del vino e del vomito, si siano cibati di finta anarchia e finto amore. Non hanno studiato, non hanno letto Sartre. Sai Gesù, molti restano scandalizzati per le donne coi bimbi ai crocevia che aspettano un milione di semafori rossi per chiedere l'elemosina, affermano attoniti di essere preoccupati per lo smog respirato dai bambini e che quindi bisogna cacciarli via perché non rispettano i loro figli. Mi commuovo di questa loro ansia e di questa loro circostanziata e straripante cristianità. Poi, però, non propongono soluzioni che salvaguardino quei bambini. Per loro, cacciarli via è una soluzione ottimale, come si dice, lontano dagli occhi lontano dal cuore. Ma tu Gesù, che sei in ogni luogo, se vanno via dai nostri semafori, li vedi ancora respirare smog altrove, mica si risolve così il problema vero?

Perdonami Gesù se sono così sfacciato e mi rivolgo a te così ma sono certo che a te non dispiaccia, al massimo dispiacerà ai tuoi seguaci che ti hanno forgiato a loro immagine e somiglianza, che vanno a messa la domenica e pensano possa bastare, sono sicuro che a te non dispiaccia, anzi, starai ridendo di me che scopro le mie carte senza bluffare, senza temere. Poi cerca di capirmi, mica posso parlare con Marx, anche perché Marx non perdona, non è così elastico, non fa come fai tu con i tuoi che gli permetti di confessarsi all'infinito, non dico senza pentimento, ma sicuramente senza aver capito. Marx, con quella fissa della uguaglianza sociale è irremovibile, vai a farglielo capire.

Comunque non voglio solo chiederti perdono, voglio anche ringraziarti Gesù. Grazie per avermi creato pieno di dubbi. Essere come mi hai fatto ha i suoi svantaggi certo, difficilmente riesco a trovate la soluzione ai problemi, quando ci sono quasi, quando mi sembra di intravederla, mi vengono mille dubbi, penso subito che la mia visione sia incompleta, personale, non tenga conto degli altri, della loro visione e allora torno indietro e ricomincio daccapo. Grazie anche per questo.

Per questa quaresima, oltre alle processioni, ai confratelli, alle cerimonie e ai politici fieri e ben vestiti dietro le processioni, ti prego di illuminarci e aiutarci a trovare una soluzione ai problemi più insormontabili.

 
Di Fabrizio (del 22/03/2014 @ 09:03:03, in Kumpanija, visitato 2058 volte)

Piùculture.it - Sandra Fratticci (12 marzo 2014)

L'incontro pubblico Essere Romni: donne Rom ora e qui, ideato da Saška Jovanović Fetahi, presidente dell'Associazione Romni, in collaborazione con l'Associazione LIPA per promuovere una piattaforma comune con le reti delle donne e le associazioni che rifiutano la discriminazione

"Noi donne rom siamo discriminate 3 volte: perché donne, perché rom, perché straniere. Nasce da qui l'esigenza di tessere una rete tra tutte le donne rom e sinti: solo unite possiamo vincere e cambiare il nostro futuro". Saška Jovanović Fetahi è molte cose: un ingegnere energetico che in Kosovo era a capo di 12 uomini, mamma di tre splendidi bambini, imprenditrice che ha dato vita ad un'azienda di import-export, presidente dell'associazione Romni Onlus, fellow 2014 dell'Open society foundations romani women's fellowship.
Sabato 8 marzo nella sala convegni del CESV- Centro servizi per il volontariato del Lazio - di donne come Saška ce ne sono molte, che investono su sé stesse e lottano per l'emancipazione facendo i conti con una duplice discriminazione: da parte della società italiana, ma anche della stessa comunità alla quale appartengono.

"Oggi la comunità rom conta in Italia circa 150.000 - 160.000 persone" spiega Concetta Sarachella dell'associazione Ticane Asiem Onlus: "Per secoli c'è stata una discriminazione di genere che ha relegato la donna nell'invisibilità dell'assistenza familiare e tuttora in alcune realtà le donne non possono uscire dal campo senza la supervisione della suocera o della figura femminile incaricata della loro tutela, poche riescono a raggiungere alti gradi di istruzione e molte famiglie non consentono di accettare lavori altri rispetto a quelli tradizionali all'interno delle comunità". Il prezzo dell'emancipazione è l'esclusione: una donna che non si conforma ai ruoli classici è destinata nella maggior parte dei casi a restare single.

La discriminazione da parte della società italiana non è meno feroce: "Senza la cittadinanza come farò a trovare lavoro e costruirmi un futuro?" domanda al Presidente della Repubblica la 18enne Brenda, nata e cresciuta in Italia, all'interno del video Sono solo una ragazza. "Abitiamo in dei container due metri per quattro, è tutto grigio e recintato, pieno di fango" prosegue la 15enne Pamela "Ci credo che non ho amici, nemmeno io la vorrei un'amica che abita in un posto così brutto".



"Non possiamo aspettare che gli altri ci riconoscano le nostre prerogative, dobbiamo agire e alla fine gli uomini ci correranno dietro" dichiara Dijana Pavlović, artista impegnata dal 2008 in politica, annunciando la presentazione, il prossimo 8 aprile, di una campagna per una legge di iniziativa popolare volta al riconoscimento della minoranza rom e sinti.

"Noi viviamo una grande crisi di identità: abbiamo comunità quasi analfabete, una percentuale del 93% di disoccupazione. Crescere i nostri figli orgogliosi della propria identità vuol dire mantenere il nostro popolo... pulito. Riconquistare una cultura e una storia che si stanno perdendo dopo tanti anni di vita nei campi. Altrimenti tutte le nostre battaglie si ridurranno soltanto ad ottenere un appartamento o un lavoro".

"Ci incontreremo nelle prossime settimane per realizzare progetti volti a dare voce e rispetto a tutte le donne" assicura Daniela Tiburzi, presidente Commissione delle elette del Comune di Roma e anche l'europarlamentare Silvia Costa, che non ha potuto prendere parte all'incontro, si dice disponibile al confronto. Un altro passo verso l'emancipazione è stato compiuto?

Visita il profilo facebook di Rowni Italia - gruppo di donne rom e sinti

 
Di Frances Oliver Catania (del 08/03/2014 @ 09:08:26, in Kumpanija, visitato 1976 volte)

In italiano era già disponibile in versione cartacea che in ebook, così ci abbiamo preso gusto, ed ecco la versione in inglese.

Hajrija Seferovic, known as Maria (Bebé to her family) was born to Kalderasha parents in 1938 in the ex Yugoslavian town of Travnik, the first of five children. Her family travelled often in search of ways to earn a living, among other things selling horses, and making copper pots and plates which they would sell in local markets. Maria remembers a difficult but happy childhood living in tents in a large 'Kumpanji'. During these journeys her group came to Italy often. At the beginning of the war in Bosnia , with the help of the United Nations, the family managed to escape. Some went to live in France others to Germany and some to the United States. Maria and her family went to Turin where they stayed for ten years.
by Frances Oliver Catania

And what about You, how many Gypsies do you know? That was the slogan in a UNAR campaign (2012). This little volume doesn't talk about the Roma culture or about the origins of their language or of the persecutions that they have suffered it talks about getting to know each other.
The Roma and the Sinti are among us everywhere in Italy and in Europe, and when allowed to, they work alongside us, and send their children to school with our children. Why should it be different in Pessano con Bornago? How do you think that they can improve their situation if we deny them the possibility to shake off the shackles of poverty?
This booklet tells of a culture that can't be found in anthropological texts, but which lives on a daily basis in this area North East of Milan. In short, for once it doesn't talk about the things that they need (or rather that they have every right to) but of what they can teach us right now if they had the chance, because they are here among us.
Practical evidence: I am sure that all of you (even those who can't stand gypsies) are interested in knowing something about STAYING HEALTHY and FOOD. You will see that even an old Roma grandmother can teach us something.
THAT'S THE FIRST REASON. The second is that this family, who live nearby today (possibly with something to teach us), tomorrow are somewhere else teaching someone else. Whether they live in a caravan or in a house, under a bridge or in an encampment doesn't change a thing about the wealth of knowledge and experience that they have in their culture. Wherever they go, wherever they stop they have to find the possibility of a way to live.
The third point, which is just as interesting, is GAINING SOMETHING (you as much as Maria and her family). We are not asking for charity but for shared respect. As long as people depend on the generosity of others there will always be people on the margins of society, people who are easily got rid of.
If you find what Maria has written interesting, this booklet is not at all expensive for you, and the proceeds will all go to her which will be a significant help to her.
Money is important, sure, but after so much time spent living side by side, more important, with this booklet we can start to build a relationship TOGETHER.
To all you readers, with sincere good wishes that we can travel this road together.
Sastipé, But thaj Baxt savorrenge (Good health, Work and Good Luck to you all)
by Fabrizio Casavola 

Copyright Licenza di copyright standard
Edizione III edizione
Pubblicato 6 marzo 2014
Lingua Inglese
Pagine 29
Formato del file PDF
Dimensioni del file 12.87 MB
Prezzo: € 2,50

Download Grandma's Tales

 
Di Fabrizio (del 27/02/2014 @ 09:06:39, in Kumpanija, visitato 2210 volte)

Giovedì 6 marzo, ore 20.45
Libreria Popolare Via Tadino, 18 - 20124 Milano

partendo dal libro I Rom di Rubattino, una scuola di solidarietà
...dove sono andati, cosa hanno fatto

Incontro con la co-autrice Flaviana Robbiati - Assunta Vincenti di "Mamme e maestre di via Rubattino" - Stefano Pasta della Comunità di Sant'Egidio
coordina Fabrizio Casavola dell'associazione MAHALLA

Era il 19 novembre 2009, GIORNATA DEI DIRITTI DELL'INFANZIA, pioveva mentre si stava svolgendo una grande iniziativa a tema in Comune. Quello stesso giorno alcuni bambini DIVERSI venivano sbattuti per strada con i loro genitori e niente da portarsi dietro, dallo stesso comune di Milano.
Iniziò allora la RESISTENZA di Rubattino, che vide assieme le famiglie rom, gli insegnanti, i genitori dei loro compagni di scuola, cittadini, sacerdoti, persino un produttore di vino... Si concretizzò l'idea di una Milano diversa e solidale, che non si limitava a protestare, ma sapeva reagire.
Quelle e altre vicende furono narrate nel libro che rivedremo stasera, e che raccoglieva esperienze e testimonianze dirette delle protagoniste di quelle vicende.
Nel frattempo, è cambiata la giunta comunale, e soprattutto sono nati diversi progetti di integrazione. Al di là delle ricorrenti attenzioni e smemoratezze dei mezzi di informazione, tenteremo di fare un bilancio su come silenziosamente prosegue l'esperienza milanese di questa storia che per la prima volta ha unito cittadini rom e no in un progetto.

 
Di Fabrizio (del 18/02/2014 @ 09:02:07, in Kumpanija, visitato 2114 volte)

Segnalato e tradotto da Lia Didero e Anita Silviano, da Una antropologa en la luna

Non parola di Gitano ma Gitane con Parole.

"Ci sono tanti stereotipi da dovere abbattere, molta mitologia e la tendenza dei non-gitani europei a considerarsi l'unico modello, le uniche libertà. Le nostre dinamiche sono diverse, vogliamo emanciparci a modo nostro. Perché non può esistere la diversità?"
Rosa Jimenez, direttore dell'associazione Romi Sinti.

A tutti costa molto sapere chi si è. Cos'è essere gitani? Spagnoli? Europei? Cos'è essere donna? O uomo? L'identità è qualcosa sulla quale tutt* devono lavorare, riflette Araceli Cañadas, dottoranda presso l'Università di Alcalá, dove insegna "Gitani di Spagna, storia e cultura". "La differenza tra l'identità Romì e le altre, è che se tu volessi approfondire la tua identità non-gitana, trovi argomenti, libri, documenti, professori, ecc, ma se voi voleste approfondire la vostra identità gitana, manchereste di un corpus bibliografico o documentale, manchereste di una tradizione accademica... Per ora, devi riferirti a questi schemi fissi e stereotipati, o questo o nulla.

L' ultimo rapporto della Fundación Secretariado Gitano in collaborazione con il Centro Nacional de Innovación e Investigación Educativa (CNIIE), dà alcuni dati scoraggianti: "Solo il 62,7% ha completato al massimo istruzione primaria, il 24,8% ha conseguito la licenza della scuola secondaria obbligatoria (ESO) e solo il 7,4 % ha raggiunto l'istruzione secondaria superiore completa (liceo e formazione professionale)".

Il primo documento finora conosciuto, in cui si parla dell'arrivo dei gitani in Spagna, risale al 1425 - cioè, stiamo parlando del XV secolo - spiega Canadas." Stiamo forse dicendo che, in sei secoli, la comunità gitana, si è dedicata solo a leggere la mano e a delinquere? E' assurdo. Ci sarà stata una parte della popolazione gitana, che è stata all'università, però i gitani sono invisibili, perché non si vuole mostrare questa realtà".
"Ho visto in alcune classi come i /le professor* trattano i bambini e le bambine gitane, dicendo che dormono, che non leggono... perché questa è l'immagine che si ha del popolo gitano. Come se fossero sempre la causa dei problemi in classe, quando in realtà non è così," dice Gina, una studentessa di Lavoro Sociale.
"Questo è chiamato effetto Pigmalione", dice Patricia Caro, studente di psicologia e membro dell'Associazione femminista per la diversità zingara.
"E' fascismo. Al sistema è utile che i gitani siano una frangia sociale dalla quale non si può uscire - afferma Pepi Fernandez, lavoratrice sociale.
Soraya Giménez, che lavora presso l'Istituto di Cultura Gitana, rileva l'importanza di apprezzare e lavorare quanto è stato realizzato: "Se i media ci stereotipizzano e ridono di noi [...] realizziamo mezzi di comunicazione gitani e lottiamo. E' davvero un problema di autostima".

Isabel Jiménez, Responsabile territoriale FSG in Aragona, sottolinea: "I programmi televisivi ci hanno recato molto danno. Mostrano la parte più folclorica e lontana dalla realtà ",osserva inoltre che "gli atti come nozze e rituali che insegna la televisione, hanno fatto il loro tempo per la maggior parte delle famiglie, che preferiscono come tutte le altre, qualcosa di più discreto".
Celia Gabarri, tecnica nella FSG, è la quinta di sei figli e l'unica che ha deciso di studiare. "Una è libera se può scegliere. Non si può dire che si sceglie liberamente, se si conosce un solo percorso e la formazione è la strada per le pari opportunità". "Il cammino tradizionale, era sposarsi a 16 anni, diventando donna, senza un processo di maturazione emotiva. Adesso, questo è cambiato. Le madri vogliono che le loro figlie scelgano, vedano il mondo e studino".

... "Ho udito un professore dire a una bambina: "Ma tu, perché sei qui, se puoi vendere al mercato? Non sprecare tempo", se si demoralizza una bambina, ciò si unisce alle sue paure di essere diversa tra i non-gitani" afferma Rosa Jiménez, direttora dell'associazione Sinti Romí.

Uno dei temi ricorrenti quando si parla di sessismo nella comunità romì è il fazzoletto: un simbolo che raffigura la verginità della sposa il giorno delle nozze. Soraya Motos, anch'essa dell'associazione sostiene che è una questione culturale. "Anche le cattoliche si vestono di bianco per andare all'altare, simbolo della purezza. Non c'è molta differenza. Le cose sono molto più evolute e modernizzate rispetto a ciò che tutti pensano Preserviamo le cose buone che ha la nostra cultura e lasciamo alle spalle quelle che non ci piacciono, che erano negative e limitavano le libertà".

Jiménez si lamenta delle "scemenze" che si dicono sulle gitane. "C'è bisogno di contestualizzare. Il machismo è ovunque, non solo tra il popolo zingaro. Quello che accade è che esso è più stereotipato nella nostra cultura. Ci vedono girare in pantofole a casa e ci assegnano l'emarginazione in alcuni o molti casi può anche essere, ma è anche vero che non si rendono visibili altre forme di essere gitane".
"Ci seguono nei negozi, al momento di affittarci un appartamento, danno per scontato che lo distruggerai, se vai a cercarti un lavoro, ti guardano in cagnesco, se chiediamo una sovvenzione, siamo indicati come migranti... racconta ridendo. "Quando sento gli stereotipi, mi chiedo dov'è il rispetto della differenza, perché non si può essere diversi, perché per integrarmi, devo diventare te, Nonostante abbia studiato, conquistato spazi, sia uscita da casa, partecipo alla vita pubblica. Non voglio smettere di essere gitana, perché sono orgogliosa di esserlo".
"Siamo sempre più visibili, vedono i nostri volti l'8 marzo, lottiamo mano nella mano con le altre donne. "Ci sono tanti stereotipi da dovere abbattere, molta mitologia e la tendenza dei non -gitani europei a considerarsi l'unico modello, le uniche libertà. Le nostre dinamiche sono diverse, vogliamo emanciparci a modo nostro. Perché non può esistere la diversità?"
"Vogliamo che capiscano la formazione delle donne come qualcosa di buono per la famiglia e la comunità. Vogliamo che gli uomini ci accompagnino in questo percorso di lotta. Andiamo lentamente, ma arriveremo" (Nelle nostre dinamiche) prevale la collettività sull'individualismo. Intendiamo la libertà in modo diverso".
"E ' un patrimonio impressionante che non si apprezza, che non è valorizzato. E' bello il fatto dell'identità, la famiglia, i riti sui defunti, il rispetto tra i gruppi di età, l'amore per i bambini. Ci sono tantissime cose importanti", afferma Ana Giménez Adelantado, gitana kalé e Dottora in Antropologia.- . "Un essere umano è in primo luogo, la sua cultura e le sue esperienze. Probabilmente l'antropologia mi aiuta a capire meglio il mio mondo gitano, in cui io vivo e posso analizzare la famiglia, i bambini, la scuola, le relazioni o la quotidiana realtà. Essere, però, una zingara è una condizione assolutamente differente. Viviamo in una società pluralistica e multiculturale in molti sensi. A questo proposito, l'astrazione che facciamo della donna zingara è falsa, è teorica, perché non ha nulla a che fare con la vita quotidiana di molte donne. C'è da fare quest'astrazione, ma deve essere spiegata attraverso le esperienze di differenti donne e permettere che esse la spieghino".

 
Di Fabrizio (del 20/01/2014 @ 09:08:23, in Kumpanija, visitato 3545 volte)
Può esistere un'immagine più "irrispettosa" di questa, riguardo il GIORNO DELLA MEMORIA? Cosa ci fa qua e perché, lo scoprirete leggendo questo post...

di Jovica Jovic - Cari amici, c'è una cosa che da tempo mi fa stare molto male, soprattutto di questo periodo. E non è la salute, non sono i soldi... è quella parola: PORRAJMOS.

Ogni anno, l'ultima settimana di gennaio ci incontriamo, voi a sentirmi e io a suonare, per la Giornata della Memoria, e quella parola ritorna puntuale. Voi, magari, la dite perché l'avete sentita da qualcuno istruito e, come noi Rom, la ripetete perché quello che è accaduto allora fu di una tale violenza, che dopo tutti cercarono un termine per descriverlo. Gli Ebrei trovarono la parola Shoa, tra i Rom cominciò a diffondersi "porrajmos".

Quello che molti di voi non immaginano, è che la parola nella mia lingua significa STUPRO (si può usare solo per gli organi sessuali), quindi è estremamente violenta, ma del tutto inadatta ed offensiva ad essere pronunciata per descrivere gli stermini della seconda guerra mondiale. Può andare bene per qualcuno di voi, ma io non potrò mai dirla di fronte alle mie figlie, di fronte a una qualsiasi famiglia rom.

Ecco, parlerò a qualcuno di voi, sperando che mi capiate. Tenterò di essere calmo e comprensibile, e per questo devo spiegarvi alcuni termini della mia lingua (i termini in lingua romanés sono stati adattati alla grafia italiana, ndr.) :

  • PORADJOS: donna, apri le gambe.
  • PORAVESLES tu
  • PORAVASLES noi
  • PORAJMOS in tanti, assieme, come fare un'ammucchiata.

Per essere completi, esiste nella nostra lingua anche (due parole staccate) PO RAJMOS, che si può tradurre con "la signorilità", ma è ovvio che questo non ha alcuna relazione con l'uso che si dovrebbe fare della parola.

Quello che ho detto vale per la maggioranza dei Rom e dei Sinti - non pensate che il mio sia un capriccio: ho 60 anni, e sono figlio di una famiglia che ha partecipato alla II guerra mondiale, lì sono morti mio nonno, mio zio e poco dopo mio fratello che aveva contratto il tifo. La storia è raccontata nel libro Niente è più intatto di un cuore spezzato. Per me ricordare oggi quegli anni, usando quella parola, è come mancare di rispetto a loro e ucciderli nuovamente.

Tra i Rom, c'è chi non parla più il romanés, e altri che lo parlano per sentito dire, magari adattandolo alla lingua del paese dove vivono. Anche loro parlano allora di "porajmos" senza sapere di cosa si tratti. A loro non posso rimproverare molto. Ma quando ho parlato di questi miei sentimenti a Rom influenti e di cultura, mi è stato risposto pressappoco così: "Jovica, tu hai ragione. Ma ormai è tardi, è una parola che sta circolando da tempo e quello che tu chiedi non ha un valore pratico, anzi sarebbe anche impopolare". Avrà poco valore e sarà impopolare forse per loro, per me è una questione di rispetto per me e per l'affetto alla mia famiglia.

Con voi gagé le cose non sono andate molto diversamente. Ho scritto a molte persone di cultura, a molti che vivono nel mondo dell'informazione e della divulgazione. Le stesse persone che mi chiamano a suonare. Non ho avuto risposta. Durante i concerti, chiedo che se ne parli, ma non c'è mai il tempo pratico per farlo. Solo Moni Ovadia, durante la presentazione milanese del libro "La meravigliosa vita di Jovica Jovic", che ha scritto con Marco Rovelli, ha rotto infine il muro del silenzio.

Allora che termine usare, mi chiederete? Ultimamente, ho sentito adoperare SAMUDARIPEN, viene dalla parlata dei Rom Khorakhané, significa "totale omicidio". Anche i Rom Abruzzesi hanno un termine simile: MUNDARIPE'. Il termine esatto da adoperare sarebbe BARO MUNDARIMOS LE MANUCHENGO, cioè:

  • BARO = grande
  • MUNDARIMOS = omicidio totale
  • LE MANUCHENGO = dell'umanità.

Si sarebbe potuto dire LE RROMENGO, ma in questo caso si sarebbe reso omaggio solo alle vittime rom, con MANUCHENGO invece io ricordo anche gli Ebrei, gli omosessuali, i Testimoni di Geova...

Questo è tutto. Non mi importa di quanti sono stati zitti sinora, io andrò avanti finché campo a difendere le mie idee e i miei ricordi. Se volete, se avete capito, datemi una mano a far circolare questi pensieri, anche sulla stampa, anche su Facebook, dovunque. E forse, riusciremo assieme a fare un po' di luce, su tutti i defunti uccisi dal razzismo e dal fascismo

Grazie.

Nota del redattore: Sembra destino che sul Giorno della Memoria io debba incrociare la strada di Jovica: è successo nel 2011 e poi nel 2012 fu lui a stimolare le mie riflessioni. Come mai?

  1. Jovica, valente musicista, è un amico che rispetto. Conoscendolo, trovo che quell'etichetta "musicista" sia limitativa per una persona intelligente e di grande senso morale come lui.
  2. Non ha importanza (anzi, ne ha molta, ma non intendo scrivere di questo) se quanto Jovica ha affermato sopra possa essere condivisibile o di vostro gradimento. La cosa importante, per me, è che possa esprimersi sulla storia della sua famiglia, sui suoi valori, e questo non possiamo portarglielo via, come se fosse un campo o un documento.

Non so neanche dove arriveranno le sue parole, la strada è lunga e affollata da gente che ruba idee e frammenti di vita ai Rom, e tenta poi di spacciarli come se fossero una loro invenzione. In mezzo a tante grida, Jovica ha salvato la sua fisarmonica. E' ora che si salvino anche le sue idee.

Anche questo video, per terminare, potrà sembrare irrispettoso, ma almeno è allegro. Perché, ricordando questa giornata, le giovani generazioni e la loro gioia sono il nostro solo comune futuro.

 
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