Di seguito tutti gli interventi pubblicati sul sito, in ordine cronologico.
Di Fabrizio (del 31/12/2009 @ 09:24:52, in Europa, visitato 2202 volte)
Da
Czech_Roma
Mikulov, 29.12.2009, 12:12
La famiglia di Ilona Vajdíková a Mikulov è costantemente terrorizzata da
iscritti alla sezione locale del Partito dei Lavoratori. Gli attacchi sono
iniziati questo settembre e tuttora non diminuiscono. Il sindaco di Mikulov, Rostislav Koštial,
dice che la famiglia di Ilona Vajdíková non ha mai causato problemi a nessuno.
La signora Vajdíková ha la sfortuna di vivere vicino al ristorante Zanzibar,
dove gli iscritti alla sezione locale del Partito dei Lavoratori tengono
regolarmente le loro riunioni. Il 19 settembre, hanno tirato un boccale di birra
contro la sua finestra, rompendola, mentre gridavano insulti razzisti come, "Tu,
puttana nera, che il gas sia con te!" Il più esaltato era Josef
Kordiovský, che urlava, "Guarda cosa faccio a questi zingari" mentre tirava il
bicchiere. Più tardi fu udito vantarsi al ristorante U Fajka di aver "rotto la
finestra agli zingari". I razzisti poi dopo l'incidente ritornarono allo
Zanzibar.
Un vicino che aveva udito l'incidente, era corso fuori di casa per proteggere
la signora Vajdíková. "La sua testimonianza è costantemente chiamata in
questione. Non è un Rom - perché dovrebbe mentire?" si chiede Marcela Krištofová,
sorella di Ilona Vajdíková. "Ilona corse nel bar ed iniziò a gridare -Chi è
stato?- Kordiovský si alzò e le urlò -Puttana nera-. Lei è uscita, perché
c'erano molti giovani, ed ha chiamato la polizia cittadina." Krištofová dice che
il quartiere era tranquillo sino ad un anno fa, quando lo Zanzibar è stato
comprato dall'attuale proprietario.
Vajdíková ha riconosciuto Josef Kordiovský e Petr Peřina tra gli
assalitori - Peřina gridava slogan razzisti e partecipava agli sviluppi
successivi - come del resto Roman Pohludka, Jan Krejčí, e altri due dal
cognome Tužinčin e Dalajka. Tutti, membri o promotori del Partito dei
Lavoratori. Per esempio, tanto Petr Peřina che Roman Pohludka sono
registrati nel gruppo del Partito dei Lavoratori di Mikulov su Facebook, e Krištofová
dice che
Peřina ha confessato alla polizia di essere iscritto al Partito dei
Lavoratori di Brno. Josef Kordiovský ha contribuito attivamente alla pagina
Facebook del Partito dei Lavoratori di Znojmo, incluse informazioni e fotografie
di diversi eventi e riunioni del Partito dei Lavoratori, come la dimostrazione
del 1 maggio 2009 a Brno. Anche Petr Peřina ha confermato la sua iscrizione
al Partito, direttamente a Marcela Krištofová. "Il giorno dopo ci siamo
rincontrati e mi ha salutato, dicendo -Ciao, zietta,- lo conosco da quando era
un bambino," dice. "Gli ho detto: Credi di cavartela così? Ieri sera eravate qui
a fare il saluto nazista ed ora mi dici -Ciao, zietta,-?"
Una settimana dopo un altro attacco, quando un gruppo uscì dal ristorante
dirigendosi verso la piccola casa dove vive la famiglia Vajdíková, lanciando
bottiglie e bicchieri e ripetendo epiteti razzisti, come "Uscite di lì fighe
nere." Tutto l'evento è stato accompagnato dalla canzone "Bílá liga, bílá síla"
(Lega Bianca, Potere Bianco) di Daniel Landa e della banda Orlík, trasmessa dal
jukebox del bar. Una settimana dopo, aderenti al Partito dei Lavoratori
provenienti dalle città vicine si sono incontrati al ristorante, con il saluto
nazista, ed indicando l'appartamento della famiglia hanno gridato "dovete
andarvene." "Non c'erano giovani, avevano circa 30, 40 anni," dice la Krištofová.
Da allora, sono continuate diverse provocazioni dello stesso spirito in uno
sforzo di bullismo verso quella famiglia. "Gridano insulti razzisti, lanciano
bicchieri, le loro macchine sgasano verso le nostre finestre per oltre mezz'ora.
Settimana scorsa hanno rovesciato un contenitore dell'immondizia e hanno
sparpagliato tutto per strada," dice Marcela Krištofová.
La polizia ed il procuratore di stato sono stati impassibilmente servizievoli
verso gli assalitori. La polizia si rifiuta di rilasciare informazioni sul caso,
al momento l'unico accusato per aver costantemente terrorizzato la famiglia è Kordiovský,
e solo con l'accusa di disordine (per aver gettato il bicchiere contro la
finestra). Persecuzioni motivate razzialmente, epiteti ed insulti razzisti,
sembra che queste azioni del Partito dei Lavoratori non significhino niente per
la polizia ed il procuratore di stato. Quando gli agenti hanno informato la
signora Vajdíková che Kordiovský era accusato per il crimine di disordine, lei
fu molto sorpresa, perché non le era stata richiesta nessuna deposizione, né
come testimone né come vittima.
Con l'assistenza dell'associazione In Iustitia, che collabora con Romea su un
progetto per fornire aiuto legale alle vittime di discriminazione, la famiglia
ha formulato le proprie accuse. "I discorsi sono stati chiaramente registrati su
video che la querelante ha fornito alla polizia, per i procedimenti criminali, e
le registrazioni mostrano che aveva motivo di ritenersi in pericolo, senza
menzionare il danno psicologico causato dal trauma continuo e la paura dei
ripetuti incidenti... Dato che alcuni dei sospetti appoggiano apertamente le
attività di gruppi razzisti che operano nella Repubblica Ceca, questi...
attacchi non possono essere valutati fuori da quel contesto, dato che queste
circostanze... sono la testimonianza della conclusione che questo comportamento
non è solo infantilismo o disordine generale, ma riguarda un atto di
intimidazione intenzionale e minacce motivate dall'odio verso l'appartenenza
della vittima all'etnia rom," recita l'accusa. Le vittime chiedono che sia
indagata la motivazione di odio per questi attacchi e che il comportamento di
Kordiovský venga classificato come crimine di vandalismo.
Da allora
Josef Kordiovský ha chiesto scusa alla signora Vajdíková, ma gli attacchi alla
famiglia continuano da parte di altri aderenti al Partito dei Lavoratori. Nella
sua lettera alla signora Vajdíková, scrive Kordiovský:
"Vorrei scusarmi con lei per quanto ho fatto, non era intenzionale e per
niente razzista. Pagherò i danni causati. Sono dispiaciuto. Spero che accetterà
le mie scuse per la mia azione sconsiderata..."
Ilona Vajdíková e sua figlia vivono nella paura e ne sono state colpite
psicologicamente. La signora Vajdíková è soprattutto preoccupata per la salute
di sua figlia Sandra, che ha perso 10 kg. a causa dei danni psicologici causati
dagli attacchi, come pure per sua nipote (figlia di Sandra). Dice "Non sono mai
sicura se l'attacco verrà ripetuto o con quale intensità."
Rostislav Koštial, sindaco di Mikulov, che nella sua vineria impiega dei Rom
del posto, capisce la sua situazione. "La famiglia Vajdíková è come qualsiasi
altra di Mikulov, non ci sono mai stati problemi con loro," dice. Rifiuta una
delle possibili soluzioni - installare una telecamera CCTV di fronte allo
Zanzibar - perché troppo costosa. Però, ha promesso di riservare alla famiglia
un appartamento in un'altra parte della città. "Sposteremo qualcuno che non è
Rom nella piccola casa accanto allo Zanzibar," dice.
Krištofová non ha avuto buone esperienze con i media e dubita della loro
obiettività. Per esempio, dice che la stazione TV Nova non ha voluto mandare in
onda una trasmissione sul primo attacco, perché non c'erano stati feriti.
"Quello stesso giorno hanno fatto una trasmissione su uno -zingaro- che aveva
rubato qualcosa da qualche parte, ma neanche lì nessuno si era ferito." dice Marcela Krištofová,
aggiumgendo, "Chiediamo che la legge sia applicata a tutti nello stesso modo.
Non abbiamo mai danneggiato nessuno. Lavoro da quando avevo 15 anni, mia sorella lavora, mia figlia ha lavorato finché non è andata in maternità. I nostri genitori hanno lavorato
per tutta la vita. Siamo Cechi, non hanno nessun diritto di vederci come
stranieri."
František Kostlán, translated by Gwendolyn Albert
Di Fabrizio (del 30/12/2009 @ 09:51:17, in Italia, visitato 2181 volte)
Segnalazione di Giancarlo Ranaldi
- 06 maggio 2009 pagina 6 sezione: NAPOLI
«CIAO, mi presento: mi chiamo Angelica, ho 16 anni e vengo dalla Romania. Il mio
arrivo in Italia era per un futuro migliore per me e per la mia famiglia. Dopo
due mesi che stavo in Italia un giorno di venerdì del 9 maggio stavo chiedendo
elemosine e stavo a Ponticelli nella stessa strada dove mi hanno arrestata...».
Una lunga lettera, spontanea, accorata per chiedere aiuto, scritta in un
italiano traballante al presidente della Repubblica, alla vigilia della prima
udienza in Corte d' appello, che si terrà domani. L' autrice è Angelica Varga,
la rom condannata in primo grado, a 3 anni e 8 mesi, con l' accusa di aver
tentato (il 10 maggio 2007) di rapire una bimba di sei mesi in un appartamento
di Ponticelli. La condanna è per sequestro di persona. «Stavo vicino a un bidone
di spazzatura con mio nipote - continua Angelica nella sua lettera-confessione a
Giorgio Napolitano - Una signora mi ha dato 3 euro e mi ha chiesto se volevo dei
vestiti e la roba per mangiare, io ho detto di sì. Il giorno dopo sono andata su
quella strada che mi aveva detto questa signora e ho aspettato, ma dopo un po'
visto che non era arrivato nessuno. Sono andata in quel palazzo anche non
sapendo dove abitasse questa signora. Stavo nelle scale e un signore mi ha
chiesto più volte cosa facevo lì, mi ha picchiato e poi è arrivata una signora e
gli ha detto di chiamare i carabinieri e questa signora è andata dentro, poi è
arrivata una signora con i capelli biondi, poi il signore ha chiamato i
carabinieri e mi hanno arrestato e mi hanno portato a Nisida». E conclude: «Io
non so perché mi accusano di aver rubato un bambino, io non ho commesso questo
reato e vorrei tanto abbracciare la mia famiglia e la mia bambina». Dal processo
in primo grado accanto ad Angelica si sono schierati padre Alex Zanotelli e la
comunità di Sant' Egidio, ritenendo troppo severa la condanna e soprattutto
temendo una deriva di intolleranza razzista, dopo gli incendi dei campi rom
proprio a Ponticelli, lo scorso maggio. «Non ci siamo mai innamorati di quella
leggenda popolare che guarda ai rom come ai ladri dei bambini, se questo è il
sospetto. Anzi, eravamo così coscienti del rischio di avallare un tale
pregiudizio che abbiamo messo in campo una cautela estrema, il massimo
equilibrio, indagini svolte in ogni direzione», spiegò all' indomani del
procuratore capo per i minori di Napoli, Luciana Izzo, proprio per arginare sul
nascere le polemiche. Oggi, alla vigilia del processo di appello, il confronto è
quanto mai aperto. «L' udienza presso la Corte d' Appello - scrive in un
documento ufficiale il Comitato Campano con i rom - ci sembra un' occasione per
riflettere sulla drammatica vicenda, per interrogarci sulla potenza che gli
stereotipi hanno sulla realtà, su come siamo oppressi dal crescente e sempre più
violento razzismo».
CRISTINA ZAGARIA
Di Fabrizio (del 29/12/2009 @ 09:48:24, in Europa, visitato 3304 volte)
Da
Nordic_Roma
Globalpost.com
By Brigid Grauman
L'attivista rom finnica Miranda Volasrata e la scrittrice rumena Luminita
Cioaba, che lottò contro la sua famiglia rom per andare a scuola,
all'inaugurazione del Tour Culturale Rom all'insediamento Kamenci vicino a
Lendava, in Slovenia, nel novembre 2009. (Brigid Grauman/GlobalPost)
Lendava, Slovenia, 27/12/2009 - La parola "zingaro" è spesso usata in senso
peggiorativo. Ma il Consiglio d'Europa sta cercando il cambiamento con un nuovo
tour turistico focalizzato sulla storia e cultura rom.
"La gente vede gli zingari in una squallida discarica al bordo della strada"
dice Jake Bower, viaggiante militante britannico e giornalista, "ma realmente
non ci conosce. Mi piacerebbe una situazione dove fossimo riconosciuti come una
nazione europea transnazionale, con una rappresentanza alle Nazioni Uniti."
Bowers parlava il mese scorso all'inaugurazione del Tour Culturale Rom,
sponsorizzato dal Consiglio di Strasburgo, che non ha relazioni con l'Unione
Europea e lavora per l'integrazione europea attraverso la cultura ed i diritti
umani. Il tour collegherà le disperse comunità rom attraverso l'Europa per
rafforzare i legami esistenti ed incoraggiare l'incontro tra Rom e non-Rom. Vi
prendono già parte nove paesi con musei, spettacoli e centri documentazione.
L'inaugurazione avrà luogo in Slovenia presso l'insediamento Kamenci vicino alla
città termale di Lendava.
Con i suoi capelli rossi a spazzola e la carnagione chiara, Bowers non
assomiglia ad un tipico Rom, che hanno solitamente caratteristiche più scure, ed
in parte è proprio questo il punto. Dopo diverse ricerche storiche, incluso
testi DNA, sembra incontrovertibile che i Rom originari arrivarono dall'India
attraverso la Grecia oltre 1.000 anni fa, dividendosi in gruppi secondo le rotte
commerciali e talvolta mischiandosi con altre popolazioni. I Rom di oggi sono
divisi in diversi clan e tribù, inclusi i
Viaggianti della Gran Bretagna e gli stagnai dell'Irlanda, che sono nativi
delle isole ma condividono i medesimi problemi di esclusione sociale.
"Sì, ci sono problemi, problemi grossi in alcune parti," ha detto Bowers, "ma
noi apparteniamo alla società europea." Ritiene che è tempo di rimpiazzare gli
stereotipi negativi con immagini più positive che abbiano una forte risonanza in
un mondo globalizzato. "Noi trascendiamo le nozioni di confini nazionali," ha
detto, "ed offriamo una sfida permanente agli Europei nel vivere con la
diversità."
L'insediamento Kamenci è un progetto pilota di questo tour culturale. Qui, un
villaggio rom ha aperto le sue porte ai visitatori con un museo e attività
creative e laboratori per Rom e no. Nel campo dietro l'insediamento di case
rudimentali in legno e mattoni, le ragazzine indossano lunghi e colorati abiti
roteano le loro anche al suono di musica registrata davanti ad un pubblico
composto da OnG rom, slovene ed europee. Suonatori ospiti, musicisti e ballerini
sono arrivati da altri paesi per celebrare il lancio ufficiale.
Tra le personalità c'è Miranda Volasranta, Rom finlandese che guida il forum
per i diritti civili dei Rom ad Helsinki. Indossa il vestito tradizionale di
velluto nero di 22 libbre.
Volasranta puntualizza il contributo che i Rom hanno portato alla cultura
europea, a partire dal racconto di Miguel de Cervantes "La piccola zingara", per
passare alla collezione di poemi di
Alexander Puskin "Gli Zingari", sino a Victor Hugo che inventò la bella
Esmeralda ne "Il gobbo di Notre Dame". C'è stato
Prosper Merimee e la sua libera ed energica Carmen, senza menzionare i tanti
compositori che hanno usato temi musicali rom nel loro lavoro, inclusi Sergei
Rachmaninov, Johannes Brahms, Igor Stravinsky, Joseph Haydn, Peter Ilyich Chaikovsky, Maurice Ravel
e Bela Bartok.
"La nostra ricchezza culturale è stata soprattutto trasmessa da non-Rom", ha
detto
Volasranta, "in una maniera fortemente romantica. Nel contempo, rimaniamo
invisibili ai nostri vicini. Spero che questo tour porti a sempre più centri
culturali e musei in appoggio agli artisti e agli artigiani rom."
Ci sono circa 12 milioni di Rom in Europa, la più vasta minoranza etnica del
continente. La loro situazione varia grandemente, dalla confortevole
integrazione nei paesi scandinavi al virtuale apartheid in Ungheria, Romania e
Slovacchia. Ora sono perlopiù stanziali invece di inseguire stili di vita
nomadici, anche se i Rom in Gran Bretagna, Irlanda e Francia girano ancora da un
posto all'altro. Troppo spesso, invece, i bambini rom sono spediti in scuole
sotto-gli-standard, e molti non sanno leggere o scrivere. Le condizioni
permanenti di vita delle loro famiglie sono grigie.
La maggior parte dei Rom nell'incontro in Slovenia hanno convenuto che
l'istruzione è la sola maniera per uscire dalla povertà e dalla esclusione
sociale. Ma nel contempo, vogliono mantenere i loro valori culturali come la
vita collettiva ed il rispetto degli anziani. "Non c'è niente di più triste di
un Rom che abbia perso il suo senso di identità culturale, perché è rimasto
letteralmente con niente," ha detto la scrittrice rumena Luminita Cioaba, che ha
lottato con la sua famiglia e la comunità per finire le scuole e frequentare
l'università, e che scrive libri sulla storia rom.
Il Parlamento Europeo si è anche focalizzato sui diritti dei Rom. La
"Piattaforma per l'Inclusione dei Rom" dell'anno scorso ha presentato una lista
di 10 principi basici, incluso il pari accesso alla scolarizzazione. Ma
l'attivista rom Rudko Kawczynski, di cittadinanza polacca, ha accusato la
creazione di OnG che hanno poca comprensione dei problemi. Come ha tristemente
puntualizzato Bowers, "la nostra storia è una litania di albe false."
Ma se non è esattamente ottimista, Bowers crede che il tour rom possa
combattere il pregiudizio. "L'unica maniera per vincere il razzismo è il
contatto diretto tra le persone. Se qualcuno che pensasse che tutti gli zingari
sono ladri e degenerati potesse camminare in questo posto," ha detto,
riferendosi a Kamenci, "capirebbe che sono una comunità come qualsiasi altra,
anche se con una cultura differente."
Di Fabrizio (del 27/12/2009 @ 09:31:41, in casa, visitato 2374 volte)
Da
Bulgarian_Roma (lunghetto, magari leggetelo a puntate se avete qualche giorno
di pausa. Un bigino su case e sgomberi)
TOLblog.org 18 dicembre 2009
I bulldozer di Burgas
Mentre state leggendo queste righe, si sa già che le case rom nel quartiere "Gorno
Ezerovo", dove era programmata la demolizione, sono già state abbattute. Nello
stesso giorno i media hanno dato fiato a materiale sensazionalista sulla rivolta
rom, catene umane e pietre lanciate ai bulldozer ed ai poliziotti. Sono
circolate voci su foto di Rom arrabbiati e che svenivano. E poi basta. La
sensazione è rientrata. Non è stato scritto o sentito niente sui giorni seguenti
e su dove la gente, che aveva perso la casa, passasse la notte e su cosa
succederà a loro nel futuro.
Qualche giorno prima che i bulldozer entrassero nel quartiere di Burgas, gli
ultimi giorni soleggiati dell'estate, parlavamo col capo dell'unica OnG rom
funzionante nella città costiera - Mitko Dokov.
"Stiamo organizzando i cittadini di Gorno Ezerovo in comitato. Vogliamo
spedire una lettera aperta al sindaco, al governatore ed al Primo Ministro.
Questo atto avventato, se non fermato, dev'essere differito. A causa di ciò
molta gente è nel panico" - sono state le parole con cui il capo del locale
consiglio rom ci ha salutato.
Nel quartiere Gorno Ezerovo vivono circa 2.000 persone. La maggior parte di
loro sono locali e non migranti, contrariamente a quanto dicono le autorità.
Abbiamo appreso da Dokov che non più di dieci famiglie provengono da altri posti
e si sono poi installate qui. La maggior parte del terreno è di proprietà
municipale, il resto appartiene a privati. Nessuno dei residenti sa su quale
tipo di proprietà hanno costruito la loro casa.
Il quartiere rom fu abbandonato dallo stato e dalle autorità municipali dopo
il 1989. Ce se ne ricorda solo prima delle elezioni. E subito dopo ce se ne
dimentica. Cosa vi succede all'interno, se viene fatta rispettare la legge, come
vive la gente, come sono le infrastrutture, non importa a nessuno. La portata
delle autorità di solito finisce quando inizia un quartiere rom. Possono fare
quel che vogliono, fintanto che dura il loro mandato, sembra essere la filosofia
del governo in questo caso. E così attraverso gli anni, lasciati a loro stessi,
i Rom si sono presi cura da sé dei loro problemi. Quando in una famiglia, che
vive in una casa di una stanza, un figlio si sposa, aggiunge alla casa una o due
stanze. Non c'è nessuno a dire di no, lui conosce tutti i suoi vicini, e lo
stato è assente. E' così in quasi tutti i quartieri rom nel paese. E così i Rom
vivono alla loro maniera, fino a ché qualcuno ha un problema con ciò. Allora
ritorna la legge con tutta la sua forza sulla testa delle persone, che per
decenni hanno vissuto nelle loro case costruite illegalmente.
Durante la notte dopo il nostro incontro con Dokov la pioggia si è
intensificata ed è continuata il giorno seguente. La mattina dopo abbiamo
visitato il quartiere. Per strada non c'era nessuno. In un caffè abbiamo trovato
quanti avevano ricevuto una notifica di demolire volontariamente le loro case o
di aspettare che provvedessero i bulldozer l'indomani, 7 settembre.
Tra la gente radunata nel caffè, c'erano il vacillante Isako di 84 anni, che
ha vissuto nel quartiere per oltre 50 anni, Guesa, 64 anni, Anguel, che ha
quattro figli ed ha promesso di darsi fuoco, Mirka, madre di dieci figli,
Galabina, che vuole comperarsi il terreno e installarvi casa sua. "Il terreno
costa molto e vogliono mandare via i Rom. Dicono che siamo migranti da Sliven o
da Kotel, ma non è vero. Ho vissuto qui per 46 anni" - strabuzza gli occhi un
anziano. Un giovane dice di avere 26 anni e che è nato nella casa che sta per
essere demolita. Mirka stropiccia la notifica che ha ricevuto un paio di giorni
fa e chiede dove potrà andare a vivere quando le sue due stanze saranno rase al
suolo. Il termine di sgombero è vicino, che significa che lei ed i suoi bambini
stanno per diventare senza casa. Le donne anziane piangono. Anche i giovani sono
alterati.
Nella prima fase le famiglie ricevono lettere dal Direttorato Regionale per
il regolamento edilizio (RDNSK) con indicato il termine per la demolizione
volontaria. Se questa non avviene a tempo, segue la demolizione forzata. Le case
che devono essere abbattute sono 54. In ogni casa abitano almeno cinque persone,
il che significa che oltre 250 uomini, donne, bambini ed anziani non avranno un
riparo per l'inverno.
"Venite a vedere se le case sono insicure come dicono le lettere.
Fotografatele!" ci richiama un giovane sotto la pioggia. Per le strade fangose
abbiamo camminato sino ai margini del lago. Come in qualsiasi quartiere rom ci
sono sia grandi case solide che baracche, costruite in uno due giorni.
"Questa sarà abbattuta. Quella dopo, no. Anche quella a due piani. Guarda qui,
hanno cambiato gli infissi di legno con quelli in alluminio... Entra in questa
casa... Non c'è bisogno di togliersi le scarpe... Vedi come l'hanno arredata?
Guarda com'è pulita, anche questa casa sarà buttata giù... Le baracche
resteranno intatte, e le case belle verranno demolite. Ed ora dimmi come hanno
deciso quali case abbattere e quali rimanere in piedi!" - puntualizza la nostra
guida chiedendoci con enfasi.
Secondo le lettere ricevute dai residenti, tutte le case che verranno
demolite sono classificate come strutturalmente insicure. Tra le case che la
nostra guida ci indicava, ce n'erano di pericolanti come edifici solidi a due
piani. Siamo anche passati davanti ad una casa, che era stata parzialmente
demolita dai suoi abitanti: "avevano paura che se l'avessero fatto i bulldozer,
avrebbero dovuto pagare le spese. E' per questo che hanno buttato giù la causa
loro stessi" - ci spiega il giovane.
Torniamo al caffè. Hanno già deciso che quattro rappresentanti del quartiere,
guidati da Mitko Dokov e Rumen Cholakov, leader della sezione di Burgas del
movimento politico Euroroma, chiederanno un incontro col governo regionale e un
deferimento delle demolizioni. E' risultato complicato entrare nella sede
dell'amministrazione regionale. Dopo che Mitko Dokov parlò per telefono con
l'esperto regionale di etnie e demografia, soltanto a Dokov e Cholakov fu
permesso di incontrare il vice governatore regionale. Il deputato Zlatko
Dimitrov non è stato informato del caso, perché occupava il posto solo da un
paio di mesi. Ha però promesso di portare l'attenzione del governatore sul
problema, di esaminare completamente la situazione, vedere quali azioni siano
possibili ed informare i leader rom, entro la fine della giornata, se le case
sarebbero state demolite o meno la mattina successiva.
Nel frattempo in comune abbiamo parlato col vicesindaco Kostadin Markov,
responsabile del regolamento su terreni, architettura e costruzioni. Gli abbiamo
chiesto sulla sua posizione e se ci fosse un'alternativa per la gente che stava
per essere lasciata in strada. Ci ha detto "La posizione del comune è che la
legge dev'essere rispettata. Il contendere sono case, costruite due anni fa.
Questa gente sa che laprocedura termina con l'eventuale demolizione. Sono
soprattutto persone non residenti a Burgas, ma che arrivano da Yambol, Sliven e
molti altri posti. Al momento non siamo in grado di offrire loro garanzie
speciali. Il comune offre alloggi sociali, ma si deve seguire una procedura
particolare ed un periodo d'attesa. Negli ultimi due anni avrebbero almeno
dovuto fare richiesta. E' stato spiegato loro, più di una volta. Ora non esiste
alcuna procedura straordinaria, o casa disponibile a tal scopo, che il municipio
possa offrire loro. Specifico che il municipio di Burgas denuncia le costruzioni
illegali, ma è il RDNSK che provvede ad eseguire le procedure di demolizione.
Oggi o domani, a seconda delle condizioni atmosferiche, ritengo che le case
saranno demolite."
In questo caso, l'unico obbligo dell'amministrazione municipale è di
preservare le proprietà dalle case dopo la demolizione, per cui è stato
impiantato un magazzino municipale. Il giorno stesso il Comitato Bulgaro di
Helsinki ha inviato una lettera ai media, in cui dichiarava che se le case rom a
Burgas fossero state demolite, la Bulgaria avrebbe violato la Convenzione
Europea sui Diritti Umani. Chiedeva inoltre un'azione immediata da parte del
governo e del Primo Ministro Boyko Borissov, sia per fermare la programmata
demolizione che per trovare un alloggio alternativo ai Rom.
Di ritorno al quartiere la gente ha aspettato sino a sera una telefonata dal
vice governatore regionale, nella speranza che la casa non venisse demolita
-invano. La telefonata arrivò, ma solo per confermare la demolizione.
La mattina dell'8 settembre è stata interrotta l'elettricità delle case
selezionate. Bulldozer e poliziotti sono entrati nel quartiere. Disperatamente,
la gente ha cercato di porre fine a questa pazzia. Ma sono stati lasciati senza
casa.
Due settimane dopo, di nuovo a Burgas, altre 19 case rom sono state demolite
nel quartiere Meden Rudnik.
Il bulldozer di Sofia
Il 15 ottobre, un mese ed otto giorni dopo la demolizione delle case rom nei
quartieri di Burgas di Gorno Ezerovo e Meden Rudnik, il bulldozer della legge ed
ordine si è riversato anche nella capitale. Quando arrivammo a Sofia nel
quartiere di Nadezhda, trovammo il bulldozer al lavoro in uno spazio bloccato al
traffico presidiato dalla polizia, in viale Rozhen vicino alla fermata del tram.
Sul marciapiede erano ammonticchiati i bagagli e le proprietà degli ex abitanti.
Letti smantellati, materassi, reti, tavoli, vestiti in buste di plastica, catini
e qualsiasi altra cosa che potesse attirare l'attenzione dei primi pedoni e dei
passeggeri del tram. Quelli che erano stati residenti sino alla notte
antecedente, stavano in piedi ai margini della zona presidiata e osservavano
tristemente la demolizione delle loro case. Causa l'ora mattutina, la mancanza
di informazioni o qualche altra ragione sconosciuta, i media non erano presenti.
Ci siamo avvicinati a Trajan e Magda. "Vi sistemeranno da qualche parte?" -
chiediamo. "Da nessuna parte. Staremo per strada." - E' stata la lapidaria
risposta di Magda. Trajan aveva più voglia di parlare. Hanno vissuto qui per 19
anni. 30 persone condividevano una casa con quattro stanza e due piccole unità
aggiunte nel cortile. Tra loro ci sono donne in attesa e bambini malati, che
sono ora nelle case vicine. Non sanno dove passare la notte. Nessuno ha un
lavoro stabile. "Quest'uomo è il nostro sindaco. Lasciate che ci dica dove
andare" - ha puntualizzato Magda. Ma il sindaco di Nadezhda - l'ingegnere
Dimitar Dimov - quando ha visto il giornalista armato di registratore, è salito
rapidamente in macchina e si è allontanato.
Un vecchio vacillante si è avvicinato a noi; per niente stupido o emozionato
faceva lo stesso fatica a parlare. Ci ha spiegato che i suoi figli erano sul
marciapiede opposto - sua moglie col bambino ed i giovani nipoti. Sono stati
alzati tutta notte ed hanno portato tutto il possibile da parenti. "Una borsa
qui, due borse la. Non c'è una stanza per il resto. Qui sul marciapiede." spiega
Strahil, 58 anni e padre di sei figli. "Perché non indossi le calze?" - udiamo
una voce femminile dietro di noi. Una poliziotta sta parlando con una ragazza a
piedi nudi. Lei si chiama Gyula e ha dieci anni. Dice di non avere freddo, anche
se si stringe nella sua giacca. Oggi non è andata a scuola, perché la sua casa è
stata abbattuta. E' timida, non vuole essere fotografata. Altri bambini si
avvicinano. La maggior parte hanno una brutta tosse. Diciamo a loro di andare al
caldo. Sono imbarazzati.
Boncho ha tre bambini. Sta tenendo quello più giovane tra le sue braccia.
Dice che la mattina non ha avuto problemi con la polizia. Sono usciti di casa
quando è stato detto loro di lasciarla. Una donna era venuta la sera prima e
aveva detto di prendere con loro tutto ciò che potevano prima che i bulldozer
arrivassero alle 6.30 per distruggere la casa. Per cosa? "Non lo so. Qualcosa
riguardo all'amministrazione..." - il 23enne scrolla le spalle e pensa a cosa
fare con i bagagli e dove portare la famiglia.
Torniamo da Trajan e Magda, in piedi sul marciapiede accanto alle loro cose. Ora
Magda sta piangendo. Apprendiamo da Trajan che 19 anni fa si spostarono nella
casa, di proprietà municipale. Nessuna reazione da parte del comune. Volevano
pagare l'affitto ma gli fu rifiutato perché non avevano un documento di
residenza nella proprietà. Cinque anni fa gli abitanti vinsero una causa e
continuarono a vivere lì. Ed ora all'improvviso la casa era in lista per la
demolizione. "Dicono che qui sotto passerà la metropolitana. Ma è solo un
pretesto. Se fosse così, perché non demoliscono le altre case nel quartiere?"
chiede Trajan.
La donna che li aveva visitati la notte prima era dell'agenzia per la
protezione dell'infanzia. Nessuna sa come si chiama. Arrivò per invitare Donka,
che ha un bambino, a vivere con il bambino in un riparo temporaneo. Donka
rifiutò. Preferiva stare con la sua famiglia. "Ora abbiamo timore che i servizi
sociali portino via i nostri figli. E sono ancora dei bambini" - aggiunge la
giovane madre.
Si mostrano altri abitanti delle case demolite. Alcuni portano dei teli di
plastica per coprire le loro cose sui marciapiedi. Altri si sono riuniti
intorno a noi e vogliono parlare. Non hanno visto nessun mandato. La mattina è
arrivata la polizia, svegliando tutti e dicendo che dovevano lasciare la casa.
Hanno dato appena il tempo di prendere i propri effetti, prima che il bulldozer
iniziasse la demolizione. E' stato detto loro che non erano residenti a Sofia e
che dovevano tornare da dove provenivano. La figlia della 45enne Veska è
incinta, sua nipote ha degli attacchi, e suo figlio è sordomuto. Dimitrina ha
avvolto suo figlio in una coperta e guarda con gli occhi spalancati. Alcuni
piangevano, altri davano la colpa al sindaco e al governo, e maledicevano il
loro destino.
Finalmente il bulldozer ha finito ed è andato via. I poliziotti sono risaliti
sulle loro macchine verso un'altra operazione. Anche noi siamo andati via. Jordanka Bekirska, avvocato
del Bulgarian Helsinki Committee ha fatto ricorso a nome di 14 ex abitanti.
Prima che le case fossero demolite aveva parlato con degli incaricati comunali e
aveva detto loro che buttare la gente per strada è una violazione delle leggi
europee. La risposta fu che le autorità stavano osservando le leggi bulgare, e
che quelle europee non importavano. Decidemmo che parlare con le autorità
municipali era inutile. La risposta sarebbe stata identica a quella ricevuta il
mese precedente a Burgas - che la legge deve essere seguita e rinforzata, che
l'amministrazione non può offrire un'alternativa, che esiste una procedura da
seguire per gli alloggi sociali ecc.
Lo stesso giorno si teneva in un albergo una conferenza dal titolo "Realtà e
prospettive nelle politiche d'integrazione per i Rom". Alla conferenza si
dibatteva sulle priorità e sulle misure politiche da introdurre nel programma
governativo quadriennale per l''integrazione dei Rom. Era presieduto dal vice
Primo Ministro e Ministro degli Interni, Tsvetan Tsvetanov, che è anche leader
del principale partito di centro-destra, il GERB. Abbiamo chiesto a Tsvetanov
quante altre demolizioni di case rom erano previste. Menzionammo la demolizione
della mattina stessa ed aggiungemmo che ci sarebbe stato un ricorso che avrebbe
probabilmente la Corte Europea, cosa non buona per il paese. Rispose che era un
problema delle autorità municipali, che hanno l'obbligo di rafforzare la legge.
E la legge è la stessa per ognuno nel paese.
Uno degli argomenti della conferenza era le condizioni di vita dei Rom.
Comprendeva questi suggerimenti per il governo: "unire, dirigere e coordinare
gli sforzi delle agenzie statali, le autorità locali, i comitati cittadini, la
comunità rom ed ogni istituzione del paese coinvolta nel miglioramento delle
condizioni di vita dei Rom e nella modernizzazione dei quartieri che abitano."
Quindi, mentre si discute e si dibatte sulle condizioni di vita dei Rom, i
bulldozer di legge ed ordine stanno continuando ad andare ad abbattere solo
quelle case abitate dai Rom. Arrivano lamentele perché la legge è uguale per
tutti e tutti sono uguali davanti alla legge. Sembra che in molti si stiano
stancando, ed i forum su internet contengono commenti come "meglio smettere di
giocare con le baracche dei Rom, ed iniziare a regolare i palazzi costruiti
illegalmente dai nuovi ricchi." O sono forse più uguali del resto di fronte ai
bulldozer di legge ed ordine?
Ancora nessun bulldozer a Montana
Nella città di Montana ci sono due quartieri rom - Ogosta, con circa 1.800
abitanti, e Kosharnik con circa 2.500 abitanti. Sono ai due lati opposti del
centro regionale. All'inizio degli anni '50 la popolazione rom si concentrò ad
Ogosta, accanto alle sponde del fiume omonimo. Le inondazioni distrussero a suo
tempo molte case e ripari. Una buona parte della popolazione fu evacuata e
piazzati in strutture temporanee fuori dalla città.
Nel 1972 un progetto municipale getta le basi del nuovo quartiere di Kosharnik,
fuori dalla città. Attualmente è abitato da molta gente che si è trasferita da
altre città negli ultimi due anni. Nei terreni comunali di pascolo attorno al
quartiere hanno costruito case familiari senza mattoni, piani di costruzione e
permessi edilizi. Le autorità municipali non reagirono alle costruzioni
illegali, anche se ci furono proteste dei residenti lì attorno. In queste case
sono nati bambini e le famiglie sono cresciute, da cui si sviluppa il bisogno di
nuovi terreni. Crescono sempre più le case e le baracche illegali, abitate da
nuove famiglie.
Il quartiere di Ogosta si trova di fronte a problemi simili. Da un lato
confina con la ferrovia, il fiume dall'altro e la strada E-79. La popolazione
cresce ogni anno, ma l'espansione territoriale del quartiere è impossibile. In
pochi cercano di comperare casa fuori da quel territorio, in città o nei
villaggi vicini. La maggioranza della popolazione rimane nelle loro vecchie
case. Aggiungono un piano o costruiscono unità adiacenti, che raggiungono la
strada ed i marciapiedi e violano i regolamenti. Alcuni degli abitanti hanno
solo documenti di proprietà per la terra dove ci sono le vecchie case; altri non
hanno del tutto documenti. Ma tutti vivono con la convinzione che queste sono le
loro case, da ormai quattro generazioni.
Lo stato è impotente nel fermare questi processi. La città non ha
disponibilità di abbastanza edifici sociali per rispondere ai bisogno delle
famiglie che crescono. Non è chiaro quanto durerà questa situazione. Cosa
succederà agli abitanti delle case illegalmente costruite, quando le autorità
decideranno di seguire l'esempio di Burgas ed i bulldozer di legge ed ordine
entreranno nei quartieri rom di Montana?
Gli sforzi delle OnG rom nel risolvere i problemi regolando i quartieri rom e
trovando soluzioni abitative alternative, hanno sinora ottenuto soltanto di
includere la questione nel "programma quadro per l'integrazione rom nella
società bulgara". La medesima questione era stata inclusa nel trattato che la
Bulgaria aveva firmato come parte del Decennio dell'inclusione Rom.
Sono state adottate strategie locali sull'iniziativa del Movimento Civico
Rom, ma le discriminazioni istituzionali esistenti a livello nazionale e locale
causano che queste politiche rimangano solo sulla carta. I detentori del potere
non hanno interesse che quei programmi diventino parte del budget. Ignorare la
rappresentazione rom porta al conflitto etnico, locale, sociale e religioso. Il
fragile contratto sociale tra i cittadini bulgari di origine rom e lo stato con
le sue istituzioni, porta a regolari problemi nei quartieri e nelle
infrastrutture. Per queste ragioni non ci sono condizioni chiare fra i
consumatori ed i fornitori dei servizi quali energia elettrica, l'acqua e le
fognature. I quartieri rom sono di solito nelle aree suburbane, che li rende
strategici per installare grandi depositi, stazioni di servizio, fabbriche, ecc.
Questo porta a nuovi problemi tra i Rom ed il mondo degli affari, dove lo stato
improvvisamente si muove per regolare lo status di questi quartieri, assicurando
nel contempo la terra per grossi affari a basso prezzo.
I rappresentanti dei partiti nazionalisti nei consigli comunali adoperano il
processo decisionale a favore di alcuni cittadini e di solito a detrimento dei
Rom. Forse sinora l'obiettivo dei governi è stato di mantenere la popolazione in
uno stato di incertezza e sotto-rappresentazione e di aprirsi alla manipolazione
in occasione delle elezioni.
Per misurare tutto ciò, si adoperano soprattutto i misuratori di consumo
elettrico domestico, ma la misurazione del consumo energetico non è diventata
più precisa, di solito a svantaggio dei Rom. La sfiducia dei Rom si è di
conseguenza mutata in protesta silenziosa. La protesta si muta nell'essere
indifeso passivo, tendente sull'irresponsabilità per il loro proprio futuro e
quello dei propri figli.
Varna aspetta i bulldozer
Nella capitale marinara della Bulgaria, i bulldozer non hanno ancora fatto
nessuna vittima. Il quartiere rom si trova subito a sinistra dell'ingresso della
città. Per la maggior parte le dimore del quartiere Maksuda sono state
costruite senza permesso, cosa che le rende automaticamente illegali. Nella
nostra conversazione con Nikolay, che lavora nel settore OnG che tratta di Varna
e della regione, condivide le voci che quel pezzo di terra dove sono costruite
case illegali sia stato comprato da due fratelli affaristi. In effetti, la
posizione del quartiere rom è eccezionalmente conveniente: vicino alla costa,
dove ogni uomo d'affari cercherebbe terreni appetibili. "Abbiamo sentito che in
due, forse tre anni, inizieranno a buttare giù le case. Scorrerà il sangue. Lì
la gente ha belle case a due piani e vive lì da tempo. Combatteranno per quello
che considerano loro. Ci sarà fermento," dice Nikolay amareggiato.
In effetti le voci sui due fratelli affaristi di Varna è esemplare
dell'attuale impasse sui problemi residenziali dei Rom. Sfortunatamente, lo
stato di fronte alle autorità municipali non riesce a trovare il giusto
approccio alla soluzione di questi problemi. Per lavarsene le mani e realizzare
profitto, lo stato vende i problematici quartieri rom alla grande finanza, che
da parte sua tenta con tutti i mezzi possibili, bulldozer inclusi, di spianare i
terreni acquisiti e prepararli per lo sviluppo e gli investimenti. Così lo stato
si sottrae alle proprie responsabilità ed i Rom si scontrano con la grande
finanza nel salvare o perdere le proprie case, com'è accaduto a Burgas e Sofia.
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Ognyan Isaev
Valery Lekov
Tosen Ramar
Dimitar Georgiev
Di Sucar Drom (del 26/12/2009 @ 09:01:39, in blog, visitato 1961 volte)
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Moni Ovadia: il furto di Auschwitz e l'uso strumentale di un luogo di dolore
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dove ricostruire delle identità...
Roma, dal Maggiore ai Rom in dono l'albero di Natale
In vista del prossimo sgombero del campo rom Casilino 900 - previsto entro la
metà di gennaio - il pontificio Seminario Romano Maggiore ha donato agli
abitanti un albero di Natale. Un grande abete che, dopo essere stato allestito
con decorazioni artigianali realizzate da alcuni maes...
Time for Responsibilities, estratti dal diario di Vikttoriia Dubìnina
Si è svolta dal 10 al 17 ottobre 2009 una delle più grandi Missioni di Pace mai
realizzate dall’Italia a Gerusalemme, in Israele, e nei territori palestinesi
occupati. La missione è stata contrassegnata dal motto “Time for
Responsibilities”,...
Roma, l'osservatorio sui fenomeni di xenofobia e razzismo
La Presidenza della Camera dei deputati ha istituito un «Osservatorio sui
fenomeni di xenofobia e razzismo diretto alla sensibilizzazione su tali
tematiche, al monitoraggio e alla valorizzazione delle attività svolte in
materia ...
Auguri di Buone Feste a tutti
Quest’anno l’associazione Sucar Drom e l’Istituto di Cultura Sinta augurano
Buone feste, donando la trascrizione dell’intervento del Vice presidente della
Camera dei Deputati, On. Maurizio Lupi, pronunciato durante la commemorazione
per il 71° dalla promulgazione delle Leggi Razzi...
Il Ministro Maroni perde l’ennesima buona occasione per arginare il razzismo in
Italia
Un codice di autoregolamentazione per prevenire i reati nel web è la soluzione
emersa dall'incontro tra il ministro Maroni e gli operatori convocati in
relazione ai contenuti apparsi sul web dopo l'aggressione a Berlusconi...
Roma, due incendi distruggono le abitazioni di alcune famiglie rom
In due “campi nomadi” a Roma sono scoppiati due incendi nella notte tra il 20 e
il 21 dicembre che hanno distrutto delle baracche senza provocare feriti. Il
primo, hanno riferito i Vigili del Fuoco, è avvenuto nel “campo” di via della
Martora...
Bosnia, Costituzione giudicata razzista dall'Alta corte europea
La Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato il 22
dicembre, con sentenza definitiva, la Bosnia Erzegovina per non aver permesso a
due cittadini di origine rom ed ebraica di presentarsi alle elezioni per il
Parlamento e per la Presidenza del Paese...
L’alba dei Popoli
Canterò inni di pace e di gioia in luoghi e Paesi di voci e silenzi. Canterò e
danzerò fino all’alba per uomini, donne e bambini...
Di Fabrizio (del 25/12/2009 @ 09:36:28, in Europa, visitato 2033 volte)
Visto la giornata, auguri a tutti i lettori, mentre riprendo
questo appello da
Roma_Francais
Che il 2010 sia un anno pieno di salute, di felicità e di prosperità per
tutti, Rrom et Gadjé assieme!
Babbo Natale, se esisti, manifestati!
- donando forza e coraggio a tutti quanti si battono ogni giorno per un
avvenire migliore;
- donando forza e coraggio a tutti i Rrom e tutti i Gadjé, a cui si rende
dura la vita tramite un arsenale di leggi, decreti, circolari, pratiche
amministrative e poliziesche;
- donando forza e coraggio soprattutto a chi non ha documenti e diritti,
come i Rrom accampati nei "villaggi d'inserimento" o nelle "aree di
accoglienza";
- donando forza e coraggio ai politici perché facciano vera politica e non
populismo a buon mercato;
- bloccando gli sforzi di tutti quanti cercano di mantenere in uno stato
d'oggetto e di materia prima degli esseri umani, che si tratti di dittatori,
di cacicchi, di trafficanti di persone, o di "anime buone" in male di
conversazione dopo la decolonizzazione formale.
Ecco un rapido giro di regali che tutti hanno diritto a ricevere da Babbo
Natale!
Association "La voix des Rroms"
50, rue des Tournelles
75003 PARIS
tél. & fax: 01.80.60.06. 58
http://www.lavoixdesrroms.org
Dalla newsletter di Articolo 3 - Osservatorio sulle
Discriminazioni - Mantova (per richiederla
osservatorio.articolo3@gmail.com)
Giovedì 17 dicembre alle 8.30 all’Osservatorio riceviamo una chiamata da
parte di una donna: “Un’ora fa sono venuti i vigili a casa mia, hanno detto che
devo dare le mie generalità perché stanno facendo un censimento per i rom e
per i sinti. Cosa devo fare? Perché ci stanno facendo questo? Siamo tutti
cittadini italiani, se vogliono fare un censimento possono andare in Comune e
chiedere lì tutte le informazioni”.
La signora vive nel Veneto da sempre, in un terreno privato di sua
proprietà, in una casa mobile, con suo marito e i suoi tre bambini, sono sinti,
cittadini italiani. Nel terreno privato ci sono altri cinque nuclei famigliari,
anche loro sinti, anche loro cittadini, anche loro proprietari della loro terra.
La signora ci dice di non aver valuto fornire le sue generalità perché i
vigili sono entrati nella sua proprietà privata senza autorizzazione e che vuole
sentire il suo legale. Mentre erano lì, la figlia più grande si stava
preparando. I vigili stupiti hanno chiesto alla madre se la bambina andasse a
scuola; lei meravigliata della domanda ha risposto ovviamente di sì e,
raccontandocelo, aggiunge: “Per chi ci hanno presi?”.
I vigili a quel punto se ne sono andati dicendo che sarebbero tornati con
un’ordinanza e che a quel punto lei si sarebbe dovuta recare in comando per
fornire i propri dati.
Era molto scossa: “Oggi mi sono sentita violata, umiliata, sono indignata nel
profondo, mi sono sentita in un lager, ho detto loro che mi stavano mettendo un
marchio, ho chiesto se a loro avrebbe fatto piacere camminare con una lettera
scarlatta. Volevano i dati dei miei bambini. Non riesco a capire il perché,
visto che siamo cittadini italiani”.
Non è nemmeno passata un’ora e i vigili si sono ripresentati per chiedere
nuovamente documenti e informazioni sue, di suo marito e dei sui figli, senza
presentare alcun provvedimento; lei inizialmente si è opposta poi, temendo di
peggiorare la situazione, ha ceduto. Non si sono limitati a chiedere le
generalità, hanno preso il numero di targa delle autovetture parcheggiate e di
fronte alla sua richiesta di motivazioni i vigili hanno risposto che stavano
conducendo l’operazione per contrastare eventuali casi di tratta dei minori. A
quel punto la signora ha alzato il braccio, suggerendo di fare un esame del DNA,
aggiungendo che in questo modo sarebbero stati certi della sua maternità. Loro
l’hanno rassicurata sottolineando che poteva stare tranquilla e serena perché
non avevano l’intenzione di fotografarli.
Questa operazione di censimento non è un fatto nuovo; a tal proposito vorremmo
riproporre un’intervista rilasciata al quotidiano di Verona (l’Arena) il 6 marzo
scorso da Don Francesco Cipriani che da anni vive con la comunità rom del
cosiddetto “campo” di Strada La Rizza a Verona. Il titolo è: «Mi pare di
tornare ai campi di internamento».
«Siamo tutti cittadini italiani, siamo residenti a Verona, siamo da vent’anni in
questo posto e non capisco perché devono controllare in questo modo».
Suona indignata la voce di don Francesco Cipriani, dal 1972 incaricato diocesano
per l’assistenza e la pastorale tra i rom e i sinti. «Mi sembra che siamo
tornati agli inizi dei campi di concentramento. Mi pare purtroppo che sia
così...». Anche don Cipriani, assieme a un’altra esponente della comunità che da
anni vive dentro il campo di strada La Rizza 65, Forte Azzano a Verona, è stato
fotografato di fronte e di profilo, con nome, cognome e dati anagrafici. «Io
avevo il numero 40 ed Elisabetta Adami il 41», riferisce. «Faccio una
riflessione da cittadino, quale sono e quali siamo tutti qui al campo: questo
non succederebbe in un quartiere normale, non succederebbe in un condominio o in
un’area di casette a schiera. Mi pare quindi che ci sia discriminazione. Bastava
che andassero in Circoscrizione per avere tutti i nostri nomi. Qui nessuno è
abusivo. Questa operazione ci ha sorpresi», conclude, «e preoccupati perché si
avvicinano tempi brutti. Alcuni dei più anziani sono stati internati a Tossicia,
nei campi di concentramento fascisti, e temono di rivivere quelle esperienze».
L’ARENA Venerdì 06 Marzo 2009
Le operazioni di censimento, o meglio di schedatura su base etnica, dei
cittadini rom e sinti in Veneto sono iniziate già il 5 marzo 2009. Le
testimonianze raccolte da diverse associazioni per la tutela dei diritti di rom
e sinti hanno dimostrato che le modalità operative si sono diversificate da
città e città.
Le testimonianze di quello che è avvenuto a Verona sono veramente
inquietanti.
Si pensava che il possesso di carta di identità, e quindi il riconoscimento
della cittadinanza italiana tramite l’iscrizione nei registri anagrafici locali,
preservasse chiunque dal subire metodi di identificazione così lesivi della
dignità personale. Evidentemente ci si sbagliava.
Il 21 maggio 2008 con un decreto legge del Presidente del Consiglio dei
Ministri, che non ha precedenti nel secondo dopoguerra e il cui titolo recita:
Dichiarazione dello stato di emergenza in relazione agli insediamenti delle
comunità nomadi nelle regioni di Campania, Lazio e Lombardia. (estesa al
territorio delle regioni Piemonte e Veneto, fino al 31 dicembre 2010.) indica la
presenza di rom e sinti in queste zone come causa del grande allarme sociale
dovuto alla concreta possibilità di gravi ripercussioni in termini di ordine
pubblico e di sicurezza: il Governo italiano ha proclamato lo stato di emergenza
adottando nelle regioni indicate delle ordinanze applicative.
Per affrontare il “problema” sono stati conferiti a funzionari dello stato e
degli organi locali poteri straordinari, concepibili solo in casi di gravi
calamità naturali.
In teoria il censimento dovrebbe riguardare solo i cosiddetti “campi nomadi”
autorizzati e non; in realtà di recente ci è giunta un’altra segnalazione da
parte di altri appartenenti alla comunità sinta che vivono in Veneto, i quali ci
hanno comunicato di essere stati censiti pur vivendo in una casa in muratura
in un terreno privato edificabile. I testimoni di tali violazioni
istituzionali ci hanno chiamato sabato 19 dicembre dicendoci che i vigili
volevano effettuare il censimento la domenica mattina, senza considerare il
giorno festivo comune a tutti i cittadini.
Le persone non hanno accettato e il censimento è stato effettuato il lunedì;
sono state chieste le generalità, informazioni sui minori e numero di targa
delle autovetture presenti nel terreno privato.
Sembra assurdo: il 16 dicembre a Montecitorio si celebrava il 71° anniversario
della promulgazione delle leggi razziali ed antiebraiche, “L’internamento dei
rom e dei sinti in Italia dal 1940 al 1943”, le testimonianze che ci sono
pervenute sollevano in noi interrogativi forti sulla discrepanza tra questa
importante iniziativa e la realtà.
Di fronte all’esistenza di queste politiche istituzionali discriminanti che
portano all’adozione di metodi di identificazione lesivi della dignità umana
proviamo un senso di impotenza e la paura che tutto questo sia visto e vissuto
dagli altri, e dalle stesse minoranze, come qualcosa di normale; dispiace dirlo,
ma riteniamo a questo punto che la memoria non sia sufficiente. Abbiamo un
desiderio e speriamo si avveri: che un giorno in Italia si possa avvertire un
sentimento di vergogna e di indignazione, come quello che ancora ci assale al
ricordo delle schedature e delle testimonianze di tanti anni fa!
Eva Rizzin
Di Fabrizio (del 24/12/2009 @ 09:19:54, in Europa, visitato 2124 volte)
Da
Roma_ex_Yugoslavia
By AIDA CERKEZ-ROBINSON
(ASSOCIATED PRESS WRITER)
Sarajevo, 22/12/2009 - Martedì la Corte Europea per i Diritti Umani dice che la
costituzione della Bosnia discrimina gli Ebrei e i Rom, perché non permette loro
di essere eletti in parlamento o come presidente.
Il tribunale ha detto che la Bosnia ha discriminato due persone, dato che
permette solo a Bosniaci, Serbi e Croati di concorrere per quelle cariche.
La decisione vincolante è stata emessa dalla corte a Strasburgo, Francia,
dopo che l'attivista ebreo Jakob Finci e Dervo Sejdic, che è di etnia rom,
avevano fatto ricorso a giugno. La corte ha detto che Finci ha presentato una
lettera della commissione elettorale bosniaca, che asseriva che lui era
ineleggibile alla presidenza o al parlamento perché era Ebreo.
La costituzione della Bosnia è stata scritta dai negoziatori di pace a Dayton,
Ohio, in fretta e furia per terminare la guerra del 1992-95 e contiene molte
irregolarità come questa.
Sono in corso trattative mediate internazionalmente per cambiare la
costituzione e dare al paese una possibilità di unirsi all'Unione Europea, ma i
progressi si sono fermati.
Ad ottobre, i funzionari USA ed UE avevano proposto una nuova bozza ai leader
bosniaci, che affrontava questo tema assieme ad altri, ma i cambi proposti sono
stati visti come troppo drastici dai Serbi Bosniaci e di minore importanza dai
Bosniaci musulmani e dai Croati cattolici.
Il Partito per la Bosnia-Erzegovina, uno dei principali partiti che perora
l'abolizione della divisione etnica nel paese e l'adozione di parametri UE, ha
bene accolto il pronunciamento. "Finalmente è stata confermata la natura
discriminatoria delle soluzioni di Dayton," dice, richiedendo il cambio della
Costituzione.
Finci ha detto di essere "lieto che la Corte Europea ha riconosciuto il torto
compiuto nella Costituzione 14 anni fa," e preme anche i politici "perché
raddrizzino rapidamente i torti nella Costituzione."
Una dichiarazione dei due co-consiglieri sul caso dichiara che la decisione
rappresenta un passo avanti della lotta europea contro la discriminazione ed i
conflitti etnici.
"Questa decisione afferma che la dominazione etnica non ha nessun ruolo in
una democrazia," ha detto il co-consigliere Sheri P. Rosenberg.
Clive Baldwin, assistente legale anziano presso Human Rights Watch ed anche
co-consigliere, ha detto "USA, UE e gli altri stati che tuttora giocano un ruolo
importante nella Bosnia, devono assicurare che la decisione abbia effetto
immediato con un cambio nella costituzione."
Due messaggi, il primo da:
ChiAmaMilano.it BUON NATALE…
Ad un mese di distanza dallo sgombero del campo rom di via Rubattino
Buon Natale a chi ama questa città e a chi potrebbe amarla di più. Buon Natale a
tutti quelli che si impegnano per renderla migliore e a coloro che dovrebbero
impegnarsi un po’ di più.
Buon Natale a coloro che pensano che Milano non sia una somma di spazi privati
da difendere attraverso le politiche del panico ma anche a quelli che, magari,
con il nuovo anno smetteranno di pensarlo.
Buon Natale soprattutto ai bimbi rom che fino a poco più di un mese fa erano
accampati con le proprie famiglie in via Rubattino. Andavano a scuola e, grazie
ai tanti sforzi di insegnanti, delle associazioni di volontariato, delle
famiglie dei loro compagni italiani, avevano iniziato un percorso di inserimento
che stava dando frutti positivi.
Ai primi di novembre, quando si attendeva lo sgombero a giorni, una delle
maestre della scuola di via Feltre, Flaviana Robbiati, aveva scritto al Sindaco,
al Prefetto e all’Assessore alle politiche sociali e alla famiglia descrivendo
come grazie alla “collaborazione tra istituto, volontari della comunità di S.
Egidio, Padri Somaschi e parrocchie, sono stati avviati percorsi di
integrazione, primo fra tutti quello di scolarizzazione dei bambini”. La maestra
chiedeva alle Istituzioni un impegno per evitare la “cessazione della
possibilità di frequentare i nostri istituti e evitare di andare in altre
scuole, ove tutto il percorso didattico e di integrazione andrebbe ricostruito”.
Lo sgombero, privo di soluzione organizzative, non avrebbe consentito la
prosecuzione delle iniziative di integrazione, quei primi passi necessari che
possono spezzare il circolo vizioso che costringe i rom a quella marginalità
sempre sul crinale tra condizioni di degrado e violazione della legge.
Alle 7.40 del 19 novembre 2009 Polizia, Carabinieri e Vigili urbani hanno
provveduto allo sgombero di circa 300 persone, tra le quali almeno 80 bambini.
Ironia della sorte, mentre si distruggeva la baraccopoli l’Assessore alla
politiche sociali, Mariolina Moioli, festeggiava nell’Aula Consiliare di Palazzo
Marino la XX Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia.
Incurante della mobilitazione dei volontari, degli insegnanti e dei compagni di
scuola dei piccoli rom (questi sono alcuni temi scritti dai compagni italiani
dei bimbi sgomberati) il Comune ancora una volta procedeva manu militari senza
proporre soluzioni che preservassero un percorso di integrazione che occupandosi
dei bambini coinvolgeva le famiglie.
A sgombero avvenuto solo a cinque donne con figli è stata data l’opportunità di
andare in una comunità (tre a Monza, due a Milano). Ad altre quaranta donne che
hanno fatto richiesta, per iscritto, al Comune è stato detto che potevano essere
accolti solo bimbi fino a sette anni; dagli otto in su i figli sarebbero stati
allontanati dalla madre e messi in comunità da soli.
Naturalmente, si fa per dire, uomini e donne sono stati separati. 67 adulti
maschi hanno fatto richiesta per usufruire delle strutture dell’accoglienza
freddo. è stato detto loro di andare in stazione centrale, fare richiesta e
mettersi in lista di attesa.
Moltissime coppie di genitori non hanno accettato di separarsi e nessuna mamma,
anche di quelle che avrebbero acconsentito a separarsi dal marito ha accettato,
però, di separarsi dai bimbi con più di sette anni.
Alla fine della giornata: sette madri sono andate in viale Ortles nel dormitorio
comunale, quattordici in altre strutture religiose.
Per altre sedici donne che il Comune non prendeva in considerazione si trovano
sei posti presso la Parrocchia di S. Elena in zona San Siro, le altre dieci
vengono ospitate alla Casa della Carità di Don Colmegna.
La gran parte delle famiglie, tranne le poche tornate in Romania, sono tutt’oggi
per strada: i nuclei familiari più consistenti che non si sono voluti separare
si sono accampati nelle vicinanze di viale Forlanini, di Segrate, di Corsico e
della Bovisa.
Ad un mese di distanza, solo dodici bambini rom continuano a frequentare, con
grande fatica a causa della distanza, gli istituti scolastici di via Cima, via
Feltre e via Pini.
Buon Natale soprattutto a loro, alle loro famiglie e a tutti quei piccoli rom
che da un mese non possono più frequentare le lezioni.
Beniamino Piantieri e Francesca Mineo
Il secondo annuncio viene dal gruppo di Facebook
Free Angelika / Angelika Libera (QUI
la storia, per chi non la ricordasse)
Chi vuole mandi una cartolina di Buon Natale e Felice Anno Nuovo a:
Angelica V.
Istituto Penale per i Minorenni di Nisida
Viale Brindisi n. 2
80143 NISIDA (NA)
Nota di Elisabetta Vivaldi: Come giustamente discusso con [...], è consentito
mandare cartoline ai minori, tutti i minori (pure quelli Rom). A meno che non ci
siano scritti messaggi "specifici" pare di capire, almeno da quanto la persona
contattata abbia affermato, che altrimenti spetta al Direttore decidere se
recapitarle o no. Io ricordo che è bisogna pure scrivere il proprio indirizzo
sulla cartolina altrimenti non viene consegnata ma di questo non ne sono
totalmente sicura. Non mi sembra che sul sito del "Carcere" Minorile ci siano
spiegazioni...mi sembra strano e ingiusto...C'è qualcuno che vuole aggiungere
qualcosa? Politici ed avvocati per favore fatevi avanti!
Di Fabrizio (del 22/12/2009 @ 12:47:57, in Italia, visitato 2582 volte)
Bologna 22 dicembre 2009 | 11:14. Una cerimonia di dialogo e preghiera in
ricordo dei nomadi assassinati nel campo di via Gobetti, dove la mattina del 23
novembre 1990 furono uccisi, dalla banda della "Uno bianca", Patrizia Della
Santina e Rodolfo Bellinati. L’iniziativa, che si terrà mercoledì 23 dicembre,
ore 15, in via della Beverara 123, nella sala Auditorium del Museo della Civiltà
industriale, è promossa dall’Anpi e dal Comitato antifascista del Navile con il
patrocinio del quartiere Navile, in collaborazione con le parrocchie cattoliche
della Beverara, dell’Arcoveggio e della chiesa Evangelica Mez (Missione
evangelica zigana) di Bologna.
Al ricordo interverrà la comunità nomade di Bologna, i Sinti italiani del campo
di via Erbosa (parenti delle vittime), alcune associazioni di rappresentanza
nomade e la cittadinanza che non vuole dimenticare l’orrore provocato dalle
stragi della "Uno bianca".
La cerimonia verrà introdotta da Leonardo Barcelò, consigliere comunale di
Bologna. Ad un momento di raccoglimento e preghiera con monsignor Giovanni Catti,
don Nildo Pirani, don Luciano Galliani, il ministro di culto Luigi Chiesi della
chiesa evangelica Mez di Bologna; seguiranno dei brevi interventi di dialogo per
agevolare la conoscenza fra i presenti. Al termine della cerimonia verrà deposta
una corona di alloro al cippo che ricorda le due vittime.
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