Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Articoli del 27/02/2009
Ricevo da Roberto Malini
COMUNICATO STAMPA 27 febbraio 2009: LE AUTORITA' AVEVANO L'ORDINE DI
SGOMBERARE E DI SMEMBRARE LE FAMIGLIE
FOTO:
http://www.everyonegroup.com/downloads/pesaro25.zip
Gruppo EveryOne: "Abbiamo vissuto momenti tragici. Una donna è caduta a
terra. Madri e padri di famiglia in lacrime volevano darsi fuoco se avessero
tolto loro i bambini. Proibita la mediazione umanitaria ai nostri attivisti e
nessuna assistenza ai malati". Inatteso il raid della forza pubblica, perché
Sindaco e autorità si erano impegnati formalmente ad attuare un programma di
integrazione casa-lavoro
Nella mattina del 25 febbraio, a Pesaro, circa 20 tra agenti della
Polizia di Stato e della Polizia Locale sono intervenuti intorno
alle 7.00 in via Fermo 49, all'altezza della fabbrica dismessa dove da quasi un
anno si erano rifugiati 30 Rom romeni – tra cui pazienti cardiopatici
e oncologici dell'ospedale San Salvatore, molte donne e 9 minori,
compreso un bimbo di pochi mesi – con l'obiettivo di sgomberare lo stabile e
sottrarre tutti i minori ai genitori. "Siamo accorsi sul posto e abbiamo
assistito a scene strazianti" riferiscono gli attivisti del Gruppo EveryOne. "Madri
e padri erano in lacrime e i bambini terrorizzati. Gli agenti avevano
annunciato che i bambini sarebbero stati affidati ai Servizi Sociali e quindi
sistemati in una comunità. Solo le mamme, però, avrebbero potuto restare con
loro, mentre i padri sarebbero stati messi in mezzo alla strada". Nico
Grancea, uno dei più noti attivisti Rom in campo internazionale, faceva parte
della comunità "nomade" che viveva a Pesaro. "I poliziotti ci hanno detto che il
proprietario della fabbrica aveva denunciato l'occupazione dello stabile, ma
sapevano che il Sindaco e tutte le Istituzioni pesaresi erano al corrente della
nostra presenza nell'edificio, dove ci siamo rifugiati per sfuggire povertà e
intolleranza in Romania. Molte delle persone sgomberate si trovavano sotto la
tutela del Parlamento europeo, perché avevano denunciato di aver subito
gravi aggressioni, pestaggi e intimidazioni in Italia, sia da parte della Forza
Pubblica che di razzisti". Le autorità, però, non hanno ascoltato alcuna
ragione, nonostante Roberto Malini e Dario Picciau di EveryOne spiegassero
loro la delicata condizione di testimoni per l'Unione europea della comunità Rom
che veniva invece smembrata e sgomberata. "Il nostro Gruppo aveva ottenuto un
impegno formale da parte del Comune di Pesaro" proseguono gli attivisti, "che
garantiva un programma casa-lavoro. Il programma avrebbe dovuto iniziare
all'inizio di settembre 2008, ma è stato sempre rimandato. Il Messaggero e altri
quotidiani locali riportano le dichiarazioni del Sindaco e di alcuni Assessori,
riguardo all'impegno assunto dal Comune". Il Gruppo EveryOne aveva già
segnalato nomi, cognomi e caratteristiche della comunità Rom sia ai Servizi
Sociali che alle Autorità. Il locale Ospedale San Salvatore, quando è stato
informato della presenza di bambini, donne incinte e malati gravi, ha intrapreso
un programma di assistenza che ha assicurato cure mediche alle famiglie.
Disattesi i tempi in cui era previsto il progetto di inclusione e stremata dalla
povertà e dall'inverno, la comunità si trovava ora di fronte al dramma
umanitario contro cui si battono la Commissione europea, il CERD delle
Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali per i diritti dei Rom: la
sottrazione di minori da parte delle autorità. "Le famiglie Rom fanno
dell'unione la loro stessa ragione di vita," spiegano gli esperti EveryOne, "e
in molti casi lo smembramento provoca tentativi di suicidio da parte dei
genitori. Negli anni dell'Olocausto, i nazisti conoscevano questo aspetto della
cultura Rom e infatti ad Auschwitz, a differenza delle famiglie ebree, quelle
‘zingare' venivano tenute unite nello ‘Zigeunerlager'. Quando padre, madre e
figli vengono separati, si creano situazioni di dolore e panico incontrollabili.
Durante l'operazione di polizia, una giovane donna è stramazzata a terra,
altre si lamentavano disperate, mentre una mamma nascondeva un coltello da
cucina in una piega della gonna e sussurrava che si sarebbe sgozzata se
l'avessero divisa dal marito. Nonostante il cordone di poliziotti, siamo
riusciti a comunicare con la comunità Rom, evitando il peggio". Non veniva
garantita libertà di movimento e comunicazione con gli altri attivisti
neanche a Nico Grancea, il giovane attivista protagonista di tante azioni a
tutela dei diritti dei Rom perseguitati, testimone e consulente per il
Parlamento europeo e organizzazioni internazionali per i diritti umani. "Mia
moglie aveva in braccio il nostro bimbo di quattro mesi," racconta Nico, "mentre
le altre madri erano terrorizzate da ciò che si stava prospettando. Gli
agenti non ci ascoltavano, non vedevano famiglie davanti a loro, ma una pratica
da sbrigare. Non conoscono lo spirito di sacrificio dei Rom. Non sanno che
tanti di noi erano vicini a compiere atti di autolesionismo irreparabili.
Alcuni meditavano di darsi fuoco se avessero diviso le famiglie. Non ci
avrebbero separati, avremmo protestato sacrificando le nostre vite. I miei amici
di EveryOne hanno capito perfettamente la gravità della situazione e ci hanno
aiutato con la loro esperienza di fronte a situazioni estreme, mentre gli agenti
non volevano riconoscere il loro ruolo di mediatori incaricati dal Parlamento
europeo". Per fortuna le madri Rom si organizzavano e riuscivano coraggiosamente
a sottrarsi alle forze dell'ordine, fuggendo con i loro piccoli. "Studio
l'Olocausto e le dinamiche delle persecuzioni da trent'anni," dice Roberto
Malini, "ho pubblicato libri e tenuto conferenze sull'argomento. E'
innegabile che vi sono precise attinenze fra gli anni delle leggi razziali e il
presente. La fuga delle madri Rom di Pesaro mi ricorda la famosa operazione
del Gruppo Westerweel, in Olanda, condotta da Mirjam Pinkhof – mia cara amica,
sopravvissuta alla Shoah – e altri attivisti, che misero in salvo numerosi
bambini ebrei". Alcuni membri della Commissione Ue e del Parlamento europeo
seguivano con ansia le vicende di Pesaro, in contatto con EveryOne. "Mentre
si svolgevano i fatti, abbiamo tenuto un canale di comunicazione aperto anche
con alcuni deputati e senatori italiani, oltre che con la Procura della
Repubblica di Pesaro e Urbino" prosegue Matteo Pegoraro. "Il timore di tutti
era che l'operazione di polizia degenerasse in tragedia. Malini, Picciau e
Grancea, però, hanno esperienza da vendere e non è certo la prima volta che
EveryOne si trova in situazioni tanto difficili. Ora che però l'azione è
compiuta, sono necessarie prese di posizione anche da parte del mondo
politico, e alcuni deputati radicali mi hanno confermato la volontà di
presentare un'interrogazione parlamentare sull'intera vicenda".
"Non capisco perché le Istituzioni e le Autorità non ci abbiano contattati,
prima di attuare un'azione del genere" si chiede Dario Picciau. "Mentre si
svolgevano i fatti, ero in contatto telefonico con la parlamentare europea
Viktoria Mohacsi, mentre le principali ONG europee si prodigavano per
organizzare una task-force a sostegno della comunità Rom. Non possiamo criticare
gli agenti, che hanno obbedito agli ordini e non hanno considerato, poiché non
vi erano tenuti, la vulnerabilità delle famiglie nonché le loro condizioni di
salute fortemente precarie e la paura di ognuno, dettata da tanti episodi di
intolleranza. Non riusciamo a capire, però, che bisogno c'era di inviare 20
agenti armati con volanti e un furgone anziché risolvere la contingenza intorno
a un tavolo, con politici, autorità e attivisti. Viktoria Mohacsi, altri
europarlamentari e alcuni dei principali esperti europei di cultura e vita del
popolo Rom erano pronti a partecipare personalmente all'eventuale tavola
rotonda".
Domenica 22 febbraio Canale 5 aveva inviato alla fabbrica di via Fermo a
Pesaro una troupe, condotta dal giornalista Mimmo Lombezzi, per un servizio
sulla condizione dei Rom in Italia da mandare in onda nella puntata di martedì
24 febbraio: Grancea e diversi Rom hanno raccontato alle telecamere il grado
di persecuzione che sono costretti a subire quotidianamente, l'atteggiamento
delle forze dell'ordine nei loro confronti, la segregazione in cui sono tenuti,
l'azione delle ronde di pulizia etnica, che commettono gravi abusi sui Rom
profittando del clima di intolleranza. Un uomo aveva mostrato alle telecamere
di Canale 5 i lividi ancora evidenti sul corpo per un pestaggio subito ad Ancona
il 15 febbraio, il giorno dopo l'offensiva di violenza xenofoba scoppiata in
Italia in seguito allo stupro al parco romano della Caffarella.
Un dossier sui fatti di Pesaro è stato consegnato al Parlamento
europeo, alla Commissione e al Consiglio Ue, alla Corte Internazionale dell'Aja,
al CERD (Comitato anti-discriminazione delle Nazioni Unite) e all'Ufficio Legale
Europeo per i Diritti dei Rom, in relazione ai gravissimi danni che hanno
cagionato alla comunità Rom i mancati interventi di assistenza e la mancata
realizzazione del programma di integrazione garantito dal Comune di Pesaro.
Per ulteriori informazioni:
Gruppo EveryOne
www.everyonegroup.com
:: info@everyonegroup.com
Mobile: +39 334 8429527 - +39 331 3585406
Di Fabrizio (pubblicato @ 09:25:05 in casa, visitato 2190 volte)
Da
Roma_Daily_News

ISTANBUL, 24/02/2009 - I residenti di
Sulukule che sono spinti ad allontanarsi dalle loro case dalla Municipalità
di Fatih ad Istanbul, hanno ottenuto un'udienza per dar voce alle loro
preoccupazioni.
Oltre 20 residenti hanno reiterato di essere stati trattati in maniera
ingiusta dalla Municipalità di Fatih, nel suo piano di sviluppo di un'area ad
alto valore immobiliare.
Il progetto di rinnovamento urbano di Sulukule ha lo scopo di bonificare uno
dei quartieri più poveri di Istanbul di cui è una significativa area storica. I
residenti di Sulukule sono soprattutto Rom poveri che vivono in appartamenti in
affitto.
La maggior parte dei residenti hanno ottenuto sussidi governativi per case
popolari a Taşoluk, che costano 750 lire turche di iscrizione ed affitti
mensili di 320 lire turche, esclusi gas, elettricità e fatture dell'acqua.
Bassi redditi
Il 50% dei residenti ha redditi mensili inferiori a 500 lire, secondo Neşe Ozan,
portavoce di un'organizzazione d'appoggio chiamata La Piattaforma di Sulukule.
"Per poter vivere in queste case ha bisogno di un reddito di almeno 1.000 lire,
che questa gente non ha", dice Ozan. Dato che la maggior parte dei residenti non
può permettersi di abitare nelle case di Taşoluk, sono inadempienti ed
hanno occupato case più grandi.
E questi sono i fortunati. Circa 100 famiglie rimangono in un limbo
burocratico non avendo garantito il diritto di traslocare a Taşoluk, mentre
rimane l'incertezza su quando le loro case a Sulukule verranno demolite. Queste
famiglie stanno chiedendo che venga chiarito il loro status.
Mustafa Ustaoğlu, capo del dipartimento di progetto della Municipalità
di Fatih, ha detto di aver ascoltato le preoccupazioni dei residenti di Sulukule,
e passerà il rapporto ai suoi capi. Ustaoğlu ha anche promesso alle 100
famiglie in attesa che verrà notificato loro entro la fine della settimana la
loro qualifica di assistenza governativa.
Da
Famiglia
Cristiana - di Stefania Di Pietro
CRONACHE ITALIANE
A NOTO, IN SICILIA, LA BASE DI UN ANTICO POPOLO GITANO
Giostrai, stagnini, ombrellai affollano le feste di paese e sono italiani a
tutti gli effetti. Non vogliono essere chiamati rom. Ma conservano il vecchio
spirito nomade.
Rumungri ungheresi, Tattaren svedesi, Bergitka polacchi, Sinti-Gackanè tedeschi,
Gypsies inglesi, Kalé spagnoli. Sono alcuni dei popoli gitani sparsi in Europa,
ciascuno con un proprio nome e una storia diversa, ma tutti annotati ai margini
delle città e battezzati come "genti del vento", perché dall’aria si fanno
trascinare.
In un panorama così ampio, c’è chi rifiuta d’essere assimilato ai rom. Sono
i caminanti di Noto, un gruppo "invisibile" di girovaghi siciliani, continuatori
di un’antica tradizione incentrata sulla parola, il canto e le leggende. Questa
frangia etnica ben radicata nel territorio cerca di far valere la propria
identità popolare, ricordando a tutti come la parola "rom" abbia un significato
ben diverso dall’uso oggi in voga, e sia semplicemente la traduzione di "uomini
liberi".
I giramondo di Noto negano d’essere "zingari" di professione, nonostante sia
impresso su di loro come un marchio il destino di un popolo ramingo, fatto di
venditori e riparatori ambulanti, tutti "camminanti", nel nome e di fatto.
Discendenti dei nomadi sbarcati in Sicilia alla fine del Trecento, al seguito
dei profughi Arberes’h, i caminanti hanno mantenuto intatta l’originaria
organizzazione familiare, sotto la guida di un capogruppo più anziano e con
matrimoni stabiliti all’interno della comunità, un’unica e grande famiglia.
«Sono nato così», ricorda uno di loro, «quando ero bambino e vedevo i figli di
chi stava al campo, mio padre mi diceva che eravamo tutti parenti».
Sono considerati i più grandi camminatori della storia, disseminati nel
ventaglio tra Catania, Agrigento e Siracusa, ma durante l’inverno affollano uno
storico quartiere di Noto, che porta il loro nome. I "siciliani erranti" sono
gli ultimi eredi di una cultura fondata sul movimento, ma hanno fatto proprie le
tradizioni locali, favorendo la nascita di una mescolanza variopinta di stili di
vita.
«Ci basta avere per tetto il cielo e il fuoco per riscaldarci, ma non siamo
zingari», continuano, «siamo siciliani e somigliamo alle rondini, perché viviamo
liberi». Negli anni ’50 i caminanti salivano in cima alle montagne a dorso di
mulo, oggi si spostano alla guida di roulotte attrezzate, una scelta che li
accomuna agli altri rom. La Sicilia rimane, però, la loro regione
d’appartenenza, l’Italia è la vera patria, anche perché vi abitano da decine
d’anni, mantenendo diritto di voto e cittadinanza. Alcune famiglie d’ambulanti
continuano a migrare ciclicamente da Sud a Nord, per poi tornare nella provincia
siracusana in primavera, "svernando" lì come gli uccelli. A ogni cambio di
stagione, traslocano nei paisi dell’entroterra, chiamati così in dialetto
baccàgghiu, una lingua inventata dalla fusione tra siciliano stretto e italiano
e colorata dall’aggiunta d’accenti diversi, per via del troppo girovagare.
Un buon mezzo per comunicare
Sono siciliani in ogni espressione quotidiana, dal culto della campagna
all’abito di stoffa "buona" indossato per la Messa domenicale, dal modo di
cucinare e disossare gli animali alla simbolica gestualità isolana, tipica di
chi ha conosciuto l’alternanza di svariate dominazioni, ritrovando nel gesto
l’unico mezzo d’intesa. Una mimica colorita, quella dei caminanti, che deriva
dalla loro essenza raminga, perché continuamente a contatto con genti straniere
e in cerca di un buon mezzo per comunicare.
La mattina i bambini vanno a scuola, grazie ai numerosi progetti
socio-scolastici nati a favore dell’integrazione di un popolo autoctono, il cui
essere itinerante pone non pochi problemi alla scolarizzazione. Gli adulti
continuano il mestiere dei padri. Arrotini, ombrellai, giostrai, impagliatori e
riparatori di cucine, famosi per lo squillante richiamo lanciato a gran voce con
l’altoparlante.
Sono gli "aggiustatori di tutto", svolgono mestieri ormai in disuso, perché
spinti dalla stessa mentalità umile e adattabile che accompagnava i caminanti
del primo dopoguerra. A ogni festività, gli uomini inondano le strade con le
loro giostrine, i palloncini colorati e le bancarelle di calia e semenza, ceci
abbrustoliti e semi di zucca seccati al sole, preparati in casa dalle donne. In
autunno, arrivano con i camion stracolmi d’ombrelli, anticipando il primo
temporale della stagione.
«Un tempo, i nostri mestieri erano tanti», racconta una vecchia caminante della
provincia di Siracusa, «si vendevano scaldini di metallo, trappole per topi,
gabbie per galline o mestoli per la ricotta. Gli uomini erano tutti stagnini, le
donne andavano di porta in porta a raccogliere capelli, per farne poi parrucche
o bamboline da rivendere».
Oggi, i giovani preferiscono la vita dei conterranei stanziali, chiamati
"paesani sedentari", scegliendo di non allontanarsi troppo da Noto, dove vendono
la buona sorte e leggono il futuro ai turisti di passaggio, con un pappagallino
portafortuna sempre appollaiato sulla spalla. I caminanti sono un popolo nel
popolo, nei gesti traspaiono i tratti dell’appassionata teatralità siciliana, ma
il loro spirito è carico d’orgoglio gitano.
Fotografie del 27/02/2009
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