Rom e Sinti da tutto il mondo

Ma che ci fa quell'orologio?
L'ora si puo' vedere dovunque, persino sul desktop.
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\\ Mahalla : Storico per mese (inverti l'ordine)
Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
 
 

Aurigo - Una targa verrà posta a dimora nelle prossime settimane (Riviera24.it)

In occasione della festa di Liberazione l'Arci Provinciale di Imperia ha voluto ricordare la figura di Giuseppe Catter, partigiano "Tarzan", ucciso ad Aurigo dai nazifascisti nell'agosto del 1944.

Nell'accogliente sala di "Ca Ru Megu" concessa dal Comune di Aurigo, rappresentato dal Vice Sindaco Piercarlo Gandolfo, sabato 26 aprile si sono riuniti per ricordare Catter, rappresentanti dell'ANPI, militanti dell'Arci e numerose personalità, che con il loro contributo di memoria e di riflessione hanno inteso sottolineare l'attualità del gesto eroico del giovane partigiano, sepolto ad Oneglia, che per difendere il capo della sua formazione, il partigiano"Orano", scelse l'estremo sacrificio.

Presenti alla commemorazione Italo Catter, fratello di Giuseppe, la sorella Maria Rosa, i nipoti ed il cognato. Come sempre vivace e commosso il contributo di Carlo Trucco, partigiano, presidente onorario del Circolo Arci Guernica che non ha voluto mancare all'appuntamento promosso dall'Arci Provinciale Imperiese.
L'ing. Ezio Lavezzi, presidente dell'Associazione Partigiani ha inteso rappresentare l'adesione convinta del comitato provinciale ANPI all'evento, sottolineando l'importanza di non vanificare con becere semplificazioni il valore collettivo della lotta di Liberazione, fondamento della nostra democrazia.

Feli Delucis dell'Arci e Giovanni Rainisio, presidente dell'I.S.R.E.C.IM. hanno svolto la loro relazione commemorativa tratteggiando con riferimenti letterari e note storiche l'esperienza di vita e di lotta di "Tarzan".

Rainisio ha, tra l'altro, testimoniato con soddisfazione il proliferare di eventi promossi da tanti soggetti per ricordare il sessantanovesimo anniversario della Liberazione, segno di speranza in un Paese ferito dai tanti revisionismi. Hanno quindi preso la parola l'assessore Regionale all'immigrazione Enrico Vesco ed il Presidente di Arci Liguria, Walter Massa, che con la loro presenza hanno testimoniato l'attenzione verso una figura così attuale della lotta di Liberazione.

Per la libertà hanno infatti combattuto uomini e donne di ogni etnia, ideologia politica e provenienza, poichè di fronte alla ricerca della libertà ed al riscatto dal giogo delle dittature l'umanità si trova convintamente unita e coesa.

Nelle prossime settimane la targa presentata alla cerimonia sarà posta a perenne ricordo di Giuseppe Catter, il partigiano di origini Sinti morto per le libertà di tutti.

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Di Fabrizio (del 29/04/2014 @ 09:02:10, in blog, visitato 2334 volte)

...se non può più dare il cattivo esempio

Facendola breve, dal mese prossimo dovrei fare qualche presentazione pubblica di Mahalla (cioè del blog e di tutto quanto ci gira attorno, vedi barra del menu). Purtroppo, in questi periodi ho la testa più vuota del mio portafoglio, e non mi viene in mente niente di intelligente. Voi (sì, proprio voi) che consigli (buoni o cattivi, fa lo stesso) mi dareste?

Grazie, e a buon rendere.

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Di Fabrizio (del 28/04/2014 @ 09:04:49, in lavoro, visitato 1980 volte)

da Huffington Post

C'è un popolo fra i più negletti della nostra storia millenaria, escluso e invisibile, spesso dimenticato. Cosa che, in particolare ai Rom ed ai Sinti, starebbe anche bene, visto che ogni volta che la storia se ne è ricordata, ha lasciato loro ferite laceranti e profonde, si pensi allo sterminio operato dai nazisti o alle 'crociate' (meglio raid) di ignoranti e violenti contro i loro campi. Nei secoli, milioni di benpensanti li hanno accusati di tutto: dall'aver fabbricato i chiodi della croce di Cristo ai rapimenti dei bambini; cose fra l'altro parimenti non dimostrabili. Eppure, raccontava De Andrè, sono uno dei pochi popoli che nella storia dell'umanità non ha dichiarato mai guerra a nessuno.

Su questo popolo c'è poi un pregiudizio molto italiano, tanto radicato da essere divenuto un dogma: "i Rom sono nomadi". Una teoria comoda per chi l'ha costruita, a volte mascherata da un'idea romantica che cela la voglia di allontanarli dalle nostre città. La verità sbiadisce e la storia si rischia che la scrivano solo i più furbi.

A Reggio Calabria, settima tappa di carovana antimafie 2014, ascoltiamo una storia diversa confidando in un finale un po' meno triste. Facciamo tappa nella sede della Cooperativa sociale "Rom 1995", una palazzina adibita a magazzino e uffici con una luminosissima sala conferenze. Siamo in un bene confiscato alla 'ndrangheta, assegnato nel 2003 alla "Rom 1995". Le foto alle pareti non lasciano dubbi: si trattava di una struttura fatiscente e decadente completamene ristrutturata dai soci della cooperativa. I rom nel bene confiscato, già questa sembrerebbe una buona storia. Le storie tuttavia, per essere belle davvero, devono cambiare la vita delle persone, altrimenti servono solo ai buonisti che si nutrono di belle immagini, lasciando agli altri il problema del pane.

Facciamo un passo indietro per scoprire come la "Rom" nel 1995 nasca come cooperativa sociale. Una scommessa impossibile, che solo i lungimiranti possono fare: trasformare coloro che raccolgono i materiali lasciati presso i cassonetti, per guadagnarci qualcosa in capaci e formati professionisti del settore della raccolta differenziata. Nella città dove i Rom sono additati come coloro che rubano le auto per restituirle ai legittimi proprietari in cambio del riscatto (cd. "cavallo di ritorno") e dove sono stati marginalizzati dalle ultime amministrazioni, c'è stato invece un grande sindaco, Italo Falcomatà, che ha incoraggiato la scelta di queste persone di abbattere i pregiudizi.

Il rom abile al lavoro legale nel bene confiscato che si trasforma in isola ecologica, l'unica della città. La cooperativa si occupa negli anni della rimozione del materiale dismesso dalle scuole e dei manifesti affissi abusivamente, del ritiro di vecchi elettrodomestici, conferendoli in un centro di raccolta autorizzato.

Insomma si occupano del bene comune, rivendicano che "Rom diversi possono essere lavoratori uguali". Da quattro anni però la cooperativa vive in una condizione di precarietà a causa di scelte compiute dall'amministrazione, governata dall'allora Sindaco Scopelliti (di recente condannato a 6 anni di reclusione). Il 3 maggio 2010 il consiglio comunale reggino vota (all'unanimità) una delibera con la quale si "dà mandato al Sindaco ed alla Giunta...di attivare e disporre ogni iniziativa utile per far proseguire l'esperienza della Cooperativa Rom 1995 nell'attività fino ad oggi espletata (raccolta ingombranti e isola ecologica)..." ma, come racconta il portale la "Filosofia reggina" e gli stessi responsabili della cooperativa riportano, per una "disattenzione", alla conclusione della nuova gara di appalto relativa alla gestione dei servizi di raccolta differenziata, non viene indicato alla società Leonia ("controllata" al 51% dal Comune) e vincitrice della gara d'appalto, di voler esprimere il consenso di subappalto relativamente alla parte dei servizi storicamente gestiti dalla Rom 1995". L'epilogo è che nel giugno 2010 le attività della cooperativa vengono sospese e i lavoratori messi in cassa integrazione. Nel 2011 alla Rom 1995 viene affidata la gestione di due servizi, insufficienti però a dare continuità lavorativa ai soci e di conseguenza stipendi costanti e sostegno alle loro famiglie.

Insomma scelte sbagliate che rischiano di affossare un'azienda davvero "speciale". Una storia straordinaria che rischia di trasformarsi in ordinaria follia: quella di riportarci indietro, senza considerare che i rom sono parte integrante della società italiana e non "zingari", destinati a essere nomadi. Noi carovanieri, viaggiatori per scelta e quindi privilegiati, vorremmo proseguire il viaggio sapendo che la sosta, per la 'Rom 1995', sia invece serena.

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Di Sucar Drom (del 27/04/2014 @ 09:06:13, in conflitti, visitato 2290 volte)

da U VELTO

    Nell'Aprile del 1945 c'erano i tedeschi in ritirata. Molti sinti facevano i partigiani. Per esempio mio cugino Lucchesi Fioravante stava con la divisione Armando, ma anche molti di noi che facevano gli spettacoli durante il giorno, di notte andavano a portare via le armi ai tedeschi. Mio padre e lo zio Rus tornarono a casa nel 1945 e anche loro di notte si univano ad altri sinti per fare le azioni contro i tedeschi nella zona del mantovano fra Breda Solini e Rivarolo del Re (oggi Rivarolo Mantovano), dove giravano con il postone che il nonno aveva attrezzato. Erano quasi una leggenda e la gente del luogo li aveva soprannominati i "Leoni di Breda Solini"...

Questo è il racconto di Giacomo "Gnugo" De Bar, sinto emiliano, che bambino è stato rinchiuso con la sua famiglia nel campo di concentramento di Prignano sulla Secchia, in Provincia di Modena, nel settembre del 1940. Dopo l'8 settembre 1943, con l'armistizio, la sua famiglia riusci a fuggire dal campo di concentramento, insieme a tutte le altre famiglie sinte. E' infatti dall'autunno del 1943 che in particolare sinti italiani, maggioritari nel Nord Italia, si danno alla macchia e si uniscono alle brigate partigiane.

Molte famiglie sinte e rom scappate dai campi di concentramento, nel Nord Italia vengono rastrellate e inviate verso il campo di concentramento di Bolzano per poi essere deportati in Germania e in Polonia. Alcune riescono a sfuggire ai rastrellamenti dei Carabinieri e delle Forze tedesche nascondendosi nelle campagne grazie all'aiuto delle famiglie contadine, come per esempio la famiglia di Candida "Bianca" Ornato, sinta mantovana.

Particolare è invece il caso della famiglia di Gnugo che riesce a riprende l'attività circense e con altri sinti costituisce la Formazione partigiana dei Leoni di Breda Solini che operò sul confine tra Mantova, Modena, Cremona e Reggio Emilia.

Di seguito l'elenco dei sinti e dei rom che hanno partecipato alla Liberazione nel Nord Italia:

Giuseppe "Tarzan" Catter, eroe partigiano sinto, ucciso dai fascisti nell'Imperiese, il suo distaccamento ne prese il nome, decorato al valore

Walter "Vampa" Catter, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Lino "Ercole" Festini, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Silvio Paina, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Renato Mastini, eroe partigiano sinto, Martire di Vicenza, fucilato l'11 novembre 1944

Giacomo Sacco, partigiano sinto, partecipa alla liberazione di Genova

Giuseppe "Tzigari" Levakovich, partigiano sinto nella Brigata "Osoppo" in Friuli Venezia Giulia

Rubino Bonora, partigiano sinto nella Divisione "Nannetti" in Friuli Venezia Giulia

Amilcare "Corsaro" Debar, partigiano sinto, staffetta e poi partigiano combattente nella 48° Brigata Garibaldi "Dante Di Nanni"

Vittorio "Spatzo" Mayer, partigiano sinto in Val di Non

Mirko Levak, partigiano rom, scappato dal campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau si unisce ai partigiani

Fioravante Lucchesi, partigiano sinto nella Divisione Modena Armando

Formazione partigiana I Leoni di Breda Solini, formato unicamente da sinti italiani, fuggiti dal campo di concentramento di Prignano sulla Secchia (MO), operò nel mantovano

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Di Fabrizio (del 26/04/2014 @ 09:06:17, in scuola, visitato 1982 volte)

Continua l'operazione "nostalgia" iniziata con Il giorno delle 300 candele.

Questo nuovo ebook narra di un progetto (finanziato allora dal comune di Milano, oggi sembra incredibile) di un bollettino dedicato alle scuole e redatto in un campo rom, che seppe creare rete e comunità. Rileggerlo dopo 20 anni può fare simpatia, ma molti degli articoli di allora sono ancora utili e vivi. Oppure può essere una testimonianza storica, e anche un buon bigino per chi, ancora oggi, redige bollettini e/o siti scolastici o di comunità.

Copyright Licenza di copyright standard
Pubblicato 24 aprile 2014
Lingua Italiano
Pagine 88
Formato del file PDF
Dimensioni del file 129.1 MB
Prezzo 1,90 euro
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Di Fabrizio (del 25/04/2014 @ 09:02:19, in Europa, visitato 2654 volte)

Lo ripropongo per chi si fosse perso l'ultima trasmissione di Assetto Variabile. Buon 25 Aprile!

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Di Fabrizio (del 24/04/2014 @ 09:04:22, in Italia, visitato 2310 volte)

(immagine da milano.blogosfere.it)

No, non avete sbagliato link, siete sempre su Mahalla. Ma andiamo con ordine:

Un mese fa ero a Sesto san Giovanni, per presentare il progetto MAHALLA, e dato che contemporaneamente vi si svolgeva il consueto mercatino del libro usato, avevo fatto qualche scambio. Mi era capitato in mano L'INNSE CHE C'E' (di Bruno Casati e Renato Sacristani) e in attesa di iniziare mi leggevo le prime pagine. Lettura interessantissima, non solo perché negli anni '80-'90 ho avuto trascorsi nel sindacato, ma perché mi ha fornito la chiave per rompere il ghiaccio e trovare un filo comune con i presenti.

  1. Il libro inizia col capitolo Ci vorrebbe Ken Loach. Cioè, qualcuno che sapesse costruire storie, fare politica, e dare voce a quell'etnia negletta che si chiama "lavoratori". Io non sono di sicuro Ken Loach, neanche Franco Rosi o Ermanno Olmi, ma nel tempo con Mahalla ho cercato di far conoscere musica, testi, cinema, libri su Rom e Sinti. Perché se sono in Italia da oltre 600 anni, qualche traccia (magari pop) nella nostra cultura devono pure averla lasciata, al di là della perdurante desolazione delle cronache. E contemporaneamente, si saranno contaminati, tra il mantenimento della loro identità e una presenza storica nel nostro paese. Eppure, restano sconosciuti o vengono descritti in maniera stereotipata.
  2. Poi c'è la location: Lambrate-Rubattino. A chi non ha letto I ROM DI RUBATTINO può sembrare strano, ma i Rom, quelli accampati di fronte alla fabbrica, gli eterni sgomberati conoscevano bene l'INNSE e i suoi lavoratori. Era lì che andavano a prendere l'acqua, e quei lavoratori in lotta non gliel'hanno mai negata. Si chiama SOLIDARIETA', e i due libri raccontano che la solidarietà è POLITICA, ne è l'ingrediente principale. Senza, non solo si perde, ma nel lungo periodo si rifluisce nel privato, nell'interesse di parte. Il fatto che sui due lati di via Rubattino fossero accampati questi cittadini, che altrimenti non si sarebbero mai conosciuti, ci porta ad un terzo punto.
  3. Milano e chi comanda: ecco un altro punto di riflessione comune, sui due lati della via Rubattino tornano a intervalli regolari le Forze dell'Ordine e le dichiarazioni dei vari politici, sono la presenza visibile. Proseguendo nella lettura del libri, si chiarisce man mano il ruolo nascosto e per niente secondario di soggetti oscuri ma determinanti della finanza ed el ramo immobiliare. Sono gli stessa, che in maniera ancora più nascosta, da qualche anno stanno decidendo il destino delle aree dove sorgono i campi, comunali o informali che siano. E poi c'è l'Expo, che nella sua perdurante confusione, sta monopolizzando il dibattito su cosa fare di tante aree dismesse o da dismettere, quasi un Piano del Territorio parallelo.

Questi tre punti portano a presentare la questione Rom e Sinti (almeno in una città come Milano), al di là del folklore o del buonismo, ma come uno dei tanti nodi per risolvere il NOSTRO e il LORO rapporto con una metropoli del XXI secolo. Il libro prosegue con molte testimonianze, e si legge con piacere e interesse. Opinioni a volte diverse, ma tutte ugualmente "partigiane". Una bella storia, una volta tanto con un lieto fine.

I lavoratori vincono perché hanno coscienza e unità, i Rom no, hanno sempre adottato strategie differenti; o le hanno adottate i loro "difensori". Ma senza voler imporre punti di vita altrui, ritengo che una lettura sia utile anche a quanti decidano cosa debbano fare i Rom (i Rom decidono da soli?? Sinceramente non me ne ero accorto!). Storia di una vertenza lunga, difficile e ostinata.

Il libro lo trovate a Sesto San Giovanni in via Don Minzoni 129. Ogni mese i volumi si rinnovano: ne troverete migliaia tra cui scegliere, per tutti i gusti e ogni età. Costo? L'offerta è libera, da 1 euro in su.

Al termine, ci sono alcune sezioni che sono da stimolo ad utili riflessioni, a cominciare da INNSE e media. I media, riguardo ai due lati di via Rubattino, hanno avuto un atteggiamento simile: inizialmente di indifferenza se non di ostilità, che in seguito ha invece sposato tesi e ragioni di chi resisteva ai due lati della strada. In tre brevi capitoli si tenta di spiegare come mai STAVOLTA l'Innse abbia bucato il muro di gomma delle cronache.

Lo so, vi ho già tenuti attaccati allo schermo sino troppo, ma c'è un altro capitolo che addirittura vorrei riportare per intero. Riguarda il rapporto del mondo del lavoro con le classi intellettuali. Chiederei ai miei amici attivisti & difensori dei diritti, di leggerselo tutto (con comodo, anche in più riprese) sostituendo ogni volta alla parola lavoratori quella di Rom. E vedere se viene in testa qualche idea (lungo da leggere? Sì, è lungo).

Oggi sono gli operai a salire sui tetti domani potrebbe toccare ai docenti

di Aldo Giannuli Docente di Storia contemporanea, Università Statale, Facoltà di Scienze Politiche, Milano

Il caso Innse, pur riguardando solo alcune decine di lavoratori, è stato un "reagente" utilissimo per analizzare le trasformazioni subite dall'ambiente accademico, nel trentennio che ci separa dalla fine della "grande stagione dei movimenti" degli anni Settanta.

In quel decennio si saldò un fronte sociale molto composito - fatto di operai, impiegati, studenti, intellettuali e fasce di lavoratori autonomi - che, da un lato si unificava nella difesa della democrazia dall'assalto eversivo della destra, dall'altro, trovava ragion d'essere nell'aspirazione a un modello sociale diverso e più egualitario.

Tutti gli ambienti sociali ne furono contaminati e persino la corporazione accademica - una delle più chiuse e gelose dei propri privilegi - subì vistose fratture interne.

Interi gruppi disciplinari (sociologi, giuslavoristi, storici, politologi, filosofi, italianisti, psicologi, pedagogisti) si schierarono a grande maggioranza con i movimenti (primo fra tutti quello sindacale) fornendo il supporto delle proprie conoscenze, sottoscrivendo appelli ed anche dando vita ad esperienze formative come quella delle 150 ore (se ne ricorda ancora qualcuno?).

Anche se in dimensioni non maggioritarie, parteciparono anche economisti, civilisti, penalisti, fisici, biologi, informatici. Persino a Medicina, vero bastione della conservazione accademica, sorsero gruppi di contestazione legati a Medicina Democratica o a Psichiatria Democratica.

E, come è facile immaginare, i più sensibili furono i docenti più giovani - allora denominati "assistenti" o "incaricati" - che erano stai studenti sino ad un passato abbastanza recente da essere ricordato.

Non era raro vedere loro (e persino qualche giovane "ordinario" di fresca nomina) partecipare a cortei e assemblee, dare un volantino o gridare slogan.

E tutti a chiedere una riforma democratica dell'Università contro antichi privilegi e steccati corporativi.

Sono passati più di trenta anni e quegli stessi giovani accademici sono diventati ordinari.

Oggi la maggioranza di rettori, presidi, direttori di dipartimento hanno quella età e si apprestano ormai a concludere andando in pensione.

Ma sono persone diverse, molto diverse, da quelle di trenta anni fa: la corporazione li ha assorbiti, inquadrati, digeriti.

Oggi la corporazione accademica sono loro.

I progetti di trasformazione sociale non sembrano interessarli più di tanto, e non da oggi.

La mia facoltà è uno dei sancta sanctorum dell'intellettualità del Pd e l'ideologia della "sinistra liberista" (alla Giavazzi ed alla Boeri, per intenderci) la fa da padrona.

Per molti mesi la lotta della Innse è passata semplicemente inosservata: non se ne parlava neanche per sbaglio.

Uno dei tanti episodi di inutile protesta destinato ad essere schiacciato dal rullo compressore del mercato.

Prendendo un caffè con un collega di economia, mi capitò di fare cenno a quella lotta che durava ormai da mesi, ma la cosa cadde nel vuoto: "sono le leggi del mercato: se un'azienda non produce profitto non c'è ragione che resti in vita".

Anche io - dissi - penso che l'accanimento terapeutico per tenere in vita le aziende decotte sia inutile e dannoso, ma facevo notare che l'Innse non era affatto un'azienda decotta, e che la ragione della sua liquidazione non era la mancanza di profitti, ma l'operazione speculativa sul suolo, in vista dell'Expo.

La risposta non si fece attendere: "Per le leggi del  mercato un buon affare diventa cattivo se ce n'è uno che produce guadagni maggiori. Per cui, se vendendo suoli e macchine l'impresario ricava di più che dalla sua attività attuale, non si vede perché debba rinunciare a quei guadagni".

Impeccabile! Non c'è più alcuna prospettiva macro economica, il mercato basta a sé stesso e il progresso sociale ha come sua unica molla il guadagno individuale.

Trenta anni di egemonia culturale dell'individualismo proprietario di von Mises e von Hayek non sono passati invano: ogni traccia della cultura economica della sinistra, non solo marxista, ma anche semplicemente keynesiana, è semplicemente sparita e qui anche Luigi Einaudi farebbe la parte del sovversivo.

E poi le preoccupazioni sono altre: fra il 2011 ed il 2014 andranno in pensione quasi un terzo del totale dei docenti, ma i robusti tagli della Gelmini al finanziamento dell'Università fanno temere che i concorsi di rimpiazzo (attesi come l'acqua nel deserto dalle torme di ricercatori ed associati ormai ultracinquantenni, che premono per passare al livello successivo) non ci saranno e che per molti la cattedra - o anche solo il posto di associato - resterà solo un miraggio sino alla fine della carriera.

Detto questo, se ne dovrebbe dedurre che, non fosse altro per ragioni corporative, ricercatori ed associati avrebbero dovuto partecipare di slancio alla protesta studentesca dell'"Onda", un anno fa.

Nemmeno per sogno: gli studenti sono stati lasciati soli ed il loro movimento è stato accolto con fastidio se non con ostilità.

Qualche settimana fa sono arrivate comunicazioni giudiziarie a sessanta giovani per i fatti di quel periodo: non si riesce neanche a raccogliere le firme di solidarietà e se ci provi, diversi colleghi ti rispondono che "Se la sono andata a cercare".

Così come non ebbe successo un tentativo di documento di solidarietà con i lavoratori dell'Innse, lanciato ai primi di luglio e subito abortito: ci sono gli esami, le tesi, l'ultimo consiglio di facoltà e poi fa caldo... stiamo andando in vacanza.

Ma caldo e vacanze c'entrano poco. La ragione vera è che nessuno crede più all'utilità dell'azione collettiva ed, ancor più, nel conflitto sociale. Faccio notare ad un collega che fra un anno potrebbe toccare a noi andare per tetti e cornicioni se, come già ci avverte il Rettore, non  ci saranno i soldi per pagarci gli stipendi.

Risposta "Ma va! Per noi i soldi si troveranno in un modo o nell'altro, non siamo mica operai!".

Già, non siamo operi e ci difendiamo con altri mezzi.

Una categoria come la nostra ha molte armi per difendersi: molti dei nostri sono in Parlamento e sia nell'opposizione che in maggioranza.

Molti sono nei consigli d'amministrazione di banche e società o sono firme autorevoli di quotidiani... non c'è bisogno di cortei o assemblee.

Chissà se sarà ancora vero. Forse sta per arrivare una cocente delusione per molti.

Più sensibili si dimostrano gli studenti. Ma non tutti.

Il movimento dell'Onda è stato abbastanza partecipato qui a Milano ed ha coinvolto non meno di sette-ottomila studenti che, però, sono solo una minoranza - e neanche troppo estesa - degli oltre centomila iscritti ai vari atenei milanesi.

Intere facoltà (come quelle del blocco scientifico) ne sono state interessate solo marginalmente.

E poi tutto è durato un mese ed il movimento è scomparso lasciando pochissime tracce di sé: alcuni collettivi di facoltà, qualche scossa d'assestamento e qualche fiammata di ritorno ma, nel complesso, la cosa è rientrata.

Se le generazioni precedenti hanno perso la cultura dell'azione collettiva, gli attuali ventenni non l'hanno mai avuta.

Cercano, questo è vero, di costruirsela, di porsi come soggetto collettivo, ma siamo ancora a vagiti assai elementari e discontinui.

E questo si riflette anche nel rapporto con le lotte dei lavoratori.

Non manca la simpatia, anzi in molti casi essa è evidente, ma non si va al di là di qualcosa di epidermico ed istintivo, nulla di chiaramente politico.

D'altra parte, questa è una generazione che guarda all'area del lavoro dipendente fisso con un misto di simpatia, indifferenza ed invidia: bene o male si tratta di persone che hanno un reddito garantito, mentre questi ventenni in gran parte vedono davanti a sé lo spettro di un lungo precariato.

Ci sono gli stude3nti che non hanno un progetto di sé, avvertendo di avere ben poche forze per realizzarlo, ragazzi anche molto intelligenti ma scoraggiati e con poca voglia di imbarcarsi in avventure dall'esito assai incerto.

Altri che aspirano ad una collocazione lavorativa elevata, ma in termini di tipo libero-professionale.

Pochissimi ambiscono ad un posto fisso e quasi nessuno spera di ottenerlo.

Per un'altra fascia non piccolissima è proprio la parola "lavoro" a provocare pesanti reazioni esantematiche: una allergia invincibile che li porta a reclamare un reddito garantito, non un lavoro garantito.

Anche l'ala politicamente più sensibile degli studenti, quelli di sinistra, non riesce a tradurre il grido che li ha accomunati in autunno "Noi la crisi non la paghiamo" in qualcosa di più di un semplice slogan.

I giovani che fanno riferimento al Pd e dintorni sono parte della cultura liberista, anche se con frequenti mal di pancia, e preferiscono recitare la parte dei "propositivi" poco inclini alla protesta, ma si limitano a battaglie assai circoscritte e di nessun impatto esterno all'università.

I giovani dei collettivi di area radicale, prossimi ai centri sociali e in diversi casi iscritti a Rifondazione o al PdCI manifestano simpatia e si spingono anche ad affiancare la lotta dei lavoratori dell'Innse, partecipando anche alle loro manifestazioni.

Sperano che essa sia il preannuncio di una ondata generalizzata di conflitti nel mondo del lavoro nella quale vorrebbero inserirsi anche se non sanno bene come.

Nel loro atteggiamento c'è più generosità che progetto politico.

Il collante si limita ad un generico antigovernativismo, ma stenta a darsi un insieme coerente di obiettivi comuni.

D'altra parte, una riflessione anche non molto approfondita, porta facilmente a concludere che la difesa e il rilancio dell'occupazione va in senso diverso da quella del "salario di cittadinanza" che li affascina (e che peraltro attrae anche settori di sindacato): le risorse non sono infinite ed una cosa esclude l'altra.

Piuttosto confusamente, i ragazzi dell'area radicale avvertono l'esigenza di un blocco sociale che comprenda il lavoro dipendente, quello precario e gli immigrati, ma non sanno esattamente come metterlo insieme, come organizzarlo, come esprimerlo politicamente e non trovano interlocuzioni politiche idonee, per cui la lotta dell'Innse assume, più che altro, un valore simbolico.

Quel che li colpisce di più è l'assunzione, da parte di questi lavoratori, di forme di lotta e di espressione di tipo nuovo.

Il collettivo degli operai dell'Innse promuove un profilo su Facebook, vera icona di culto dei ragazzi che, infatti, guardano alla cosa con interesse.

fa discutere la forma di lotta di salire sulle gru, minacciando di buttarsi di sotto, ad alcuni piace al punto di farla propria (lo faranno i collettivi ex Onda della sapienza a Roma), altri la trovano un po' autolesionistica e magari preferirebbero i "sequestri" dei dirigenti come in Francia.

Tutti, però, la valutano per l'impatto mediatico: i giovani dei centri sociali ed affini sono molto sensibili alle nuove forme di comunicazione su cui discutono spesso.

Dunque, la Innse è vista un po' come la prova provata che, ancora oggi, la "lotta paga" ed un po' come l'avvisaglia di una ondata di lotte nuova anche per le forme espressive e di lotta.

Ma tutto è avvolto in una persistente nebbia: l'assenza di un progetto politico unificante, di una strategia capace di combinare gli interessi di un vasto blocco sociale, persino di un comune immaginario che motivi alla lotta, si avverte con sempre maggiore nettezza.

Il caso Innse è un segnale importantissimo, ma la strada da fare per ricostruire un senso comune di appartenenza, una cultura politica alternativa a quella del potere è ancora lunga.

#mediazioneculturale #milano #lavoro #Innse

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Di Fabrizio (del 23/04/2014 @ 09:05:46, in scuola, visitato 2316 volte)

di Lorena Cotza su Corriere della Sera LA CITTA' NUOVA

Teresa vive in Italia, ha 18 anni, sta per diplomarsi e sogna di iscriversi all'università. La sua è una di quelle storie che non dovrebbero far notizia. Ma Teresa è una giovane rom e la sua storia è ancora considerata una rara eccezione.

    "Sino all'anno scorso nessuno a scuola sapeva che ero rom" racconta Teresa Suleymanovic. "Quando i miei compagni mi chiedevano da dove venissi, dicevo solo che ero bosniaca. Non volevo dire che vivevo in un campo. Perché tutti pensano che i rom dei campi rubino e siano sporchi".

Teresa sta frequentando l'ultimo anno dell'Istituto Alberghiero di Monserrato, in provincia di Cagliari, dove sono iscritte anche altre tre ragazze del campo in cui abita.

    "Dopo il diploma mi piacerebbe studiare Scienze dell'Alimentazione e diventare una dietologa" dice Teresa. "Oppure mi piacerebbe lavorare nel settore della ristorazione, ho svolto diversi tirocini in alcuni ristoranti della zona e ho imparato tantissimo su questo mestiere".

L'amore per la cucina gliel'ha trasmesso sua madre, Visna, trasferitasi dalla Bosnia in Sardegna circa 30 anni fa. "Il pane per noi è il cibo più importante" mi spiega Visna mentre con gesti sicuri prepara la pita, una finissima ed elastica pasta che riempie con carne e verdure. "È una tradizione che si tramanda di generazione in generazione, tutte le mie figlie lo sanno fare". Oltre alle tradizioni culinarie, i diritti umani sono l'altro tema a cui Teresa vorrebbe dedicarsi in futuro. Nella tesi di diploma che sta preparando, ha infatti scelto di raccontare la storia del suo popolo, il genocidio nazista e la resistenza della cultura rom, ancora intatta nonostante secoli di persecuzioni.

    "Ho scelto questo argomento perché ci sono ancora tanti, troppi pregiudizi sui rom. Se davvero non sei razzista non dovresti fare differenze tra nessuno. Non puoi pretendere di dire che non odi i marocchini, ma al tempo stesso odiare i rom. Altrimenti che senso ha?" si chiede Teresa.

Quest'anno Teresa ha partecipato a "Italia-Romanì", convegno sull'inclusione dei rom e dei sinti in Italia, organizzato dall'Associazione 21 Luglio e tenutosi a Roma dal 3 al 5 aprile. Racconta con entusiasmo del flash-mob organizzato di fronte al Colosseo: "Abbiamo indossato dei sacchi neri, con dei biglietti che descrivevano i pregiudizi che ci portiamo addosso. Nel mio ho scelto di scrivere "Io non voglio studiare". E poi ce li siamo strappati di dosso".

    "Vicino al convegno c'era anche una manifestazione anti-rom, ci gridavano di tutto ma per fortuna vicino c'era la polizia" continua Teresa. "Ma durante il flash-mob è stato bello rispondere alle domande della gente e far vedere che ci sono tanti giovani rom in gamba".

Tra i tanti temi affrontati durante il convegno, uno dei più dibattuti è stato quello dei campi rom. Una questione di non facile soluzione: alcuni rom vorrebbero trasferirsi in case normali, ma altri non vogliono rinunciare alla vita comunitaria del campo. Teresa vive in un piccolo e isolato insediamento a circa 7 km dal primo centro abitato, in cui vivono 14 famiglie rom. Il campo si trova in cima a una collina da cui si domina il Golfo di Cagliari ed era la sede di un vecchio inceneritore, di cui oggi resta solo lo scheletro spettrale della struttura.

    "È stata dura - dice Visna, raccontando con orgoglio di come ha costruito la sua baracca. - Abbiamo lavorato duramente per raccogliere i pezzi di lamiera, ma siamo riusciti a costruire una stanza per tutti i miei figli. Quando sgomberano i campi e buttano giù le case su cui hai lavorato per anni non è bello".

Teresa vorrebbe vivere in una casa in città, come una delle sue sorelle, che ha sposato un italiano e lavora nel settore della ristorazione. Ma capisce anche la scelta di chi non vuole spostarsi. Le abitazioni fornite dal comune sono spesso troppo piccole per le famiglie più numerose e a molti manca la solidarietà che si crea all'interno dei campi.

    Ci sono, però, problemi che potrebbero essere affrontati e risolti con poche risorse: "Da anni chiediamo al sindaco di creare una piazzola per una fermata del pullman - dice Teresa - Le corriere passano lungo questa strada, ma non si fermano, quindi per andare a scuola devo sempre chiedere un passaggio a mio padre. C'è un pulmino per i bambini iscritti alla scuola elementare, ma non per tutti gli altri".

Teresa è riuscita a proseguire gli studi grazie a una borsa di studio della Fondazione Anna Ruggiu, dedicata al sostegno della popolazione rom. Ma c'è un male che nessun benefattore riesce a curare: quello dei pregiudizi.

    "Quando ho detto ai miei compagni dove vivevo, alcuni mi hanno detto che avrebbero voluto vedere il mio campo, ma hanno paura e pensano che siamo cattivi. So che non verranno qui. Ma bisognerebbe prima conoscere e poi giudicare".

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Di Fabrizio (del 22/04/2014 @ 09:09:23, in musica e parole, visitato 1848 volte)

Rubin Carter (1937-2014)

COMBATTERE ANCORA A PRAGA
Oggi sono in giro con un senza tetto.
Un sopravvissuto a cinque campi di concentramento,
che combatte ancora
a settant'anni.

Dopo la guerra non poteva sopportare
che la polizia lo picchiasse.
Gli ricordava troppo
la Gestapo ad Auschwitz.

Ha trascorso sedici anni nelle galere ceche
per avere reagito.
Gli sbirri non lo rispettavano
perché era uno zingaro.

"Se mi colpiscono, io colpisco loro"
mi disse con in mano una bottiglia di vodka.
"Una volta fui dentro per tre anni
senza un pasto caldo."

Adesso vive sopra un tunnel
dove un tempo c'era una statua di Stalin.
Quando piove
ci caliamo dentro il viadotto.

"Ero come un cavallo selvaggio" mi disse
mentre attraversavamo il parco
in cerca di mozziconi da scambiare
con del pane vecchio.

"Ma non sono mai riusciti a piegare il mio spirito."

Paul Polansky

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Di Fabrizio (del 21/04/2014 @ 09:03:25, in sport, visitato 2028 volte)

di Marco Beltrami su CalcioFanPage 19 aprile 2014, 19:09 Il giovane attaccante di etnia Rom della Primavera del Genoa alla prima in Serie A.

Ci sono storie che solo il calcio può raccontare. Una di queste è sicuramente quella di Jason Orlando Held, giovane attaccante della Primavera del Genoa che in occasione della sfida contro il Cagliari, valida per la 34° giornata di Serie A, è stato convocato in prima squadra da Giampiero Gasperini. Se il match non è andato come nelle aspettative dei liguri, sconfitti per 1 a 2 dai sardi, la giornata rimarrà comunque storica per il talento dei grifoni di origine Sinti, un’etnia della popolazione Rom, che ha realizzato un sogno. Held infatti ha una storia personale davvero particolare: la sua è stata un’infanzia di grandi sacrifici e privazioni che lo ha temprato nel corpo e nello spirito.

La favola di Jason. Held che deve il cognome al nonno tedesco, ha iniziato a giocare a calcio all’età di 7-8 anni nel campo nomadi di Bolzaneto. Il giovane attaccante, come riportato dal Corriere Mercantile, utilizzava addirittura carrelli della spesa come porte da gioco per inseguire il suo sogno di diventare calciatore. Un sogno iniziato a 11 anni con il passaggio al Pontedecimo e poi al Genoa dove ha vestito la maglia delle squadre giovanili. Una bella storia che può essere esemplare per tanti ragazzi che coltivano il sogno di calcare i campi della nostra Serie A.


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