Di seguito gli articoli e le fotografie pubblicati nella giornata richiesta.
Segnalazione di Tom Welschen
CorriereFiorentino.it
Impegnati otto mezzi dei pompieri per domare l’incendio scoppiato in via
Lucchese. Mistero sulle cause, probabile l’origine dolosa
Deve essere stata una brutta bestia, questo incendio. Veloce e aggressiva,
almeno a giudicare da quel che ha lasciato dietro di sé. Non che prima il
paesaggio fosse memorabile — campi di sterpaglie tra via Lucchese e
l’autostrada, tra una fabbrica e l’altra — ma ora si è aggiunta la desolazione
nera e piatta creata dal fuoco. La bestia sembra essersi fermata all’improvviso
davanti alle baracche tirate su da un gruppo di rom. C’è come un confine
invisibile: forse l’intervento dei vigili del fuoco, o forse la terra dura e
senza sterpaglie dove si trovano gli alloggi di fortuna, hanno impedito alle
fiamme di arrivare all’accampamento, che comunque era fortunatamente vuoto.
L’incendio invece ha cancellato un altro accampamento di rom che si trovava
pochi metri più in là ed era anch’esso deserto al momento del rogo.
IN VIA LUCCHESE - "Interno" via Lucchese, angolo tra l’ex Longinotti e
l’autostrada, al confine fra Sesto e Campi. Le due baraccopoli sono andate
distrutte giovedì scorso, in piena mattinata. I pompieri sono intervenuti alle
11.43 per "incendio baracche", come spiegano dal comando di via La Farina, e si
sono trovati di fronte una situazione non facile. Per domare le fiamme ci sono
voluti ben otto automezzi, e anche Prato ha dovuto dare una mano. Qual è la
causa del rogo? "Ci sono indagini in corso", rispondono dal comando fiorentino.
È possibile che si sia trattato di un fenomeno di autocombustione?
"L’autocombustione è una favola tutta italiana. E poi l’area bruciata è vasta,
troppo vasta". E l’ipotesi di un incidente — una persona rimasta negli
accampamenti che magari cercava di cucinare qualcosa con un fornellino — è
realistica? "Ci sono indagini in corso", è ancora la risposta che arriva dai
vigili del fuoco. Chi conosce i due gruppi di rom, l’associazione "Medici per i
diritti umani" (Medu), spiega che è difficile che a quell’ora ci fosse ancora
qualcuno nelle baraccopoli. "Nella prima, quella più vicina all’ex Longinotti e
risparmiata dalle fiamme — dicono Andrea Bassetti, responsabile del progetto
rom, e Marco Zanchetta — vivono una ventina di persone tra i 25 e i 65 anni, rom
di nazionalità rumena, che di giorno lavorano o vanno a chiedere la carità. Non
ci sono bambini piccoli".
MISTERO SULLE CAUSE - E qualcuno sembra voler continuare a viverci, visto
che sulle "macerie" delle capanne abbattute sono state tirati su ripari ancor
più di fortuna, delle specie di tende canadesi fatte con materassi, compensato e
lamiere. "Nel campo distrutto dall’incendio — proseguono i due di "Medu" — c’era
gente ancora più giovane, ragazzi e ragazze che tra l’altro vivevano nella
situazione più decorosa tra quelle di questo tipo che conosciamo". Ne parlano al
passato perché questi giovani rom, quelli della seconda baraccopoli, sono tutti
spariti dal giorno dell’incendio. Tutti o quasi. Uno di loro, con cui Bassetti
ha parlato al telefono, si è rifugiato dentro l’ex fabbrica Osmatex, sempre
lungo via Lucchese: un’area che fu sgomberata all’inizio di luglio dell’anno
scorso, ma adesso è di nuovo occupata, secondo quanto raccontano i due di "Medu"
che fanno visite periodiche anche lì per dare una prima assistenza medica a chi
ci vive. Gli altri, invece, non si sa dove siano. Mentre i "superstiti" (una
trentina) ieri hanno acquistato alcune tende "igloo" (altre sono state regalate
da alcuni sacerdoti) e si sono riaccampati lì dov’erano le baracche distrutte.
Pare però che l’intenzione sia quella di spostarsi al più presto. L’associazione
di Zanchetta e Bassetti conosceva da poco tempo le due baraccopoli che sono
andate distrutte giovedì scorso. "Il 20 luglio siamo andati a fare una visita—
raccontano — e abbiamo notato che intorno al secondo campo c’era un’area
bruciata, come a delimitarlo. Abbiamo chiesto cos’era successo e i rom ci hanno
risposto che non erano stati loro". Allora chi? "Loro non hanno visto gli
autori. Ma non vorremmo che fosse stato una specie di avvertimento". Di sicuro è
un altro mistero di questa storia.
Paolo Ceccarelli
28 luglio 2009 (ultima modifica: 29 luglio 2009)

Vi invito a leggere
l'articolo del nostro presidente Juan de Dios Ramírez Heredia, pubblicato il 28 luglio sul giornale spagnolo "El
Mundo". [...]
Questo testo
contiene chiaramente la filosofia e gli obiettivi della nostra organizzazione,
condivisi dalla maggioranza delle entità che lavorano per la promozione,
sviluppo e progresso del nostro popolo.
But baxt, Sastipen thaj Mestipen
Manuel
García Rondón - Segretario Generale di
Unión
Romaní
UNION
ROMANI
Dirección Postal/Postal Address:
Apartado de Correos 202
E-08080 BARCELONA (Spain)
Tel. +34 934127745
Fax. +34 934127040
E-mail:
u-romani@pangea.org
URL:
http://www.unionromani.org
GIPSY POWER Sicuramente il
presidente degli Stati Uniti, Barak Obama, occuperà un posto di rilievo nella
storia del suo paese non solo per essere il primo presidente negro della nazione
più grande del mondo, ma anche per aver preso ieri decisioni politiche
inimmaginabili che segneranno il suo mandato come uno dei più innovatori in un
paese abituato a sentirsi, forse a ragione, l'ombelico del mondo.
Ho letto con
ammirazione il suo discorso pronunciato giorni fa durante il congresso
dell'Associazione Nazionale per il Progresso delle Persone di Colore, che
celebrava il primo centenario della sua esistenza, e non ho potuto sfuggire alla
sensazione di sentirmi direttamente rappresentato dalle sue parole. Anzi, ho
fatto l'esercizio di sostituire semplicemente la parola "negro", ogni volta che
appariva nel testo, con la parola "gitano" e il discorso si trasformava in un
messaggio assolutamente adeguato alla nostra realtà. Per questo oggi mi sento
confortato nel constatare che l'uomo più potente della terra sia un negro che ha
detto alle persone della propria etnia quello che alcuni di noi gitani andiamo
dicendo ai nostri simili da più di trenta anni. Da domani, quando ripeterò alla
mia gente quello che vado dicendo da molto tempo, dirò loro che non sono parole
mie, ma che è lo stesso presidente degli Stati Uniti a pronunciarle: " Si, se
sei gitano, le possibilità di crescere tra la delinquenza e le bande sono
maggiori; si, se vivi in un quartiere povero, affronterai difficoltà che coloro
che vivono nei quartieri residenziali ricchi non devono fronteggiare. Ma queste
non sono ragioni sufficienti per ottenere note negative, queste non sono
motivazioni esaurienti per non andare a scuola o per abbandonare gli studi.
Basta con le scuse! Nessuno ha scritto il tuo destino al posto tuo. Il tuo
destino è nelle tue mani. Non ci sono scuse!".
Noi gitani
spagnoli, - che senza dubbio siamo un collettivo privilegiato se paragonato ai
nostri fratelli nel resto d'Europa, - patiamo ancora un altissimo tasso di
analfabetismo e le condizioni di vita di buona parte della nostra popolazione
sono quelle proprie di coloro che
formano i gruppi di esclusione e "lumen" sociale. Per questo acquistano maggior
valore le parole del presidente gitano degli Stati Uniti che a due mesi
dal giuramento sul suo mandato si dovette confrontare con un rapporto che
sosteneva che "i negri negli Stati Uniti possiedono il doppio delle possibilità
di restare disoccupati, il triplo delle possibilità di vivere in povertà, e sei
volte di più quella di andare in carcere rispetto ai bianchi".
E´vero che, come
dice il saggio proverbio castigliano, "la casa di Santa Maria non è stata
costruita in un giorno", ma non è meno certo che il ritmo frenetico delle
trasformazioni che sta sperimentando la società maggioritaria da poco più di
mezzo secolo, obbliga noi gitani europei a fare uno sforzo supremo affinché il
cambiamento che auspichiamo sia efficace e che possiamo essere, una volta per
tutte, artefici del nostro destino e amministratori della nostra libertà. E il
presidente Obama ci ha detto che "in ultima istanza, siamo noi che dobbiamo
coltivare il nostro destino giorno per giorno". Questo mi porta a formulare, in
linea con il pensiero del presidente statunitense, alcune proposte per i gitani
spagnoli.
Prima: Non
riponiamo troppa fiducia nei sovvenzionamenti del Governo. Le sovvenzioni devono
essere un mezzo, mai un fine. Anzi, quando le sovvenzioni non sono pienamente
giustificate, o si concedono con criteri presumibilmente estranei alla volontà
degli stessi gitani, possono essere una remora che ci condannerà
irrimediabilmente al clientelismo e alla dipendenza dalla mano che ci alimenta.
"I programmi di governo – ha detto Obama - non otterranno da soli che i nostri
figli giungano nella terra promessa. E il Governo deve essere una forza per
fornire opportunità e una forza per munire di libertà."
Seconda:
E´necessario che siamo noi stessi gitani a essere coinvolti direttamente nella
trasformazione della nostra realtà. Nessun popolo ha raggiunto la prosperità a
partire dal colonialismo politico, culturale e caritatevole. Finché il
Parlamento Europeo si è espresso nella Risoluzione approvata lo scorso 11 marzo
intimando che noi gitani partecipiamo a tutte le decisioni previste dai governi
e dirette alla nostra comunità. E chiede che si rispetti la nostra capacità e la
nostra responsabilità di organizzarci autonomamente. Ma non ci inganniamo. A
nulla serviranno i buoni propositi dei governanti se non siamo noi, i gitani
stessi, coloro che lottano per progettare il proprio destino. Lo ha detto Obama:
"Nei gitani si deve operare un cambio di mentalità, un nuovo insieme di
attitudini al fine di prendere le redini della propria vita".
Terza: Dobbiamo
aspirare a ottenere un autentico potere gitano. Ormai non basta che i governi
mettano nelle nostre mani le risorse destinate a realizzare la nostra
emancipazione e con quella l'uscita dall'esclusione sociale a cui siamo
sottomessi. Il presidente degli Stati Uniti, che è negro, figlio di padre negro
e di madre bianca, ha conosciuto e sofferto le ferite dell'emarginazione, che lo
hanno portato a dire "si continua ad avere ingiustizia nei confronti dei negri,
che si vedono relegati all'ultima posizione in tutte le scale del benessere". Le
sue parole sono perfettamente applicabili ai gitani spagnoli quando dice che:
"Il dolore della
discriminazione si sente ancora tra di noi, ma questo non giustifica che (...)
vengano condannati alla disperazione o a ruoli secondari in questo paese. (...)
Desidero che aspirino a diventare scienziati e ingegneri, dottori e maestri, non
solo giocatori di pallacanestro o rapper".
Sono stato
un'eccezione privilegiata nella vita politica spagnola. Avendo avuto le stesse
umili origini di Obama, sono stato Deputato nel Parlamento spagnolo e nel
Parlamento Europeo per 23 anni consecutivi della mia vita. Ma con me si è
spezzata tristemente la continuità. Nessuno ha più occupato il posto che
ricoprivo a Madrid o a Strasburgo. E´vero che in Spagna attualmente ci sono due
deputati autonomisti gitani: uno è il mio carissimo amico Manuel Bustamante che
si trova nella Corte Valenciana come rappresentante del Partito Popolare, e
l'altro è il mio compagno del Partito Socialista Francisco Saavedra, che si
trova nell'Assemblea Extremadura.
Ma è vergognoso che non ci sia rappresentanza gitana nel Parlamento
dell'Andalucia, regione in cui
vive la metà dei gitani spagnoli, né nel resto delle istituzioni di
rappresentanza democratica del paese.
Il vero potere
gitano si attuerà il giorno in cui accumuleremo meriti affinché il presidente
del Governo, consapevole della forza che rappresentano più di 700.000 gitani
spagnoli, nomini un ministro o una ministra, Segretario di Stato o Direttore
generale che siano gitani. E in più ci si potrebbe aspettare, perché no? che il
prossimo Direttore generale della Guardia Civile sia un gitano. Questo sarebbe Gipsy Power!
Quarta: Infine
desidero rivolgermi proprio a quei gitani che bandiscono la propria gitanità.
Conosco molti gitani che sono professori universitari, cattedratici, medici,
ingegneri, economisti, avvocati, così come piccoli e medi imprenditori, etc.
Devono rendere pubblica la loro condizione di gitani. Questo ci dà prestigio e
contribuisce in modo positivo alla rivendicazione del nostro buon nome. Sono
convinto che quando qualcuno viene nel mio ufficio di avvocato per essere
difeso, collega alla mia condizione di gitano la fiducia nel fatto che
professionalmente io sia chi di meglio gli possa far vincere una causa.
Nessuno lo ha
detto meglio di Barak Obama, delle cui parole ci appropriamo e andiamo a
scolpire sul frontespizio di tutte le nostre organizzazioni: "È ora che i bimbi gitani aspirino a diventare scienziati, ingegneri, giudici del Tribunale
Supremo e presidenti del Governo della nazione".
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