Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 03/10/2008
Ricevo da Maria Grazia Dicati
CONTRO IL RAZZISMO Una marcia per la convivenza, 'Vivere insieme si può'
L'iniziativa organizzata da un ricco quanto variegato cartello di forze
dell’associazionismo. Hanno aderito anche il consiglio regionale e il comune.
Ancona, 3 ottobre 2008 - Un ricco quanto variegato cartello di forze
dell’associazionismo di Ancona e provincia ha deciso di indire per domani,
alle 17, nel capoluogo, una 'Marcia per la convivenza'. Tante le sigle che
si sono messe in rete per l’evento: Cgil, Cisl, Arci, Caritas, Casa delle
Culture, Circolo Culturale Africa, Scuola di pace, Anolf Cisl, Rdb, e altre
ancora, insieme alle comunità locali di Senegal, Bangladesh, Camerun, Togo,
Perù, Romania, Donne Africa Subsahariana, Guinea.
L’iniziativa si propone come un ponte che nell’attraversare vari
quartieri cittadini lanci un forte segnale contro la xenofobia e il razzismo,
per il rispetto di tutti al di là del paese di origine o del credo religioso.
'Vivere insieme si può' questo lo slogan che dà il titolo della manifestazione,
alla quale ha aderito, a maggioranza, anche il Consiglio regionale che ha pure
approvato una mozione contro l’intolleranza razziale.
Anche il Comune di Ancona ha dato il suo appoggio all'iniziativa. Per la
sua storia e collocazione geografica, ricorda la giunta, ''Ancona è da sempre
una comunità accogliente e aperta e proprio per questo è preoccupata per il
clima che vive il Paese e per episodi drammatici dei quali la cronaca ha dato
conto a Roma, Parma e Castelvolturno''.
La 'Marcia per la convivenza' si caratterizzerà per un tragitto e delle
modalità fuori dai percorsi abituali. Infatti è previsto il concentramento alle
17 davanti alla Chiesa dei Salesiani, al piano San Lazzaro dove è più marcata la
presenza di cittadini di origine straniera. Da lì si attraverserà gli Archi per
poi giungere in centro.
Durante il tragitto farà delle soste durante le quali prenderanno la
parola una giovane immigrata, un lavoratore straniero delegato sindacale, una
insegnante anconetana e una giovane immigrata di seconda generazione. Concluderà
gli interventi il significativo contributo di Nazzareno Guarnieri presidente
della Comunità Rom e Sinti di Pescara. La marcia terminerà a Piazza del Papa
dove dalle 19,30 in poi suoneranno il gruppo bengalese Boishki e gli
italo-senegalesi Anima Equal.
5 Ottobre 2008 h. 15:30 al Teatro Nuovo di Ferrara
Organizzato da: Comune di Ferrara e settimanale Internazionale, in
collaborazione con ARCI e Ferrara Sotto le Stelle
Appuntamento nell'ambito della seconda edizione di "Internazionale a
Ferrara. Un weekend con i giornalisti di tutto il mondo", il festival dedicato
al giornalismo e all'informazione globale
Una seconda edizione molto attesa non solo dai tanti lettori di Internazionale -
la rivista che, sotto la direzione di Giovanni de Mauro, ogni settimana
seleziona e pubblica i migliori articoli di politica, attualità, cultura e
economia apparsi sui giornali dei cinque continenti - ma anche da tutti coloro
che cercano occasioni per approfondire tematiche legate alla politica
internazionale, alle trasformazioni sociali e ai futuri scenari dell'economia.
PROGRAMMA
Gad Lerner a colloquio con:
- Delia Grigore, scrittrice e docente universitaria rom rumena
- Alija Krasnici, scrittore rom serbo
- Alexian Santino Spinelli, musicista e docente universitario rom italiano
In inglese e in romanì con traduzione consecutiva
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Programma del Festival
INFO:
Villaggio Globale International
Antonella Lacchin, Rachele Gibin
telefono: 041 5904893
e-mail: a.lacchin@villaggioglobale.191.it
Ufficio stampa Internazionale e Fusi orari
Elena Giacchino
telefono: 06 80912727
e-mail: ufficiostampa@fusiorari.it
Comune di Ferrara
Sergio Gessi
telefono: 0532 419243
e-mail: s.gessi@comune.fe.it
Ricevo da Clochard
La recente richiesta di archiviazione delle denunce presentate sulla base
della notissima ordinanza fiorentina contro i "lavavetri" sposta sul piano del
diritto un dibattito che sino ad oggi è stato dominato dalla politica. Inutile
disquisire se il procuratore di Firenze sia tecnicamente nel giusto nella sua
richiesta di archiviazione, tanto più che la politica muscolare prospettata dal
sindaco Domenici preannuncia una ricerca con il lanternino del comma utile a
fungere da deterrente verso la temuta rioccupazione degli incroci. Tanto vale
quindi attendere il prossimo atto. E' invece utile fornire ai cittadini qualche
dato di contesto sino ad oggi trascurato.
Per chi non ami nascondersi dietro un dito, è evidente che l'attività dei
lavavetri è nella quasi totalità dei casi una forma malamente dissimulata di
mendicità. Ne condivide la funzione economica, e pone gli stessi, oggettivi,
problemi di potenziale sfruttamento e difficile inserimento nel tessuto urbano.
Ora, piaccia o no, la mendicità degli adulti è nel nostro ordinamento
perfettamente lecita. La sanzione della mendicità "semplice" è stata dichiarata
incostituzionale nel 1995. Cosa ancora più imbarazzante, e da nessuno sinora
ricordata, è che il reato di mendicità "invasiva", che la sentenza della corte
costituzionale aveva lasciato in piedi, venne cancellato dal legislatore nel
1999, senza introdurre alcuna sanzione amministrativa. Scelta incauta del
governo dell'epoca? Forse, ma comprensibilmente ciò non muta la realtà del
diritto. Il lavavetri e il mendicante possono commettere reati comuni (molestie,
minacce, e così via)? Certo. Ed è anche possibile che gli strumenti a
disposizione per la repressione di questi reati (che spesso prevedono una
querela della parte offesa) siano deboli. Esistevano, in paesi e epoche non
remoti, norme che punivano più gravemente i reati commessi da mendicanti. Pochi,
credo, ne sosterrebbero pubblicamente la reintroduzione.
Non occorre poi essere giuristi raffinati per comprendere che il potere degli
amministratori locali di proibire atti altrimenti leciti con ordinanze la cui
violazione diventa indirettamente un reato è un'arma potenzialmente insidiosa
per la libertà individuale, vista la discrezionalità insita nelle valutazioni
sottostanti. Anche qui, va mantenuto un minimo di rigore. Le richieste ai
semafori possono essere, come altre disavventure del quotidiano, fastidiose.
Anche i lavavetri (come avvocati, professori, assessori, e così via) possono
essere maleducati ed arroganti. E' anche però onesto chiedersi su quale base si
valuti l'effettiva dimensione dei fenomeni di comportamento realmente
aggressivo, al di là della generica intolleranza diffusa nella popolazione.
"Leggende metropolitane" e altri fantasmi sono moneta corrente in queste
vicende, e sarebbe interessante sentire come i lavavetri percepiscono noi
automobilisti.
L'occasionale lavaggio non richiesto può essere - anche per chi scrive - fonte
di irritazione. Ma siamo sicuri che l'interesse alla totale tranquillità del
cittadino in quella peculiare e sacra appendice che è ormai l'automobile sia
un'adeguata motivazione per la messa in moto di strumenti sanzionatori così
solleciti e severi? A questo interrogativo aggiungeremo un dubbio anche più
sgradevole. Rispettare lo "stato di diritto" nella quotidianità politica e
amministrativa impone certamente di non espandere a discrezione l'area di quanto
è suscettibile di sanzione penale. Ma presuppone anche che la messa in moto di
qualsiasi macchina sanzionatoria sia scevra da sospetti di parzialità e doppi
standard. La stretta sui lavavetri arriva invece quando quest'attività è a
Firenze in grande prevalenza svolta da Rom, verso i quali esiste un
radicatissimo pregiudizio In un paese dove, nonostante le costanti smentite
giudiziarie, continua a sopravvivere il mito dei "Rom che rubano i bambini",
ogni sospetto è lecito. Anche quello che l'ordinanza sia solo l'ennesimo caso in
cui tutta la potenza di un diritto lasciato ordinariamente "dormiente" viene
risvegliata solo per allontanare un gruppo comunque sgradito. Chi volesse
curiosare tra i fascicoli dei vari procedimenti penali che portarono alla
dichiarazione di incostituzionalità del reato di mendicità scoprirebbe che in
tutti i casi, nessuno escluso, quella norma penale altrimenti notoriamente
disapplicata era stata azionata contro Rom. E così via, in un'infinita serie di
simili vicende, italiane e non. Per la sua campagna di legalità il comune di
Firenze potrebbe in fondo trovare tra i Rom qualche valido consulente, visto che
di "tolleranza zero", a loro spese, hanno esperienza da qualche secolo.
Alessandro Simoni
professore di sistemi giuridici comparati nell'Università di Firenze
Da
Romano Them
Roma, 21 settembre 2008 - Parlano italiano, mangiano italiano e tifano per le
star del calcio italiano, ma non sono italiani. Nei fatti, è difficile dire cosa
sono.
Migliaia di persone stanno vivendo in Italia senza cittadinanza o documenti
d'identità di un qualche paese. Molti erano cittadini di paesi che non esistono
più, come la Jugoslavia o l'Unione Sovietica. Ma non hanno mai ricevuto la
cittadinanza dai paesi che hanno rimpiazzato la loro nazione che non c'è più, ed
inoltre sono venuti a mancare i requisiti per diventare cittadini in Italia.
E' difficile capire quanti siano perché sopravvivono ai margini della
società, ma la Comunità di Sant’Egidio, un'organizzazione cattolica di Roma,
pone il numero tra i 10.000 e i 15.000 Sono spesso cacciati dalle autorità, che
cercano di deportarli come immigranti illegali anche se non hanno dove andare.
La vita nel limbo può essere particolarmente dura per chi è nato ed è andato
a scuola in Italia. Una volta che compiono 18 anni, per la legge diventano poco
più che immigranti illegali.
"Noi non siamo jugoslavi, non siamo italiani. Siamo come nuvole," dice Toma
Halilovic, che vive con i suoi genitori, moglie e bambini in due container in un
campo improvvisato alla periferia di Roma.
Halilovic, 26 anni, è nato nella capitale italiana da genitori jugoslavi
arrivati qua illegalmente negli anni '70. Ha frequentato la scuola dell'obbligo,
fatto amicizie con i bambini del posto e si è appassionato per la squadra di
calcio dell'AS Roma.
Quando compì 18 anni, pensava avrebbe ottenuto la cittadinanza. I figli nati
da stranieri in Italia non ottengono automaticamente la cittadinanza, ma possono
richiederla tra i 18 e i 19 anni se hanno vissuto continuativamente e legalmente
nel paese.
Halilovic dice che la sua richiesta è stata rigettata per un tecnicismo. Alla
nascita non è stato registrato come residente, perché in quel periodo non era
richiesto dalla legge.
"Mi hanno detto che sono nato in transito," dice. "Cosa significa? Questo è
il mio paese."
In alcuni casi, i genitori non registrano i figli alla nascita perché hanno
perso la cittadinanza del loro paese d'origine e non possono rinnovare i loro
permessi di residenza italiani, dice Paolo Morozzo della Rocca, professore di
legge sull'immigrazione all'Università di Urbino.
Molti dei quasi invisibili in Italia sono Zingari dall'ex Jugoslavia. La
mancanza di carte d'identità e permessi di lavoro offre loro poche opportunità
di studiare, avere un lavoro e lasciare i poveri accampamenti che ospitano molta
della popolazione di 150.000 Zingari in Italia.
Una soluzione per quelli come Halilovic è di dichiararsi ufficialmente
apolidi. Una convenzione del 1954 dell'ONU, riconosce loro uno speciale
passaporto, permesso di risiedere e lavorare in Italia, ed un rapido percorso
verso la cittadinanza.
L'Alto Commissariato ONU per i Rifugiati dice che nel 2007, i governi hanno
riconosciuto 886 apolidi in Italia, 948 in Francia, 4.461 nei Paesi Bassi e
9.091 in Germania. La Francia ha approntato un ufficio governativo per
investigare sulle richieste di apolidia e trovato che impiegano di solito circa
sei mesi.
Ma in Italia c'è una situazione da comma 22: il Ministero degli Interni
richiede un permesso di residenza per riconoscere l'apolidia. Ed il permesso non
può essere ottenuto senza un passaporto valido, che gli apolidi non hanno. Il
Ministero dell'Interno non ha commentato.
L'unica alternativa è far causa al ministero in un tribunale civile, cosa che
può prendere almeno tre anni, dice Morozzo della Rocca. Nota che la maggior
parte della gente senza documenti manca del tempo e dei soldi per rivolgersi ad
un tribunale.
"L'Italia si sta comportando con disonestà nell'applicare la convenzione,"
dice.
Il Ministro degli Interni Roberto Maroni ha detto recentemente che il governo
intende garantire la cittadinanza ai bambini Zingari abbandonati nati in Italia.
Ma i gruppi umanitari dicono che la vera sfida è accellerare il processo per
dare agli apolidi i loro diritti.
Un problema è la difficoltà nel distinguere tra chi è veramente senza
cittadinanza ed i migranti clandestini che si sbarazzano dei loro documenti dopo
essere entrati in Italia, sperando di evitare il rimpatrio, dice Oliviero Forti,
capo dell'ufficio immigrazione della Caritas.
"Per qualcuno è un piano: Strappano i loro documenti e prendono vantaggio
dalla situazione," dice Forti. "Ma ci sono anche quelli nati nel nostro paese,
hanno vissuto qui ed improvvisamente si scoprono ad essere illegali."
Source: Associated Press
PS: Una storia da
Kelebek
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:00:05 in casa, visitato 1780 volte)
Da
Chiesa Evangelica Zigana
Brunella Torresin (19 settembre 2008)
L'Espresso Repubblica
Ieri sono state assegnate le case a Bruna, Samuel, Nicola, Gabriella,
Natalina. Non sono state consegnate loro delle chiavi, ma "un'autorizzazione":
un foglio di carta timbrato, in sostanza un contratto. Le case non sono proprio
come le nostre case, ma il nuovo campo nomadi di via Dozza, quartiere Savena, a
ridosso dei vivai Ansaloni, che è stato inaugurato ieri, nella giornata
della conferenza a Bologna delle Città Europee contro il razzismo, per molti
altri aspetti è un condominio. Vi abiteranno un'ottantina di Sinti: cittadini
italiani da generazioni, tutti con residenza nel Comune di Bologna, da una
ventina d'anni sistemati qui. Nomadi per cultura e per origine, ma più stanziali
di tanti altri cittadini italiani. Il precedente campo, che si stendeva sullo
stesso terreno comunale, era solo un'area sosta attrezzata: con bagni e docce in
batteria e allacciamenti per le roulotte. C'è stato un periodo in cui una sola
doccia funzionava, e le altre no. Nel 2005, il bando regionale per
l'assegnazione di contributi ai Comuni che intendessero migliorare le aree per i
nomadi, ha dato la possibilità di ristrutturare ma più ancora di ripensare come
organizzare il campo. L'intervento è costato 700mila euro, la Regione l'ha
finanziato per l'85 per cento. Ha spiegato ieri la vice sindaco Adriana
Scaramuzzino, anche assessore ai servizi sociali, che è possibile dare
accoglienza senza creare esclusione, offrire servizi dignitosi senza tradire
costumi e tradizioni. La qualità della convivenza si determina in base alla
condivisione dei progetti e dei servizi. Qui è stata usata molta pazienza, e poi
anche fantasia. I Sinti hanno scelto alcuni loro rappresentanti, e hanno
partecipato a una serie di incontri con gli operatori del Quartiere Savena - c'è
un giovane assistente sociale che si occupa specialmente di loro, Marco Tocco -
con i funzionari dei Lavori Pubblici del Comune e con il responsabile della
progettazione, Piero Vendruscolo, che già tre anni fa aveva disegnato il campo
sinti di Borgo Panigale. I Sinti desiderano continuare a vivere nelle loro case
mobili, come fanno da generazioni. Anche al Savena continueranno a vivere nelle
loro roulotte, ma avranno a disposizione, appena fuori casa, bagni riscaldati e
cucine, in muratura. Ma poiché, ad esempio, i piani di cottura in comune non
erano graditi, ci si è inventati "i locali cucina" sotto il portico. Ogni
portico ne contiene tre, separate da divisori. La comunità conta un'ottantina di
persone: il più piccolo, Justin, ha sei mesi, la più anziana 71 anni. È la
comunità che ha il più alto grado di scolarizzazione tra i Sinti di Bologna,
alcuni ragazzi hanno frequentato anche le superiori. È formata da cinque
famiglie allargate, composta ciascuna da tre, quattro nuclei. Perciò l'area è
stata divisa in cinque "microaree", separate tra loro da una rete: ogni
microarea, cioè ogni cortile, accoglie le roulotte e i camper della stessa
famiglia allargata. In ciascuna delle cinque microaree è stata costruita una
"casetta" in muratura, dipinta con i colori di Bologna: rosso e ocra gialla,
alternati sulle pareti e sotto i portici. Ogni casetta ospita tre (o quattro)
bagni completi con antibagno, con altrettante caldaie, e tre (o quattro) cucine,
uno e una per ciascun nucleo famigliare. Le cucine sono all'aperto, ma al
coperto, riparate dal portico che corre sui tre lati di ciascuna "casetta". È un
po' come un campeggio. Ma ogni nucleo familiare è intestatario del contratto per
la fornitura di elettricità, acqua e gas: non era mai successo prima. Pagheranno
utenze e consumi. E ogni famiglia, prima di accettare "l'autorizzazione", ha
saldato quanto doveva al Quartiere di affitto arretrato per la sosta nel
"vecchio" campo. Attorno alle casette è stato steso l'asfalto: e sull'asfalto la
comunità di Bruna, Luigi, Natalina, Samuel..., sposterà le sue roulotte, i suoi
camper e case mobili che per un anno, quanto sono durati i lavori, ha sistemato,
stretto e concentrato sui terreni attigui. C'è anche la chiesa: la comunità
ospita un pastore evangelico, Chiesi Luigi Ministro di Culto, Della MEZ e conta
un discreto gruppo di fedeli. Potrà fungere anche da sala per riunioni o
assemblee
Fotografie del 03/10/2008
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