Elvira, una bambina gentile e solare, gioca con la sorellina di 2 anni, gira
per casa, anche se quella dove vive è difficile definirla casa. Una baracca di
20 metri quadrati dove vivono in otto, i genitori e sei figli. Fanno parte della
comunità rom di Scampia e si sono costruiti un'abitazione di fortuna con lamiere
e altri materiali trovati in strada. Entrando, però, l'atmosfera è
sorprendentemente accogliente: ci sono mobili, un televisore al plasma, tappeti,
un tavolo di legno e un divano in velluto. Le bambine ridono, si divertono.
Quando vedono Viola, la volontaria dell'associazione 'Non uno di meno', le
corrono incontro felici. Il rapporto che i volontari hanno instaurato con le
famiglie rom è ottimo: loro sanno che grazie a Viola i bambini potranno andare a
scuola e riuscire ad integrarsi con gli altri bambini italiani.
Circa 70 famiglie, giovani, anziani e molti bambini. Tra i campi Rom di Scampia,
quello di viale della Resistenza, proprio di fronte alla scuola elementare
Ilaria Alpi, è uno dei più a rischio. Dopo il tragico incidente verificatosi a
Roma il 6 febbraio scorso, che ha visto la morte di 4 bambini a seguito di un
incendio divampato in un campo nomadi, l'attenzione verso la problematica rom si
sta facendo sentire in tutte le città italiane. E anche a Napoli la situazione
non è delle più tranquille. A Scampia esiste una delle comunità nomadi più
grandi del Paese. In tutto 400 famiglie. Il Comune ha messo a norma uno dei
campi alla periferia nord della città, ma per molti altri le condizioni
igieniche e di sicurezza restano davvero minime.
La scorsa settimana la Commissione d'Inchiesta Anticamorra, per la vigilanza e
la difesa contro la criminalità organizzata, ha visitato il presidio sociale nel
campo di Scampia, denunciando il forte degrado e sottolineando la necessità di
"un potenziamento dei servizi per prevenire e contrastare le emergenze sociali".
Ma la strada da fare è lunga e le scelte condizionate dalla politica.
Dai campi le famiglie lanciano il loro appello: "Abbiamo bisogno di case decenti
in cui vivere e di un aiuto dallo Stato per cercare di integrarci nella
comunità". Così uno degli uomini della baraccopoli di viale della Resistenza
spiega che la difficoltà sta soprattutto nella mancanza del permesso di
soggiorno. Molti di loro, infatti, non sono cittadini italiani e questo rende
ancora più complicato la ricerca di un lavoro. La mancanza di denaro li spinge
verso attività illecite, portandoli spesso a fare i conti con la giustizia e
allontanando la speranza di un permesso di soggiorno. "Un circolo vizioso che lo
stato dovrebbe interrompere", spiega il "capofamiglia", un uomo forte, in Italia
dal 1980, ma ancora con passaporto macedone.
DOMENICO MODAFFERI. Esiste uno stereotipo radicato: quello che con i rom
non ci sia niente da fare, che ce l'abbiano nel sangue di non rispettare le
regole, di vivere da parassiti nei confronti della società. Noi, attraverso la
formazione al lavoro, abbiamo educato al rispetto delle regole della convivenza,
smontando questo luogo comune. In una città come Reggio Calabria, coi
problemi di disagio e disoccupazione che esistono, la nostra cooperativa offre
lavoro regolare ai rom, nel campo ecologico e dello smaltimento dei rifiuti.
Ricordo un episodio all'inizio della nostra attività: in un quartiere della
città avevamo da poco incominciato a fare manutenzione del verde; una signora,
passando, commenta visibilmente soddisfatta: «Finalmente il Comune ci manda
qualcuno!». Avendole spiegato che si trattava di ragazzi rom, la signora si
ferma e dice in dialetto: «Chisti sun zingari fora»; ovvero, questi non possono
essere zingari di Reggio Calabria... Lo stereotipo del rom incapace di lavorare
era messo in crisi. La sua sorpresa era il segno del percorso culturale che
stavamo avviando.
Abbiamo sempre pensato che per creare le condizioni di integrazione non si
dovesse fare un percorso di assistenzialismo, ma di rispetto delle regole del
lavoro e della convivenza.
In questo senso, per educare al rispetto della legalità, è stato importante
anche ottenere come sede della cooperativa un bene confiscato alla 'ndrangheta.
Lo stato, assegnandocelo, ha affermato il principio della legalità togliendo un
bene al malavitoso e affidandolo a chi, vivendo nel disagio, ha sempre
considerato il malavitoso un soggetto vincitore. Lavorare in una struttura
confiscata è stato educativo per tutta la comunità rom, perché ha fatto capire
che non sempre la persona che ha il potere criminale nella città riesce a farla
franca.
Quello che mette in crisi il percorso di educazione alla legalità attraverso
il lavoro è, invece, la lontananza delle istituzioni. Ad esempio, la mancanza di
appalti per la cooperativa. Questo fa vacillare la fiducia nelle regole che
cerchiamo di costruire con la nostra attività. Cosa rispondo se un rom, padre di
famiglia, mi dice: «Io ho scelto di lavorare e di sudare, anche rispetto a tanti
altri rom che hanno voluto scegliere strade più comode... loro però adesso i 50
euro per dare il pane ai figli li hanno, io no».
Domenico Modafferi è il presidente della cooperativa sociale Rom 1995, nata
con l'obiettivo di allontanare i rom da emarginazione e devianza attraverso
percorsi di inserimento lavorativo nella gestione dei rifiuti solidi urbani. La
cooperativa ha sede in un immobile confiscato alla 'ndrangheta.
Di Fabrizio (del 27/02/2011 @ 09:49:11, in Italia, visitato 2213 volte)
È pomeriggio. Il campo rom è avvolto da fumo, fuliggine, odore nauseabondo di
liquami. La spazzatura non viene ritirata da giorni. Pozzanghere di melma
fuoriescono in tutta la zona abitata. Cani e bambini giocano nell'area se pur
impraticabile. Le fogne della parte nuova del campo, consegnata da pochi mesi
per il nuovo progetto, risultano non funzionanti. La pendenza della strada è
stata sbagliata: i liquami dei 16 prefabbricati non finiscono nella prevista
fogna a dispersione ma fuoriescono nelle case, attraverso i minuscoli bagni dei
primi alloggi. I "lavori pubblici", pur investiti per giorni del problema, non
intendono intervenire. Alcuni rom aprono un tombino alla fine della strada ed i
liquami abbandonano le casette e si liberano nel campo. I rappresentanti del
campo chiamano a loro spese autospurghi per tentare di trovare soluzioni da sé.
Inutilmente perché il problema non è che risolvibile da un'impresa.
La parte vecchia del campo, quella delle baracche è in parte invivibile a
causa del descritto sovraccarico fognario ed a causa della rottura del vecchio
impianto idrico che non ha retto al tempo allagando parte delle baracche.
Bambini, adulti con gravi forme di disabilità (amputazione degli arti,
dialisi, ictus, epilessia), dormono nell'acqua e non ricevono alcuna assistenza.
I bagni sono comuni e non adiacenti alle baracche. Poi un'ispezione.
Un'ingiunzione di abbattimento. Un tempo limitato per trovare soluzioni ad una
situazione che facile non è e che si trascina da anni. Troppi. Quasi venti.
Iniziata con un' infausta decisione amministrativa di far diventare campo e
comunità semplicemente alcune famiglie di concittadini che scappando dalla
guerra in Jugoslavia avevano cercato rifugio in città. Il ghetto negli anni si è
protratto, è cresciuto nell'incuria politica di tutti. Un'ignavia
politico-organizzativa generalizzata, intervallata da interventi estemporanei
dettati da una qualche situazione emergenziale. Pagamento delle utenze,
autospurgo, spazzatura. Alcuni container forniti con finanziamento provinciale,
un nuovo ultimo progetto abitativo ma mai interventi congiunti, organici, a
lungo periodo, mirati intanto al superamento del campo (perché il campo per
forza?) edal concreto inserimento sociale e lavorativo dei rom.
I bambini nati qui, cresciuti nelle scuole della città non hanno di fatto un
futuro diverso che vivere, crescere e morire nel campo. Da soli non ce la fanno
nemmeno ad affrontare la scuola media. non hanno ancora i libri! Stamane,
durante l'incontro avvenuto a Palazzo Carafa col Sindaco di Lecce ed altri
rappresentanti istituzionali, abbiamo appreso con sollievo la dichiarata volontà
politica dell'amministrazione comunale di non voler agire un indiscriminato
sgombero delle famiglie rom di campo Panareo ma la disponibilità anzi, ad un
tavolo di concertazione che possa mettere in campo progettualità possibili.
La convocazione dei piani di zona, inoltre, risulta un percorso
indispensabile, stante la disponibilità finanziaria derivante dalla misura PO
FESR 2007-2013, asse III, linea 3.4 azione 3.4.1., il cui bando - che sta per
scadere a brevissimo - è fruibile solo dai comuni ed è rivolto, fra i possibili
beneficiari anche ad "adulti in condizione di disagio, minoranze quali nomadi e
stranieri immigrati, altri soggetti marginali o a rischio di emarginazione
sociale, culturale, economica e lavorativa". È un finanziamento che non può
essere utilizzato per usi edilizi ma bensì per il pagamento di fitti, per
progetti di inserimento sociale e lavorativo e quant'altro si possa mettere in
atto per un ammontare massimo di 700mila euro. Con l'individuazione di strategie
possibili ed un minimo di coordinamento fra i differenti settori del Comune di
Lecce e fra questo e i Comuni del Salento, non diventerebbe più impossibile
mettere in campo dei canali di risoluzione delle problematiche sociali ed
abitative dei rom come di altri soggetti svantaggiati della città.
Ma se l'uso di fondi regionali già esistenti risulta proficuo per la
determinazione di servizi possibili utili sia al provvisorio arginamento
dell'emergenza abitativa sia alla collocazione ed al sostegno dei disabili
residenti al campo, rimane da risolvere e presto la gravissima situazione
igienico-ambientale in cui versano attualmente le famiglie rom.
È necessario un intervento straordinario ed urgente, possibile, con facilità,
solo con un impegno celere, sinergico e congiunto fra istituzioni. Qualcuno deve
intervenire e fondi straordinari ed immediati possono essere reperiti da
qualsiasi ente, intanto, ad esempio, da quello principe che è l'Ente Provincia.
L'invito finale rivolto ai soggetti istituzionali coinvolti ed a quelli
silenziosi è quello di recarsi di persona, almeno per una volta, al campo
Panareo, perché prima di decidere se intervenire o meno, come o come non farlo,
si ha il dovere etico, morale e politico di conoscere la realtà e di vedere la
situazione coi propri occhi.
Non sfuggirebbe lo stridio fra il degrado estremo del campo Panareo e la
forza, la dignità, lo sforzo di cura della famiglia e degli spazi, altrettanto
estreme e tenaci, che contraddistinguono gli abitanti, anche i più piccoli, e la
loro solitudine.
Di Fabrizio (del 27/02/2011 @ 09:09:36, in lavoro, visitato 2009 volte)
(mi-lorenteggio.com)
Buccinasco, 23 febbraio 2011 - La Associazione Apertamente di Buccinasco che
gestisce il Punto Parco Terradeo, è una associazione costituita da Sinti e Gage
( non Sinti) la quale in collaborazione con l'Associazione BUCCinBICI ha il
piacere di invitarvi alla serata presso la locale Cascina Robbiolo mercoledì
02.03.11 ore 21.00.( ...)
La serata è anche a sostegno del Progetto Mobilità (conosciuto come progetto
Ciclofficina), finalizzato a creare alcuni posti di lavoro per giovani Sinti,
offrire alcuni servizi alla cittadinanza, e contemporaneamente cercare di dare
qualche risposta ai problemi di mobilità del nostro comune e quelli limitrofi.
Oltre ad Apertamente, contribuiscono all'impresa Buccinbici e la Banca del Tempo
e dei Saperi con il patrocinio dell'Amministrazione Comunale ed è stata
finanziata dal "Fondo Maroni" gestito dal Commissario Straordinario per
l'emergenza Nomadi in Lombardia (Prefetto di Milano Lombardo).
-Durante la serata verrà presentata la guida "A partire da Buccinasco"
contenente informazioni su percorsi ciclopedonale che risponde alle richieste
delle persone che vogliono esplorare il Parco Agricolo Sud.(all.2)
-Sarà comunicato il programma della prossima stagione ciclistica di Buccinbici.
-Inoltre , vi sarà la proiezione delle foto scattate nelle scorse stagioni.
sabato 5 marzo dalle ore 22.00
Allo Spazio A di Sesto San Giovanni (attaccato a Milano) | via
Maestri del Lavoro| info@spazioa.org |
http://www.spazioa.org/
UDITE! UDITE! SIORE E SIORI!
GRANDE CONCERTO serale e
STAGE pomeridiano
(fantasia di valzer a 3, 5, 8, 11 tempi)
Vieni in bicicletta, in moto o in automobile?
Da Milano, percorrere viale Monza sino al termine. Oltrepassata la fermata di
Sesto Marelli della MM1 restare sulla destra senza salire sul cavalcavia. Subito
dopo l'ufficio postale (circa 100 metri) girare a destra in via Maestri del
Lavoro. La costruzione sulla sinistra è spazioA, di fronte a un ampio parcheggio
gratuito.
Vieni in metropolitana?
Prendere la MM1 fino a Sesto Marelli. Appena usciti restare sul lato destro di
viale Monza (il lato della sede CGIL-CISL-UIL) e proseguire in direzione Sesto
san Giovanni. Oltrepassato un porticato con le colonne rosse, proseguire sino
all'ufficio postale e girare a destra in via Maestri del Lavoro. La costruzione
sulla sinistra è spazioA.
Per info:
Gianmarco - 335.8395877
Daniela - 320.0877526
Pietro - 349.6342214
Di Fabrizio (del 26/02/2011 @ 09:10:33, in Italia, visitato 2149 volte)
mercoledì 2 marzo dalle 10.00 alle 17.00
a
Brescia in
Via Orzinuovi n. 108
L'incontro è aperto a tutte le associazioni aderenti alla Federazione, a tutte
le associazioni sinte e rom e a tutti i singoli sinti e rom che vogliono
impegnarsi per il riconoscimento dei diritti di minoranze linguistiche.
Ordine del Giorno: 1) Stati generali della federazione;
2) Azioni dei Presidenti delle associazioni aderenti nei diversi territori;
3) Analisi della situazione di Roma e Milano e preparazione di un comunicato
stampa.
sabato 5 marzo alle ore 22.00
Teatro Bibiena, Mantova
Ancor prima di uscire dal ventre materno, Boulou ed Eliòs Ferrè hanno ascoltato
le note di una chitarra. Loro padre, Matelo Ferrè, è tuttora considerato una
leggenda. Compagno di strada di Django Reinhardt, Matelo aveva formato con i
suoi fratelli Baro e Sarane un trio divenuto celebre. In particolare Baro,
componente del quintetto di Django, è considerato come l’inventore del “valse
swing”, un vero e proprio fuoco musicale degli anni Trenta, Quaranta e
Cinquanta. Con Django, Gus Viseur e Jo Privat, i fratelli Matelo, Baro e Sarane
hanno colorato di francese il jazz.
Il primogenito di Matelo, Boulou, ha le stimmate del genio fin da piccolo: è
capace di suonare qualunque cosa ascolti, e in casa Ferrè di musica se ne
ascolta tanta! Django, certo, ma anche Charlie Parker e Dizzy Gillespie, di cui
Boulou impara tutti i “chorus” ad orecchio, la musica zigana, la classica
(Ravel, Bebussy, Faurè...). Insomma, un conservatorio domestico. E’ a otto anni,
con suo padre, che Boulou tiene il suo primo concerto: canta, suona, improvvisa.
Fra chi lo ascolta provoca stupore e meraviglia. Ancor prima di Raphael Fays e
Bireli Lagrene, Boulou è il bambino prodigio della grande famiglia manouche.
Qualche anno più tardi troviamo Boulou insieme a suo fratello Elòs, di 5 anni
più giovane, all’Olympia, in diretta televisiva. Quindi iniziano gli incontri
con i grandi del jazz, fra cui Dexter Gordon.
Ingresso: 15 euro - studenti 12 euro
Domenica 6 Marzo 2011 dalle ore 11.00 alle 13.00 Stage con Boulou ed Elios Ferrè
Iscrizione 15 euro
Info T +39 349 5921605
Di Fabrizio (del 25/02/2011 @ 09:33:50, in lavoro, visitato 2019 volte)
Vintila
(o
Ventila), vecchia conoscenza per i lettori della Mahalla, ha
fatto capolino tra le pagine del
Giornale. Cosa avrà mai combinato?
di Maria Sorbi
Nomade, 56 anni, moglie e 5 figli: la sua specialità è fare la ronda lungo i
cantieri della metropolitana milanese Risultato: i blitz per rubare rame sono
cessati. E così l’assessore provinciale alle Infrastrutture lo ha assunto
Milano Vintila si macina 30 chilometri a piedi ogni notte lungo le rotaie
della metropolitana di Milano. «Lo faccio per controllare che i rom non rubino
il rame» racconta. Ma anche lui è rom e, a sentire la sua storia, vien da
sorridere. Un rom schierato contro i rom.
Il suo vero nome è Marin Costantin, ma si fa chiamare Vintila. «No, non vuol
dire nulla, è un soprannome, mi piace e basta» ci spiega. Arriva da uno dei
campi nomadi più difficili della città, il Triboniano, ed è stato assunto per
fare il guardiano notturno durante i cantieri per il prolungamento fino ad
Assago della linea verde. In quella zona i furti di rame da parte dei nomadi
sono all’ordine del giorno e i tecnici non fanno a tempo a posare qualche cavo
che, zac, nel giro di poche ore è già sparito tutto.
E chi meglio un nomade per tenere d’occhio le imboscate rom? Chi ne conosce
meglio le tecniche e le abitudini? Ecco allora che per Vintila è arrivato un
contratto di lavoro. Lui, 56 anni, moglie e cinque figli, si era già messo in
luce come portavoce della comunità rom e in passato, soprattutto dopo lo
sgombero come quello del campo nomadi di via Capo Rizzuto, gli era perfino
capitato di sedere ai tavoli delle politici locali per tentare un accordo. Il
suo nome tra le istituzioni gira da un po’ di tempo. Finché un giorno
l’assessore alle Infrastrutture della Provincia di Milano, Giovanni De Nicola,
durante un sopralluogo ai cantieri del metrò, si rende conto che i furti di rame
rallentano l’avanzamento dei lavori. E lancia l’idea: «Perché non ingaggiamo
Vintila?». Detto fatto.
Marin Costantin firma il contratto per quello che chiama «il lavoretto». «Mi
hanno rinnovato il contratto di mese in mese» racconta e ci tiene a dire che lui
è «uno a posto», «uno che ha la partita iva», che «paga i contributi» e che in
vent’anni in Italia non ha ricevuto nemmeno una denuncia.
Nelle sue ronde notturne, avanti e indietro lungo i 4 chilometri di rotaie, si è
perfino imbattuto in qualche vicino di roulotte che se l’è data a gambe non
appena l’ha visto. «Non ho paura - racconta - ma per le emergenze sono armato».
La sua arma è una fionda e in tasca ha anche qualche bullone da usare come
proiettile.
Ma fortunatamente non ne ha mai avuto bisogno: Vintila mette tutti in fuga. «Non
si avvicinano nemmeno, sanno che potrei riconoscerli». Lui, rom controcorrente,
ha preso la sua mission seriamente e non ha saltato una notte di lavoro. Ora che
i cantieri sono finiti e il metrò di Assago è entrato in funzione, Vintila si
cercherà un altro «lavoretto». «Sono bravo io, trovo lavoro subito». Intanto il
suo nome è stato pronunciato al microfono dall’assessore De Nicola durante il
taglio del nastro della nuova tratta metropolitana. E non capita spesso che un
politico ringrazi pubblicamente un rom al microfono.
«Ho voluto citare anche Vintila tra le persone da ringraziare - spiega De Nicola
- perché ha lavorato bene e da quando c’è lui i furti sono davvero calati. È
stato bravo e serio».
E ora che il suo compito è finito, cosa farà Vintila? L’elemosina? «No, per
carità, si fa più fatica a fare quello che a lavorare» scherza lui. «Magari mi
trasferirò a Genova, o a Napoli o forse resterò qui, dipende da dove troverò un
lavoretto». Quel che è certo è che Vintila e la sua famiglia si sentono ormai
italianissimi. «Voglio prendere la pensione in Italia - dice lui con voce ferma
- e non ho accettato i 15mila euro che il Comune di Milano dà ai nomadi che se
ne tornano a casa. Sono regolare e lavoro».
Non solo. Vintila, da capo rom che sa il fatto suo, cerca di convertire la sua
comunità a una vita più onesta e integrata. Ha imposto a sua figlia di smetterla
di stare ai semafori a chiedere l’elemosina e ora lei lavora in un bar. E ha più
volte detto agli zingari del suo campo: «Comportatevi bene, provateci». Lui lo
ha fatto e questo gli ha portato pure un contratto in regola.
Il Fondo Educazione Rom REF ha annunciato che il suo nuovo sito web è pronto
ed in funzione. Il sito è stato ridisegnato e ristrutturato per essere più
intuitivo. Uno degli obiettivi di REF è di fare informazione sull'istruzione
rom, che sia facilmente accessibile e disponibile
Le case di questo importante campo rifugiati a Podgorica di Rom fuggiti
dal Kosovo, sono state definite da The Guardian come "una cima di spazzatura
puzzolente". Eppure i giovani ambiziosi che vivono là sono futuri maestri di
hip-hop e padroni del loro destino
By Emmanuel Haddad
15/02/11 - Siamo in Bratstva i jedinstva 4, un edificio fatiscente situato
in un grande viale in Montenegro. La porta si apre e Dijana Uljarevic,
incaricata dei programmi del
Forum MNE (forum sull'educazione informale giovanile), ci accoglie in un
ufficio un po' disordinato, un mix di giochi per bambini, computer e poster di
concerti.
Queste case spesso vanno in fiamme
Konik è il più grande campo profughi nei Balcani, di cui pochi
conoscono l'esistenza, secondo un
articolo del 2009 di The Guardian. Lì vivono oltre 2.000 Rom in
baracche di fortuna costruite con scarti di legno, latta ed altri materiali.
Queste case spesso vanno in fiamme e, nei giorni di neve come oggi, al freddo e
a perdite dai soffitti. Basta andare in case che sono cumuli di spazzatura
puzzolente per i rifugiati del Kosovo dimenticati in un angolo, come
suggerito dal titolo del giornale britannico. Enorme, specialmente dopo che la
simpatia per i Rom è considerevolmente aumentata in Francia, a seguito della
politica governativa di espulsione di massa dei Rom dai campi.
"Insegno loro a non vergognarsi"
Pavle Calasan | Il più grande centro commerciale con le foto di Konik
Speriamo di scattare fotografie nello stile di quelle del giovane fotografo
montenegrino Pavle Casalan, che vengono esposte in un centro commerciale
in città. Poco prima della nostra partenza arriva Osman Mustafaj. E'
normale che gli ex partecipanti del progetto si fermino. "Non siamo spesso
consapevoli dei progressi raggiunti da un progetto che opera con la gioventù,"
nota Dijana. "Spesso è quando tornano e ci dicono di aver trovato un lavoro che
capiamo quanto ha operato".
Osman è un ragazzo di bell'aspetto, con un sorriso raggiante. Trent'anni, è
arrivato dal Kosovo che ne aveva dodici, e non si è mai guardato
indietro. La sua casa è qui. Le sue radici in MNE sono così forti che ne è
diventato un membro attivo e sta pensando di fondare una propria OnG,
"Coinvolgere la gioventù rom, ascali ed egizia nei Balcani" (UM RAE, Ukljuciti mlade Romi Aškalije Egipćani).
Vuole far crescere la consapevolezza ed ascoltando Dijana, capisci da dove l'ha
presa. "La cosa più importante è il dialogo" dice la giovane mente di MNE. "La
comunità internazionale, che sovvenziona la maggior parte delle nostre attività
- il governo montenegrino essendo per lo più assente - fornisce cibo ed altri
beni, ma questo da solo non è sufficiente a sviluppare la capacità dei giovani.
Ecco perché siamo qui. Per aiutare a tratteggiare le capacità degli individui,
le loro capacità comunicative, i talenti e così via." Questo si realizza
attraverso attività, ed è qui che intervengono Osman e altri educatori.
Vividamente racconta il primo set di karaoke da lui organizzato nel campo
rifugiati, la prima partita di calcio o quando i bambini sono scesi in centro
città per mostrare la loro abilità nella breakdance. "Insegno loro a non
vergognarsi di ciò che sono," sorride. "Alla loro età, ho sofferto la
discriminazione..."
Hip-hop o piccola criminalità
E' difficile tracciare semplicemente un ritratto delle vittime o lamentare lo
stato dei dintorni, anche se ci sono tutti gli ingredienti. "Nel 2003, il
61,3% della popolazione rom non aveva istruzione; il 21,3% non aveva
terminato la scuola primaria. Solo il 9,2% l'ha terminata e ci sono solo
sei Rom iscritti all'università tra il 2004 e il 2005, di cui quattro
hanno abbandonato," osservano Sofia Söderlund e Elin Wärnelid in uno studio del
2009 intitolato
Hip-hop and the construction of group
identity in a stigmatised area.
Barčić Record ed altri artisti di Konik | storie di successo
del Forum MNE
Osman è ottimista, ad esempio sul laboratorio di responsabilizzazione
sull'Aids. "Per molti partecipanti è la prima volta che sentono queste
informazioni." Nella soddisfazione che segue il suo discorso "molti vanno a
fare i test, perché la popolazione rom è la più pesantemente colpita dal virus."
Il potenziale dei giovani che prendono parte alle attività del Forum MNE, ispira
non solo rispetto ma anche ammirazione. Sulle pareti dell'ufficio sono appesi
articoli di giornali dedicato ai Barčić Record, uno dei gruppi
di hip-hop emersi da Konik. Tuttavia, nel loro studio sull'impatto positivo
dell'hip-hop nella creazione dell'identità rom di Konik, Sofia Söderlund e Elin Wärnelid
hanno raccolto storie esemplari sulla povertà nei campi uno e due, dove le
famiglie dei rifugiati vivono una sull'altra, tra crimine, prostituzione e
problemi di droga. Le origini dei problemi spesso nascono dalla stessa fonte,
cioè la mancanza di istruzione. Con i dati del 2007 che mostravano un
tasso di disoccupazione dell'82% tra i Rom in Montenegro, l'istruzione
era diventata secondaria.
Barčić
Record, Boys in Da Hood e co | Come l'attenzione agli emarginati ha prevalso
Laggiù, la gente "normale"
I giovani rapper le cui voci si sentono nello studio menzionano il confine
tra "loro" e la gente "normale"; tra il centro città e "noi". Qualcuno è
risentito soprattutto perché sono cresciuti in Germania, prima di essere
deportati qui nella periferia. "Non fanno entrare i Rom," ricorda Dijana di
quando andò in un pub con giovani Rom e non-Rom. "Poi si sono scusati." E' un
inizio.
Giorno di neve a Podgorica | Giovani nel campo Konik uno
Mi dirigo verso il campo Konik uno, dove ho appuntamento con Osman. La donna
che ci accompagna in macchina non sa come arrivarci. Si ferma a chiedere:
nessuno lo sa. I bambini stanno giocando nella neve in sandali e si finisce a
bere un caffè nel suo ufficio. E' accanto al campo, ma lei non c'era mai
passata.
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