Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.

"Che tu possa essere sano e fortunato" è il saluto che sinti, rom, gitani si
scambiano ad ogni incontro. Ed è lo stesso saluto che ha aperto, alla facoltà di
lettere di Palermo, la presentazione di "Yek dui trin..Rou(t)e", il libro che
raccoglie racconti, esperienze e progetti con il popolo Rom di Palermo. Cinque
anni di incontri, di timori superati, di battaglie,o difficili da racchiudere in
130 pagine. Sfogliandole però si entra in uno spaccato di vita e si varca la
soglia del pregiudizio e del luogo comune per entrare nella cruda esistenza di
una comunità che giorno dopo giorno prova a difendere identità e radici e cerca
una cittadinanza negata nonostante 20 e più anni di residenza. "Venite a dormire
nel nostro campo per due o tre giorni per conoscerci" è l’invito
provocatorio di Hasan Salihi, musicista rom kossovaro, rappresentante della
comunità di Palermo. "Trovereste tante sorprese ma vi imbattereste anche con i
nostri nemici: i topi, le fogne a cielo aperto, l’assenza totale di servizi".
La parola residente, cittadino suona strana e sembra quasi il tradimento di
quella che comunemente è considerata la vocazione di questo popolo:il nomadismo.
"Anche questo è un pregiudizio duro a morire" spiega Alexian Santino
Spinelli, docente di cultura rumena all’università di Chieti, poeta e musicista
rom( in foto). "In realtà il popolo romanì è una nazione senza territorio, ma in Italia
ben il 70% dei rom vi risiede stabilmente". Il professore fa un excursus storico
delle vicende del suo popolo e racconta la fuga dall’India, le persecuzioni
sotto il nazismo, il loro sterminio sotto l’indifferenza di tutti. "Quale è
stata la nostra arma di difesa? Una mano tesa che chiede insistentemente. Chiede
l’elemosina per sopravvivere, ma chiede anche una sicurezza, domanda una patria
e una dignità negata". Le parole cadono come macigni nell’aula magna di lettere,
dove alcuni operatori sociali denunciano l’assenza delle istituzioni e
l’utilizzo improprio delle risorse che la comunità europea ogni anno destina ai
campi nomadi. "Solo per Roma vengono assegnati due milioni di euro ogni anno: ho
chiesto case per la mia gente e anche per i romani, ma nessuna risposta è mai
arrivata, ci si disperde in mille progetti che non risolvono i nostri problemi".
"In realtà manca il coraggio di passare da una società multietnica ad una
comunità interculturale dove i rom non sono mediatori, ma rappresentanti di un
popolo e protagonisti del loro presente", conclude Nazzareno Guarnieri, rom
abruzzese, presidente della Federazione italiana rom e sinti. A Palermo in
questi cinque anni si è molto investito in questa direzione, dai tornei
sportivi, ai laboratori di conoscenza, alla lotta alla dispersione scolastica,
ma molto resta da fare per sollevare questo velo che inevitabilmente separa la
città dal campo.
Manca il coraggio di mettersi in cammino al fianco di questo popolo e forse la
presentazione di questo libro prova a tracciare un sentiero comune percorribile
da tutti: rom e palermitani insieme, provando ad essere per una volta tutti
"figli del vento", come cantava De Andrè.
Da
Roma_Francais
Gli "Zigani" ritrovano pezzi di memoria
Swissinfo.ch par Isabelle Eichenberger
Passaporto svizzero di Thedo ed Anna B. annullato nel 1931
e mai rinnovato (Archivi federali svizzeri)
La Svizzera non è mai stata tenera con la "sua" gens du voyage e s'è
superata durante la II Guerra per liquidare il problema degli Zigani che
scappavano dallo sterminio nazista. Un libro infine chiarisce questa zona
d'ombra della politica dei rifugiati.
Primo caso illustrato: l'attuale presidente dell'associazione yéniche di
Svizzera, Robert Huber, è stato internato nel penitenziario di Bellechasse a 17
anni, in mezzo ai criminali, giusto perché faceva parte di questa minoranza di
"asociali".
Secondo caso: Anton Reinhard, giovane Sinto tedesco rifugiato in Svizzera,
espulso nel 1944 verso la Germania, dove fu ucciso nel 1945.
"Perseguitati già sotto l'Ancien Régime, gli Yénich e gli altri
"Zigani" hanno sofferto molto nel XX secolo. Con l'arrivo del nazismo, la
discriminazione s'è mutata in persecuzione". Thomas Huonker è uno dei migliori
specialisti della gens du voyage in questo paese.
Assieme a Regula Ludi, ha scritto "Roms, Sintis et Yéniches – La 'politique
tsigane' suisse à l'époque du national-socialisme", per la Commissione
indipendente di esperti "Svizzera - II Guerra mondiale" (CIE).
Alla pubblicazione del rapporto finale nel 2002, la CIE aveva
rinunciato a tradurre i suoi studi in francese ed italiano. Ora è cosa fatta
grazie alle Edizioni Pace Deux.
Fonti rare
Le pubblicazioni su questa popolazione sono rare come le fonti ufficiali,
perché gli "Zigani" hanno una tradizione orale ed erano registrati solamente sui
registri della polizia (che sono segreti). Questo statuto giuridico particolare
fa sì che gli storici lavorano soprattutto con le testimonianze. Inoltre, le
famiglie spesso sono state separate e le tradizioni familiari perdute. Bisogna
quindi rendere omaggio alla pazienza dei due storici.
A differenza dei Rom e dei Sinti di origine indiana, gli Yénich sono una
minoranza autoctona dalla notte dei tempi e si stima che il 10% sia ancora
nomade. "Sono cittadini svizzeri dal 1851, ma sono rimasti una sospetta" spiega
Thomas Huonker. E poi "dal 1926 c'è stata quell'azione Enfants de la Route de
Pro Juventute per neutralizzare gli Yénich e sterilizzarli, separare le
famiglie ed affidare i bambini a famiglie o case d'accoglienza".
Thomas Huonker, storico e specialista degli Yénich
(swissinfo)
"Razze straniere"
Quanto ai Sinti e ai Rom, sono stati ugualmente sospetti ed indesiderabili.
"Sono stati sistematicamente cacciati dalla Svizzera, tranne tra il 1848 e il
1888," prosegue lo storico. "Dal 1906, la frontiera per loro si è chiusa e non
avevano il diritto di viaggiare in treno. Le autorità non volevano questo gruppo
culturale nel paese. Questa terribile tradizione è durata sino al 1972 e non si
è interrotta neanche durante l'Olocausto."
Questa gente è stata assimilata alle "razze straniere" della dottrina ariana
dei nazisti. Le autorità svizzere erano informate delle persecuzioni, ma non
hanno lo stesso accordato l'asilo alla gens du voyage. Hanno continuato
ad espellerle e sterilizzarle.
"Erano sottoposti ad una procedura di registrazione," prosegue Thomas Huonker.
"Gli uomini erano internati per mesi nei penitenziari (a Witzwil, Bellechasse,
ecc.) o in clinica psichiatrica e la loro famiglia nelle case dell'Armée du Salut
o della Caritas. Li si riuniva solo per espellerli."
Un'antica maledizione
Perché questo accanimento? Per Thomas Huonker, è il problema classico delle
minoranze, un'antica maledizione, come quella degli ebrei o degli indigeni nei
paesi colonizzati. "Una volta rinchiusi nello stereotipo della minoranza senza
voce, è molto difficile uscirne perché i pregiudizi persistono, la maggioranza
insiste nel trattarli da stranieri." Questi meccanismi sociologici perseguitano
la gens du voyage.
Le cose hanno cominciato a cambiare negli anni '70, dopo la denuncia dello
scandalo di Enfants de la route. Ma è occorso tempo. Solo nel 1987 il presidente
della Confederazione, Alfons Egli, ha presentato scuse ufficiali alla gens du voyage.
Adesso resta loro da ritrovare il loro passato sparpagliato ai quattro venti.
"Gli Yénich hanno domandato ricerche ufficiali dal 1975. Si sono dovuti
attendere vent'anni perché cominciassero. In effetti ci sono state resistenze ad
aprire gli archivi, soprattutto da parte della Pro Juventute, delle
polizie cantonali e delle istituzioni psichiatriche", racconta lo storico.
Lo yénich è stato riconosciuto come una lingua nazionale ma, politicamente,
questa minoranza è assente dal paesaggio. "Provano a fare parlare di loro per
difendere la loro perpetua ricerca di terreni d'accampamento (vedi
QUI ndr), ma non sono rappresentati nelle istanze politiche, come gli
Uranais o gli Appenzellois. Ce ne sono uno o due nei Grigioni che
hanno responsabilità comunali, ma si definiscono come grisoni, non come yéniche",
spiega ancora Thomas Huonker.
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