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Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
 
 
Articoli del 04/05/2009

Di Fabrizio (pubblicato @ 16:39:17 in media, visitato 1472 volte)

Incredibile! Basta una storia strappalacrime perché uno dei più razzisti giornali italiani decida di fare quello che sarebbe il suo compito: informare e non fare da altoparlante ad una sola voce (quella del più forte, di solito). Riporto tutto il pezzo, non perché sia veritiero o magari commovente al punto giusto, ma perché in tutta la vicenda del un padre di un personaggio pubblico, nessuno prima aveva voluto sapere anche la sua versione.

INTERVISTE 04/05/2009 - Si chiama Sahit Berisa, ha 39 anni ed è il padre di Ferdi, il vincitore dell'ultima edizione del Grande Fratello. Oggi vive in un campo nomadi del Centro Italia e ha rilasciato una lunga intervista al settimanale Di Più, nella quale si rivolge direttamente al figlio "Quando ti ho portato sul gommone in Italia, volevo solo il tuo bene". Sul suo conto sono state dette tante cose, il figlio ha raccontato con amarezza la sua triste infanzia ma ora Sahit cerca un riavvicinamento, giurando: “non voglio i tuoi soldi”.

Tutto è iniziato con la separazione in casa, tra i genitori del giovane rom: “Io e mia moglie non andavamo più d’accordo, litigavamo sempre. Io avevo le mie colpe, non ero un marito perfetto, un padre perfetto, non trovavo un lavoro stabile, continuavo a vendere stracci e a vivere alla giornata, a volte facevo tardi, esageravo con il bere. La vita a casa nostra era diventata impossibile, mia moglie aveva un altro e non mi voleva più. Lei al Gf, rivolgendosi a Ferdi, ha raccontato che la maltrattavo che ero io ad avere un’altra ma non è così. Non so perché mia moglie scarica tutte le colpe su di me, so che la verità è che ormai non potevamo più stare insieme..."

"Ricordo che me ne sono andato di casa dopo un brutto litigio. Mi sono trasferito da un mio parente e fin da quel momento il mio unico pensiero è stato il bene dei figli. A casa mia non ci potevo più tornare perché mia moglie mi cacciava, il suo nuovo uomo non mi faceva entrare, non mi facevano vedere i bambini. Se mi avvicinavo mia moglie urlava: "'Ho una nuova vita, qua non c'è posto per te vattene!". Ho provato a mettere a posto le cose, ma non ci sono riuscito. Mi tormentavo, sapevo di avere sbagliato anch'io: la mia vita disordinata, la mancanza di un lavoro, non mi avevano dato la possibilità di garantire alla mia famiglia la serenità, e la situazione era tracollata. Mi ero ritrovato da solo. E mi preoccupavo per Ferdi, perché senza un padre accanto qualcuno poteva metterlo fin da piccolo su una brutta strada, in una realtà come la nostra, di grande povertà. Tanti amici, tanti parenti, mi dicevano che Ferdi e sua sorella non erano sereni a casa con la mamma...".

"Allora, mi sono detto che c'era un solo modo per risolvere il problema: portare via i figli da quella casa. Così ho organizzato tutto. In una valigia ho messo qualche vestito; sono andato di nascosto a prendere i bambini. Ho portato Elfa da mia mamma, in un paese vicino, e le io detto: "Mamma, crescila meglio che puoi: se viene mia moglie a cercarla. spiega che Elfia sta meglio con te". Poi, sono andato via con Ferdi. Lui allora aveva 9 anni. Volevo andare in Italia con un gommone, assieme ad altri come me, come noi, perché tutti dicevano che in Italia c'era la ricchezza, che si poteva trovare la felicità. Tanti rom come me fanno così, anche questo fa parte della nostra storia, del nostro modo di vivere. Avevo organizzato il viaggio con persone che conoscevo. Mi è costato tre milioni, una cifra enorme. Avevo raccolto tutti quei soldi facendo debiti con alcuni miei parenti, avevo promesso che in Italia avrei trovato un lavoro e avrei restituito tutto. Ricordo solo che Ferdi, quando siamo saliti sul gommone, mi ha detto: "Papà, dove andiamo?", e io gli ho risposto: "A cercare una vita migliore, figlio mio".

Per sfamare mio figlio dovevo arrangiarmi con l'elemosina per le strade, ed ero costretto a portare Ferdi con me, non potevo lasciarlo solo. La notte dormivamo nei campi rom, il giorno lo passavamo agli angoli dei marciapiedi. Una vita dura, durissima. Alcuni come me, gente di strada che incontravo, avevano scelto una via più facile, piccoli espedienti, piccoli furti. Ma io non volevo farmi trascinare, per il bene del bambino, e continuavo ad andare avanti solo con l'elemosina. Di una cosa sono orgoglioso: in tutti quei mesi che ho passato con lui in Italia gli ho sempre dato un tetto sotto cui dormire. Non l'ho mai fatto dormire per strada. Se un giorno, con l'elemosina, riuscivo a raccogliere quaranta o cinquantamila lire, non lo portavo neanche al campo rom. Cercavo qualche pensione da poco per dargli un letto come si deve.

C'era la paura di essere fermati dalla polizia, noi clandestini senza un permesso di soggiorno. Infatti, quello che temevo è successo. Un giorno ci hanno fermato per strada. Hanno controllato i documenti e mi hanno portato via il mio bambino, perché hanno detto che non ero nelle condizioni di crescerlo. Sì, avevano ragione, ero e rimango un vagabondo senza fissa dimora, ma che cosa potevo fare? Ferdi piangeva: "Papà papà, stai con me", mi diceva tra le lacrime. Non potevo fare niente per trattenerlo. È l'ultima volta che l'ho visto, ricordo i suoi occhi gonfi e il suo sguardo spaventato. Non mi hanno neanche voluto dire dove lo portavano. "Ecco, Sahit", mi dicevo "hai sbagliato tutto". "Hai perso tutto", mi ripetevo. "Tuo figlio te l'hanno portato via, tua figlia non sai come sta, non hai più nessuno". Ero disperato. Ricordo che ho preso un treno per raggiungere il campo rom dove ho gli amici più cari. Ma non ho dormito in roulotte. Ho dormito per una settimana sulla spiaggia, al freddo. Questo è successo dodici anni fa, nel 1997, quando Ferdi aveva 10 anni, dopo che eravamo stati insieme un anno in Italia. È allora che mi sono perduto”.

“Quando ho perso mio figlio, sono morto dentro e sono finito su strade sbagliate. Ho cominciato a rubare, ho ripreso a bere. Sono finito in carcere quattro volte, ho condiviso anche una cella con dodici persone e un solo bagno per tutti. A volte mi ha sfiorato il pensiero di farla finita, ma non ho avuto il coraggio perché, in fondo continuavo ad avere un obiettivo, ritrovare i miei figli, riabbracciarli. La mia era ed è una vita da fuggitivo, disgraziato. Ma non ho mai smesso di pensare a Ferdi. Chiedevo di lui ai parenti che vivono nei campi rom. Sì, perché tra noi ci si aiuta, se si può. Siamo tanti, sparsi ovunque. Una volta un cugino mi ha detto che forse Ferdi era a Cagliari mi sono precipitato là. in un istituto religioso. Ma non mi hanno neanche fatto entrare”.

“Dopo tante ricerche, tre o quattro anni fa, sono riuscito ad avere il suo numero di telefono tramite un nostro parente. L'ho chiamato con le mani che mi tremavano e gli occhi lucidi. Ma lui, mio figlio, è stato freddo, mi ha detto solo: "Papa, quando sarò pronto mi farò vivo", e ha messo giù il telefono senza neanche dirmi dove era. Allora, sono stato male, ho pensato che ce l'aveva con me, che non mi perdonava la vita che gli aveva fatto fare, e chissà cos'altro.
Io cercato di capire, ho fatto tante telefonate, finché un parente che è rimasto in contatto con lui mi ha detto che Ferdi aveva saputo brutte cose sul mio conto e non voleva vedermi: pensava che l'avevo portato via con la forza da casa, diceva che l'avevo picchiato e che lo avevo costretto a rubare”.

“Mi trovavo nel campo rom della Romagna quando Davide, un mio amico, mi ha detto: "Sahit, credo proprio che tuo figlio sia in televisione". Tutti là, infatti, sanno da anni la mia storia, sanno di Ferdi, del mio tormento. Non volevo crederci: mio figlio in televisione? Quando ho visto Ferdi, al Grande Fratello, ho fatto salti di gioia. Vedere che stava bene, che è bello, che è sano mi rendeva contentissimo. L'ho baciato sullo schermo, ho pianto. Per tre mesi ho guardato sempre Ferdi, attaccato alla televisione. Ho seguito tutto, mi sono emozionato, ho riso, ho pianto. Sono stati i tre mesi più belli della mia vita. Ho visto il messaggio della mamma, la mia ex moglie, mi accusava di averla maltrattata, e ho sofferto. Allora, ho contattato la redazione del Grande Fratello, ma mi hanno detto che Ferdi non voleva vedermi. Lo immaginavo, lui pensa che io sia stato cattivo con lui. Poi, ho rivisto mia figlia in televisione che parlava dalla Germania con Ferdi che era nella Casa. Anche lei non la vedevo da moltissimi anni, e ho pianto ancora. Poi, mi sono arrabbiato quando Gianluca, il concorrente di Napoli, ha accusato mio figlio di volere fare piangere con la sua storia e gli ha dato una spinta. Poi. sono stato contento quando Ferdi ha raccontato di essere cresciuto bene all'istituto Don Orione e con un'altra famiglia. Ho applaudito quando Ferdi ha baciato Francesca e ho festeggiato con i miei amici rom quando ha vinto. Così sono come rinato”.

“Quando Ferdi è uscito, ho tirato nuovamente fuori il bigliettino su cui anni prima avevo segnato il suo numero. Non sapevo se chiamarlo o no, ero combattuto. Ho deciso di chiamarlo dopo che a un giornale, il vostro Dipiù, Ferdi ha detto che poteva dimenticare il passato, e che poteva pensare di riabbracciare me, suo padre. L'ho chiamato con il cuore che mi batteva: "Figlio mio. sono tuo padre...", gli ho detto. Ma lui, proprio come aveva fatto anni prima, mi ha interrotto e ha detto: ' Papà, mi farò vivo io quando sarò pronto, ora devo andare". In quel momento, ricordo, sono crollato su una sedia, con gli occhi gonfi. Lo so, forse ho chiamato troppo presto, ma ho agito d'istinto, non potevo aspettare, Ferdi ha bisogno di tempo. Lo so. lui pensa ancora che io ho fatto del male, e non sarà facile fargli cambiare idea dopo tanti anni”

“Lo so. forse qualcuno, lui stesso pensa che adesso io mi sono fatto vivo perché è ricco famoso. Ma non è così. Non ho mai avuto una casa. Vivo con i vestiti che trovo. E credo di avere pagato per gli errori che ho fatto. I guai e l'amarezza mi hanno consumato nel corpo e nella mente. Da quando ho perso mio figlio, non ho più avuto un obiettivo. Ho solo il pensiero fisso di rivedere lui e la sorella. Il Grande Fratello ha riportato la speranza, mi ha fatto ritrovare mio figlio. Il mio sogno è uno solo. Abbracciare, anche solo per un minuto. Ferdi e sua sorella, parlare con loro...".

 
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:31:02 in Europa, visitato 2377 volte)

Da Bulgarian_Roma

30 aprile 2009 FOCUS News Agency

Sofia - La Bulgaria è tra i paesi dove la minoranza rom si sente meno discriminata, lo rivela un'indagine UE sui diritti delle minoranze. Secondo quanto riportato, soltanto il 26% dei Rom in Bulgaria si sente vittima di discriminazione. La Bulgaria viene seconda nella lista dei paesi più tolleranti, subito dopo la Romania, dove il 25% dei Rom dice di essere discriminato.

La ricerca coinvolge sette stati membri UE - Bulgaria, Grecia, Polonia, Repubblica Ceca, Romania e Ungheria. La Repubblica Ceca è riportata come la meno tollerante verso la propria popolazione rom, dato che il 64% dice che i propri diritti non sono osservati.

 
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:17:45 in musica e parole, visitato 1819 volte)

Da Theatre Rom

Presentazione del libro "Speranza" di Antun Balzevic

Venerdì 8 Maggio alle 19:30 presso il laboratorio socio-culturale TANA LIBERI TUTTI sarà presentato il libro “Speranza” di Antun Balzevic, in arte Tonizingaro, con prefazione di Moni Ovadia:

Una snella raccolta di racconti e poesie scritte dall’aurore serbo nel corso di questi ultimi anni, capace di intelligente ironia e sagace critica sociale.
In primo piano il popolo Rom, la sua quotidianità, la condizione esistenziale e le sue relazioni con la società, argomenti questi che Toni conosce molto bene in quanto da anni impegnato come mediatore culturale tra i Rom romani e il Campidoglio. Uomo dalla vita traboccante di esperienze, avendo trascorso periodi di disperazione e povertà come momenti di grande slancio e soddisfazioni, è riuscito a concentrare alcune delle sue più interessanti impressioni in questo testo che sa approfondire alcune questioni di particolare complessità con un linguaggio spesso esilarante e comunque sempre accessibile ad un pubblico vasto. In queste pagine Toni, zingaro metropolitano, ripone la speranza per un avvenire migliore non solo per il proprio popolo ma per l’umanità tutta, perché, questo è certo, nessuna società può considerarsi salva se ancora non sa superare e “sconfiggere l’ignoranza e l’intolleranza”, sa che siamo ancora lontani da ciò ma spera che le sue parole e le sue esperienze possano spostare qualcosa nel quadro odierno, possano toccare la mente ed il cuore di qualcuno, anche pochi, ma che possano aprire le loro menti e disporsi alla reciproca ospitalità.

In occasione della presentazione Tonizingaro sarà protagonista di un reading musicato dalla sua band, il tutto accompagnato dagli ormai tipici aperitivi della Tana, ancora una volta impegnata in eventi capaci di offrire un mix di cultura, svago e socializzazione.

TANA LIBERI TUTTI, via G. Pitacco n 44 (zona Largo Telese)
tanaliberitutti@gmail.com
tanaliberitutti.blogspot.com
www.myspace.com/tana_liberi_tutti

Noi e Voi

Noi non ci vergogniamo perché ci chiamiamo, come dite Voi occidentali, Zingari e perché veniamo da terre lontane piene di fango. Ascoltateci, perché pure da noi esiste una per voi sconosciuta cultura.

Voi prima fate interrogatori e siete sospettosi, siete lontano dai vostri stessi figli, dietro al tavolo non mettete mai uno sconosciuto.

Voi potete bere non offrendo a nessuno un bicchiere di vino.

Da noi le tradizioni ancora sono primitive, noi facciamo entrare tutti sotto il nostro tetto, da noi ancora ci si bacia con gli sconosciuti.

Voi davvero avete milioni di statue di Cristo, ogni statua per ognuno di voi, le avete per le strade, nelle scuole, nelle galere e sulle colline.

Da noi la gente quando crede in Dio lo porta dentro il cuor suo, e pure quando dorme lo prega.

E’ vero che Voi per affrontare la vita avete a disposizione le macchine e tutto quello che vi serve.

Noi ancora usiamo i nostri tradizionali strumenti per sopravvivenza, ma da noi tutto è sano, la natura come la gallina, la morte, la nascita e la vita.

Voi avete le vostre leggi della scienza e della libertà, ma tutte scritte su un pezzo di carta. Noi viviamo secondo le nostre leggi non scritte, viviamo liberi e rispettiamo le nostre regole fatte di natura, di fuoco, di acqua e di vento.

Da voi davvero è tutto prescritto, come si beve, si mangia, si parla e ci si veste, da noi quando si parla si urla, e gesticoliamo con le mani, quando mangiamo la zuppa la risucchiamo rumorosamente, di pelle di animali sono fatti i nostri guanti e le nostre scarpe.

Abbiamo tante abitudini dei contadini, ma pure gli antenati dei re erano contadini. Occidente quando era arrabbiato ci tagliava la gola, bruciava e distruggeva le nostre case, ma noi siamo quelli che sopportano tranquilli quello che ci fanno, noi non pensiamo che tutto il mondo è nostro, noi non permetteremo che per la colpa nostra gli innocenti piangeranno.

La nostra anima è grande come il mondo pur che siamo pochi, noi cantando e ballando accompagnati dalla musica andiamo avanti verso il futuro.

 
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:07:10 in media, visitato 1660 volte)

Da CinemaItaliano.info

30/04/2009, 20:43 - Delle immagini in bianco e nero, che provengono dal passato: un accampamento di Rom colto in alcuni momenti tipici della sua quotidianità: le donne accudiscono i bambini, gli uomini battono il rame….. su queste immagini di repertorio la voce off di un'anziana rom kalderasha, Emilia, racconta degli spostamenti continui, del montaggio e smontaggio delle tende nei diversi paesi toccati dal loro incessante cammino di zingari, sempre alla rincorsa delle sagre e delle feste patronali.....

... Il volto di Emilia oggi, segnato dal tempo e dalla vita, che prosegue il suo racconto all’interno della piccola roulotte in cui vive, nell’accampamento nel cortile dell’ex foro boario di Testaccio, a Roma…..

... Rasema ha venti anni meno di Emilia, ma non si direbbe: il suo volto di sessantenne è segnato da rughe profonde, anche se la sua espressione mantiene un che di infantile, specialmente quando sorride. Ci racconta del suo arrivo in Italia dalla Bosnia, nel lontano 1969, con il marito e un bambino piccolo in braccio.

Oggi vive nel piccolo campo all’Arco di Travertino, circondata dall’affetto e dal rispetto dei figli e degli innumerevoli nipoti. E il suo modo di vedere la vita, tradizionale, “all'antica”, dissolve.....

... Nel racconto delle esperienze di Umiza, romnì bosniaca che ha da poco superato la trentina e che è arrivata in Italia da Mostar quando aveva solo pochi mesi. Oggi vive in un container del villaggio attrezzato di via Cesare Lombroso, accanto ai suoi anziani genitori e ai fratelli.

Un marito perennemente in galera, la fatica di portare avanti la famiglia e far crescere i suoi due figli da sola..... la vita non è affatto semplice per Umiza, che si arrangia recuperando materiali di ogni genere nei cassonetti della spazzatura, per poi rivenderli nel mercatino aperto vicino al campo…..

... La stessa forza di Umiza anima le attività di Sevla, romnì quarantenne che è riuscita ad uscire dal campo di vicolo Savini e a garantire un tetto ai suoi otto figli occupando una casa abbandonata. Sevla è un'ottima ballerina di danze balcaniche e una donna forte, espansiva e solare. Ha messo a frutto le sue capacità creative con determinazione e passione, insegnando le danze tradizionali rom e avviando un'attività di piccolo artigianato. Tutta la vita di Sevla risente della presenza del ricordo del fratello morto oramai quasi vent'anni fa, il celebre poeta zingaro Rasim Sejdic, come dimostra anche l'educazione che ha scelto di dare ai suoi figli, così orientata verso l'espressione artistica,.....

... E la passione per la danza, che pratica con impressionante bravura, Daniela l’ha ereditata proprio dalla madre. A diciannove anni Daniela ha rifiutato con serena determinazione lo stile di vita tradizionale della sua comunità che le proponeva un matrimonio precoce e il ruolo di madre e moglie sottomessa al marito. Il suo principale obiettivo è invece quello di cambiare le sue condizioni di vita: chiudere definitivamente con la vita del campo nomadi, trovare un lavoro che le permetta di rendersi autonoma, ma senza rinunciare a divertirsi, come è nei desideri di qualsiasi ragazza della sua età.....

... E una voglia quasi sfrenata di vivere pienamente la sua giovinezza caratterizza lo stile di vita di Mirela, ventenne che vive nel villaggio attrezzato di via dei Gordiani. Mirela è una forza della natura: volitiva, travolgente, sensuale, con un modo tutto suo, sincero e diretto, di esprimersi. Non veste “alla zingara”, rifiuta anzi di indossare le tradizionali lunghe gonne a fiori e frequenta comitive di ragazzi italiani, rifuggendo la compagnia degli altri Rom. Questo suo comportamento la mette in cattiva luce dentro la comunità: non sono in pochi, e non solo gli adulti o gli anziani ma anche le sue coetanee, a considerarla una “poco di buono”.....

... Charlotte, invece, è una diciottenne che è riuscita a gestire armoniosamente e con consapevolezza il rapporto difficile tra il mondo dei Rom e il mondo dei “Gagé”: ha conseguito la licenza media, si è iscritta al corso per volontaria del servizio civile e ha iniziato a fare le prime esperienze come mediatrice culturale nella scuola elementare vicina al campo di Testaccio, dove vive con la sua famiglia. Ma la dolcezza del suo volto è contraddetta dal guizzo ribelle dello sguardo, quando ricorda con orgoglio di essere sempre riuscita a ribellarsi agli aspetti più arretrati della sua cultura di origine.

 

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