Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 21/10/2008
Di Fabrizio (pubblicato @ 13:12:03 in blog, visitato 1599 volte)
Non l'ho mai conosciuto personalmente, ma con Miguel
Martinez scambio corrispondenza ed informazioni da prima che entrambi avessimo
un blog. Il suo è molto più frequentato del mio e lo leggo regolarmente
senza mai commentare: a volte mi affascina, mentre altre volte mi puzza di
partito preso. Il più delle volte, non capisco dove vada a parare,
incomprensione che aumenta se leggo anche i commenti; sarà per questo che non
invidio il fatto che il suo blog abbia più visite del mio.
A volte, riesce a parlare di complessità e di massimi
sistemi, con parabole quotidiane e terra-terra (che non significa
affatto banali), come nel post pubblicato
oggi:
Per strada, ascolto giovani con gli occhi a mandorla che parlano fiorentino e
giovani dalla pelle nera che parlano romano; poi leggo che, secondo alcuni
esponenti del governo, ci sarebbe un problema di integrazione linguistica,
da risolvere creando apposite "classi-ponte" per italianizzare i figli degli
stranieri.
E' il paradosso omicida del razzismo, che impone come ragionevole
l'impossibile: quelli che dovrebbero starsene a casa loro, dovrebbero nel
contempo diventare esattamente come noi; per un problema inesistente, si
propone una soluzione insensata - "separiamoli da noi per farli diventare
come noi".
Infatti, almeno fino alla scuola media, la meravigliosa capacità di
apprendimento linguistico infantile significa che il problema semplicemente non
esiste: basta esporre i bambini ai loro coetanei e parleranno proprio come loro.
Invece qui li tolgono dall'ambiente italofono e li mettono in apposite classi.
Quando la scuola - intesa come sistema educativo, non come luogo di
socializzazione - è il peggior posto in assoluto per imparare una
lingua. Infinitamente meglio i
manuali dell'Assimil.
Lo straniero in Italia cammina in genere a capo chino; il suo spirito
somiglia a quello dell'abissino nelle favole, che è convinto che se si
lava abbastanza, diventerà bianco. E la prima cosa di cui si può lavare lo
straniero è la propria lingua. Che è di solito l'unica cosa che ancora possiede
di suo.
Il padre filippino, che parla al proprio bambino solo in quel poco di
italiano che ha imparato... quando quel bambino crescerà, avrà almeno una cosa
molto italiana: la non conoscenza di lingue diverse. Per il resto, avrà un'idea
confusa di ciò che è l'italiano, visto che subisce due modelli concorrenziali,
quello dell'ambiente scolastico e quello della famiglia, che veglia con più
determinazione della scuola sulla sua italianizzazione.
La comunicazione tra le persone passa attraverso tanti canali; ma il canale
principale è quello linguistico. E meno largo è quel canale, meno si comunica.
Il genitore apparirà al figlio come apparirà a un italofono qualunque: una
persona che sa dire "quando pagare?" e qualche parolaccia. All'incirca
come i neandertaliani nei film di fantapreistoria, o gli indigeni nei
film colonialisti, in cui il trionfo dell'Uomo Rosa (perché siamo rosa,
mica bianchi di pelle) passa attraverso il mutismo dell'Altro.
Ma se i genitori appaiono come pezzenti morali e battute viventi, è
ovvio che i figli cercheranno i propri modelli altrove: ad esempio, nella banda
di ladruncoli del quartiere.
E' uno dei tanti meccanismi che ci preparano le banlieue del futuro,
in cui verranno rinchiusi tutti i figli superflui degli stranieri oggi
indispensabili. Gli scarti del grande piatto in cui mangiano e sputano gli
italiani.
Stiamo parlando di un processo sociale, dove le scelte individuali possono
incidere poco. Ma fa tristezza vedere come un motivo ricorrente nella
devastazione delle tradizioni altrui sia la difesa delle tradizioni
"nostre", vere o presunte, contro la "omologazione".
Gli omologatori, i nichilisti, sono proprio loro, che si dedicano
sistematicamente alla violenza (di cui quella fisica è la meno grave) contro
ogni lingua, religiosità, stile di vita, abbigliamento, usanza diversa dalla
propria, tranne ciò che si può trasformare in merce esotica.
Come se la bellezza delle tradizioni non risiedesse proprio nella loro
pluralità: nell'essere bilingui, trilingui, quadrilingui, nel saper vivere
in tanti mondi.
Tutto questo, l'ha riassunto perfettamente l'altro giorno la Quattrenne di
casa. E' interessante come lei abbia scelto di usare diverse lingue per
diverse funzioni: forse perché ci deve pensare un attimo a costruire le
frasi, l'inglese ad esempio è dedicato alle narrazioni fantastiche e alla
filosofia.
Le chiedo se le piacciono i kaki, alla maniera in cui li avevo preparati. Poi
le spiego:
"I learned from my mother how to make persimmons this way... Italians make
them differently."
E lei risponde:
"I will learn to make them, and my baby will learn, and my baby's baby
will learn, and it will never finish!"
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:17:34 in media, visitato 2037 volte)
Da
Roma_Francais, di questo film ne avevo parlato già
settimana scorsa, e visto che mi sembra interessante, torno sull'argomento
Télérama.fr Karim Dridi : "Vorrei si prendesse coscienza della miseria
dei Gitani"
LE FIL CINéMA - Il campo descritto nel suo film esiste davvero. Invece, la
maggior parte degli autori recitano il loro proprio ruolo. Karim Dridi
("Bye-bye", "Pigalle") torna sui luoghi delle riprese di "Khamsa", nelle sale da
mercoledì, la storia di un piccolo gitano marsigliese di 11 anni lasciato a se
stesso.
SUR LE MEME THEME:
Un Film De Karim Dridi : Khamsa | 7 octobre 2008 (in francese ndr.)
Come ha scoperto il campo gitano dove si svolge Khamsa?
Grazie al mio amico Sofiane Mammeri, uno degli attori di Bye-Bye. Ero
attonito: mi credevo nel Brasile, in una favela. Ho deciso di farne un film dopo
aver condiviso il quotidiano dei gitani: dormire in una roulotte, bere birre,
andare in spiaggia coi bambini… Niente fognature, né elettricità, ratti grandi
come gatti... Trecento persone vivono così.
Lei ha girato con i giovani del campo. Qual'erano le vostre relazioni?
Marco Cortes, l'interprete principale, non è del campo: è un piccolo gitano
sedentarizzato. Va a scuola, beneficia di una struttura familiare forte. I
bambini del campo, sono per la maggior parte de-scolarizzati, considerati come
selvaggi, come recidivi. Ma sono stati capaci di partecipare sino alla fine ad
un film, col rigore che questo implica. Di più, hanno dovuto accettare il
sostegno scolastico imposto dalla
Ddass durante
le riprese. Qualcuno ha ripreso la voglia di studiare. Per me, è la migliore
delle ricompense, meglio che una Palma d'oro.
Ha l'impressione di aver firmato un film impegnato?
Non dissocio la politica dal cinema. Vorrei che i miei concittadini
prendessero coscienza della miseria di questa gente, Francesi come loro, e da
generazioni. Dei bambini subiscono questa ingiustizia dalla nascita. Ecco perché
il mio film ha una dimensione tragica, ma ho avuto cura di mostrare anche la
parte luminosa dei bambini, anche quando commettono dei furtarelli. Il potere
vorrebbe punire i minori severamente quanto i maggiorenni. E' abominevole. Tempo
fa, avevo un progetto di film sugli stabilimenti penitenziari per minori. Ecco,
il campo di Khamsa è una prigione a cielo aperto.
Propos recueillis par Cécile Mury
Télérama n° 3065
Un lungo ed interessante articolo del 19 ottobre tratto da
CITYROM, lo stesso giorno e' apparso li' un altro post sul campo di via Idro, di cui purtroppo c'e' solo la fotografia aerea
Visita al villaggio solidale di Rho e conversazione con Maurizio Pagani di Opera Nomadi e alcune abitanti.
(@2008 google - Immagini @2008 digitalGlobe, Cnes/Spot image, GeoEye)
Il 29 novembre 2007, con alcuni studenti (1) e Maurizio Pagani dell'Opera Nomadi, abbiamo visitato il
"Villaggio solidale" di Rho.Situato alla periferia della cittadina, nei pressi dell'area industriale, il villaggio
e' costituito da un�undici casette-container, ciascuna con un proprio spazio all'aperto,
sistemato a orto o giardino e il posto-auto, spesso occupato da roulotte
utilizzate come dependance della casa. In un edificio di lamiera realizzato da Opera Nomadi e utilizzato come spazio comune e laboratorio, abbiamo incontrato alcune donne, intente a cucinare, a cucire delle borse di tela e a realizzare della bigiotteria artigianale. Abbiamo rivolto a loro e a Maurizio Pagani alcune domande sulla storia del villaggio e sulle loro condizioni di vita.
Maurizio Pagani: Questo e' un campo nomadi comunale realizzato nell'aprile di quest'anno dopo una lunga trattativa che ha contrapposto l'amministrazione comunale, anzi le amministrazioni comunali precedenti, e una parte della comunita' rom che da oltre dieci anni abita in questo comune. Sono rom di etnia Kanjaria provenienti dalla Serbia e in parte dalla Croazia. Rom che avevano acquistato dei terreni agricoli su cui avevano poi costruito delle abitazioni ,cominciando un lungo contenzioso amministrativo con il Comune. Comune che pero'
che nel corso di questi ultimi 10 anni ha cercato anche di favorire l'integrazione sociale di questa comunita' agendo sopratutto sul versante scolastico. Si
e' infatti partiti da una condizione iniziale in cui i bambini andavano poco e per poco tempo a scuola alla situazione attuale in cui moltissimi bambini sono iscritti alla scuola materna, alla scuola elementare ed alcuni stanno per licenziarsi alla scuola media. Una situazione che tende a ribaltare i dati statistici a livello nazionale. Normalmente a scuola i bambini dei campi rom ci vanno per poco tempo
e nell'ordine del 20-30% della popolazione complessiva. Qui invece abbiamo un altissimo livello di scolarizzazione.
Hanno lasciato i loro terreni, famiglia per famiglia...
Abitante: Erano terreni privati! Comprati con i nostri soldi! Poi non so cosa ha fatto il
Comune... loro dicono che quei terreni erano agricoli ma noi non lo sapevamo. Noi li abbiamo comprati per abitarci e per non vivere sempre sotto la minaccia degli sgomberi. Abbiamo venduto la casa a Zagabria per comprare il terreno qui in Italia.
Maurizio Pagani: Hanno pagato dei terreni agricoli ad un prezzo dieci volte superiore al loro
valore...
Abitante: Ho pagato 150 milioni di lire. E adesso il Comune cosa mi ha dato? Questa casa per me e mio figlio con un'unica stanza e il bagno. Per questo motivo ho costruito questo spazio in piu', dove possiamo mangiare..
Prima di arrivare qui dove abitavate?
Abitante: Eravamo a Muggiano
Quando siete partiti da Zagabria?
Abitante: Siamo partiti tanti anni fa, era ancora vivo mio marito. Sono passati ventisette anni da quando mio marito ha avuto un incidente a Zagabria ed
e'
morto. La mia figlia maggiore oggi ha trentasei anni, quando siamo venuti in Italia aveva sei mesi.
Avete lasciato Zagabria trentasei anni fa?
Abitante: Non l'abbiamo lasciata del tutto. A Zagabria abbiamo ancora le case. Quando mio marito
e' morto io sono tornata a Zagabria a vivere con i miei figli. I due figli maschi andavano a scuola e le figlie femmine erano con me a casa. Quando i miei bambini sono cresciuti sono tornata in Italia. Qui c'erano tutti i miei parenti, a Zagabria ero sola con i miei bambini. All'inizio vendevamo i fiori e le pentole. Noi siamo dei Kalderasha... Eravamo sempre in giro. Poi abbiamo deciso di comprare dei terreni. Per nove anni siamo rimasti sui nostri terreni. I bambini andavano a scuola e tutto era tranquillo. Poi
e' venuto il Comune e' ci ha cacciati. Adesso anche da qui vogliono cacciarci! Il Comune non ci ha pagato il terreno. Ci ha dato in cambio solo questa casa con un po' di giardino e basta.
Maurizio Pagani: Il Comune ha requisito il terreno ripristinandolo all'uso iniziale, agricolo. Il terreno
e' stato sequestrato ed e' passato di proprieta' del Comune. Sui terreni c'era un abuso edilizio conclamato, che non era possibile sanare e di fatto secondo l'attuale legislazione
e' stato possibile espropriarlo al legittimo proprietario.
Nel progetto originario, questo insediamento - che adesso e' stato attrezzato con dei container che sono dignitosi ma insufficienti - prevedeva delle casette di tipo rurale, molto piu' ampie, con una superficie di 80/100mq, che avrebbero consentito a loro di vivere meglio.
Perche' i campi vengono costruiti in questo modo, con container, come se fossero una soluzione temporanea d'emergenza?
Maurizio Pagani: Per ragioni politiche certamente, ma sopratutto perche' costano poco. Sistemare delle persone in luoghi come questo costa molto, ma molto di meno che sistemarli in qualunque altra situazione: casa popolare, ecc.
Abitante: Noi non vogliamo che i nostri figli seguano la nostra strada. Per questo abbiamo comprato i terreni. Io devo sistemare i miei nipoti, i miei figli. Loro lavorano, vanno a scuola, studiano. Io non riesco a capire perche' ci vogliono mandare via. Tutti i giorni ci vengono a controllare. Non ci aiutano in niente. Hanno detto che ci avrebbero aiutato a trovare lavoro, ma nulla. Anche la Caritas non ci ha
aiutato... Tutti vogliamo lavorare. Io ho 65 anni e anch'io, se mi dessero un lavoro, andrei a lavorare. Noi siamo nomadi Kanjaria, da piu' di trent'anni siamo in Italia. Fino a quando non sono arrivati gli albanesi, i rumeni, i bulgari, noi eravamo ritenuti bravi. Noi non siamo tutti come veniamo percepiti. I nomadi non sono tutti uguali!
Maurizio Pagani: C'e' una difficolta' oggettiva. La loro immigrazione e' iniziata circa trent'anni fa. La maggior parte dei ragazzi, anche quelli maggiorenni che a loro volta hanno avuto dei figli, sono nati in
Italia ma non sono cittadini italiani e nemmeno cittadini stranieri. Non hanno i documenti e questo
e' uno dei motivi per cui quando un ragazzo decide di andare a lavorare non ha la possibilita' di farlo in regola. Non ha una carta
d'identita', un passaporto e non ha neanche il riconoscimento di apolide. Non ha
un'identita'. All'interno della loro condizione che e' gia' tanto difficile per diversi motivi, ci sono tanti problemi che riguardano la cittadinanza che sono aumentati e si sono complicati nel corso del tempo.
Una delle cose che gli abitanti di questo campo stanno facendo oggi - e non e'
l'unica - e' quella di partire dalle proprie competenze, (per es. sapere cucire, lavorare con le mani, ecc.) per inventarsi un lavoro. In qualsiasi parte del mondo questo sarebbe visto come qualcosa di dignitoso, noi invece tendiamo a disprezzarlo e a non riconoscerlo come lavoro.
Le politiche sociali stanno cambiando e gli zingari che vivono all'interno di questo campo comunale, dovrebbero oggi dimostrare di essere dei bravi cittadini perche' mandano i bambini a scuola, lavorano, osservano le leggi.
E' quello che tutti noi siamo tenuti a fare perche' siamo sottoposti alle leggi su cui si fonda la coesione sociale. Ma per noi
e' scontato e per loro no. In quanto appartenenti ad una minoranza che noi guardiamo con sospetto e con allarme, devono in qualche modo dimostrare attraverso l'osservanza di regolamenti particolari di essere davvero dei buoni cittadini.
A nessuno poi interessa vedere che la mattina stipano i bambini sui mezzi che hanno e li portano a scuola, perche' evidentemente lo avvertono come qualcosa di importante per i loro figli. E fino a qualche anno fa non era cosi', la scuola veniva guardata con sospetto. Qui siamo di fronte a persone che hanno un problema concreto: come faccio io a portare i bambini a scuola? Che hanno bisogno di un bene strumentale e che sono capaci di organizzarsi. Mentre noi ci ostiniamo a pensare che abbiano bisogno d'altro. Diverso
e' il problema per esempio di Giuliana e Jessica che vanno alla scuola media. Ci sono difficolta'
che queste ragazze incontrano: vivere in un contesto in cui hai i genitori che non sono andati a scuola e che quindi non riescono ad aiutarti, oppure tornare a casa e non avere un posto dove mettersi a studiare. Loro studiano qui (nel locale comune realizzato da Opera Nomadi) allo stesso tavolo dove Federica lavora e le altre donne cucinano. Per loro
c'e' bisogno di un aiuto in piu' che per altri non e' necessario, per stare meglio a scuola e imparare come gli altri.
E' una forma di intervento rispettosa che noi cerchiamo di offrire: fare insieme alle persone quello che serve alle persone ma senza avere la presunzione che quello che tu decidi di fare sia la cosa giusta.
Abitante: Una volta i bambini non andavano a scuola perche' eravamo sempre in giro. E poi gli anziani e le nostre madri non ci lasciavano andare perche' avevano paura che incontrassimo i
ragazzi...
Maurizio Pagani: E' vero. C'era anche paura e diffidenza
Abitante: Non solo, c'erano tanti motivi. Gli italiani guardavano con
molta differenza i nostri bambini. Anche oggi ci sono molti problemi. Ancora
oggi succede che i nostri bambini vengono discriminati. I nostri bambini si
sentono diversi e anche se vorrebbero integrarsi non ne hanno la possibilita' perche' vengono sempre attaccati.
Maurizio Pagani: Per esempio Erica ha seguito quest'anno un corso per mediatrici culturali rom. A Milano da tanti anni ci sono una quindicina di donne che vivono in questi insediamenti e lavorano come mediatrici culturali; che hanno iniziato a studiare e che attualmente svolgono la loro professione all'interno delle scuole, dei servizi sanitari. Queste esperienze sono pero' pochissime. Purtroppo normalmente nessuno investe per fare in modo che tante persone abbiano la possibilita' di maturare un esperienza professionale e culturale stando qua dentro. Perche', se il medico, l'assistente sanitaria viene qua e fa la propria lezione, dice come ci si dovrebbe comportare ma non
c'e' nessuno all'interno del campo che raccoglie quello che e' stato detto e discutendo e vivendo insieme alla gente, lo traduce, magari modificandolo secondo le sue esigenze, quegli insegnamenti non hanno nessun valore e nessun senso. Questa
e' la funzione piu'
importante che hanno i mediatori culturali. Eppure dopo tanti anni, dopo tante iniziative, quasi mai si costruiscono percorsi di sviluppo per le comunita' e questo
e' un grande handicap.
Che tipo di relazioni avete con il territorio di Rho?
Abitante: Portiamo i bambini a scuola, andiamo a fare la spesa, chi non ha lavoro va a
mendicare...
Avete rapporti con altri genitori?
Abitante: Si, i bambini hanno amici e amiche. Ci sono tante maestre che vengono a trovarci e ad aiutarci.
Maurizio Pagani: Da due anni a questa parte si e' formato un piccolo gruppo musicale che sia chiama
"I musicanti", composto da ragazzi che abitano a Rho e da un musicista che abita qui al campo.
(1) dei corsi di "Urban Design Workshop" della Laurea specialistica in Architettura/Master of Science in Architecture del Politecnico di Milano e di Urbanistica della Laurea in Scienze Umane dell�Ambiente, del Territorio e del Paesaggio, dell�Universita' Statale di Milano.
Ricevo da Maria Grazia Dicati
Dall'Unità
20 ottobre 2008
Da tempo si difendeva dicendo: sì, mi hanno condannato in primo grado, ma in
appello vincerò. E invece no.
Anche la corte d'appello di Venezia ha condannato a due mesi di reclusione, pena
sospesa, il sindaco di Verona Flavio Tosi per violazione della Legge Mancino.
Assieme ad altri cinque esponenti leghisti, Tosi è stato riconosciuto
colpevole di propaganda di idee razziste per aver dato vita nell'estate 2001 a
una raccolta di firme per sgombrare un campo nomadi abusivo nel capoluogo
scaligero.
Tosi, all'epoca dei fatti consigliere regionale, era stato querelato da sette
nomadi sinti e dall'Opera Nazionale Nomadi (Onn) assieme a Matteo Bragantini,
Barbara Tosi (sorella di Flavio), Luca Coletto, Enrico Corsi e Maurizio Filippi.
Già in primo grado, nel dicembre 2004 i sei erano stati condannati per
discriminazione razziale a sei mesi.
Il 30 gennaio del 2007 la Corte d'Appello di Venezia aveva ridotto le pene a due
mesi, assolvendoli dall'accusa di odio razziale. Il verdetto era stato poi
parzialmente annullato dalla Cassazione - con il mantenimento però
dell'assoluzione per l'ipotesi di odio razziale - e rinviato a nuovo esame,
sempre a Venezia.
A carico degli esponenti leghisti anche un risarcimento danni di 2500 euro per
ognuno dei sinti costituitisi parte civile e di cinquemila euro a favore dell'Onn.
Ricorrerà in Cassazione il sindaco di Verona Flavio Tosi. Lo ha annunciato lo
stesso Tosi non appena informato della decisione dei giudici lagunari. «Avevano
ragione - osserva il sindaco - quanti mi dicevano che sarebbe stato ben
difficile che una sezione della Corte d'Appello smentisse un'altra. Alla fine
sarà di nuovo la Cassazione a pronunciare la parola definitiva su questa
vicenda». Tosi non ha dubbi sulla correttezza giuridica del proprio operato:
«rifarei tutto ciò che ho fatto per difendere i miei concittadini - spiega -
Purtroppo devo constatare come nella magistratura ci sia ancora chi non sa
distinguere fra chi delinque e chi difende le persone oneste».
Fotografie del 21/10/2008
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